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Venezia 2025. La vittoria morale del film sul genocidio a Gaza
L’edizione 2025 della Mostra del Cinema di Venezia verrà ricordata soprattutto per l’ovazione al film che ritrae un episodio vero del genocidio palestinese –  “The voice of Hind Rajad” della regista tunisina Kaouther Ben Hania – e per l’affollata manifestazione pro Palestina, alla quale hanno partecipato anche personaggi del mondo dello spettacolo e accreditati al festival. La pellicola su Gaza aveva già vinto nel cuore di molti il Leone d’oro e c’è stata meraviglia di fronte a un verdetto che lo ha assegnato a un film passato inosservato. Alexander Payne, il presidente della Giuria, sul riconoscimento massimo pervenuto al più tranquillizzante “Father, mother, sister, brothers” di Jim Jarmush ha dichiarato: “”Abbiamo apprezzato entrambi i film, ma il regolamento non permette l’ex aequo. È stato uno 0,001% a portarci a questa decisione” e ha smentito che qualcuno dei giurati minacciasse di andarsene. Il direttore della Mostra Alberto Barbera ha spiegato che la scelta era stata dettata dalle divergenze tra chi privilegia il filone politico e il cinema-cinema. Resta il fatto che “The voice of Hind Rajab” è cinema cinema, come quello neorealista del dopoguerra. La regista tunisina Kaouther Ben Hania e il suo cast sono stati impeccabili per professionalità: chi pensasse sia facile ricostruire gli avvenimenti attraverso la richiesta di aiuto di una bambina di sei anni, saper tenere chi guarda con il fiato sospeso, farlo commuovere e partecipare, si sbaglia di grosso. Ciò accade solo se sei bravo e “The voice of Hind Rajab” avrebbe meritato il Leone d’oro quale lavoro di altissimo livello. Alla consegna del Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria, la regista Kaouther Ben Hania ha voluto dedicare “il premio alla Mezzaluna Rossa palestinese e a tutti quelli che rischiano la vita per salvare vite a Gaza, cercano di ascoltare voci che non trovano risposta come quella di Hind e continueranno finché qualcuno non si prenderà la responsabilità di quello che sta accadendo. Il cinema non ce la riporterà e non oscura le atrocità commesse, ma può conservare la sua voce perché la sua storia non è solo sua, ma è tragicamente quella di un popolo che subisce un genocidio da parte dell’esercito israeliano”. Jim Jarmusch, che con il film “Father Mother Sister Brother” ha conquistato il Leone d’oro, ha anche lui preso posizione sulla questione palestinese: “”Non voglio sostegno dal governo israeliano – ha detto – non voglio venga mostrato da loro. La popolazione di Israele è meravigliosa, amo le persone che non sono a favore di Netanyahu. Non mi pace il totalitarismo perché il primo passo è dividerci, è così che ci prendono in giro. Se c’è denaro da parte del governo israeliano, allora il mio film non verrà distribuito”. Benedetta Porcaroli, vincitrice del premio per la miglior interpretazione femminile per “Il rapimento di Arabella” di Carolina Cavalli nella sezione Orizzonti, ha lanciato una dedica a coloro “che sono sulla Global Sumud Flotilla che ci ricordano che non è tutto finito e che c’è un motivo valido per alzarsi la mattina, che si chiama umanità.” Toni Servillo, Coppa Volpi per la migliore interpretazione nel film  “La Grazia “di Paolo Sorrentino, ricevendo il riconoscimento ha voluto anch’egli ricordare il valore dell’azione dei volontari della Global Sumud Flotilla in viaggio verso Gaza per salvare vite. Finita la premiazione la serata veneziana si è chiusa con le parole lungimiranti del cardinale Perbattista Pizzaballa, in collegamento da Gerlusalemme: “La violenza a cui stiamo assistendo è un linguaggio violento e disumanizzante. Questa guerra deve finire, è tempo di fermarla, ma la fine che auspichiamo non sarà la fine del conflitto e del dolore. Dobbiamo lavorare molto, soprattutto noi credenti e chi fa cultura, per una narrativa diversa.” Insomma la vittoria morale, resa tangibile dall’atmosfera al Lido e dalle molte dichiarazioni, è stata degli artisti che hanno messo messo il dito nella piaga di ciò che avviene a Gaza. Di seguito tutti i premi. La Giuria di VENEZIA 82, presieduta da Alexander Payne e composta da Stéphane Brizé, Maura Delpero, Cristian Mungiu, Mohammad Rasoulof, Fernanda Torres e Zhao Tao, dopo aver visionato i 21 film in competizione ha deciso di assegnare i seguenti premi: LEONE D’ORO per il miglior film a: FATHER MOTHER SISTER BROTHER di Jim Jarmusch (USA, Irlanda, Francia) LEONE D’ARGENTO – GRAN PREMIO DELLA GIURIA a: THE VOICE OF HIND RAJAB di Kaouther Ben Hania (Tunisia, Francia) LEONE D’ARGENTO – PREMIO PER LA MIGLIORE REGIA a: Benny Safdie per il film THE SMASHING MACHINE (USA) COPPA VOLPI per la migliore interpretazione femminile a: Xin Zhilei nel film RI GUA ZHONG TIAN (THE SUN RISES ON US ALL) di Cai Shangjun (Cina) COPPA VOLPI per la migliore interpretazione maschile a: Toni Servillo nel film LA GRAZIA di Paolo Sorrentino (Italia) PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a: Valérie Donzelli e Gilles Marchand per il film À PIED D’ŒUVRE di Valérie Donzelli (Francia) PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA a: SOTTO LE NUVOLE di Gianfranco Rosi (Italia) PREMIO MARCELLO MASTROIANNI a un giovane attore o attrice emergente a: Luna Wedler nel film SILENT FRIEND di Ildikó Enyedi (Germania, Ungheria, Francia) Orizzonti La Giuria ORIZZONTI della 82. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, presieduta da Julia Ducournau e composta da Yuri Ancarani, Fernando Enrique Juan Lima, Shannon Murphy e RaMell Ross, dopo aver visionato i 19 lungometraggi e i 14 cortometraggi in concorso, assegna: PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR FILM a: EN EL CAMINO (ON THE ROAD) di David Pablos (Messico) PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE REGIA a: Anuparna Roy per il film SONGS OF FORGOTTEN TREES (India) PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA ORIZZONTI a: HARÀ WATAN (LOST LAND) di Akio Fujimoto (Giappone, Francia, Malesia, Germania) PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE ATTRICE a: Benedetta Porcaroli nel film IL RAPIMENTO DI ARABELLA di Carolina Cavalli (Italia) PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR ATTORE a: Giacomo Covi nel film UN ANNO DI SCUOLA di Laura Samani (Italia, Francia) PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a: Ana Cristina Barragán per il film HIEDRA  (THE IVY) (Ecuador) PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR CORTOMETRAGGIO a: UTAN KELLY (WITHOUT KELLY) di Lovisa Sirén (Svezia) Premio Venezia opera prima La Giuria LEONE DEL FUTURO – PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIIS” della 82. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, presieduta da Charlotte Wells e composta da Erige Sehiri, Silvio Soldini assegna il premio LEONE DEL FUTURO PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIIS” a: SHORT SUMMER di Nastia Korkia (Germania, Francia, Serbia) GIORNATE DEGLI AUTORI Venezia Spotlight PREMIO DEGLI SPETTATORI – ARMANI BEAUTY a: CALLE MÁLAGA di Maryam Touzani (Marocco, Francia, Spagna, Germania, Belgio) Venezia Classici La Giuria di VENEZIA CLASSICI presieduta da Tommaso Santambrogio e composta da 23 studenti – indicati dai docenti – dei corsi di cinema delle università italiane, assegna: il PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR DOCUMENTARIO SUL CINEMA a: MATA HARI di Joe Beshenkovsky e James A. Smith (USA) il PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR FILM RESTAURATO a: BASHU, GHARIBEYE KOOCHAK (BASHÙ, IL PICCOLO STRANIERO) di Bahram Beyzaie (Iran, 1985) Venice Immersive La Giuria VENICE IMMERSIVE presieduta da Eliza McNitt e composta da Gwenael François e Boris Labbé dopo aver visionato i 30 progetti in concorso, assegna: il GRAN PREMIO VENICE IMMERSIVE a: THE CLOUDS ARE TWO THOUSAND METERS UP di Singing Chen (Taipei, Germania) il PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA VENICE IMMERSIVE a: LESS THAN 5GR OF SAFFRON di Négar Motevalymeidanshah (Francia) il PREMIO PER LA REALIZZAZIONE VENICE IMMERSIVE a: A LONG GOODBYE di Kate Voet e Victor Maes (Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi)     Bruna Alasia
Venezia 2025. “A house of dynamite”: il rischio di una guerra atomica è reale
In conferenza stampa a Venezia Kathryn Bigelow, una delle registe più impegnate sul piano dell’antimilitarismo, ha detto: “Oggi nove Paesi sulla terra hanno il nucleare e la capacità di annientare il mondo. La situazione è instabile, e abbiamo costruito un armamentario che potrebbe distruggere tutto. E’ un miracolo che non sia già successo. Credo che sia importante avviare una riflessione, ora che stiamo vivendo in una casa di dinamite”. Il suo film “A House of  Dynamite”, in concorso a Venezia per il Leone d’oro, racconta la possibilità di un attacco nucleare di provenienza non identificata e il modo in cui questo potrebbe essere contrastato, ovvero la probabile impasse  suicidaria del caos. Ad esempio, se puta caso si trovasse di fronte a un missile non rivendicato, partito erroneamente, cosa farebbe il governo americano? La Bigelow mette credibilmente in evidenza le relative incertezze e interrogativi, le incomprensioni, l’impossibilità di decidere, la probabilità che quell’arsenale di sicurezze e di controllo che l’uomo crede di aver costruito non esista. Il film narra di un centro di sorveglianza statunitense che un giorno intercetta un lancio ostile, la cui provenienza è sconosciuta e inizia una corsa contro il tempo per neutralizzarlo. Vengono coinvolti lo Studio Ovale, il Presidente, il Segretario della Difesa, il personale strategico e militare, la sala stampa. Si fanno proposte al buio per sventare un attacco atomico, a riprova che l’era delle armi nucleari non solo non è finita, ma la loro gestione è complessa al punto da incentivare una guerra. La storia si compone di tre parti, che da tre diversi punti di vista rimettono in scena la stessa problematica,  riuscendo a creare la tensione dell’incomprensione, dell’incertezza e dell’assurdo. Viene in mente la possibilità di una guerra atomica per errore, di una guerra scatenata dall’intelligenza artificiale, di un mondo che si auto-annienta per l’incapacità umana di pensare e agire. Una sorta di follia che, purtroppo, suona come un pericolo vero. A House of Dynamite Un film di Kathryn Bigelow con Rebecca Ferguson, Anthony Ramos, Idris Elba, Willa Fitzgerald, Renée Elise Goldsberry. Genere: Drammatico. Durata: 112 minuti. Produzione: USA 2025. Bruna Alasia
Venezia 2025. “The Voice of Hind Rajab”, testimonianza reale sulla strage degli innocenti a Gaza
Una bambina di sei anni, Hind Rajab, nel gennaio 2024 a Gaza è rimasta intrappolata in un’automobile dove viaggiava con dei parenti. L’auto colpita dalle forze israeliane lasciò casualmente sopravvivere solo lei. Contattata fortunosamente dalle forze palestinesi della Mezzaluna Rossa la piccola riuscì a tenere un legame telefonico. Quei colloqui furono registrati dai soccorritori e oggi il film, fatto con vera professionalità e cuore, dalla tunisina Kaouther Ben Hania si impernia sugli strazianti dialoghi  tra loro: la voce della bambina è reale e invoca aiuto, cosciente del pericolo della morte, dando la dimensione della crudele “strage degli innocenti” … Fin dal mattino alla Mostra del cinema di Venezia per questo film – molto affollato dalla stampa e con evidenza il più applaudito di tutti, non solo per l’aspetto politico, ma anche per la capacità della confezione stilistica – la sicurezza aveva aumentato i controlli dei giornalisti in entrata in sala, creando lunghissime file, per le quali alcuni hanno avuto accesso in ritardo o hanno dovuto rinunciare. Dopo la manifestazione pro Gaza, che ha inondato il Lido il 30 agosto, c’era molta paura tra gli organizzatori. Ma l’ambiente che frequenta queste manifestazioni è per antonomasia  nonviolento e non è successo nulla. Nell’emozionante conferenza stampa, la regista tunisina Kaouther ben Hania ha spiegato perché ha deciso di fare il film: “Le notizie si dimenticano, il cinema può costruire preziosi momenti di empatia, permette di vedere il mondo da un altro punto di vista, quello dei palestinesi e specificatamente degli eroi che cercano di salvare vite e si confrontano con ostacoli tremendi. Questo film è molto importante per me, quando ho sentito per la prima volta la voce di Hind Rajab, era la voce di Gaza che chiedeva aiuto. La rabbia e il senso di impotenza hanno dato origine al film”. The Voice of Hind Rajab (2025). Un film di Kaouther Ben Hania con Saja Kilani, Amer Hlehel, Clara Khoury, Motaz Malhees. Genere: Drammatico. Durata: 89 minuti. Produzione: Tunisia, Francia 2025.     Bruna Alasia
Venezia 2025. “Il mago del Cremlino”, ritratto di Vladimir Putin e della sua Russia
“Il mago del Cremlino”, con taglio da thriller, riassume un trentennio delle vicende socio-politiche russe, dall’inizio degli anni ’90, focalizzandosi in particolare sull’ascesa di Vladimir Putin dal 1999, anno dell’abdicazione di Eltsin, fino al 2020. E’ l’ultimo lavoro del regista francese Olivier Assayas, in corsa a Venezia per il Leone d’oro, basato sull’omonimo romanzo ispirato a fatti reali di Giuliano da Empoli, vincitore nel 2022 del Grand Prix du  roman de l’Academie francaise. “Il mago del Cremlino” è in sintesi un identikit di Vladimir Putin filtrato attraverso il racconto della vita privata e della carriera di Vadim Baranov (interpretato da un bravissimo Paul Dano), ex artista ed esperto di comunicazione televisiva assurto a consigliere dello zar e influencer politico nella nuova Russia. Vadim Baranov nel film è la voce narrante che, accettando di confidarsi con un giornalista americano interessato alla ricostruzione storica della nuova dittatura, ripercorre gli avvenimenti e delinea un ritratto di Putin e della sua Russia. Baranov si configura come colui che con altri rese possibile a Putin di divenire il nuovo zar: il personaggioè ispirato all’ esistente Vladislav Surkov, abile stratega della comunicazione, a lungo braccio destro del Presidente. Interpreta Vladimir Putin un Jude Law che sorprende per la capacità di evocare le espressioni e la camminata del vero ex agente segreto, al punto che quando attraversa sparato i  corridoi del Cremlino sui tappeti rossi, viene da chiedersi se siano filmati di repertorio o scene del film. L’attore esalta la maschera di gelo propria del presidente russo, abituato ad agire nelle retrovie, fatto capo del governo perché sottovalutato dai suoi fautori, ai quali nascose la sua insaziabile sete di potere attraverso un’astuta e distaccata implacabilità manipolatoria. Altro personaggio è importante la moglie di Vadim Baranov, a cui presta il corpo una Alicia Vikander molto convincente. Il suo ruolo di affascinante seduttrice completa il quadro della Russia di quel tempo: un Paese dove in nome del denaro tutto è diventato lecito, gli oligarchi come squali fiutano il sangue della ricchezza e la vittoria è del più  spietato. “Il mago del Cremlino” è un film che saprà accattivarsi lo spettatore medio e illuminarlo sulla figura di Putin e su quanto sta accadendo in Russia. Pregio non da poco, visto quanto è difficile nella stessa Europa far sì che la gente si informi con serietà. Una storia attuale, modello del totalitarismo delineato in tutti i suoi dettagli, compreso quelli in cui un esercito di gregari favorisce l’incoronazione del capo supremo, il quale una volta insediato fagocita i suoi stessi fautori e diventa un pericolo per la libertà e la sopravvivenza di milioni di persone. Regia di Olivier Assayas. Un film con Paul Dano, Jude Law, Alicia Vikander, Jeffrey Wright, Tom Sturridge Titolo originale: The Wizard of the Kremlin. Genere: Drammatico, Thriller, Francia, 2025,  Durata: 120 minuti.  Distribuito da 01 Distribution.  Bruna Alasia
Venezia 2025. “A pied d’oeuvre”, quando la creatività non è un valore
La creatività, fondamentale per una vita sana, nella nostra società resta un lusso – talvolta una fortuna – per pochissimi che ne hanno la forza. E’ questo che viene in mente dopo aver visto il film della francese Valerie Donzelli che porta sullo schermo la biografia di Franck Courtès, classe 1969, artista che, per amore della letteratura, ha compiuto un atto che solo pochi, con vera passione creativa, hanno il coraggio di fare: abbandonare tutto per diventare scrittore. Lo sviluppo della creatività umana, la possibilità di esprimere la propria identità, è di un’importanza ormai assodata per i pensatori, educatori, scienziati più avanzati del nostro tempo: un vero e proprio antidoto alla distruttività insita nell’uomo. La nostra società cannibalesca, così dimostra la regista, tende però a relegare l’individuo a “cosa”, a sfruttarlo e svalutarlo seguendo la legge del più forte e del mercato. Come dice Valerie Donzelli: “Questo film mette in discussione il valore che diamo a una vita guidata da una passione silenziosa, poco spettacolare, ma inarrestabile: il bisogno di creare, qualunque cosa accada”. Ispirandosi dunque a una storia vera la Donzelli ci racconta di Paul Marquet, che si licenzia a 42 anni dal lavoro di fotografo che aveva sempre assicurato il benessere alla sua famiglia, sperando di cavarsela con la liquidazione, fino alla pubblicazione del libro che avrebbe dovuto catapultarlo in una dimensione più libera e soddisfacente. La vita però non sempre va nella direzione dei nostri desideri e la strada che Paul intraprende è impervia: si scopre sempre più povero perché quel che scrive non vende, deve vivere di lavoretti saltuari come qualsiasi precario e la sua famiglia gli contesta l’irresponsabilità della scelta … Il film di Valerie Donzelli è insieme uno scorcio sulla routine di chi campa giorno per giorno guadagnando pochissimo, sfruttato  economicamente e depauperato del talento,  realtà assodata di molti delle nuove generazioni, e l’impervia lotta di un uomo alla conquista della propria libertà e realizzazione.  Ci sono esempi di artisti, nella storia della letteratura, come nel cinema e in altre arti, che ricordano la decisione di  Franck Courtès: uno è Henry Miller, che ha sempre scritto con erotismo di sesso rifiutato dalle case editrici, per arrivare a pubblicare nello stile e con gli argomenti da lui voluti solo a sessant’anni. In casa nostra il contemporaneo Simone Perotti ha fatto lo stesso rischioso salto e ha dato alle stampe, tra i suoi molti libri, “Adesso basta. Lasciare il lavoro e cambiare vita. Filosofia e strategia di chi ce l’ha fatta.” A pied d’oeuvre (2025). Un film di Valérie Donzelli con Bastien Bouillon, André Marcon, Virginie Ledoyen, Claude Perron, Mike Bujoli. Genere: Drammatico. Durata: 92 minuti. Produzione: Francia 2025.   Bruna Alasia
Venezia 2025. In corsa per il Leone “Orphan” su memoria e identità
Ambientato nel 1957 a Budapest, a pochi mesi dalla rivolta soffocata nel sangue dal regime comunista, “Orphan” dell’ungherese Laszlo Nemez racconta di Andor, un ragazzo ebreo, il cui padre è morto drammaticamente; sua madre, parlandone con il figlio, ne ha idealizzato il ricordo.  Un giorno Andor, all’apparire di un uomo brutale che afferma di essere il suo vero padre, rimane completamente sconvolto e rifiuta di credere che sia colui che lo ha messo al mondo … Laszlo Nemes ha un curriculum d’autore: al suo debutto  alla regia con “Il figlio di Saul” ha vinto nel 2015 il  Grand Prix Speciale  della Giuria al Festival di Cannes, il  Premio Golden Globe per il miglior film straniero  e il Premio Oscar nella medesima categoria. E sempre con “il figlio di Saul” ha ottenuto anche il David di Donatello per il miglior film dell’Unione Europea nel 2016. I suoi film sono ispirati alla storia della sua famiglia, “Orphan” in particolare all’infanzia di suo padre. Laszlo Nemes afferma: “La storia della mia famiglia è servita da tela per Orphan, abbracciando le devastazioni dell’Olocausto e la tirannia del regime comunista. Volevo creare un linguaggio cinematografico che permettesse allo spettatore di rivisitare l’esperienza traumatica di un bambino, intrappolato tra la percezione di un ragazzo schiacciato da un mondo minaccioso e un triangolo familiare che non riesce a comprendere.  In definitiva il film esplora una questione di oscurità interiore: Andor, il giovane eroe di Orphan, accetterà la stoffa di cui è fatto?” Orphan è un film sulla ricerca della propria identità. Il piccolo Andor lotta per capire quali siano le sue vere radici e per trovare una collocazione e un senso di appartenenza nel mondo, in modo da risolvere la propria confusione interiore. È in questa dimensione che il film tocca le corde più profonde e intime,  interrogandoci su come la memoria e le radici siano fondamentali per costruire la propria personalità. Nel destino di un bambino ebreo trapela il ritratto di un Paese schiacciato dal terrore e dalla censura, offrendo una lettura di quanto il passato possa farsi prigione. Orphan (2025)  Regia di László Nemes Genere: Drammatico, storico, psicologico  Cast: Bojtorján Barábas, Andrea Waskovics, Grégory Gadebois, Elíz Szabó, Sándor Soma, Marcin Czarnik    Durata: 132 minuti Bruna Alasia