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Educazione sessuale e affettiva. Chi educa chi?
Il dibattito in corso (da anni) sull’educazione sessuale (e sentimentale) nelle scuole ha implicazioni che vanno al di là del mondo della scuola: investe le radici della cultura di cui si nutre la società. Sesso, passioni e sentimenti sono strutture portanti del mondo in cui viviamo; espellerle dall’educazione scolastica, come si fa ora, ma anche confinarle in un recinto affidato a un “addetto ai lavori” (e chi, poi? E a che titolo?), pregiudica tutto quello che si fa a scuola. E i risultati si vedono: a scuola i più si annoiano, mentre il contatto con i fatti fondamentali della vita viene affidato ai siti porno (e il tema della morte alla cronaca nera o ai reportage da un fronte di guerra). Ma in realtà sesso, passioni e sentimenti attraversano e potrebbero impregnare tutte le materie curricolari dell’educazione scolastica a tutti i livelli. Basterebbe farli emergere. Costumi e comportamenti, strutture delle famiglie e delle parentele, questioni di genere, forme delle relazioni sia tra pari che tra chi è sopra e chi è sotto nella gerarchia sociale, ma soprattutto la relazione fondamentale tra uomini e donne, quella in cui si radicano (e da cui si sradicano) sia il patriarcato che, con esso, tutte le altre forme di potere, sono tutte chiavi di lettura ineludibili tanto di una storia che di una geografia che guardino ai popoli, quanto del diritto, delle letterature, delle arti, delle filosofie, delle religioni. Ma sesso, passioni (dal verbo patire, subire) e sentimenti (dal verbo sentire) riguardano ovviamente anche tutto il mondo animale nei suoi rapporti reciproci, e tutto il vivente, perché anche le piante e i fiori si accoppiano, patiscono ed esercitano tra loro attrazioni o repulsioni; attraverso lo studio della chimica e della biologia questo potrebbe aiutarci a considerare meno misterioso, meno oggetto di pruderie e più ordinario molto di quello che succede tra gli esseri umani. E persino il substrato minerale del pianeta, se considerato con un approccio olistico e non minerario, può essere letto attraverso reazioni di affinità e di rigetto, mentre astronomia e astrofisica potrebbero aiutarci a ridimensionare la nostra pretesa di unicità. Dunque? Fare dell’educazione sessuale e sentimentale una materia curricolare a sé stante è una sciocchezza, a prescindere dalla figura a cui è assegnato il compito di svolgerla, mentre la presenza dirompente di sessualità, passioni e sentimenti dovrebbe poter affiorare e imporsi in tutte le materie di insegnamento. Ma a opera di chi? Solo immaginare gli attuali insegnanti (con le dovute ma scarse eccezioni) impegnati a fare proprio un approccio del genere alle rispettive materie, o in sedute interdisciplinari, evidenzia in modo incontrovertibile l’abisso che separa scuola e vita. Intanto ci sono i vincoli istituzionali: programmi ministeriali e offerte formative sono concepiti per eludere una tale prospettiva. Ma poi nessuno, o quasi, sarebbe in grado di farlo (né lo sono altri, anche al di fuori del mondo della scuola). D’altronde anche la formazione all’università ha per lo più evitato di metterli in grado non solo di farlo, ma anche solo di prospettarlo. Allora come superare questa impasse, posto che lo si voglia – e sicuramente lo vorrebbero le nuove generazioni, quelle che la scuola la frequentano come allievi e allieve, studenti e studentesse? C’è una sola via: auto-educarsi insieme, studenti e insegnanti, aprendosi al contraddittorio anche all’interno di una comunità educante più vasta. Si tratta di fare delle lezioni, in aula e fuori aula, una palestra di confronto, non tra “opinioni” e “posizioni” diverse, ma tra diverse interpretazioni di fatti storici, sociali, biologici, artistici e letterari, a partire dalla loro conoscenza documentata. Interpretazioni che emergono da un libero interrogarsi sul senso di ciò che viene proposto come oggetto di apprendimento. Che cosa di meglio che farsi educare ai fatti della vita che più contano, soprattutto per i giovani, da chi quelle esperienze le ha fatte prima o lontano da noi, in altri contesti, con altre regole, rielaborandole con l’arte, la letteratura, il pensiero, la ricerca? O anche da quello che si svolge dalla notte dei tempi nel mondo del vivente, anche al di fuori della ristretta cerchia della specie umana? Anche questioni oggi così controverse come quelle del genere di appartenenza o di libera ascrizione ne verrebbero illuminate. Governare un processo del genere non è certo facile e richiede uno spirito di collaborazione tra le diverse “componenti” di una comunità educante, interne o esterne alla scuola, che la sua organizzazione odierna fa di tutto per distruggere e soffocare. Ma è proprio dalla rivendicazione di aprire la scuola al confronto sui “fatti della vita” che può nascere e svilupparsi una rivoluzione culturale in grado di salvare dall’arteriosclerosi che le sta necrotizzando non solo la scuola, ma anche e innanzitutto quella che chiamiamo ancora “la nostra cultura” – in via di dissoluzione – e la nostra stessa “civiltà”.   Guido Viale
Lucia Fortini: “La scuola è presidio di libertà e luogo di speranza”
Intervista di Antonella Musella all’Assessora alla Scuola, alle Politiche Sociali e alle Politiche Giovanili della Regione Campania L’incontro con l’assessora Lucia Fortini nasce dalla volontà di dare voce a un sentire comune: il desiderio di ritrovare l’aspetto umano nelle pratiche sociali e politiche. L’intervista si inserisce in una ricerca più ampia sul modo in cui l’azione umana agisce all’interno delle comunità e delle relazioni tra gli individui, una riflessione sullo stato dell’arte dei sentimenti affettivi e del legame sociale. Vorrei riflettere con lei sui ragazzi nati e cresciuti nei quartieri più difficili e problematici di Napoli. In molti si chiedono se sia davvero possibile un riscatto educativo e sociale, e se oggi si possa ancora guardare al mondo con uno sguardo umano. In particolare, quale forma può assumere il legame tra la comunità educante e l’azione politica, intesa come arte del governare con lo scopo di costruire una comunità viva, aperta e solidale? Quando penso ai ragazzi che crescono in quartieri difficili, penso prima di tutto al coraggio: il coraggio di credere in sé stessi anche quando tutto intorno sembra dire il contrario. Il riscatto educativo e sociale è possibile, ma non è mai un processo individuale: è un cammino che si costruisce insieme, grazie a una comunità che non si arrende, a istituzioni che non si limitano a osservare ma osservare, a educatori che restano punti fermi anche nelle situazioni più complesse. È in questo spirito che abbiamo costruito percorsi come Scuola Viva , un programma che ha riaperto le scuole al territorio anche nel pomeriggio, restituendo spazi di vita e di apprendimento a migliaia di ragazzi, anche nei contesti più fragili. L’obiettivo è dare concretezza alla speranza, combattere la dispersione scolastica con attività educative, laboratori, sport, arte e inclusione. La politica, quando è autentica, è servizio: è la capacità di unire, di ascoltare, di dare forma a possibilità nuove. È lì che la comunità educante e l’azione politica si incontrano, nel costruire futuro. Governare, per me, significa custodire questa speranza e tradurla in scelte concrete che rendono la vita dei giovani più giusta e piena di opportunità. In una sua recente riflessione, lei ha definito la scuola “presidio di libertà” e “luogo di protesta”. Questa idea restituisce fiducia nella possibilità che la scuola sia ancora un luogo di cultura. In che modo, secondo lei, la scuola può favorire un pensiero critico sulla realtà? E come può rinascere oggi un pensiero collettivo in una società così frammentata? La parola “collettivo” ha perso un po’ del suo significato, come se fosse un’eco di tempi lontani. Ma oggi più che mai dobbiamo recuperarla. Quando dico che la scuola è “presidio di libertà” e “luogo di protesta”, intendo dire che è lo spazio in cui si impara a pensare, a discutere, a scegliere. È un luogo dove si esercita la libertà ogni giorno, nella curiosità e nel rispetto reciproco. Un pensiero critico nasce solo dove c’è fiducia e libertà di parola. La scuola deve aiutare i ragazzi a leggere la realtà con occhi propri, a costruire opinioni, a cercare il senso profondo delle cose. Per questo la Regione Campania ha voluto sostenere con forza il diritto allo studio in tutte le sue forme: dal trasporto gratuito per gli studenti, che consente a tanti di raggiungere la scuola senza pesare sulle famiglie, al programma Io Studio , che sostiene economicamente chi rischia di restare indietro. Il pensiero collettivo, oggi, è la capacità di tenere insieme le differenze e di condividere una direzione comune: quella del bene di tutti. Credo ancora che si possano costruire relazioni eque, sane e democratiche, perché lo vedo ogni giorno nei docenti che non smettono di credere nei loro studenti e nei ragazzi che scelgono di mettersi in gioco, anche quando è più difficile. Un argomento molto delicato è quello del diritto allo studio per studenti che vivono situazioni di vulnerabilità o condizioni di neurodivergenza e disabilità. Un processo inclusivo presuppone una profonda accoglienza da parte dell’ambiente circostante. Se gli adulti non sono pronti a incontrare la fragilità, quali strumenti o atteggiamenti possono essere utili per affrontarla? Il diritto allo studio non è solo una norma: è un principio morale. Ogni bambino e ogni ragazzo deve poter trovare nella scuola un luogo che lo accolga per ciò che è, non per ciò che si pretende da lui. Questo vale ancora di più per chi vive una condizione di debolezza o di neurodivergenza, per chi ha bisogno di un’attenzione speciale. L’inclusione non è un progetto, ma un modo di essere. Gli adulti devono essere preparati e competenti, ma anche capaci di empatia. La formazione e gli strumenti sono fondamentali, ma è lo sguardo che cambia tutto: vedere la persona, non la difficoltà. Io credo che nella mente e nel cuore della comunità ci sia spazio per accogliere, se impariamo a non aver paura della diversità. L’inclusione è una scelta di civiltà, non un gesto di bontà. È il modo in cui una comunità dimostra di essere viva e giusta. E la scuola, ancora una volta, resta il luogo dove questa umanità può nascere e rinnovarsi ogni giorno. Le politiche messe in campo dalla Regione Campania, ricorda Fortini, nascono da un’idea semplice ma profonda: nessun ragazzo deve sentirsi solo. Scuola Viva , Io Studio , il trasporto gratuito, i progetti per l’inclusione e per l’educazione civica sono tasselli di una stessa visione: una scuola aperta, equa, accogliente. «Credo che la vera rivoluzione passi da qui – concludono – da una scuola che non si limita a trasmettere conoscenze, ma che insegna a vivere insieme, a riconoscersi, a rispettarsi. Perché un Paese che investe nei suoi ragazzi è un Paese che sceglie il futuro.» Antonella Musella
Il minuto di silenzio unisce la comunità educante italiana
Secondo i nostri dati, sicuramente sottostimati, l’appello per un minuto di silenzio il primo giorno di scuola per le/i bambine/i di Gaza è stato finora accolto da circa 250 scuole di tutta Italia, da Torino a Trento a Treviso a Venezia, a Siena, Palermo, Napoli, Mantova, Como, Cagliari, Bari, Cosenza, Potenza, Perugia, Lucca, Lecce e molte altre, nelle città come nelle campagne e sulle montagne. Molte scuole delle regioni che cominceranno le lezioni il 15 settembre ci hanno già comunicato la loro adesione. Ampia parte della comunità educante italiana si unisce così contro il genocidio in Palestina e per la pace nel mondo, in un momento comune di solidarietà e consapevolezza. In 52 istituti, di cui 9 a Torino e 8 nella regione Piemonte, sono state coinvolte tutte le classi, per la quasi totalità con deliberazioni dei Collegi docenti. Possiamo per ora calcolare 53.000 alunne/i, con le/i loro docenti, ma le/i partecipanti sono e saranno certamente molte/i di più: attendiamo ulteriori riscontri nei prossimi giorni. Le/i DS si sono mostrate/i favorevoli in un gran numero di scuole, emanando circolari e facendo suonare le campanelle. Le/gli insegnanti hanno interpretato nei modi più diversi questo momento, alcune/i rendendolo solenne ed emozionante, altre/i con letture e riflessioni, altre/i ancora con attività creative per i più piccoli. “Un reale minuto di silenzio, assorto e commosso”, perché “i ragazzi vogliono sapere e vogliono capire”, scrivono. Questo sarà il compito del futuro anno scolastico: generare conoscenza e comprensione in modo aperto e limpido, affinché le/i nostri studenti apprendano a fare le loro scelte. Il nuovo e forte impegno della scuola italiana per Gaza, per la Palestina, per la pace e la giustizia è cominciato! La Scuola per la pace Torino e Piemonte Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università Docenti per Gaza La Scuola per la pace Torino e Piemonte
Gaza e noi. Inizia un nuovo anno scolastico, migliaia di firme in pochi giorni
Un messaggio di un’insegnante bresciana di scuola primaria, a pochi giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico suona come un’invocazione a non dimenticare, non solo Gaza, ma l’intera Palestina, non solo i diritti calpestati dei palestinesi, ma anche i nostri stessi diritti. Se l’Occidente può impunemente calpestarli, se la Corte Internazionale viene spudoratamente sbeffeggiata, che ne sarà di noi, sì, anche di noi che non siamo palestinesi? In quale cornice valoriale iscrivere il proprio intervento educativo se i pilastri della nostra Costituzione che li sostiene sono stati erosi e violati? Come possiamo tornare a scuola come se da due anni non stesse accadendo nulla in una terra dove i bambini sono stati il bersaglio preferito della follia genocidaria sionista? Come non pensare a scuole che non esistono più, a bambini di cui sono rimasti solo i nomi che sentiamo leggere nei cortei delle nostre manifestazioni e di molti neanche il nome? Il senso di impotenza e forse anche di colpa per essere rimasti a guardare un genocidio in diretta potrà trasformarsi in una protesta, in una presenza efficace che possa incidere e ridimensionare il nostro atteggiamento dissociato di fronte a quanto sta accadendo? O l’angoscia rappresenta la sola misura del nostro “restare umani”? Come comunità educante siamo chiamati a confrontarci con l’oggi. Sugli orrori passati possiamo chiamarci fuori e “commemorare”, ma l’oggi reclama una presenza, un’azione o tante azioni: salpare affidandosi al vento, far arrivare le nostre voci e le nostre firme a chi ci governa, dar vita ad azioni congiunte verso uno sciopero generale, comunicare tra noi insegnanti per ridare fiato a pratiche educative oscurate nella scuola degli ultimi tempi. Una scuola che sembra aver smarrito ogni specifico pedagogico che non sia l’obbedienza a un sapere disincarnato dal tempo e dallo spazio in cui viviamo, quando non asservito a fini estranei che hanno aperto le porte a una presenza sempre più sfacciata del mondo militare Il 25 agosto più di trecento insegnanti in presenza e a distanza hanno dato vita nell’aula magna dell’Istituto Professionale Industriale Castelli di Brescia a un’assemblea organizzata in pochi giorni, accesa dall’accorato messaggio di Emanuela De Rocco, che in poche ore e in pochi giorni ha raccolto prima decine, poi centinaia e ora migliaia di adesioni prima su una chat “Docenti ed Educatori per il rispetto dei diritti umani in Palestina” creata da Sara Girelli, un’altra insegnante, pensando a un gruppetto di interessati e diventata di ora in ora un fiume in piena. Nel momento in cui non c’è stato più modo di ospitare tutti quelli che si aggiungevano a Brescia e provincia, e non solo, si è passati a creare una community dove i gruppi si sono differenziati per città e regioni, a cui si sono dovute aggiungere altre community dati i limiti d’ingresso di ciascuna. Gli insegnanti promotori hanno fatto questa scelta organizzativa per permettere di muoversi nei diversi territori in modo più autonomo e allo stesso tempo più interconnesso. Sulla base di quel primo messaggio ha preso vita un documento programmatico approvato dall’assemblea. Il documento condanna la violazione dei diritti umani e promuove la cultura della pace, in piena coerenza con la Legge 92/2019 sull’Educazione Civica, che affida alla scuola il compito di educare ai principi della Costituzione italiana, ai diritti umani, alla pace tra i popoli e alla solidarietà internazionale. In questo senso la lettura di questo documento, proposta dall’assemblea, all’interno del Collegio Docenti d’inizio anno scolastico risulterebbe un atto coerente con i suoi compiti istituzionali. La raccolta firme è l’altra azione che parallelamente è stata portata avanti, insieme al riconoscimento dell’importanza della discussione e del confronto sul documento previsti tra insegnanti, ma anche sul proprio specifico pedagogico e per l’attivazione di pratiche non indottrinanti, ma che ci avvicinino ai ragazzi, così che sul loro terreno possano prendere vita riflessioni e azioni connesse a quello che la Palestina dice del presente e futuro di tutti noi. Di seguito il documento e la possibilità di firmarlo da parte di insegnanti di ogni ordine e grado, ma anche di educatori, operatori, genitori, ragazzi, nonni, tutti considerati parte della comunità educante. Link al modulo per adesione individuale al documento: https://forms.gle/WGQvQ4156ceMFEoL7 Consultazione del documento sottoscritto (in sola lettura): https://docs.google.com/document/d/17LCjeJ-Q11uQlLz–ibWdLj9FKh41r6oTBE6KkkOBuU/edit?usp=sharing       Redazione Italia