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A Cascina Rapello festeggiare è un atto di resistenza e di speranza
Lo scorso fine settimana si è tenuto il Rapello Folk Festival. Matteo Rossi, il presidente della cooperativa Liberi Sogni, organizzatrice dell’evento, ha condiviso con noi una riflessione sul senso di organizzare un’occasione di festa in questo momento storico. Per la quinta edizione del Festival ospitato da Cascina Rapello ci siamo chiesti: che senso ha festeggiare mentre Gaza è sotto le bombe, mentre tanti altri bambini e civili sono vittime di altre guerre, mentre il drastico aumento per le spese di  riarmo dice che la guerra stessa si avvicina anche a noi e tutto dimostra che ne siamo sempre più intrisi?  Che senso ha festeggiare mentre anche dalle nostre parti si impongono nuove zone rosse e altre barriere e si espande la cultura di chi metaforicamente e fisicamente lascia affogare in mare chi emigra per una vita  migliore? Che senso ha parlare di difesa dell’ambiente o delle tradizioni, quando anche sul nostro territorio  anonimi centri commerciali nascono in ogni dove e il mercato penetra in ogni ambito della nostra vita? Che senso ha parlare di dialogo con la natura quando poco più a sud, nella Brianza che dà il nome al piccolo Monte che ci ospita e protegge, gli ultimi lembi di boschi rimasti illesi dalla cementificazione vengono  sventrati da un’autostrada a 8 corsie a pagamento – la Pedemontana? Che senso ha fare festa? Con quale spirito? La risposta che ci diamo è che la Festa, per come la intendiamo e pratichiamo, può essere un rito comunitario, espressione di Resistenza e Speranza. In tutte le comunità dei popoli originari, anche in quelle primitive, i riti di festa e danza esprimevano il bisogno innato dell’essere umano di stringersi in comunità, pratiche e linguaggi che uscissero dalla pianificazione e dalla razionalità, sincronizzando ritmi e movimenti e raggiungendo  esperienze di unione estatica attraverso la danza sfrenata. La soppressione dei Carnevali europei va di pari passo con quella delle culture originarie non europee del  resto del mondo. Ne sono dimostrazione gli irriducibili generi di espressioni artistiche giunti fino a noi, che in tutto il pianeta hanno rappresentato la più alta e vitale forma di resistenza e addirittura di rivolta contro  il dominio bianco. Dioniso, che donò il vino all’umanità, nella mitologia greca era l’unico Dio dedito alla pace e non alla guerra. Dioniso amava la pace e, come Gesù, difendeva i poveri e respingeva le gerarchie dominanti. Dioniso non veniva venerato per nessun fine che non fosse la gioia pura e semplice del rituale. Non soltanto la esige e la istiga: Dioniso è l’esperienza  estatica che definisce il sacro e lo separa dalla vita ordinaria. I mortali potevano evocarlo con la danza e era lui a “possederli” durante l’ebbrezza. Ci piace pensare che Rapello Folk sia, a suo modo, un rito dionisiaco contemporaneo, uno spazio riconquistato di Festa fuori dal tempo, per una comunità che si rinnova, si apre e si allarga, rafforzando o  creando nuovi legami tra persone di diversa età, in un luogo sacro dove la natura ancora è maestra e  domina su tutti noi umani. Donne e uomini, giovani e anziani, bambini e bambine che si incontrano, collaborano, danzano e cantano coi propri corpi e le proprie voci, per tre giorni e due notti, all’insegna della  convivialità. Un’esperienza dove l’incontro vero, al di fuori di ogni algoritmo o intelligenza artificiale, fa riscoprire la meraviglia e la magia dell’inaspettato. Come le forme più esasperate e violente del colonialismo non sono riuscite a estirpare culture profondamente radicate, fare festa significa, anche nel presente, rinnovare e innovare pratiche e culture  che esprimono una tenace resistenza al dominio totalitario che oggi, se abbiamo il coraggio di volerlo  guardare in faccia, prende la forma di un frontale attacco all’umano, con la digitalizzazione dei corpi e del  pensiero, con asettici algoritmi e gli apparati dell’ intelligenza artificiale che minano la nostro innata  intelligenza ecologica e il nostro naturale istinto alla vita. Una festa low tech di irriducibile convivialità, a partire dai nostri corpi, come un momento autentico e  ricchissimo nella sua semplicità, di raccoglimento felice contro la depressione che ci invade. Dove i sapori sono veri e genuini, il cibo viene coltivato almeno in parte nelle nostre terre e cucinato con le nostre mani, dove note e voci sono rigorosamente dal vivo in forma acustica o con strumentazione minima grazie ad artisti bravissimi ma non blasonati, dove si crea una profonda simbiosi tra l’arte e la natura che ci accoglie e  tutto è reso possibile grazie a decine di volontari di tutte le età che collaborano fianco a fianco. Musica, storia, terra, biodiversità, comunità, convivialità, autenticità, sogno, reincanto: tutto questo è profondamente politico, un’esperienza di incontro e di Resistenza culturale e umana, negli interstizi del  deserto che avanza, dove piccole comunità si ostinano a voler vivere e reinventarsi continuamente fuori  dalle logiche del tutto previsto. Perché Rapello Folk esce dall’artificiosità, dall’omologazione e dall’asetticità del tutto previsto e  organizzato. Chi incontrerai nelle lunghe tavolate, con chi ballerai fino a tarda notte, quello che succederà  durante la tre giorni non è prevedibile e programmabile. Una parte della  festa è semplicemente e felicemente fuori controllo. Quel controllo ostinato a cui dedichiamo indicatori, sforzi, risorse. Maciej Bielawesky teologo, studioso di ecosofia e ospite a Cascina Rapello di Transizioni Fest, ci parlava di armonia dell’invisibile. E forse questa armonia ha a che fare anche col Reincanto del  mondo, tema dipanato dall’antropologa Stefania Consigliere e ripreso nel laboratorio teatrale tenuto da  Giulia Galli e Gabriel Popham sempre a Transizioni Fest. Lo slogan di Rapello Folk 2025 è stato “Fa no la guera, Bala!”. Si tratta di riappropriarsi e di dar vita a spazi per  stare insieme, far musica, ballare, ridere e creare nuove narrazioni che rimettono al centro la Speranza. Speranza come forza sociale e trasformativa. Un festival di gioia, di Resistenza e reincanto, nella  consapevolezza che disincanto, rassegnazione, colonizzazione dell’immaginario, assuefazione sono le arme  più efficaci del potere per deprimerci e paralizzarci. Un Festival dove ricercare insieme le nostre radici e culture, dove liberare e sprigionare sogni ed energie, dando vita a nuove possibilità. Un festival che si dipana tra i prati e i boschi di un luogo meraviglioso: Cascina Rapello. Un festival autogestito e a ingresso libero che è stato reso possibile dall’impegno quotidiano della Cooperativa Sociale Liberi Sogni, dall’accurata ricerca nell’ambito della cultura popolare dell’Associazione Lo Stivale Che Balla,  dalla dedizione dei volontari e delle volontarie, da tanti piccoli sponsor, come botteghe ed esercizi  commerciali del territorio, dalla generosità e dallo spirito degli artisti e dai contributi e dalle offerte a  cappello che verranno donate dopo ogni concerto dai partecipanti.   Italia che Cambia