Maria Luisa Vezzali / Dove il tempo si prende lo spazio
Una nuova opera di Maria Luisa Vezzali dà agio a chi frequenta la scrittura
poetica, e la poesia (non sono identica cosa) favorendo prospettive rimaste
nell’ombra troppo a lungo e fuori dal campo visivo dei più. Consente nuovi
spostamenti nei perimetri di ciò che si dovrebbe conoscere ma che invece resta
ignoto. Per mancanza di viaggi, di letture, di conversazioni. E, se andiamo a
dare un’occhiata a quanto ci offre il “mercato” della poesia, scopriamo che
l’inattualità per Lo spettro di casa è più di una sfumatura storica, o per
meglio dire di pratica letteraria. Invece di “durata” bisogna parlare, e
persuadersi che la realtà ha bisogno di scrittori che diano un nome ai fatti e
alle cose accadute, e che diano tempo nuovo alle epoche attraversate aiutandosi
col tatto. Cercare la grana delle immagini, sotto i polpastrelli (la seconda
vista diventa prima) – così come accade imbattendosi nelle fotografie cui questo
libro riserva il giusto spazio.
Siamo lontani dalle leve diaristiche che difficilmente proiettano dignità
intorno a sé, tanto che la critica corrente non sa più che fare per approfondire
e tentare di risolvere gli squilibri non si sa quanto precari o longevi. La
scomparsa di Vittorini, Sereni, Zanzotto, Porta e Rosselli è scritta sui
giornali, non sui libri sempre meno partecipanti allo choc storico cui
assistiamo: popolato di voci povere di mezzi nella smisurata forzatura del
pubblicare. Sono nodi difficili da reggere dandosi il tempo per districarli,
senza contare che gli umori personali diluiscono la voglia di imparare. Dunque,
togliamoci dalla testa l’idea che la cosa vada esposta così com’è, un poeta
dovrebbe star lontano dalla profusione e prendere alla lettera i suoi
accostamenti vitali alla realtà. Se non altro per certi periodi della vita.
Questo è quanto Vezzali attua decidendo di non ignorare il (cosiddetto) tempo
che dal 2023 viaggia fino al 1977 – in definitiva, significa non ignorare sé
stessa. Finalmente il fermento del futuro, nella propria ricerca, fermenta il
passato. Tensioni profonde del tempo, necessarie quanto inevitabili se si tiene
conto di maturazioni e nuove conoscenze, di angoli dove sono finite tutte le
carte dei giorni. Ecco come lo spazio irrompe nella fiducia che occorrerà per
accordare l’esperienza.
Le onde luminose viaggiano, sono la struttura degli accadimenti, noi le
percepiamo come “spettri” fedeli ai luoghi che ci hanno visti crescere e agire –
scrivere su di esse è una anomalia consolidata, quella che per Vezzali è la casa
della vita e che forma e trasforma in poesia. L’intima intonazione delle parole
in ogni testo è il segno che si è state ragazze quando la città conteneva
cortili gentili e strade infuriate, e c’erano anche artisti sui selciati
emiliani degli anni ’70. L’irruzione della storia non prende il sopravvento sul
linguaggio perché la storia produce conoscenza di per sé. Gli anni sono “cicli”,
lì il tempo si prende lo spazio che serve alle voci per diffondere la scrittura.
Ed ecco, durante la lettura di questo libro accade qualcosa: si alzano suoni,
onde muovono l’aria e fanno vibrare le immagini in bianco e nero che così non
raccontano più i fatti propri dell’autrice ma la storia che comprende tutti. Ma
Vezzali evita gli stereotipi, sa che le anomalie del vissuto vanno costrette a
dura indagine attraverso il linguaggio. A questo serve la poesia, la sua
diversità.
Difficile mettere sulla stessa strada la lingua madre e il tempo che legano chi
ammette che la poesia resta inconciliabile col resto del mondo. Occorre
sopportare l’intemperanza della politica e i mutamenti del proprio passo,
l’andatura che varia durante i decenni, l’essere discorde perfino col proprio
credo, e in ultimo con la morte. Anche interrompersi durante lo scontro del
buonsenso, qualunque cosa significhi, con i virus più antichi del genere umano e
le stragi avviate dall’uomo sull’uomo. In tutto questo, e di molto altro ancora
a cui bisognerà ragionare, Lo spettro di casa sta come realizzazione del
linguaggio che Vezzali dal 1977 ha gradualmente riconosciuto come poesia. Negli
anni successivi si è capito che poco c’è da ottenere ma sempre qualcosa da
colmare, dalle parole incontrate al dolore necessario perché siano poesia.
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Pulp Magazine.