Francesca Albanese non è soltanto una voce che denuncia: è un’energia che travolge
Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani
nei Territori palestinesi occupati, già sanzionata dall’amministrazione Trump
per aver denunciato il genocidio in corso, è stata ospite di Terra!, la festa
nazionale di Alleanza Verdi e Sinistra. La forza politica sostiene ufficialmente
la sua candidatura al Premio Nobel per la Pace, promuovendo una petizione sul
sito www.mettilafirma.it.
L’occasione è stata la presentazione del libro Quando il mondo dorme. Storie,
parole e ferite della Palestina, ospitata al Monk Club, spazio culturale romano
aperto e inclusivo, punto di riferimento per chi vuole condividere e vivere
esperienze artistiche e sociali.
«Finalmente vediamo il buio che ci siamo costruiti intorno. Ci stiamo svegliando
da un sonno di pietra – ha dichiarato Albanese – e ci accorgiamo che proteggiamo
chi ha attaccato. Il nostro governo non è semplicemente passivo: sostiene lo
stato di apartheid imposto da Israele al popolo palestinese. Non è in corso una
guerra tra due eserciti, ma una continua aggressione contro la popolazione
civile. Il paradigma dell’autodifesa israeliana nei territori occupati non è più
credibile».
Albanese ha sottolineato come l’Europa resti uno dei principali partner
commerciali di Israele, con l’Italia tra i Paesi più attivi nel sostenere questa
strategia. «Anche il mancato riconoscimento dello Stato di Palestina è una
scelta politica» ha aggiunto, ricordando che i palestinesi vengono etichettati
come terroristi così come accadde a Nelson Mandela, rimasto in quella lista
negli Stati Uniti fino al 2000. «Eppure – ha precisato – i palestinesi hanno
diritto a difendersi e lo hanno fatto prevalentemente in modo nonviolento». Un
aspetto, questo, che raramente trova spazio nei media internazionali, perché la
nonviolenza non “fa notizia” quanto un attentato.
Ad ogni modo la consapevolezza delle persone cresce, e con essa il desiderio di
sapere. In questo scenario, Francesca Albanese ha espresso l’auspicio, che può
suonare anche come una sfida alla società civile: dare un seguito al suo libro,
che potrebbe intitolarsi Quando il mondo si sveglia.
Il tema centrale resta uno: come fermare il genocidio, ovvero la distruzione del
popolo palestinese in quanto tale, accompagnato da esecuzioni sommarie e
sfollamenti forzati. «Il sacrificio è la risposta all’impotenza. Dobbiamo
rinunciare a un po’ del nostro comfort per non sacrificare un popolo» ha
ribadito, invitando a riflettere su quanto la terra rappresenti per un popolo
indigeno: non solo un luogo da abitare, ma parte stessa della propria identità,
parte di sé.
Le azioni concrete passano per il boicottaggio: «Rifiutiamo i prodotti “made in
Israel”, le banche armate e i partenariati di ricerca dual-use. Facciamo scelte
etiche: è un gesto d’amore verso noi stessi e verso il popolo palestinese».
Un segnale incoraggiante è arrivato a luglio, quando 30 nazioni si sono riunite
a Bogotá – tra cui Cina, Spagna e Qatar – per discutere misure concrete contro
il genocidio e per la fine dell’occupazione israeliana. «L’Italia purtroppo era
assente» ha sottolineato Albanese.
Secondo la relatrice ONU, serve una mobilitazione dal basso per costruire una
reale opzione pacifista. La Palestina oggi è «uno specchio che rivela l’abominio
degli ultimi vent’anni, una lotta non solo per i confini, ma soprattutto per le
risorse, frutto di un sistema che produce mostri ben oltre i confini del Medio
Oriente.
Non possiamo accettare di ridurci a meri consumatori, complici passivi di questa
realtà» ha concluso, rilanciando la partecipazione a iniziative pacifiste e
nonviolente come la marcia per la pace Perugia-Assisi del 12 ottobre, alla quale
sarà presente. «Il pacifismo è decostruzione del patriarcato, è preservare il
pianeta che abitiamo. Unione dei popoli, unione delle lotte!».
L’evento si è chiuso con un omaggio alla Global Sumud Flotilla e un collegamento
con la flotta, seguito dal tradizionale firma-copie del libro.
Ci vuole coraggio per dire ciò che altri tacciono, per denunciare complicità
scomode e per sfidare governi e istituzioni. In un panorama politico e mediatico
dominato troppo spesso dalla prudenza calcolata, la figura di Francesca Albanese
si staglia come quella di una donna capace di unire fermezza e passione,
portando avanti una battaglia che non appartiene solo alla Palestina, ma
all’umanità intera. Una donna con la convinzione che la verità, anche quando
scomoda, sia l’unico strumento di cambiamento.
Foto di Francesca De Vito
Redazione Roma