No al “neocolonialismo scientifico”: Il Burkina Faso vieta le zanzare OGM di Bill Gates
Con una decisione che ha fatto rumore ben oltre i confini nazionali, il governo
del Burkina Faso ha ordinato la sospensione definitiva del progetto Target
Malaria, iniziativa di ricerca sostenuta dalla Fondazione Gates e da Open
Philanthropy e guidata dall’Imperial College di Londra, che prevedeva
il rilascio di zanzare geneticamente modificate per combattere la malaria. Il
governo di Ouagadougou ha ordinato la chiusura dei laboratori e la distruzione
dei campioni, trasformando un atto tecnico in un gesto dal forte
valore simbolico e geopolitico: riaffermare la propria sovranità nazionale e
opporsi a quello che viene definito nel Paese come una forma di «neocolonialismo
scientifico», in cui le popolazioni vulnerabili diventano cavie di tecnologie ad
alto rischio. Le preoccupazioni relative all’influenza coloniale sono un tema
ricorrente del governo di Ibrahim Traore: il leader panafricano, che ha preso il
potere con il colpo di Stato del 30 settembre 2022, si è allontanato
dall’Occidente, cercando di limitare sempre più il coinvolgimento straniero
nella politica interna.
Attivo in Burkina Faso dal 2012, Target Malaria si proponeva di ridurre la
trasmissione della malaria intervenendo direttamente sui vettori della malattia:
le zanzare Anopheles. La strategia più controversa è quella del gene drive, una
tecnica di ingegneria genetica basata su CRISPR che forza la trasmissione di un
tratto genetico in tutta la popolazione naturale, fino a renderlo dominante. In
questo caso, il tratto serve a produrre solo maschi o a sterilizzare le femmine,
con l’intento di ridurre drasticamente la popolazione delle zanzare.
Secondo la sociologa e accademica canadese Linsey McGoey, Target Malaria «è un
esempio emblematico del tecnoscientismo filantropico che traveste da bene comune
l’interesse privato. Dietro la retorica della lotta alla malaria, si nasconde la
volontà di imporre tecnologie radicali come il gene drive, con effetti
potenzialmente irreversibili sugli ecosistemi e sulle comunità locali. Le
popolazioni africane, spesso escluse dal dibattito, subiscono così le scelte di
attori globali che dettano l’agenda della salute pubblica». Si tratta, infatti,
di soluzione radicale, che promette di colpire alla radice la malattia, ma che
suscita preoccupazioni per i suoi effetti ecologici imprevedibili e
difficilmente controllabili sugli ecosistemi e solleva dilemmi etici su chi
abbia la legittimità di decidere sul suo impiego, soprattutto quando gli
esperimenti si svolgono in comunità vulnerabili del Sud globale.
Già nel 2016 la National Academies of Sciences degli Stati Uniti aveva avvertito
che gli organismi gene-drive non erano pronti per rilasci ambientali. L’OMS nel
2021 aveva raccomandato prudenza e un coinvolgimento reale delle comunità. Nel
2024 la Convenzione sulla Diversità Biologica aveva auspicato valutazioni più
ampie su impatto socio-economico, culturale ed etico, soprattutto sulle comunità
locali – in linea con il principio di precauzione e decisioni precedenti
della COP e del Protocollo di Cartagena. Da segnalare anche i timori che la
tecnologia possa essere sfruttata in futuro a fini commerciali (ad esempio, se
sviluppata per controllare i parassiti agricoli) o persino come arma biologica.
La scelta del Burkina Faso non è solo scientifica ma geopolitica. Da un lato,
c’è l’urgenza sanitaria: la malaria uccide ancora quasi 600.000 persone l’anno,
perlopiù bambini africani. Dall’altro, c’è la volontà di non trasformarsi in
“cavie” per la ricerca occidentale. Gli oppositori del Target Malaria
sottolineano che i ceppi di zanzare modificate provengono da laboratori europei
e che dietro il progetto ci sono fondazioni miliardarie occidentali che
impongono la propria visione tecnologica senza un reale processo democratico
locale. Ali Tapsoba, attivista della coalizione CVAB (Coalition pour le Suivi
des Activités Biotechnologiques), ha parlato di tecnologia «altamente
controversa, imprevedibile e potenzialmente irreversibile». Un capitolo spesso
ignorato, ma essenziale per interpretare le ragioni dello stop a Target Malaria,
è quello della finanziarizzazione della malaria, un fenomeno esposto con
lucidità dall’African Centre for Biodiversity. In sintesi, il documento denuncia
come la malaria – da emergenza sanitaria – si sia trasformata in opportunità
finanziaria, sovvertendo il senso stesso della lotta alla malattia. Il Burkina
Faso funge da “laboratorio vivente” in cui fondazioni cosiddette filantropiche,
come quella di Gates, insieme a partenariati pubblico-privati, investono in
tecnologie brevettate (vaccini, insetticidi, zanzare GM/gene-drive) attraverso
modelli di sviluppo che privilegiano i profitti da royalties piuttosto che il
rafforzamento dei sistemi sanitari nazionali. L’1% soltanto degli investimenti
globali arriva alle istituzioni di ricerca locali, mentre il resto resta nelle
sedi dei donatori. In questo schema, lo scenario è chiaro: i “risultati” più
rischiosi di tecnologie sperimentali vengono testati sul continente africano e i
danni – se ci saranno – peseranno sulle sue popolazioni, non su chi le ha
finanziate o proposte.
Il rifiuto del Burkina Faso a Target Malaria non rappresenta solo la chiusura di
un progetto scientifico, ma la dichiarazione di una volontà politica: sottrarsi
al ruolo di laboratorio del mondo e rivendicare il diritto a decidere sul
proprio destino. È un segnale di rottura verso il modello in cui l’Africa viene
trattata come terreno di sperimentazione per i governi e le aziende occidentali.
La salute pubblica del continente, secondo la nuova rotta intrapresa da
Ouagadougou, non può essere subordinata agli interessi di fondazioni
miliardarie, ma deve nascere da scelte condivise con le comunità locali, in nome
della sovranità e dell’autodeterminazione. Il messaggio è chiaro: il futuro
africano non sarà costruito da tecnologie imposte dall’alto, ma da soluzioni
radicate nella conoscenza, nella cultura e nelle priorità delle popolazioni
stesse.
L'Indipendente