Gitta Sereny / Comprendere Albert Speer
Gitta Sereny (1921-2012) è stata una giornalista e storica, a tutti gli effetti
britannica, per quanto, figlia di un principe ungherese e di un’attrice ebrea di
Amburgo, parlasse perfettamente tedesco e non avesse mai abbandonato le sue
radici germaniche. Vissuta a Vienna fino all’Anschluss, in Francia dove si
impegnò nella Resistenza, negli Stati Uniti e infine a Londra, dove si occupò
per conto delle Nazioni Unite, di temi di grande impatto sociale come le
condizioni dei bambini sopravvissuti ai campi di concentramento e la
prostituzione minorile in Gran Bretagna, Stati Uniti e Germania Occidentale. Le
sue ricerche sono sempre caratterizzate da un’intensa e talvolta quasi morbosa
attrazione per il male: i suoi libri più importanti sono lunghe e dettagliate
inchieste su criminali e “mostri” che la scrittrice aveva frequentato
assiduamente per mesi, talvolta per anni, entrando in stretta intimità con loro,
fino a riuscire a comprenderli nel profondo e renderli umani nelle sue pagine,
secondo alcuni, fin troppo simpatetiche nei loro confronti. Scrisse di Mary
Bell, undicenne inglese condannata all’ergastolo per aver strangolato due
bambini di tre e quattro anni (Il caso Mary Bell. Storia di una bambina
assassina, Neri Pozza 2017); di Franz Stangl, il comandante dei campi di
sterminio di Treblinka e Sobibor (In quelle tenebre, Adelphi 1975); e infine,
forse il suo libro più impegnativo, questo appena licenziato da Adelphi, su
Albert Speer, architetto e Ministro per gli Armamenti e la Produzione Bellica di
Hitler.
Gitta, che aveva assistito come inviata speciale al Processo di Norimberga, dove
Albert Speer (1905-1981) aveva rischiato da presso l’impiccagione ma se l’era
alla fine fortunosamente cavata con solo venti anni di carcere, comincia a
frequentarlo dal 1978, quando è ormai un uomo libero da dodici anni e un autore
controverso ma di successo, con alle spalle già due bestseller di valore,
Memorie del Terzo Reich e Diari segreti di Spandau, e un terzo – decisamente
inferiore – Lo stato schiavo, in gestazione. Speer è un personaggio a suo modo
eccezionale e affascinante – di intelligenza superiore, attraente, atletico,
elegante, raffinato e dai modi impeccabili –, Gitta entra in particolare
sintonia con lui, diventa amica della moglie e dei figli, gli presenta suo
marito Donald Honeyman, fotografo della rivista “Vogue”, che lui chiama
affettuosamente “il vecchio Don”, si invitano scambievolmente a cena,
trascorrono insieme weekend e vacanze, da bravi rappresentanti dell’alta
borghesia internazionale, progettano addirittura di scrivere un libro insieme,
una sorta di inventario-schedario psicologico delle principali figure del Terzo
Reich – gli ex amici, colleghi, rivali, di Speer alla corte del Führer. Ma Gitta
continuamente interroga, osserva, prende appunti: il loro rapporto è franco.
“Perché non mi fa subito quella domanda, così ci leviamo il pensiero? Tanto
sempre lì si arriva…” – chiede Speer durante uno dei loro primissimi incontri:
la domanda ovviamente riguarda la conoscenza da parte del Reichsminister –
sempre da lui pubblicamente negata – dell’esistenza dei campi di sterminio e
della “soluzione finale del problema ebraico”. “Ora è presto.” – risponde Gitta
– “Gliela farò quando sarà il momento”.
Speer era l’unico nazista ad aver preso, fino dal suo discorso difensivo a
Norimberga, le distanze da Hitler e dal suo partito, ad averne ammesso i crimini
assumendosene la responsabilità indiretta e ad aver riconosciuto la legittimità
e la giustizia della corte che lo stava giudicando (questa posizione e la
mancanza di prove concrete del suo coinvolgimento, se non in quanto figura
istituzionale, nelle stragi, gli avevano salvato il collo ma assicurato l’odio e
il disprezzo degli ex camerati). I suoi due libri, ricavati dagli appunti
scritti in segreto e faticosamente recapitati all’esterno del carcere di
Spandau, avevano ulteriormente radicalizzato la sua esplicita condanna del
regime hitleriano e dei suoi esponenti, compreso – con un in apparenza
lancinante senso di colpa – sé stesso, tanto da aver portato, dopo l’uscita dei
testi, alla quasi totale rottura dei rapporti con tutti quei collaboratori,
dipendenti e sodali che avevano continuato ad aiutarlo e sostenerlo (anche
economicamente) durante gli anni di prigionia, ma che non erano disposti, pur
condannando gli eccessi, a rinnegare la loro lealtà alla Nazione, e la Nazione
era stata Hitler. Per contro, sull’altro fronte, non erano mancate le accuse di
opportunismo e di malafede: in quanto ministro degli armamenti, Speer non poteva
non sapere, inoltre era pur sempre il teorizzatore e l’artefice della
deportazione di massa e dello sfruttamento di manodopera in stato di schiavitù
presso le industrie belliche tedesche, la cui efficienza organizzativa aveva
protratto di anni la durata della guerra: le condizioni orribili in cui erano
costretti a svolgere la loro indispensabile funzione quei lavoratori coatti non
potevano non essergli note.
Gitta affronta con passione e rigorosa precisione, nelle oltre mille pagine del
suo libro, questa e altre tortuose questioni legate alla figura di Speer, così
seducente e così ambigua. Rampollo di una famiglia dell’alta borghesia
guglielmina, vissuto nel lusso ma schiacciato dall’anaffettività della famiglia
e altrettanto anaffettivo nei suoi rapporti sentimentali e sociali, di
intelletto eccezionalmente brillante, bello ma eroticamente esangue, sportivo
cultore del rugby e dello sci, apolitico e dal 1931 nazista per caso, solo nel
1933 scoppia il colpo di fulmine con Hitler a cui viene presentato da Hess e da
Goebbels. Gitta indaga a fondo sul loro rapporto complesso e, suffragata anche
dall’opinione di Erich Fromm, che intrattenne rapporti cordiali con Speer nel
dopoguerra, giunge a dire che si trattò di un rapporto erotico: nessuno dei due
era omosessuale e non c’era carnalità alcuna tra loro, eppure i due si amavano,
Speer amava Hitler e anche Hitler amava Speer, se mai il dittatore ha provato un
sentimento di amicizia sincera per qualcuno, non può essersi trattato che di una
sola persona: Speer. I due passavano ore a parlare di arte e di architettura –
Hitler, artista frustrato e appassionato di architettura, trovava in Speer uno
specchio e usciva raggiante da quegli incontri, felice e rilassato – e Speer
lusingava in ogni modo possibile il grandeur neoclassicista del Führer con i
mirabolanti progetti per la nuova Berlino, la Welthauptstadt Germania, che
esaminavano e discutevano continuamente, o con scenografie poderose come la
“Cattedrale di luce” per il congresso del partito nel 1934 a Norimberga,
ottenuta posizionando intorno all’arena tutti i riflettori della difesa
antiaerea disponibili, e immortalata nel celebre film di propaganda Il trionfo
della volontà da Leni Riefenstahl: “effetti teatrali”, li avrebbe minimizzati
l’autore parlando con Gitta.
Se tutto sommato Speer era forse un mediocre architetto (“sono di dimensioni
impressionanti” era stato l’unico, gelido commento del suo maestro Heinrich
Tessenow, quando l’ex allievo imbaldanzito gli aveva mostrato i plastici degli
edifici progettati per il partito), in grado però di soddisfare pienamente il
suo mentore, Hitler avrebbe saputo rivelare il suo vero talento nel 1942 dopo la
morte di Fritz Todt (avvenuta in un misterioso incidente aereo: Todt aveva
appena implorato Hitler di porre fine in ogni modo a una guerra che non si
poteva più vincere…), quando sorprendentemente nominò al suo posto lui, che non
aveva alcuna esperienza in materia di produzione industriale: “ministro agli
armamenti e alla produzione bellica”. Il regalo di un amante all’amato, e
l’amato ricambiò lavorando alacremente per migliorare l’industria bellica e per
fronteggiare la riparazione degli impianti danneggiati dai sempre più frequenti
bombardamenti alleati. Speer, rivelando capacità organizzative e di
pianificazione assolutamente straordinarie si era circondato di un gruppo di
giovani manager, limitando al minimo l’apparato burocratico, e raggiunse
inusitatamente l’apice della produzione tedesca nel 1944, quando la situazione
militare ed economica della Germania era ormai critica. Un talento eccezionale
che, però, prolungò la guerra di almeno un anno, schiavizzando la manodopera a
costo zero fornita dagli internati richiusi nei campi di concentramento.
Questo strano amore, forse ormai amore-odio, prosegue fino all’ultimo. I due
amanti si deludono a vicenda ma non riescono a lasciarsi: il nome di Speer viene
ritrovato nell’elenco dei possibili ministri del governo provvisorio che sarebbe
subentrato se l’attentato di Von Stauffenberg a Hitler, il 20 luglio del 1944,
non fosse fallito: il nome di Speer e un punto interrogativo – un punto
interrogativo che gli aveva probabilmente salvato la vita. Ancora, Speer
disubbidisce al suo Führer e si rifiuta, per il bene del popolo tedesco, di
mettere in atto la strategia della “terra bruciata” (disposta da Hitler nel
cosiddetto decreto Nerone), che si proponeva di distruggere completamente ogni
infrastruttura nei territori tedeschi caduti in mano al nemico; sosterrà anche
di aver progettato addirittura un secondo attentato a Hitler immettendo gas
nervino negli impianti di aerazione del bunker sotto la Cancelleria di Berlino
che lui stesso aveva progettato – Gitta dimostra però che era solo una fantasia,
utile tuttavia da spacciare per vera a Norimberga. Rischierà invece la vita
tornando appositamente a Berlino sotto assedio russo, il 24 aprile del 1945,
solo per poter vedere per l’ultima volta Hitler nel bunker; riesce a salutare
l’amica Eva Braun (“All’apparenza una semplice ragazza di Monaco, che non aveva
niente di speciale…e invece era una donna straordinaria” – dirà di lei);
Goebbels non gli permette di dire addio in privato alla moglie Magda (che
vorrebbe cercare di dissuadere dall’uccidere i figli); incontra infine Hitler ma
l’addio è rapido e freddo (“Nessun augurio, nessun ringraziamento, nessun saluto
alla mia famiglia…”).
L’idillio è finito e Speer potrà rinnegarlo a Norimberga. Negherà, negherà
sempre, negherà tutto. Negherà di aver assistito fin dal 1943 ai discorsi di
Posen in cui Himmler aveva dichiarato, di fronte ad una selezionata platea di
generali delle SS, Reichsleiter, Gauleiter, e altre alte gerarchie del Reich, la
pianificazione dello sterminio, parlando, senza i consueti eufemismi e in
maniera diretta ed esplicita, di «uccisione» e «annientamento» del popolo
ebraico – dipingendo questo crimine come la missione «storica» del
nazionalsocialismo. Gitta dimostra che Speer mentiva spudoratamente, eppure
dimostra anche che il suo pentimento non era affatto falso e ipocrita e che le
manifestazioni fisiche del suo disagio – di cui era stata testimone – erano
autentiche e sincere. Speer aveva intrapreso una profonda riflessione spirituale
con l’aiuto di un cappellano protestante, Casalis, di un monaco cattolico, padre
Athanasius, e perfino di un amorevolissimo rabbino, Aba Geis; aveva donato
anonimamente una parte dei ricavi per i diritti d’autore dei suoi libri ad
istituzioni benefiche ebraiche; molto disponibile, eppure a detta di altri
altezzoso, apriva le porte di casa a chiunque volesse incontrarlo e dedicava
qualche minuto del suo tempo anche agli sconosciuti che volevano parlargli o
semplicemente farsi firmare una copia; in qualche modo aveva cercato di fare i
conti, come poteva, col suo passato. Non era né un diavolo, né un santo.
Comunque sia, Simon Wiesenthal, il cacciatore di nazisti, gli aveva detto
incontrandolo: “Se quanto sappiamo oggi su di lei l’avessimo saputo a
Norimberga, sarebbe finito appeso a un cappio come gli altri”. Ma non era questa
la fine di Speer, lo attendeva una morte assai più dolce: lui, uomo fortunato e
fascinoso, architetto di successo, ministro del Reich, scrittore di best seller
internazionali – come ci racconta l’incredula Gitta nelle ultime pagine del suo
appassionante volume – sarebbe morto per un ictus improvviso nella camera di un
Hotel esclusivo di Londra, dove aveva partecipato a un’intervista per un
programma storico della BBC, presumibilmente tra le braccia della sua giovane
amante. A 75 anni, infatti, aveva tardivamente scoperto l’amore sensuale e
tradito l’ormai anziana moglie Margarete, allacciando una intensa relazione con
una bellissima quarantenne tedesca trasferita in Inghilterra, che si era
innamorata di lui leggendo i suoi libri. Ancora una volta Albert Speer aveva
fregato tutti.
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