Luca Cangianti / Resistere non è mai inutile
Se Distruggi il male è un romanzo sviluppato in una geometria frattale, allora
le sue vicende possono essere percorse senza partire da un vero centro,
districandosi tra i pieni e i vuoti di una vicenda narrativamente ambientata nei
primi anni Ottanta a Roma, nel quartiere sudest dell’Appio-Tuscolano. Tuttavia,
anche rifacendosi ai romanzi precedenti di Luca Cangianti, Sangue e plusvalore
(Imprimatur, 2014) e I morti siete voi (Diarkos, 2019), l’utilizzo dello spazio
e del tempo non è quello convenzionale e trova le sue origini nella narrativa
fantastica e, in particolare, nell’utilizzo dei piani spazio-temporali che è
alla base della serie di Eymerich l’inquisitore sviluppata da Valerio
Evangelisti. Sicuramenti entrambi condividono la prospettiva di una narrativa
che possa essere strumento delle lotte sociali, rifacendosi a tutta la
tradizione della scrittura proletaria che parte dall’Ottocento, cercando il
punto di vista delle classi subalterne e operando un’opera di denuncia delle
reali condizioni di vita e di lavoro, delle lotte sindacali e della loro
repressione.
Dal romanticismo di Victor Hugo al naturalismo di Émile Zola, fino a narrazioni
contradditorie come Il popolo dell’abisso di Jack London, Cangianti e
Evangelisti hanno scelto di calarsi nel passato con la visione e la cultura del
presente, con la memoria delle lotte che sono state consumate per cambiare
quelle realtà di subordinazione, di superstizione, di povertà che hanno dominato
ogni epoca. La cultura militante ha sempre opposto un senso della storia
progressivo all’idea di un presente univoco e atemporale, le cui ragioni di
esistere sono consolidate nel passato, da essere spacciate per naturali, e non
possono essere cambiate. Una visione del tempo che si addice ai desideri e alle
strategie delle classi dominanti, delle élite, dei ricchi, degli sfruttatori.
Contro questa concezione di percezione della realtà, non solo si oppone il
collegamento storico tra il presente e il nostro passato, ma si è sviluppata una
narrativa antagonista che intende utilizzare il fantastico e le sue metafore
come armi intellettuali per sovvertire lo stato di cose presenti.
In tutti i suoi romanzi, Cangianti letteralizza le metafore, ovvero le rende
elementi concreti della narrazione. Bisogna pensare all’insetto de La
metamorfosi di Franz Kafka, metafora dell’isolamento del diverso come della
disumanizzazione, che nel racconto diventa oggetto reale e concreto, un
disturbante essere vivente. In Sangue e plusvalore l’elemento centrale, il
mostro del romanzo, è una macchina che prende vita e succhia il sangue degli
operai, e un ibrido biologico e meccanico che si ispira dalla metafora di Karl
Marx tratta da Il capitale: «Il capitale è lavoro morto che resuscita, come un
vampiro, solo succhiando lavoro vivo, e tanto più vive quanto più ne succhia».
Se il fantastico classico, specialmente l’horror, prevedeva il ristabilimento
dell’ordine borghese contro il continuo risorgere delle forme misteriose e
arcane del passato, configurandosi come presidio intellettuale illuminista, le
forme narrative contemporanee descrivono un sovvertimento che sfugge a una
classificazione conservatrice/progressista. Da qualche decennio l’horror ha
assunto un ruolo distruttivo, si presenta con nuove forme di vita, come delirio
anticapitalista. Cangianti si muove certamente all’interno di un fantastico
sovversivo in cui non assistiamo al ripresentarsi di forme e poteri del passato
in un’ottica di tempo circolare, ma di dialettica che rivoluziona i rapporti di
forza sociali. L’etimologia di rivoluzione, dal latino “volvere” ovvero ruotare,
girare, con il prefisso re, indietro, di nuovo, come in astronomia stabilirebbe
il ritorno alla situazione precedente, il percorso di un’orbita che riporta al
punto di partenza, ma nel tempo è diventato determinante un significato
antitetico di rottura radicale, di non ritorno. Per l’horror è accaduta la
stessa cosa, da narrazione del ristabilimento di un Ordine atemporale mitico
alla rottura dell’ordine politico e sociale, all’impossibilità del ristabilirsi
delle condizioni di partenza.
Il romanzo I morti siete voi è l’esempio di come horror e fantascienza
collaborino alla rottura dell’ordine politico, sociale, relazionale,
esistenziale, affettivo, e come il risultato sia un presente che consenta la
progettazione di un futuro, qualunque esso sia ma diverso dal presente
capitalista globale. Quindi storia, cronaca e passione si interconnettono in una
rete neurale letteraria che elabora dati, che pensa, che destruttura, che
inventa, che demistifica. Il lavoro di Cangianti è di ricerca storica e,
contemporaneamente, di attività militante. Ne I morti siete voi le vicende del
gruppo partigiano romano Bandiera rossa, una formazione comunista attiva nelle
borgate, si collegano con il G8 di Genova con una forza sorprendente, con un
legame che si impossessa del tempo e lo flette in una lotta tra bene e male, tra
comunismo e fascismo, in uno scontro tra corpi e nuovi corpi che lavora in
profondità nell’immaginario contemporaneo. Ma sono le vicende di Distruggi il
male che utilizzano appieno i modelli della fantascienza per ibridarli con il
racconto realista della crisi dei movimenti giovali durante il Riflusso che
segue al ciclo di lotte degli anni Sessanta.
Sono abbastanza certo che Cangianti non abbia letto due racconti di Lino Aldani,
“Screziato di rosso” e “Aria di Roma andalusa”, ma è interessante come
l’importante scrittore italiano di fantascienza avesse lavorato sia sul rapporto
narrativo tra Resistenza e fantastico sia sulle suggestioni di una Roma segreta
e misteriosa che deve molto a un originale televisivo come Il segno del comando,
diretto da Daniele D’Anza per la RAI nel 1971. L’attenta regia narrativa di
Cangianti non nasconde le molteplici ispirazioni, dall’epopea della Resistenza
popolare di traccia neorealista e ricca di autoironia, a Cherudek (1997), il più
visionario dei romanzi di Valerio Evangelisti, alla geografia della mai
completamente scomparsa capitale esoterica e iniziatica, alle utopie
intellettuali e popolari, alla ricca letteratura dedicata alla fine della
rivolta giovanile e del dilagare del disimpegno e dell’eroina. Ma per Cangianti
quegli ideali dell’antifascismo spontaneo e popolare, senza partito, non sono
mai morti, anzi sono destinati a rispuntare come le piante maligne da ogni crepa
della nostra asfaltata società. Come in molte opere fantastiche esiste un libro
guida, e in Distruggi il male ce ne sono due: Il signore degli anelli di Tolkien
e Banditi di Piero Chiodi, comandante partigiano della Centotreesima Garibaldi e
filosofo esistenzialista. La lettura di Tolkien che, nella finzione del romanzo,
Cangianti affida a Enrico, il protagonista, un liceale che si avvicina ad
Autonomia Operaia un po’ per amore e un po’ per senso salgariano di avventura, è
quella ecologista e libertaria, interetnica, e che può essere sinteticamente
riferita al saggio di Alessandro Portelli “Appunti su Tolkien e Il Signore degli
anelli”, pubblicata sul numero 18 della rivista Primo Maggio (ripresa su Pulp
Magazine).
L’utilizzo de Il signore degli anelli nel romanzo di Cangianti, alla faccia di
decenni di riscrittura ideologica e pacchiana dell’estrema destra, recupera il
tema della lotta contro il male che percorre tutta la lettera popolare fino agli
anime giapponesi, quel sentimento di lottare dalla parte giusta, quell’emozione
di mettere a rischio la propria vita contro l’ingiustizia e la sopraffazione,
quella comprensione delle diversità che costituiscono il gruppo. In Distruggi il
male la “compagnia” che si raccoglie all’Alberone non può essere più eterogenea
nelle esperienze e nelle sofferenze così profonde nonostante le giovani età,
l’opposto del mito dell’individuo superiore, del culto della morte, del
disprezzo. Da Banditi di Chiodi invece ricava una lettura della Resistenza
anti-mitica, contraddittoria, di felicità e paura abbracciate. Ma è la fine del
sogno di rivolta che era nato nel ’77 a essere chiave di lettura che lega la
guerriglia dei partigiani di Bandiera Rossa, al Movimento che si scontrava ad
armi pari con le squadre di Francesco Cossiga, alla lotta in Val di Susa. Se
passate per Roma vedrete sui muri delle vecchie case le lapidi che ricordano gli
assassinati delle Fosse Ardeatine. Più di cinquanta di loro erano partigiani di
Bandiera Rossa. Quando leggerete le parole nel marmo, pensate che la lotta non è
finita e resistere non è mai inutile.
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