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Sumud per la Palestina: insegnamenti di un corteo a Ostia
Volevamo fare qualcosa per la Palestina, ma è successo piuttosto il contrario. È stata la sofferenza di un popolo ad aiutare noi lidensi a uscire dagli steccati identitari. L’avevamo detto nell’assemblea del 22 settembre al Teatro del Lido: facciamo un passo indietro tuttə e uniamoci in questa lotta che va ben oltre ciascunə di noi. La marea che il 4 ottobre aveva invaso le strade di Roma è tornata sul litorale, pronta a riappropriarsi delle strade di Ostia. La pioggia del mattino non ha fermato nessuno: la partecipazione è andata ben oltre ogni aspettativa. Come ci ha insegnato il movimento BDS – Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni – abbiamo sanzionato le vetrine del Carrefour vicino Lido Centro e del McDonald’s sul lungomare, affiggendo tazebao con scritto «Boycott». Lo abbiamo fatto alla luce del sole per invitare tuttə a smettere di sostenere le aziende che sponsorizzano il genocidio. Poco ci interessa qualsiasi discorso sul decoro urbano o sulla compostezza di un corteo: davanti a un genocidio non si discute, si blocca tutto. Discorso analogo vale per la scelta di ristrutturare durante il corteo il murale dedicato a Vittorio Arrigoni. Restiamo umani anche evitando che i nostri muri rimangano muti dinnanzi la barbarie che avanza.  > La marea ha incontrato automobilisti solidali e lungo corso Duca di Genova la > gente dai balconi salutava il corteo. La comunità arabo-musulmana si è unita spontaneamente e alcuni hanno preso la testa della manifestazione: il microfono era aperto a tuttə, come la piazza. Sono intervenute associazioni, collettivi studenteschi, realtà informali e singolə cittadinə. All’altezza di via delle Sirene, un grande striscione salutava il passaggio dal Teatro del Lido – e non poteva essere altrimenti. Quel teatro, occupato due volte prima di tornare a essere pubblico, ricorda a tuttə quanto siano vitali gli spazi sociali e culturali. Noi che abbiamo sempre difeso la vocazione socio-culturale dell’ex-colonia Vittorio Emanuele sappiamo quanto occupare sia un atto necessario.  Come ancora alcuni sognano la nascita di una Casa della Cultura, riteniamo altrettanto fondamentale difendere senza ambiguità i luoghi occupati e autogestiti del nostro litorale – l’Ateneo Occupato, lo ZK Squatt e il Bilancione Occupato di Fiumicino. Quando lo Stato nega gli spazi, è giusto riprenderseli con la lotta. La costa ha bisogno di questo: partecipazione dal basso, spazi pubblici e aperti condivisi, luoghi liberi dalle dinamiche di profitto e sfruttamento da attraversare tutti e tutte insieme. Sul lungomare abbiamo riaffermato l’importanza di una battaglia per un mare libero dal cemento e dalle speculazioni. Abbiamo espresso solidarietà alla mobilitazione contro il porto crocieristico di Fiumicino e ricordato le ferite che il porto di Ostia ha lasciato sul territorio. Davanti al capitalismo predatorio e alle mafiette balneari, la risposta resta una sola: la costa è di tuttə e noi la difendiamo. > Per tutto questo dobbiamo ringraziare la Sumud: ci ha ricordato quanto sia > fondamentale smussare le differenze e lavorare sul comune. La dismissione del > welfare, la precarietà, l’impoverimento dei territori sono parte della stessa > economia di guerra di cui sono responsabili governi e poteri occidentali. Alla faccia dei benaltristi da social, che ci dicono di pensare ai “nostri” problemi: ciò che accade in Palestina riguarda ogni persona o comunità oppressa; dalle detenute/i alle persone razzializate; dai lavoratori e lavoratrici sfruttatə a chi viene sfrattato dalla propria casa; da chi muore sul lavoro, nelle carceri, nei CPR, o in mare nel tentativo di oltrepassare le frontiere europee, sempre più blindate, chiuse ed ostili. Continueremo a mobilitarci, pensando a Gaza ma agendo localmente. Perché ciò che ci unisce alla Palestina è lo stesso mare. Lo stesso destino. Lo stesso futuro. Per la Palestina. Per la fine del genocidio e del regime di apartheid. Per l’interruzione immediata di ogni rapporto commerciale e diplomatico con Israele. Immagine di copertina di Ostia antifascista SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Sumud per la Palestina: insegnamenti di un corteo a Ostia proviene da DINAMOpress.
Sumud: vivere e raccontare la Palestina
Nella luce obliqua del mattino, il villaggio di Al-Ma’sara appare silenzioso, con ulivi e terrazze che digradano verso la valle. È uno dei tanti luoghi in Palestina dove la vita contadina si intreccia con una storia di occupazione e resistenza nonviolenta. È qui che Mohamad Zwahra ha mosso i primi passi, non ancora da giornalista ma come figlio della terra, con le mani immerse nel suolo e le veglie collettive per difenderlo. «Sono cresciuto in una famiglia di agricoltori. Mio nonno era contadino e pastore, e fin dall’età di sei anni ho imparato da lui cosa significa stare saldi sulla terra. Coltivavamo, proteggevamo il terreno, e la nostra vita quotidiana era legata a quella terra e agli animali che allevavamo». Fu durante le marce popolari nonviolente a Al-Ma’sara che Mohamad riconobbe il nesso tra testimonianza e impegno civile: «Ho capito che la resistenza è anche nel restare radicati alla nostra terra. Queste prime esperienze hanno plasmato la mia convinzione che avessi la responsabilità di documentare, di condividere la nostra storia con il mondo attraverso il giornalismo e il cinema». È una trasformazione: da testimone a narratore. Da “essere” nel villaggio a “raccontare” il villaggio, non in maniera neutra, ma con la consapevolezza che il potere visivo, del film, dell’immagine, della parola, può spingere il confine dell’attenzione globale. LA TELECAMERA, SCUDO DALL’OBLIO Se la terra è stata la prima scuola, la telecamera è diventata per Mohamad Zwahra l’arma più preziosa. «Quello di reporter non è mai stato solo un lavoro: era, ed è ancora, una forma di resistenza. Farsi testimone significa essere presenti per documentare il momento prima che venga cancellato». Un atto non neutrale. Non si tratta di “osservare” ma di impedire la sparizione: delle persone, delle storie, dei luoghi. Ogni immagine scattata diventa un frammento di verità che resiste al tentativo di rendere invisibile la vita palestinese. «L’immagine diventa sia uno scudo sia una testimonianza. Ogni foto e ogni ripresa è una prova della nostra esistenza, un messaggio alle prossime generazioni che noi non siamo rimasti in silenzio». C’è, in questo sguardo, la consapevolezza che l’occupazione non opera soltanto nello spazio fisico – la terra confiscata, le case demolite, i check-point – ma anche nello spazio simbolico della memoria. La fotografia, il video, diventano allora atti di archiviazione viva, contro l’oblio programmato operato da Israele. Così la telecamera, in mano a Mohamad, non è strumento “esterno” alla lotta, ma parte di essa. È da questa convinzione che nasce anche uno dei suoi lavori più significativi, On My Land, un film che intreccia memoria personale e testimonianza collettiva. Attraverso immagini dirette della Cisgiordania, On My Land rompe il filtro delle narrazioni mediate e restituisce al pubblico la crudezza e la delicatezza del vivere sotto occupazione. «In On My Land ho cercato di mostrare immagini reali di ciò che accade in Cisgiordania, perché mi sono accorto che molte persone in Europa ne sanno poco. Quando il pubblico ha visto il film, ha reagito con forti emozioni ed empatia. Questo mi ha confermato che il cinema e la fotografia possono essere un ponte di comprensione e un modo per correggere immagini distorte». di Mohamad Zwahra AL-MA’SARA: UNA STORIA PALESTINESE Dal 2006 il piccolo villaggio di Al-Ma’sara, a sud di Betlemme, è entrato nelle cronache come uno dei simboli della resistenza popolare nonviolenta. Ogni settimana, le e gli abitanti si univano ad attivisti internazionali e israeliani per marciare contro il muro e gli insediamenti. Nonostante la repressione, gli arresti, i gas lacrimogeni, le manifestazioni continuarono per anni, fino a diventare parte dell’identità stessa del villaggio. «Le marce oggi sono meno frequenti, ma lo spirito della resistenza vive nella nostra vita quotidiana – coltivando la terra, insegnando ai nostri figli, costruendo progetti comunitari che rafforzano la nostra fermezza». Dopo l’ultima aggressione israeliana contro Gaza, anche in Cisgiordania lo scenario si è fatto più cupo: la pressione è aumentata e la violenza dei coloni ha trovato nuovo spazio e legittimazione. «Oggi, la situazione in Cisgiordania è ancora più pericolosa. I coloni hanno praticamente preso il controllo: equipaggiati con armi fornite dal governo, sono incoraggiati a impossessarsi di quanta più terra palestinese possibile. L’occupazione non si basa solo sulla presenza militare diretta; sostiene i coloni per espandere gli insediamenti, confiscare terreni agricoli e imporre nuove strade che frammentano il nostro territorio. I checkpoint e i cancelli hanno definito la nostra vita. Rendono quasi impossibile spostarsi da una casa all’altra. I villaggi e le città sono tagliati fuori l’uno dall’altro, mentre i varchi chiudono i nostri ingressi e stabiliscono quando possiamo entrare o uscire dalle nostre terre. Oggi un palestinese lascia casa senza sapere se tornerà. Ore di attesa, umiliazioni, attacchi quotidiani dei coloni: anche il viaggio più semplice diventa un rischio». Il termine che Mohamad non teme di usare è netto: apartheid. «Quello che viviamo è un sistema di apartheid: confische di terre, coloni ovunque, strade che si espandono per servire solo gli insediamenti, e una violenza sistematica – pastori cacciati, greggi rubate, case e auto incendiate, famiglie attaccate. Tutto questo spesso avviene nel silenzio, senza che il mondo se ne accorga». Il cuore della resistenza, in Palestina, spesso batte nel ritmo antico degli ulivi. Ma anche la raccolta delle olive, momento che tradizionalmente unisce le famiglie, oggi si trasforma in campo di battaglia. «Quest’anno la stagione della raccolta delle olive potrebbe essere una delle più difficili. I contadini temono per i raccolti, le famiglie temono per la propria sicurezza anche solo camminando verso i campi. È per questo che ci stiamo preparando a lanciare la campagna Faz3a per sostenere i contadini». “Faz3a”, che in arabo evoca il gesto di accorrere in aiuto, è un modo per rinsaldare i legami di comunità, per colmare il vuoto tra paura e speranza. «Nonostante la violenza e la disperazione, il nostro sostegno reciproco diventa una forma di resistenza. Ci permette di dire al mondo che qui c’è un popolo che rifiuta di morire in silenzio». di Mohamad Zwahra LA RESISTENZA COME QUOTIDIANITÀ Per chi osserva da lontano, non c’è nulla di eroico, in apparenza, in un seme piantato nella terra, o in una casa che resta in piedi malgrado le minacce di demolizione. Eppure, in questo contesto, dichiarazioni di continuità, messaggi di presenza. «Qui la resistenza non è un’opzione aggiuntiva: è uno stile di vita. Viviamo sotto pressione costante, ma resistere significa piantare un albero, raccontare una storia, alzare la bandiera palestinese, restare nella propria casa e proteggere la propria terra». In questo orizzonte nasce Almasra Press, una piccola iniziativa giovanile trasformata in piattaforma di narrazione collettiva. «Abbiamo iniziato documentando ciò che accadeva nel nostro villaggio e nelle comunità vicine, per condividerlo direttamente con il mondo. L’obiettivo era creare un media locale, fatto dalla gente e per la gente, per contrastare la distorsione e il silenzio. Ci siamo concentrati sul dare voce ai contadini e alle famiglie comuni, che sono i più colpiti dall’occupazione». Fare giornalismo in Palestina, però, significa esporsi a rischi concreti e quotidiani. L’elenco che Mohamad snocciola è tanto crudo quanto immediato: «Le sfide sono enormi: arresti, attacchi diretti con proiettili e gas lacrimogeni, restrizioni ai movimenti, mancanza di risorse. Molte volte, anche i media globali marginalizzano le nostre voci o le censurano per ragioni politiche. Nonostante tutto questo, la nuova generazione di giornalisti palestinesi resta determinata a dire la verità». Il mestiere di giornalista in Palestina è anche un atto collettivo: non si fa mai da soli. Per questo Mohamad sottolinea l’importanza di reti di sostegno che vadano oltre i confini. «La solidarietà internazionale è vitale. Quando i giornalisti di tutto il mondo si schierano con noi, ci offrono protezione morale e politica e fanno pressione sui governi perché smettano di prenderci di mira. La solidarietà significa che non siamo lasciati soli di fronte all’occupazione: facciamo parte di una famiglia professionale globale che difende la verità». Un richiamo a un fronte comune, in cui il giornalismo palestinese è parte integrante di un movimento mondiale per la libertà d’informazione. di Mohamad Zwahra SUMUD: UNA VOCE TRANSNAZIONALE C’è una parola che ritorna spesso nel discorso di Mohamad Zwahra: sumud. Non è mai stato un concetto astratto. «Per me, Sumud significa restare saldi nella propria terra nonostante tutto. Significa continuare a vivere una vita normale in condizioni anormali: piantare, ridere, sognare, anche sotto assedio. Trovo speranza nei bambini che ridono nonostante le difficoltà, nei contadini che tornano ogni stagione alla loro terra, nelle donne che tengono forti le famiglie anche nelle condizioni più dure. Cerco di portare questa speranza nei miei film e nelle mie fotografie, per mostrare al mondo che non siamo solo vittime: siamo un popolo di dignità e di speranza». È un messaggio che ribalta la narrazione dominante: il popolo palestinese non è soltanto definito dal dolore che subisce, ma dalla dignità con cui lo affronta dalla capacità di trasformarlo in energia vitale e creativa. «Voglio continuare a realizzare film che documentino la vita delle persone nei villaggi e nelle aree marginalizzate, e sviluppare la Sumud Platform – un’iniziativa che unisce giornalismo comunitario e produzione culturale per dare voce ai giovani palestinesi – in un progetto più ampio, guidato dai giovani stessi. Il mio sogno è usare il cinema come ponte per connettermi con il mondo e costruire una memoria visiva che preservi la nostra storia per le generazioni future». Ed è da questo legame con il mondo che il sumud incontra la solidarietà internazionale. «Per noi che viviamo in Cisgiordania, una parte fondamentale della speranza e della forza che ci permette di andare avanti nasce dalla solidarietà che percepiamo e sentiamo arrivare da ogni angolo della terra. Non sono soltanto le grandi manifestazioni o le campagne internazionali a darci coraggio: persino i gesti più semplici, come qualcuno che espone una bandiera palestinese sulla propria auto o la appende a una finestra, hanno per noi un valore immenso. Possono sembrare piccoli segni a chi li compie, ma per noi che viviamo sotto occupazione sono una conferma preziosa che non siamo soli. Personalmente, ogni volta che mi capita di visitare l’Europa e passeggiare per le sue strade, vedere una bandiera palestinese sventolare da una casa o dipinta su un muro mi riempie di gioia profonda e mi dona nuova forza per continuare». Con la nuova ondata di distruzione a Gaza, il sumud palestinese ha iniziato a risuonare anche oltre confine. «La Global Sumud Flotilla è un esempio potente di questa connessione. Ha offerto una risposta concreta a chi, nel mondo, si chiede: “Che cosa possiamo fare per aiutare?”. Mostra chiaramente che è possibile agire, stare al nostro fianco, amplificare la nostra voce. Ogni gesto di solidarietà, grande o piccolo, diventa parte della nostra resistenza. Alimenta la nostra speranza, rafforza il nostro sumud e ci ricorda che la Palestina non vive soltanto nei nostri cuori, ma anche in quelli di persone ovunque nel mondo». Tutte le immagini sono state concesse da Mohamad Zwahra SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Sumud: vivere e raccontare la Palestina proviene da DINAMOpress.
#ISRAELE minaccia la #SUMUD - ALLERTA MASSIMA La Global Sumud Flotilla diretta a #Gaza è sotto minaccia di un possibile attacco israeliano. Una situazione esplosiva che potrebbe degenerare da un momento all’altro. Gli aggiornamenti, le analisi e le testimonianze su ciò che sta accadendo ORA nel Mediterraneo. Per capire cosa sta realmente succedendo dietro le quinte di questa crisi. https://www.youtube.com/watch?v=UlepRY4RPCU
#stopthegenocideingaza🇵🇸 Chi sta per assaltare e sequestrare le imbarcazioni della Global #Sumud #Flotilla. C'è pure un pezzo d'Italia tra gli incursori di #Israele... “#Shayetet 13” (13^ Flottiglia), il corpo d’élite della Marina impiegato di norma in missioni antiterrorismo
ANTONIO MAZZEO: LA SPERANZA DELLA GLOBAL #SUMUD FLOTILLA #stopthegenocideingaza🇵🇸 Handala, partita a luglio dall’Italia per portare aiuti umanitari alla popolazione palestinese rifugiata nella Striscia di #Gaza https://www.linformazione.eu/2025/09/gaza-antonio-mazzeo-la-speranza-della-global-sumud-flotilla/?fbclid=IwY2xjawM02s1leHRuA2FlbQIxMQABHkah8RsZiZ8-BfroSm5FQ830vMpYn0Wc0UPQPfyTKsIVYJrc_gy07f75F-eZ_aem_wg0SBUJsh0SZKbKmT8DkZA
#stopthegenocideingaza🇵🇸 A #Siracusa per dare il Buon Vento alle compagne e ai compagni della #Sumud Flotilla diretti a #Gaza....
#stopthegenocideingaza🇵🇸 Attacco con un #drone alla #Sumud Flotilla L'8 settembre un drone ha colpito con dell'esplosivo una delle imbarcazioni della Global Sumud Flotilla in acque tunisine, nessun ferito a bordo, ma danni alla barca. https://www.ondarossa.info/newsredazione/2025/09/attacco-drone-alla-sumud-flotilla
Sumud, ora e sempre
Sumud, resilienza un cazzo, resistenza piuttosto, sforzo di perseverare o, come si diceva quando una lingua comune dell’Occidente esprimeva l’impulso rivoluzionario marrano, conatus, per cui ogni cosa in suo esse perseverare conatur, fa valere la sua essenza attuale. La lenta e un po’ scompigliata partenza della Global Sumud Flotilla e il suo avvicinamento contrastato a Gaza segnano un salto di qualità nell’impegno solidale di un movimento internazionale e anticoloniale. Un balzo di scala non solo rispetto alla passività complice dei governi occidentali, in primo luogo di quello italiano, ma anche rispetto a precedenti manifestazioni di piazza, raccolta di aiuti e boicottaggio dei movimenti e dello stesso movimento italiano che solo a luglio aveva raggiunto livelli paragonabili con quelli europei, superando anteriori divisioni e incertezze. Naturalmente la spinta è venuta dal precipitare della situazione sul fronte di Gaza e della Cisgiordania, essendo la politica israeliana sempre più determinata dal ricatto parlamentare delle formazioni più estremiste e dalla spinta sociale dei coloni e delle bande dei “ragazzi delle colline”, feroci e disadattati che fanno da braccio armato sussidiario e provocatorio ai coloni inquadrati nell’esercito e nella polizia di Ben Gvir. La degenerazione profonda di Israele rispetto alle fasi precedenti del colonialismo sionista risulta dalla compattezza del voto parlamentare nel rigetto della soluzione “due popoli due Stati”, che cancella formalmente gli accordi di Oslo e di cui il permanente sostegno elettorale a una maggioranza di estrema destra è soltanto il coronamento. Inoltre, questa maggioranza parlamentare non fa che implementare il passaggio, sancito con atto costituzionale, di Israele da Stato ebraico e democratico (1948) a Stato ebraico (2018). A oggi i processi di radicalizzazione si intensificano, grazie anche allo sfacciato sostegno trumpiano, e si ha l’impressione che, nonostante il succedersi di importanti manifestazioni della società civile israeliana (che peraltro solo in forma minoritaria investono la condizione dei gazawi), tale deriva sia nel breve e medio periodo irreversibile e che si prospetti più una lenta emigrazione degli scontenti che uno scontro aperto fra tendenze. L’immediato futuro è fatto di finte trattative e stragi raddoppiate a Gaza, espropri e annessioni in Cisgiordania, stillicidio di attentati fai-da-te e rappresaglie in Israele, omicidi mirati all’interno e all’estero. di Renato Ferrantini PERCHÉ È UN PASSO DECISO IN AVANTI L’iniziativa della Sumud Flotilla allude per la prima volta, in questa fase, a un’interposizione o comunque a un coinvolgimento internazionale che sarebbe legittimo in caso di attacco piratesco israeliano in mare aperto ma anche lungo le coste di Gaza, che non è superficie acquatica israeliana de iure malgrado l’occupazione illegale de facto. Di ben altro che di tutela diplomatica o consolare si tratterebbe, qualora, come già è cominciato con il drone a Sidi Bou Said, le Idf tramutassero in azioni offensive le minacce di Ben Gvir contro i “terroristi” della Flotilla. La stessa Commissione Ue critica l’iniziativa umanitaria come escalation proprio perché teme di doversi far carico delle spropositate reazioni israeliane che smaschererebbero tutta la politica pilatesca di alcuni Stati e della Commissione del suo complesso. Adesso all’ordine del giorno è una tutela militare della libertà di navigazione nel Mediterraneo da parte degli Stati sovrani rivieraschi e di quelli cui appartengono gli equipaggi. Ma un compito primario spetta al c.d. “equipaggio di terra”, cioè alle forze che sostengono la Flotilla in mare e che hanno già minacciato (come i camalli di Genova) il blocco dei porti in caso di operazioni terroristiche di Israele – ciò vale tanto più per l’Italia, il cui governo, a differenza dalla Spagna, non ha preso nessuna iniziativa di boicottaggio o sanzione e dove quindi si è aperto un problema di supplenza dal basso. > Avremo anche noi nei prossimi giorni un bloquons tout! come in Francia, se la > situazione dovesse precipitare – e tutto lo lascia pensare. LE REAZIONI MEDIATICHE Il disastro di immagine di Israele è stato colto perfino dal suo complice-in-chief Donald Trump e viene ogni giorno amplificato su alcune fogne a cielo aperto della stampa italiana – “Il Foglio”, “Libero” “Il Tempo”, ”Il Riformista” – mentre sempre più circospette sono diventate le Tv nazionali e le pagine molinariane di “Repubblica” (per non parlare dei pensosi silenzi di Paolo Mieli e dei tormenti interiori di Adriano Sofri). La corporazione dei giornalisti ha sentito sulla schiena il brivido dei troppi reporter assassinati e quelli che si finanziano con le vendite e la pubblicità qualche conto se lo saranno pur fatto, visto l’orientamento dell’opinione pubblica. Una bella frotta di ipocriti e di umanisti a scoppio ritardato cerca di issarsi (a parole) sulle navi della Flotilla, ma siano i benvenuti, come ogni omaggio che il vizio concede alla virtù – meglio tardi che mai e ci siamo pure divertiti a vedere quanti, esitando a saltare, sono scivolati in acqua dalla sdrucciolevole banchina… In tenace obbrobrio sopravvive la Sinistra per Israele che abbraccia le ragioni imperscrutabili del colonialismo sionista deplorando al massimo gli eccessi di Netanyahu e Ben Gvir. Perfino in un’area un tempo sovversiva abbiamo anche noi, diciamolo di sfuggita, i nostri “ragazzi delle colline”, invero più miei coetanei che non ragazzi. Poveri coglioni da social che d’inverno scherzavano sul “gelicidio” a Gaza e d’estate invocano gli dei degli uragani per affondare i “croceristi” della Flotilla, ma anche più sofisticati ideologhi che si lanciano in prolisse disquisizioni sulla perfetta composizione di classe dei movimenti sovversivi –  la sempiterna tentazione di insegnare ai gatti ad arrampicarsi. Oppure c’è chi contesta per impotente populismo la stessa indignazione spontanea per i misfatti degli oppressori, come Luca Sofri sul “Il Post”, che se la prende con il movimento pur così significativo e mondiale scaturito dall’opuscolo Indignez-vous del remoto 2011, insensibile perfino al fatto che il suo estensore, il 93-enne pubblicista ebreo Stéphane Hessel, fosse il figlio reale della coppia resa mitica come Jules e Catherine nel film di Truffaut Jules et Jim… di Renato Ferrantini FLUTTUAZIONI PERIODICHE Una volta spiegati i motivi razionali per cui è cresciuta in tutto il mondo l’indignazione e la protesta attiva di massa contro il genocidio israeliano (e perché il termine stesso di “genocidio” sia stato sdoganato, lasciando a combattere nella giungla il solo Galli della Loggia), una volta riconosciuto l’immenso lavoro da formichine che tutte e tutti noi abbiamo fatto – scrivendo, dibattendo sino alla sfinimento con ogni tendenza italiana e palestinese, documentando i soprusi e le uccisioni “sproporzionate”, i massacri e le pratiche di apartheid e pulizia etnica, gestendo le faticose e frustranti manifestazioni che, a differenza delle grandi capitali estere, si allargavano dalle mille alle 10.000 persone (e facevano festa) –, messo in conto l’effetto amplificatore dell’arroganza sionista e dei filo-sionisti, il sostegno controproducente di Trump con la grottesca operazione Riviera di Gaza e la sostituzione stragista e inefficiente della Gaza Humanitarian Foundation alle espulse agenzie Onu, scontato tutto questo e il consenso alla causa palestinese alimentato nel mondo cattolico dai gesti profetici di papa Bergoglio, non ritrattati dal suo successore, resta una domanda: perché proprio ora, quasi tutto d’un colpo, è diventato arduo sul piano morale e mediatico non dirsi pro-Pal e non agitare la bandiera rosso-verde-nera? Con tutti gli opportunisti e gli istrioni al seguito, grazie comunque e ancora. > Una risposta del tutto razionale non c’è, però altre volte ho visto fenomeni > simili, ondate internazionali più o meno estese, più o meno legate a momenti > di crisi sociale ed espressive di interessi di classe. È successo nel 1960 simultaneamente in Italia, Turchia, Giappone e Corea del sud, si è ripetuto su scala planetaria nel 1966 nei campus statunitensi e subito dopo in tutta Europa e in Cina, con lunghi strascichi e rimbalzi negli anni ’70. Abbiamo poi (solo in Italia) il movimento chiamato della Pantera (1989-1990), l’ondata mondiale no global di fine millennio, con gli episodi salienti di Seattle e Genova, e, dopo la dura repressione, ancora una stagione di lotte fra il 2008 e il 2011, che si salda alla fine con gli Indignados, Occupy Wall Street e primavere arabe, e confluisce con una seconda stagione del movimento femminista. Un andamento carsico, di volta in volta con motivazioni precise, con innovazioni strumentali decisive (il ciclostile – angeli inclusi -, le radio libere, il fax, il primo embrionale uso di Internet, Indymedia, i social), successi e sconfitte, e tuttavia resta una zona d’ombra nel capire il quando e il perché, il rapporto fra esplosione e durata, fra cause spesso limitate ed effetti strepitosi, eterogeneità di motivazioni e legame molto fluido con la composizione di classe che risultava invece evidente fra il 1960 e il 1978. Di qui le farneticazioni sulla deriva woke e il rimpianto della limpida struttura classista delle insorgenze novecentesche. Mais où sont les neiges d’antan, ovvero ginocchia, fiato e ormoni di allora? L’unica spiegazione plausibile è un periodico ricambio di generazioni, che riaccendono le lotte cambiandone composizione di genere, aspirazioni e pratiche e smaltendone come scorie nostalgia e reducismo.   Tuttavia la carsicità e l’incertezza sulle cause scatenanti non tolgono il fatto essenziale. Che queste fratture tumultuarie periodiche sono “occasioni” che vanno colte al volo e, per quanto possibile, gestite, sedimentate in soggettività temporanee. Il movimento non può suscitare a piacere le rotture congiunturali, ma si costituisce nella misura in cui riesce ad afferrarle e organizzarle, garantendone tenuta ed efficacia. Ebbene, l’ondata pro-Pal si presenta con questi caratteri di sorpresa e irruenza, accompagnandosi ad altre tematiche conflittuali non direttamente connesse con la lotta anti-imperialistica e anti-coloniale. Basti vedere l’ampiezza che ha preso la difesa dei centri sociali dopo la provocazione milanese sul Leoncavallo. E non dubito che altri episodi ci saranno, con l’imminente riapertura delle scuole e la crisi economica che scuote l’Europa e su cui al momento galleggia la nostra stagnazione. > Tira un buon vento e disporre bene le vele è affar nostro! L’immagine di copertina è di Renato Ferrantini SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Sumud, ora e sempre proviene da DINAMOpress.
#stopthegenocideingaza🇵🇸 La #GUERRA arriva nel #MEDITERRANEO: FUOCO contro la GLOBAL #SUMUD FLOTILLA La nave umanitaria è stata colpita da un proiettile sganciato da un drone. #Israel https://www.youtube.com/watch?v=dxbQgZbY0oU
#stopthegenocideingaza🇵🇸 Domani 3 settembre a #Siracusa per abbracciare le compagne e i compagni di #Sumud Flotilla in partenza per Gaza. Passeggio della Marina, ore 18