Miserie e splendori della PA siciliana: la modernizzazione ferma al palo da decenni
Il tema della modernizzazione della pubblica amministrazione è al centro della
discussione apertasi negli ultimi due decenni del secolo scorso e proseguita
agli inizi del nuovo millennio, partendo dal presupposto di offrire servizi
maggiormente efficienti e conformi alle reali esigenze dei cittadini, e
valorizzando al contempo le lavoratrici ed i lavoratori del settore sia in
termini economici che di crescita professionale.
Tuttavia, il contestuale avvio di una fase storica che, a partire dai primi anni
’90, si è caratterizzata nel contesto europeo per la ossessiva e costante
ricerca della compatibilità economica e del pareggio di bilancio, ha via via
sottratto risorse al sistema di welfare impedendo qualsiasi concreta operazione
di “ristrutturazione” dell’apparato burocratico e dei suoi modelli organizzativi
che si potesse prospettare.
Così, a parole, ci siamo trovati di fronte a continui proclami sulla
digitalizzazione e semplificazione dei procedimenti amministrativi a cui non
sono seguiti investimenti di risorse fresche indirizzate verso la
modernizzazione ed il ricambio generazionale del comparto pubblico. Per quasi
tre decenni, fino all’alba degli anni venti di questo secolo, il blocco del turn
over e, quindi, delle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni ha di fatto
impedito che si potesse realizzare ciò che caratterizza ogni moderna
organizzazione, e cioè il trasferimento di conoscenze e competenze fra una
generazione e l’altra, accompagnato dall’arricchimento in termini di innovazione
e slancio motivazionale caratteristico delle giovani generazioni.
Solo negli ultimissimi anni, le pubbliche amministrazioni, ormai ridotte
all’osso in termini di personale oltre che di risorse da investire, hanno potuto
riaprire la stagione concorsuale delle assunzioni, pur se in maniera limitata
rispetto alle reali esigenze funzionali.
Qui, però, subentra un paradosso del tutto inatteso: la fase di grande
espansione della pubblica amministrazione che aveva caratterizzato la fine degli
anni ’70 e quasi tutti gli anni ’80 con il miraggio del posto fisso e le
accresciute possibilità di ottenerlo grazie alle leggi sull’occupazione
giovanile, non trovano più riscontro in questa nuova fase storica nella quale la
rincorsa al posto fisso nel pubblico impiego non è più una priorità delle
generazioni più giovani, tenuto anche conto della scarsa attrattiva che offrono
le pubbliche amministrazioni sia in termini di livelli retributivi che di
possibilità concreta di fare carriera.
E il paradosso è ancora più eclatante se si guarda a ciò che sta accadendo nella
pubblica amministrazione regionale in Sicilia, dove il ricambio generazionale
avviato già da un paio d’anni con l’indizione di concorsi prevalentemente
rivolti a giovani laureati ha registrato già diverse centinaia di rinunce fra
coloro che avevano partecipato alle prove selettive: si stima che su circa 260
assunzioni di funzionari fin qui fatte, ci sia stato un numero pari a quasi due
volte di rinunciatari, con conseguenti scorrimenti di graduatoria. L’amara
scoperta da parte di tanti giovani qualificati che lo stipendio di un
funzionario regionale appena assunto è ben inferiore a quello di un suo pari
livello di altre amministrazioni, non è più controbilanciata dall’acquisizione
di un posto fisso purchessia.
Per tanti giovani con la laurea magistrale in tasca ed in parecchi casi anche
con l’abilitazione professionale, investire su di un lavoro che offre una
retribuzione al di sotto della media nazionale, non costituisce certo un
incentivo ad andare a rinverdire gli organici della Regione la quale, fra non
più di cinque anni, vedrà andare in pensione la quasi totalità dei suoi
dipendenti più anziani. Oggi l’organico dei dipendenti regionali è di poco
superiore alle diecimila unità (ricordiamo che fra le competenze, in virtù dello
Statuto, ci sono anche quelle che oltre lo Stretto vengono amministrate dallo
Stato o da altri enti territoriali e che riguardano settori importanti: beni
culturali, agricoltura, forestazione, politiche attive del lavoro,
infrastrutture, trasporti); entro i prossimi cinque anni, quasi la metà dei
dipendenti attualmente in servizio andrà in pensione per raggiunti limiti di età
e contributivi. Per non parlare della platea dirigenziale che resterà quasi del
tutto vuota.
Vediamo ora di comprendere a grandi linee da cosa dipende questo divario
retributivo con il comparto pubblico nazionale che, peraltro, è bene ricordarlo,
è fra i peggio pagati d’Europa.
La Regione Siciliana, in base a quanto è previsto dallo Statuto, ha potestà
legislativa e regolamentare sul personale della sua amministrazione motivo per
cui la contrattazione collettiva viene svolta a Palermo tramite l’Aran Sicilia,
agenzia omologa a quella nazionale che stipula già i contratti dei dipendenti
della Regione e degli enti collegati a partire dal quadriennio 2002/2005, dopo
la riforma ordinamentale avvenuta con la legge 10 del 2000.
Alla ripresa della contrattazione dopo un decennio di blocco in tutto il
comparto pubblico, è stato sottoscritto il nuovo contratto collettivo 2016/2018
che, secondo le direttive date dal governo regionale all’Aran, ricalca
pedissequamente lo schema contrattuale delle funzioni centrali dello Stato, sia
in termini giuridici che di retribuzioni tabellari. Si è poi proceduto al
rinnovo con il contratto del triennio 2019/2021, anch’esso fotocopia di quello
nazionale, ma tutto questo è accaduto con notevole ritardo rispetto alla firma
dei contratti nazionali: si pensi che già gli statali applicano il contratto
2022/2024. Questo è già un primo motivo che determina il gap retributivo: il
ritardo nell’attuare e definire la contrattazione collettiva, che spesso arriva
a superare l’anno, anche a causa della tardiva approvazione dei documenti
contabili-finanziari della Regione atti a garantire la copertura finanziaria, in
assenza della quale sussiste l’esito negativo da parte della Corte dei Conti.
Ma la forbice è destinata ad allargarsi ulteriormente a causa della differenza
sostanziale fra i trattamenti accessori, cioè gli incentivi che vengono erogati
al fine di migliorare il livello di efficienza dei vari assessorati. La scelta
operata dalle varie strutture negli ultimi anni è stata quella di far crescere
esponenzialmente l’utilizzazione del lavoro straordinario per gli uffici
centrali sottraendo risorse finalizzate a incentivare il miglioramento della
performance di tutti gli uffici; a questo si aggiunge la complessità burocratica
dei procedimenti con cui vengono valutati i risultati attesi tale da determinare
un notevole ritardo nel pagamento degli incentivi.
La Regione, sempre più in difficoltà sul fronte finanziario, sta cercando di
correre ai ripari su un altro fronte, introducendo altri strumenti atti ad
incentivare i nuovi assunti o prossimi ad esserlo. La sfida è quella di
utilizzare in maniera sempre più diffusa i modelli organizzativi che hanno
conosciuto una prima pur timida diffusione durante la pandemia: il telelavoro,
lo smart working e, in ultimo, il co-working.
A leggere le carte, l’indirizzo politico sembra proprio andare in direzione di
una maggiore diffusione di questi nuovi modelli organizzativi: ad esempio,
l’ultima direttiva che il governo regionale ha dato all’Aran Sicilia per il
rinnovo del contratto 2022/2024 pone l’accento proprio sulla necessità di
rendere concretamente attuabili su più ampia scala tali istituti già normati con
gli ultimi due contratti. Tuttavia, la teoria sembra scontrarsi con una prassi
amministrativa molto più lenta a recepire le spinte innovative, frapponendo
impedimenti burocratici alla concreta possibilità di introdurre questi strumenti
che aiutano la semplificazione dei procedimenti e, soprattutto,
responsabilizzano i funzionari attraverso un sistema basato sulla valutazione
dei risultati ottenuti sugli obiettivi assegnati.
La strada è ancora in salita, ma i profondi cambiamenti che interverranno nel
breve periodo a causa del pensionamento di una vasta platea di dipendenti
associati alla necessità di un sempre più invocato ricambio generazionale che
deve essere adeguatamente incentivato, impongono alla Regione di cambiare marcia
rapidamente se non vuole presto pagare lo scotto di scelte strategiche ed
organizzative sbagliate che avranno inevitabilmente pesanti ricadute sui servizi
da offrire ai cittadini.
Redazione Sicilia