Netanyahu il leone
Di Collettivo EuroNomade
L’operazione “Rising Lion”: è un nome perfetto per quello che sta succedendo, e
descrive bene l’intero senso della strategia di Netanyahu: sentitosi smascherato
davanti al mondo, si solleva da questa verità, ormai sotto gli occhi di tutt-,
alzando il livello del conflitto, da vero sovranista, come il leone è il re
della savana. La tensione con l’Iran è cosa di lunga data, certo, ma l’attacco
missilistico israeliano è partito nel momento in cui la solidarietà globale per
la Palestina ha messo all’angolo Netanyahu e la sua politica genocidaria.
È la denuncia della sua violenza che l’ha fatto tremare, è alla potenza della
solidarietà che sta rispondendo, è al terrore della verità che sta emergendo da
Gaza che deve ribattere, e sceglie di farlo distogliendo l’attenzione, alzando
il livello del conflitto, e optando ancora una volta per la violenza – la solita
vecchia via di uscita. È tutta una questione di reputazione, la sua e quella
dello stato israeliano, e per queste rappresentazioni è disposto a giocarsi il
tutto per tutto. Una mossa da leone stanco, ma ancora pericolosissimo, che
scarica tutta l’aggressività di cui è in grado, con una zampata che cerca di
imporre nuovamente dominio e autorità, giustificandosi a posteriori su
potenziali attacchi nucleari iraniani, sovvertendo l’ordine della narrazione,
facendo gaslighting, come i peggiori narcisisti.
A farne le spese è, come sempre, la popolazione civile, su entrambi i fronti
della guerra. L’aggressione dell’Iran viene raccontata come un attacco
preventivo e come un’azione di difesa, una narrazione, questa, che ricorda molti
altri conflitti che hanno segnato la storia contemporanea dai primi anni
duemila.
Come ci ricorda il collettivo Roja, non è questione di prendere le parti dello
stato della repubblica islamica, quanto piuttosto essere sempre a fianco delle
lotte popolari e femministe che si danno nel territorio iraniano.
Un’indicazione analoga viene dal PJAK: contro ogni uso strumentale di “Jin,
Jiyan, Azadi”, quelle parole sono il rinnovato fulcro di una fase rivoluzionaria
che, rompendo la logica del regime di guerra, rifiuti tanto gli attacchi
israeliani quanto il governo iraniano, mettendo al centro l’autogoverno, la
solidarietà e la lotta delle donne. Questo vuol dire riconoscere che, davanti
alle pratiche mortifere degli stati, la parte da sostenere e con la quale
allearsi è sempre e comunque quella dei movimenti contro la guerra e per la
libertà, fuori dalla narrazione dell’esportazione della democrazia occidentale,
dalla logica dei blocchi e dalla altrettanto ideologica narrazione del
“campismo”.
Sullo sfondo, il disegno di un nuovo ordine regionale, a partire dal controllo
dell’area su cui dovrebbe passare l’India-Middle East-Europe Economic Corridor
(IMEC) attraverso l’imposizione di un regime di guerra permanente, con Trump che
definisce l’attacco israeliano all’Iran come “eccellente”, avvertendo che
l’offensiva continuerà, e che le risorse militari israeliane, di fabbricazione
statunitense, sono ben più potenti di quelle a disposizione dell’esercito
iraniano, fornendo così a Netanyahu una sponda nel distogliere l’attenzione da
Gaza per ri-focalizzarla sugli accordi sul nucleare. Ancora una volta, però, non
dice una parola su quanto sta succedendo in Palestina, mentre, nel frattempo,
Putin si propone come mediatore.
In Europa, Macron si dice pronto a difendere Israele, e nulla ha detto
dell’eurodeputata Rima Hassan de La France Insoumise, catturata in acque
internazionali da Israele mentre era a bordo con Greta Thunberg e Thiago Avila
(tra gli altri), né tantomeno si è pronunciato su i tre membri dell’equipaggio,
Pascal Maurieras e Yanis Mhamdi (Francia) e Marco van Rennes (Paesi Bassi),
ancora detenuti nelle carceri israeliane, Sempre in Francia, però, sabato 14
giugno, è stata una giornata di mobilitazione contro la guerra e contro il
genocidio a Gaza, indetta da La France Insoumise e da CGT, CFDT, Solidaires,
UNSA e FSU.
Da queste altezze, fondate sulla morte, sulla miseria e sulla violenza, non
possiamo che augurarci che cada. Non succederà presto, in questo regime di
guerra, non sarà facile, e chissà dopo quanti morti, dopo quanta distruzione, ma
prima o poi accadrà.
Immagine creata con ChatGPT.
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