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Nicole Claveloux & Édith Zha / Il femminismo che ridisegnò Métal Hurlant
Ci sono almeno due motivi per essere grati alla casa editrice Eris che pubblica La mano verde e altri racconti di Nicole Claveloux e Édith Zha. Il primo è l’aver riportato all’attenzione un’autrice che in Italia era pressoché sconosciuta: la maggior parte dei lettori – se la ricordava – la associava soltanto ai libri illustrati per bambini usciti ormai quasi 50 anni fa. Il secondo motivo riguarda la riproduzione straordinaria delle sue tavole, un lavoro non facile perché Claveloux disegnava direttamente sul ridotto della rivista Métal Hurlant, applicando colore e aerografo sulla pagina finale. Riprodurre fedelmente quei passaggi cromatici, quei segni fittissimi, quelle velature acide e irreali è un lavoro che richiede una cura rara, e qui pienamente riconoscibile. Il volume raduna materiali pubblicati tra il 1976 e il 1978 su Métal Hurlant e Ah! Nana, il suo effimero supplemento femminista. Métal Hurlant non era certo la prima rivista di fumetti francese – esistevano già Pilote, L’Écho des Savanes, Pif Gadget e molte altre – ma fu la prima a incarnare un progetto estetico radicale: un fumetto adulto, visionario, apertamente sperimentale, dove la fantascienza diventava laboratorio formale e la linea di Moebius (uno dei fondatori della rivista) dettava una nuova grammatica del possibile. Dentro questo contesto così marcato, Ah! Nana rappresentò un gesto ulteriore, femminista e libertario, subito osteggiato e rapidamente censurato. È un femminismo tipico degli anni Settanta, lontano dalla codificazione identitaria odierna: satirico, antagonista, in conflitto con ruoli sociali rigidi. Lo mostrano bene le storie di “Panka Neve”, corrosiva parodia di Biancaneve, o il racconto della donna cresciuta e morta nel mito del principe azzurro. Il bersaglio, naturalmente, non è la donna, ma il dispositivo narrativo che la imprigiona; e lo smontaggio passa attraverso grottesco, ironia, deviazione. Il centro del libro è La mano verde, unico racconto a colori. La storia uscì su più numeri di Métal Hurlant, ognuno intitolato secondo una tonalità dominante: La mano verde, L’erba nera, La notte bianca, La paura blu, Le baracche viola. Il colore struttura gli episodi come una sequenza di stati sensoriali. Claveloux costruisce la pagina attraverso contrasti violenti: gialli acidi che si impongono sui blu, arancioni velenosi contro azzurri innaturali, porpora che assorbono il verde. La luce si comporta come una forza che devia, altera, spinge le figure ai margini della loro forma. La casa percorsa da gialli inquieti, da domestica diventa un luogo instabile; il giardino si trasforma in un campo di tensioni; la sala da pranzo vibra di rosa e verdi tossici; la foresta rossa esplode come un delirio cromatico; il finale, immerso in un blu assoluto, chiude tutto in una sospensione emotiva. In La mano verde il colore non solo accompagna ma produce la scena e la storia.  È interessante a proposito del titolo della storia leggere la nota sulle difficoltà incontrate dalla traduttrice per rendere in italiano il senso e le intenzioni ‘coloristiche’ dell’autrice. Un’altra parte essenziale di questa costruzione visiva nasce dall’incontro con Édith Zha. La sua scrittura introduce un ritmo che l’illustrazione pura non prevede: una successione di passaggi, uno scarto temporale, una metamorfosi. La fantasia di Claveloux trova così una direzione senza perdere libertà. Il rapporto tra le due autrici dà forma a una narrazione che si estende, si contrae, si trasforma, seguendo un principio più atmosferico che lineare. Accanto al racconto a colori, il volume presenta un nucleo di storie in bianco e nero che rivelano un registro diverso, fondato sull’incisione del segno. Qui la trasformazione passa attraverso il tratteggio, le ombre fitte, le prospettive che scivolano. Le architetture sembrano respirare, i volti si deformano, nel numero speciale dedicato dalla rivista a H.P. Lovecraft i gatti riempiono la scena come presenze enigmatiche. L’immaginazione non si espande come nel colore: si addensa. Le superfici inchiostrate pulsano di dettagli barocchi e suggeriscono mondi interi attraverso minime variazioni. In filigrana affiora una genealogia surrealista. Le forme che si sciolgono e ricompongono altrove richiamano Jean Arp; le texture ambigue, le stratificazioni e gli scarti di superficie rimandano a Max Ernst; l’ironia feroce e la deformazione morbida dialogano con Roland Topor allora figura imprescindibile in Francia. Non si tratta di citazioni, ma di un clima: una postura visiva che tratta la pagina come luogo di instabilità. Lo spazio di Métal Hurlant, dominato dalla star e matita di punta Moebius – autore che per molti versi prosegue, in chiave contemporanea, la tradizione delle forme biomorfiche e dell’automatismo surrealista – era un ambiente visivo fortissimo, ma anche un contesto in cui la voce di Claveloux riuscì a mantenere una piena autonomia poetica. Come osserva Paolo Interdonato nella  postfazione del libro, Nicole Claveloux percorre traiettorie laterali del fumetto: non cerca uno stile uniforme e non si appoggia a generi riconoscibili. Questa libertà oggi risulta particolarmente evidente. Il successo della graphic novel ha introdotto nel fumetto un modello narrativo più vicino alla forma-romanzo, con un forte investimento psicologico e una linearità spesso rassicurante. Il lettore contemporaneo tende dunque a cercare riconoscibilità, coerenza, continuità. Di fronte a Claveloux questo automatismo si interrompe: la pagina chiede di essere guardata, non seguita; i passaggi non si dispongono in ordine, ma aprono spazi inattesi. I racconti raccolti nel volume ricordano che il fumetto può anche essere un territorio aperto, capace di interrogare e di spostare il lettore. Claveloux :invita a lasciarsi attraversare da colori che non appartengono alla natura, da forme che mutano sotto gli occhi, da ambienti che sfuggono alla logica. In un momento in cui il fumetto rischia di essere percepito soprattutto come romanzo illustrato, La mano verde restituisce una possibilità più antica e più viva: fare della pagina un campo di libertà, un luogo dove forma e senso si generano a vicenda senza gerarchie.   L'articolo Nicole Claveloux & Édith Zha / Il femminismo che ridisegnò Métal Hurlant proviene da Pulp Magazine.
Alejandro Jodorowsky, Moebius / Cronache picaresche del prossimo messia
Smontare la razionalità occidentale pezzo per pezzo, costruendo un culto visivo dove religione, desiderio e delirio si fondono senza pudore: con una coppia come Jodorowsky e Moebius non ci si può aspettare nulla di meno e la riedizione di La pazza del Sacro Cuore segna un’esplosione della nona arte che sfida ogni ortodossia, narrativa e morale. Edizioni BD raccoglie in un volume unico i tre capitoli che compongono questa avventura onirica e fuor di sesto, senza dubbio una delle opere più sorprendenti del sodalizio tra i due artisti, già consacrato con la celebrata collaborazione su L’Incal, Gli occhi del gatto e Artigli d’angelo. Inizialmente pubblicato in Francia tra il 1992 e il 1998, questo fumetto segna un allontanamento dai generi per cui erano già celebri – in primis la fantascienza – per avventurarsi in una commedia grottesca e surreale ambientata nella contemporaneità. La vicenda ha per protagonista Alain Mangel, eminente professore di filosofia razionalista alla Sorbona, che alla soglia dei sessant’anni vede la sua vita andare in pezzi e si imbatte nell’estasi mistica della giovane Elisabeth. Combattuto fra desiderio fisico e repressione dei propri istinti, Alain si trova in perenne squilibrio tra un convinto razionalismo occidentale e il forte richiamo del proprio inconscio, che trova antropomorfizzazione nel suo doppelgänger più giovane, visibile solo al confuso professore. Da qui Elisabeth trascina Mangel in un’avventura picaresca verso la venuta di un Messia e la fondazione di una nuova Chiesa, mentre il protagonista (alter ego di Jodorowsky) compie una ricerca della propria identità confrontandosi costantemente con un profondo nichilismo. A metà strada fra road-movie spirituale e commedia degli equivoci, puntellato di situazioni sempre più strampalate e folli, la trilogia segna un nuovo incontro creativo fra il regista e drammaturgo cileno e il fumettista francese, per una collaborazione in cui l’equilibrio tra queste due forti personalità segna prepotentemente l’opera. Da una parte Jodorowsky attinge alla sua autobiografia per scrivere una sceneggiatura dai tratti originalissimi, dall’altra Moebius sposta l’asse del proprio stile spaziando fra riferimenti orientali e occidentali. Nei primi capitoli, ambientati a Parigi, predominano i toni da commedia realistica, mentre un tratto chiaro e pulito ammorbidisce la rappresentazione di scene piccanti e situazioni assurde. Man mano che la narrazione procede e gli eventi si fanno più deliranti, il disegno di Giraud si fa più rapido e istintivo, trasferendo su carta l’esplosione di caos e irrazionalità che coinvolge i personaggi. Cuore pulsante dell’opera è però la dissacrante riflessione sul fanatismo religioso e sul bisogno umano di “credere”. La Pazza del Sacro Cuore mescola senza paura elementi del simbolismo biblico con un’ironia profana e pungente, ma anche con un linguaggio che viaggia fra il forbito e il volgare. La vicenda richiama esplicitamente l’iconografia cristiana (Giovanni Battista, la Vergine, il Messia), stravolgendola in chiave grottesca e sollevando interrogativi sulla tensione fra istituzione e rivelazione. Il desiderio viene declinato sia come pulsione sessuale sia come ricerca di completezza interiore e la componente erotica, spinta fino al limite del pornografico e del grottesco, diventa diretta contrapposizione all’ossessione della ragione che affligge il protagonista. La Pazza del Sacro Cuore è una riflessione sull’ipocrisia del mondo intellettuale, sulla decadenza di certa cultura “alta” e sulla necessità di trovare una dimensione di equilibrio. Una cavalcata folle fra streghe mistiche e viaggi psichedelici, foreste vergini e grigie metropoli, trafficanti colombiani e politici francesi, il tutto per poi capire che la vita deve essere una lunga festa, possibilmente in famiglia.   L'articolo Alejandro Jodorowsky, Moebius / Cronache picaresche del prossimo messia proviene da Pulp Magazine.