ANTONIO MAZZEO: LA SPERANZA DELLA GLOBAL #SUMUD FLOTILLA
#stopthegenocideingaza🇵🇸 Handala, partita a luglio dall’Italia per portare
aiuti umanitari alla popolazione palestinese rifugiata nella Striscia di #Gaza
https://www.linformazione.eu/2025/09/gaza-antonio-mazzeo-la-speranza-della-global-sumud-flotilla/?fbclid=IwY2xjawM02s1leHRuA2FlbQIxMQABHkah8RsZiZ8-BfroSm5FQ830vMpYn0Wc0UPQPfyTKsIVYJrc_gy07f75F-eZ_aem_wg0SBUJsh0SZKbKmT8DkZA
Tag - Sumud
#stopthegenocideingaza🇵🇸 A #Siracusa per dare il Buon Vento alle compagne e ai
compagni della #Sumud Flotilla diretti a #Gaza....
#stopthegenocideingaza🇵🇸 Attacco con un #drone alla #Sumud Flotilla
L'8 settembre un drone ha colpito con dell'esplosivo una delle imbarcazioni
della Global Sumud Flotilla in acque tunisine, nessun ferito a bordo, ma danni
alla barca.
https://www.ondarossa.info/newsredazione/2025/09/attacco-drone-alla-sumud-flotilla
Sumud, ora e sempre
Sumud, resilienza un cazzo, resistenza piuttosto, sforzo di perseverare o, come
si diceva quando una lingua comune dell’Occidente esprimeva l’impulso
rivoluzionario marrano, conatus, per cui ogni cosa in suo esse perseverare
conatur, fa valere la sua essenza attuale. La lenta e un po’ scompigliata
partenza della Global Sumud Flotilla e il suo avvicinamento contrastato a Gaza
segnano un salto di qualità nell’impegno solidale di un movimento internazionale
e anticoloniale.
Un balzo di scala non solo rispetto alla passività complice dei governi
occidentali, in primo luogo di quello italiano, ma anche rispetto a precedenti
manifestazioni di piazza, raccolta di aiuti e boicottaggio dei movimenti e dello
stesso movimento italiano che solo a luglio aveva raggiunto livelli paragonabili
con quelli europei, superando anteriori divisioni e incertezze. Naturalmente la
spinta è venuta dal precipitare della situazione sul fronte di Gaza e della
Cisgiordania, essendo la politica israeliana sempre più determinata dal ricatto
parlamentare delle formazioni più estremiste e dalla spinta sociale dei coloni e
delle bande dei “ragazzi delle colline”, feroci e disadattati che fanno da
braccio armato sussidiario e provocatorio ai coloni inquadrati nell’esercito e
nella polizia di Ben Gvir.
La degenerazione profonda di Israele rispetto alle fasi precedenti del
colonialismo sionista risulta dalla compattezza del voto parlamentare nel
rigetto della soluzione “due popoli due Stati”, che cancella formalmente gli
accordi di Oslo e di cui il permanente sostegno elettorale a una maggioranza di
estrema destra è soltanto il coronamento. Inoltre, questa maggioranza
parlamentare non fa che implementare il passaggio, sancito con atto
costituzionale, di Israele da Stato ebraico e democratico (1948) a Stato ebraico
(2018).
A oggi i processi di radicalizzazione si intensificano, grazie anche allo
sfacciato sostegno trumpiano, e si ha l’impressione che, nonostante il
succedersi di importanti manifestazioni della società civile israeliana (che
peraltro solo in forma minoritaria investono la condizione dei gazawi), tale
deriva sia nel breve e medio periodo irreversibile e che si prospetti più una
lenta emigrazione degli scontenti che uno scontro aperto fra tendenze.
L’immediato futuro è fatto di finte trattative e stragi raddoppiate a Gaza,
espropri e annessioni in Cisgiordania, stillicidio di attentati fai-da-te e
rappresaglie in Israele, omicidi mirati all’interno e all’estero.
di Renato Ferrantini
PERCHÉ È UN PASSO DECISO IN AVANTI
L’iniziativa della Sumud Flotilla allude per la prima volta, in questa fase, a
un’interposizione o comunque a un coinvolgimento internazionale che sarebbe
legittimo in caso di attacco piratesco israeliano in mare aperto ma anche lungo
le coste di Gaza, che non è superficie acquatica israeliana de iure malgrado
l’occupazione illegale de facto. Di ben altro che di tutela diplomatica o
consolare si tratterebbe, qualora, come già è cominciato con il drone a Sidi Bou
Said, le Idf tramutassero in azioni offensive le minacce di Ben Gvir contro i
“terroristi” della Flotilla.
La stessa Commissione Ue critica l’iniziativa umanitaria come escalation proprio
perché teme di doversi far carico delle spropositate reazioni israeliane che
smaschererebbero tutta la politica pilatesca di alcuni Stati e della Commissione
del suo complesso. Adesso all’ordine del giorno è una tutela militare della
libertà di navigazione nel Mediterraneo da parte degli Stati sovrani rivieraschi
e di quelli cui appartengono gli equipaggi.
Ma un compito primario spetta al c.d. “equipaggio di terra”, cioè alle forze che
sostengono la Flotilla in mare e che hanno già minacciato (come i camalli di
Genova) il blocco dei porti in caso di operazioni terroristiche di Israele – ciò
vale tanto più per l’Italia, il cui governo, a differenza dalla Spagna, non ha
preso nessuna iniziativa di boicottaggio o sanzione e dove quindi si è aperto un
problema di supplenza dal basso.
> Avremo anche noi nei prossimi giorni un bloquons tout! come in Francia, se la
> situazione dovesse precipitare – e tutto lo lascia pensare.
LE REAZIONI MEDIATICHE
Il disastro di immagine di Israele è stato colto perfino dal suo
complice-in-chief Donald Trump e viene ogni giorno amplificato su alcune fogne a
cielo aperto della stampa italiana – “Il Foglio”, “Libero” “Il Tempo”, ”Il
Riformista” – mentre sempre più circospette sono diventate le Tv nazionali e le
pagine molinariane di “Repubblica” (per non parlare dei pensosi silenzi di Paolo
Mieli e dei tormenti interiori di Adriano Sofri). La corporazione dei
giornalisti ha sentito sulla schiena il brivido dei troppi reporter assassinati
e quelli che si finanziano con le vendite e la pubblicità qualche conto se lo
saranno pur fatto, visto l’orientamento dell’opinione pubblica. Una bella frotta
di ipocriti e di umanisti a scoppio ritardato cerca di issarsi (a parole) sulle
navi della Flotilla, ma siano i benvenuti, come ogni omaggio che il vizio
concede alla virtù – meglio tardi che mai e ci siamo pure divertiti a vedere
quanti, esitando a saltare, sono scivolati in acqua dalla sdrucciolevole
banchina…
In tenace obbrobrio sopravvive la Sinistra per Israele che abbraccia le ragioni
imperscrutabili del colonialismo sionista deplorando al massimo gli eccessi di
Netanyahu e Ben Gvir. Perfino in un’area un tempo sovversiva abbiamo anche noi,
diciamolo di sfuggita, i nostri “ragazzi delle colline”, invero più miei
coetanei che non ragazzi. Poveri coglioni da social che d’inverno scherzavano
sul “gelicidio” a Gaza e d’estate invocano gli dei degli uragani per affondare i
“croceristi” della Flotilla, ma anche più sofisticati ideologhi che si lanciano
in prolisse disquisizioni sulla perfetta composizione di classe dei movimenti
sovversivi – la sempiterna tentazione di insegnare ai gatti ad arrampicarsi.
Oppure c’è chi contesta per impotente populismo la stessa indignazione spontanea
per i misfatti degli oppressori, come Luca Sofri sul “Il Post”, che se la prende
con il movimento pur così significativo e mondiale scaturito dall’opuscolo
Indignez-vous del remoto 2011, insensibile perfino al fatto che il suo
estensore, il 93-enne pubblicista ebreo Stéphane Hessel, fosse il figlio reale
della coppia resa mitica come Jules e Catherine nel film di Truffaut Jules et
Jim…
di Renato Ferrantini
FLUTTUAZIONI PERIODICHE
Una volta spiegati i motivi razionali per cui è cresciuta in tutto il mondo
l’indignazione e la protesta attiva di massa contro il genocidio israeliano (e
perché il termine stesso di “genocidio” sia stato sdoganato, lasciando a
combattere nella giungla il solo Galli della Loggia), una volta riconosciuto
l’immenso lavoro da formichine che tutte e tutti noi abbiamo fatto – scrivendo,
dibattendo sino alla sfinimento con ogni tendenza italiana e palestinese,
documentando i soprusi e le uccisioni “sproporzionate”, i massacri e le pratiche
di apartheid e pulizia etnica, gestendo le faticose e frustranti manifestazioni
che, a differenza delle grandi capitali estere, si allargavano dalle mille alle
10.000 persone (e facevano festa) –, messo in conto l’effetto amplificatore
dell’arroganza sionista e dei filo-sionisti, il sostegno controproducente di
Trump con la grottesca operazione Riviera di Gaza e la sostituzione stragista e
inefficiente della Gaza Humanitarian Foundation alle espulse agenzie Onu,
scontato tutto questo e il consenso alla causa palestinese alimentato nel mondo
cattolico dai gesti profetici di papa Bergoglio, non ritrattati dal suo
successore, resta una domanda: perché proprio ora, quasi tutto d’un colpo, è
diventato arduo sul piano morale e mediatico non dirsi pro-Pal e non agitare la
bandiera rosso-verde-nera? Con tutti gli opportunisti e gli istrioni al seguito,
grazie comunque e ancora.
> Una risposta del tutto razionale non c’è, però altre volte ho visto fenomeni
> simili, ondate internazionali più o meno estese, più o meno legate a momenti
> di crisi sociale ed espressive di interessi di classe.
È successo nel 1960 simultaneamente in Italia, Turchia, Giappone e Corea del
sud, si è ripetuto su scala planetaria nel 1966 nei campus statunitensi e subito
dopo in tutta Europa e in Cina, con lunghi strascichi e rimbalzi negli anni ’70.
Abbiamo poi (solo in Italia) il movimento chiamato della Pantera (1989-1990),
l’ondata mondiale no global di fine millennio, con gli episodi salienti di
Seattle e Genova, e, dopo la dura repressione, ancora una stagione di lotte fra
il 2008 e il 2011, che si salda alla fine con gli Indignados, Occupy Wall Street
e primavere arabe, e confluisce con una seconda stagione del movimento
femminista. Un andamento carsico, di volta in volta con motivazioni precise, con
innovazioni strumentali decisive (il ciclostile – angeli inclusi -, le radio
libere, il fax, il primo embrionale uso di Internet, Indymedia, i social),
successi e sconfitte, e tuttavia resta una zona d’ombra nel capire il quando e
il perché, il rapporto fra esplosione e durata, fra cause spesso limitate ed
effetti strepitosi, eterogeneità di motivazioni e legame molto fluido con la
composizione di classe che risultava invece evidente fra il 1960 e il 1978.
Di qui le farneticazioni sulla deriva woke e il rimpianto della limpida
struttura classista delle insorgenze novecentesche. Mais où sont les neiges
d’antan, ovvero ginocchia, fiato e ormoni di allora? L’unica spiegazione
plausibile è un periodico ricambio di generazioni, che riaccendono le lotte
cambiandone composizione di genere, aspirazioni e pratiche e smaltendone come
scorie nostalgia e reducismo.
Tuttavia la carsicità e l’incertezza sulle cause scatenanti non tolgono il fatto
essenziale. Che queste fratture tumultuarie periodiche sono “occasioni” che
vanno colte al volo e, per quanto possibile, gestite, sedimentate in
soggettività temporanee. Il movimento non può suscitare a piacere le rotture
congiunturali, ma si costituisce nella misura in cui riesce ad afferrarle e
organizzarle, garantendone tenuta ed efficacia.
Ebbene, l’ondata pro-Pal si presenta con questi caratteri di sorpresa e
irruenza, accompagnandosi ad altre tematiche conflittuali non direttamente
connesse con la lotta anti-imperialistica e anti-coloniale. Basti vedere
l’ampiezza che ha preso la difesa dei centri sociali dopo la provocazione
milanese sul Leoncavallo. E non dubito che altri episodi ci saranno, con
l’imminente riapertura delle scuole e la crisi economica che scuote l’Europa e
su cui al momento galleggia la nostra stagnazione.
> Tira un buon vento e disporre bene le vele è affar nostro!
L’immagine di copertina è di Renato Ferrantini
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#stopthegenocideingaza🇵🇸 La #GUERRA arriva nel #MEDITERRANEO: FUOCO contro la
GLOBAL #SUMUD FLOTILLA La nave umanitaria è stata colpita da un proiettile
sganciato da un drone. #Israel
https://www.youtube.com/watch?v=dxbQgZbY0oU
#stopthegenocideingaza🇵🇸 Domani 3 settembre a #Siracusa per abbracciare le
compagne e i compagni di #Sumud Flotilla in partenza per Gaza. Passeggio della
Marina, ore 18