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Masaniello, Spinoza e Negri: il divenire rivoluzionario del desiderio
di FRANCESCO FESTA. Philos Mettere insieme Masaniello, Spinoza e Negri significa dar vita a una genealogia politica coerentemente inscritta nella storia del materialismo moderno e contemporaneo. Tre figure lontane nel tempo e nello spazio, ma accomunate da una medesima tensione. Il pescatore che nel luglio 1647 guidò la rivolta popolare – forse fra le più significative dell’età moderna; il filosofo ebreo olandese del Seicento che fece del desiderio e dell’immanenza il cuore della sua filosofia; e il filosofo marxista del Novecento che, attraversando il ’68, il ’77 e i movimenti globali, vide in Spinoza – insieme a Machiavelli e Marx – un perno per ripensare il materialismo dei suoi giorni e il comunismo a venire. Eppure, se si segue il filo che li lega, ci si accorge che Masaniello, Spinoza e Negri sono momenti di un’unica costellazione rivoluzionaria. Masaniello incarna il corpo plebeo della moltitudine che insorge; Spinoza ne restituisce la forza in termini filosofici, fondando una teoria del desiderio come potenza costituente; Negri ne raccoglie l’eredità per leggere i movimenti di classe del Novecento e del nuovo millennio. Il punto di contatto decisivo è un aneddoto che, lungi dall’essere marginale, diventa cifra filosofica: Spinoza che si autoritrae nei panni di Masaniello. Johannes Colerus, il suo biografo, racconta di aver visto un disegno raffigurante un pescatore con la rete sulla spalla, simile al rivoluzionario napoletano. Van der Spijk, presso cui Spinoza alloggiava, confermò che si trattava di un autoritratto. Il filosofo perseguitato trovava così una maschera adeguata: il corpo plebeo e ribelle di Masaniello, il vinto che continua a vivere come simbolo. In quel travestimento si rivela il legame profondo fra pensiero e azione: la filosofia non si limita a descrivere la libertà, ma la incarna nel volto di chi ha osato guidare i lazzari contro un impero. Perché Masaniello? Masaniello è stato ripreso anche da Gilles Deleuze e Félix Guattari nell’Anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia (1972) quando parlano della “macchina desiderante”, ossia, quando il desiderio si sottrae ai dispositivi di controllo capitalistici – Stato, famiglia e capitale – e diviene produzione sociale di alterità, ossia, “potere costituente” – come ha scritto vent’anni dopo Negri in un saggio essenziale che porta lo stesso titolo, Il potere costituente. Saggio sulle alternative del moderno. “Il vivente veggente – scrivono Deleuze e Guattari – è Spinoza vestito da rivoluzionario”. Bene: perché Masaniello? La biografia di Masaniello ci restituisce, innanzitutto, una figura profondamente radicata nello spazio europeo, assai distante dalla ricostruzione di una rivolta antispagnola dai caratteri locali. La ribellione del 17 luglio 1647, guidata dal pescivendolo alla testa di un esercito di 150 mila lazzari, fu la prima insurrezione dell’età moderna con un’eco europea. Carrettieri, facchini, marinai, pescatori, tessitori, poveri e lazzaroni della seconda o terza città europea misero in scacco il Viceregno di Spagna, in protesta contro una gabella sul pane. Per comprendere l’entità di questa rivolta, durata nove giorni e poi repressa nel sangue, basti leggere un passo de I ribelli dell’Atlantico. La storia perduta di un’utopia libertaria (2004) di Peter Linebaugh e Marcus Rediker: “I rivoltosi misero il mondo a soqquadro: i rematori di galee divennero capitani, gli studenti ricevettero i libri, le prigioni si aprirono, i registri delle imposte vennero bruciati. Fu proibito ai nobili di portare abiti sfarzosi, mentre i loro palazzi furono devastati e gli arredi dati alle fiamme nelle strade. Uno degli insorti gridava: ‘questi beni sono usciti dal sangue del nostro cuore; e mentre bruciano, nel fuoco dell’inferno dovrebbero bruciare anche le anime e i corpi di quelle sanguisughe che li possiedono’. I ribelli decretarono che chi fosse stato sorpreso a saccheggiare poteva essere giustiziato perché ‘tutto il mondo sappia che non abbiamo intrapreso questa faccenda per arricchirci ma per rivendicare libertà comune’. Il prezzo del pane scese a livelli consoni a un’economia morale. Questa era l’essenza della rivolta.” Questa vicenda ebbe una risonanza enorme nei centri della marineria europea, come l’Inghilterra e l’Olanda. I mercanti inglesi, che avevano da poco eclissato i concorrenti italiani nei commerci con l’oriente, inviavano fino a 120 navi e 3 mila marinai a Napoli ogni anno. Furono proprio i marinai una delle principali fonti di informazioni sulla rivolta. Da qui la coniazione di medaglie ad Amsterdam, i drammi messi in scena clandestinamente a Londra e le prime narrazioni tradotte e diffuse: lo scopo era immedesimarsi e riconoscersi nella rivolta napoletana. Un esempio emblematico è la pièce The Rebellion of Naples del 1649: essa combinava eventi di Napoli e di Londra, mostrando la circolazione dell’esperienza insurrezionale e suggerendo l’unità del conflitto di classe nella diversità dei contesti. Il popolo aveva scoperto la propria forza: era un’insurrezione autonoma, fonte di timore per l’emergente Stato borghese e, al tempo stesso, esempio di speranza per i proletari in cerca di giustizia. In questo contesto, in uno dei suoi quaderni del 1649, Spinoza si rappresenta nelle vesti del pescivendolo Masaniello. Lo stesso Deleuze, nella “Prefazione” a L’anomalia selvaggia. Saggio su potere e potenza in Baruch Spinoza (1982) di Negri, sottolinea che “ciò che Negri aveva fatto incisivamente per Marx a proposito dei Grundrisse [si riferisce Marx oltre Marx. Quaderno di lavoro sui Grundrisse del 1979] lo fa ora per Spinoza: la totale rivalutazione del posto che il Breve Trattato e il Trattato teologico-politico occupano nell’opera di Spinoza. In questo senso Negri propone un’evoluzione di Spinoza: da un’utopia progressista a un materialismo rivoluzionario. Egli è probabilmente il primo a conferire pieno senso filosofico all’aneddoto secondo il quale Spinoza si era disegnato nel rivoluzionario napoletano Masaniello”. Spinoza e l’istituzione rivoluzionaria È proprio a partire dal gesto spinoziano di immedesimarsi nelle vesti di Masianello che Negri ha offerto alcune delle sue interpretazioni più radicali. Egli ne parla in due saggi fondamentali, entrambi reperibili in rete. Il primo è Starting from Masaniello… Deleuze and Spinoza, a political becoming (in A. Negri, Spinoza: then and now, a cura di Ed Emery, per i tipi di Polity press nel 2017), in cui Negri scrive che rientra nel “periodo intorno al 1968 (e fino ad oggi), quando la riscoperta del pensiero di Spinoza ha permesso di ristabilire l’idea di democrazia e di bene comune”. E il secondo Deleuze/Spinoza. Un devenir-politique, (pubblicato sulla rivista “Archives de philosophie”, 84/3, 2021, 51-63). Scrive Negri: “questo articolo si interroga sul significato del parallelo tra Spinoza e Masaniello tracciato da Gilles Deleuze e Félix Guattari in L’anti-Edipo. La sfida è quella di concepire una potenza rivoluzionaria irriducibile al modo in cui la rivoluzione era concepita dai partiti o dai gruppuscoli di estrema sinistra al tempo del Maggio ’68”. Dunque, Masaniello e il ’68. Ma, in realtà, Masaniello funge da architrave per il nesso tra rivoluzione e istituzione, desiderio e politica. L’aneddoto è la cifra del divenire rivoluzionario del pensiero: una metafora del modo in cui filosofia e vita si intrecciano. Non a caso, scrive Negri che “il vero problema della rivoluzione, una rivoluzione senza burocrazia, è quello di inventare nuovi rapporti sociali in cui entrano in gioco singolarità e minoranze attive, in uno spazio nomade senza proprietà né recinto”. Qui si apre la possibilità di pensare la rivoluzione non solo come insurrezione, ma come costruzione di istituzioni rivoluzionarie. Spinoza – secondo Negri – offre proprio questo concetto: l’idea di una “istituzione rivoluzionaria” che permetta di organizzare insieme insurrezione e trasformazione, connettendo il desiderio alla vita comune. È questa la “macchina astratta” che Deleuze e Guattari avevano colto e che, con Spinoza, diventa strumento teorico e politico dei movimenti del ’68. L’anti-Edipo si colloca così dentro il grande “rizoma” costruito a partire dal ‘68: un dispositivo che organizza il desiderio e ne fa una forza produttiva, non più subordinata alla logica della mancanza. Spinoza diventa l’autore di una vera “officina del desiderio” che trasforma la teoria delle passioni in linea d’azione. Dal che la formula “Spinoza in veste di rivoluzionario napoletano” non è caricatura, ma segno della sua capacità di incarnare il desiderio come potenza costituente, come istituzione di nuove forme di vita. È una filosofia che si oppone alla riduzione del desiderio a bisogno e alla sua appropriazione capitalistica, restituendolo invece come produzione reale, capace di resistere e trasformare. Spinoza occupa una posizione di comando nello sviluppo dell’anti-Edipo. Prima di tutto, nella lotta contro la mistificazione che Edipo impone – la situazione in cui la produttività del desiderio viene chiusa all’interno di un dispositivo che lo declassa a “bisogno dovuto alla mancanza” e lo considera dominato da una forza miracolosa, che ne espropria la creatività. Come direbbe Spinoza, è il “rifugio dell’ignoranza”: il capitale, infatti, è il corpo senza organi del capitalista, o meglio dell’essere capitalista. Questo corpo senza organi ricade sulla produzione-desiderio, la attrae e se ne appropria, riducendola a una fabbrica di fantasmi. È il trionfo del principio idealista che definisce il desiderio come mancanza, e non come produzione. Ma il desiderio resiste, e continua a produrre realtà. Le pagine dell’anti-Edipo che circondano la frase su “Spinoza in veste di rivoluzionario napoletano” rappresentano una sintesi dei libri III e IV dell’Etica, dove l’apparizione di un atto di repressione sociale non interrompe l’espressione del desiderio, ma ne stimola al contrario la produttività. Ciò che viene proposto è un vero processo di costituzione ontologica: le macchine desideranti si organizzano come macchine sociali e tecniche; la produzione desiderante si trasforma in produzione sociale; in breve, le macchine desideranti sono sia tecniche che sociali. È qui che si trova il loro principio e l’inizio della loro “istituzione del divenire”, perché esse non sono solo scintille isolate del divenire, ma anche tendenze, continuità del loro stesso farsi. Tornando a Masaniello Al decennio della rivolta seguì l’inverno della restaurazione. Masaniello venne sepolto – ucciso. Eppure la macchina astratta resta. E la virtualità del desiderio di rivoluzione è sempre lì. Del “virtuale” non si dirà che è “possibile”, ma che “è”. “Una vita è immanenza assoluta: potenza completa, beatitudine completa” osserva Deleuze nel suo ultimo scritto del 1995. Spinoza e Deleuze elevano questa virtualità come una sfida: Masaniello non scompare mai. Forse ritorna meno grossolano e meno violento. Ma è ancora lì. Come macchina inconscia e insurrezionale del desiderio che si erge sempre contro il padre, il bene e il potere. In questa genealogia, Masaniello, Spinoza e Negri si intrecciano come figure scandalose ed eccedenti. Masaniello, assassinato e vilipeso; Spinoza, scomunicato e perseguitato; Negri, imprigionato e osteggiato. Tutti e tre, in modi diversi, furono percepiti come pericolosi. Ma nessuno di loro è mai stato davvero sconfitto. Il fil rouge attraversa secoli. Dal Mercato di Napoli del 1647 all’Amsterdam spinoziana, fino alle piazze del ‘77 e ai movimenti globali. Sempre ritorna la stessa dinamica: la moltitudine che scopre la propria forza, resiste al dominio, istituisce nuove forme di vita. Le futur antérieur Masaniello–Spinoza–Negri prende forma dentro i conflitti sociali, riflettendo le tensioni di classe che li attraversano. Questo filo suggerisce che la sconfitta non è mai cancellazione: la repressione può soffocare una rivolta, imprigionare i militanti, perseguitare i filosofi, ma ciò che resta è la sedimentazione storica delle esperienze di resistenza, dei concetti prodotti dal conflitto, delle istituzioni nate nella lotta, che riemergono altrove, in altri tempi e in altre forme. Non si tratta di mitizzare né di attribuire ruoli, ma di riconoscere nelle vicende storiche e nelle biografie l’irruzione della materialità delle forze produttive e delle condizioni di vita, e al contempo la brutalità del dominio e del potere che cerca di inseguire e recuperare il passo dello sviluppo dell’intelligenza collettiva tramite la violenza di Stato nel tentativo di ripristinare l’ordine costituito. Ciò che resta, tuttavia, è un’eredità politica composta modi di vita, comunità, giustizia ed emancipazione, che attraversano epoche e territori, depositandosi come memoria di classe. Allo stesso modo, Spinoza e Negri sono attrezzi teorici capaci di svelare la continuità dei rapporti di potere: un intreccio microfisico di comando e resistenza, in cui ogni dispositivo di dominio ha anche e soprattutto le sue linee di fuga. Il potere è un rapporto: chi lo detiene incontra sempre la resistenza di chi lo subisce. E viceversa. È dentro questa tensione materiale che si giocano le possibilità di trasformazione. La rivoluzione, così, è pratica storica concreta, radicata nelle condizioni reali di oppressione e nell’organizzazione delle donne e degli uomini, dei corpi e dei desideri, nella sottrazione che crea nuove istituzioni. È la lotta di classe ed è l’irrompere di nuove forme di vita che spezzano l’ordine costituito. Questo è il materialismo storico all’altezza dei nostri tempi. Il futuro anteriore di una genealogia che interpella il presente. L'articolo Masaniello, Spinoza e Negri: il divenire rivoluzionario del desiderio proviene da EuroNomade.