In 10 anni quasi 1 artigiano su 4 ha gettato la spugna
Negli ultimi 10 anni il numero degli artigiani presenti nel nostro Paese ha
subito un crollo verticale di quasi 400mila unità. Se nel 2014 ne contavamo
1,77 milioni, l’anno scorso la platea è scesa a 1,37 milioni (-22 per cento).
Pertanto, possiamo affermare con grande preoccupazione che in due lustri quasi
un artigiano su quattro ha gettato la spugna. E anche nell’ultimo anno la
contrazione è stata importante: tra il 2024 e il 2023 il numero è sceso di
72mila unità (-5 per cento). Sono alcuni dei dati pubblicati di recente
dall’Ufficio studi della CGIA che ha elaborato i dati dell’INPS e, per quanto
concerne il numero delle imprese artigiane attive, di Infocamere/Movimprese.
La riduzione ha interessato tutte le regioni d’Italia, nessuna esclusa, ma
nell’ultimo decennio le aree più colpite da questa “emorragia” sono state le
Marche (-28,1 per cento), l’Umbria (-26,9), l’Abruzzo (- 26,8) e il Piemonte
(-26). Il Mezzogiorno, invece, è stata la ripartizione geografica che ha subito
le “perdite” più contenute. Grazie, in particolare, agli investimenti nelle
opere pubbliche legati al PNRR e agli effetti positivi derivanti dal Superbonus
110 per cento, il comparto casa ha “frenato” la caduta del numero complessivo
degli artigiani di questa ripartizione geografica. “Già oggi, sottolinea la CGIA
di Mestre, quando si rompe una tapparella, il rubinetto del bagno perde acqua o
dobbiamo sostituire l’antenna della Tv trovare un professionista del settore è
molto difficile, figuriamoci fra qualche anno. A seguito del progressivo
invecchiamento della popolazione artigiana e la corrispondente contrazione dei
giovani che si avvicinano a questi mestieri, anche a seguito del calo
demografico, è molto probabile che entro un decennio reperire sul mercato un
idraulico, un fabbro, un elettricista o un serramentista in grado di eseguire un
intervento di riparazione/manutenzione presso la nostra abitazione o nel luogo
dove lavoriamo sarà un’operazione difficilissima”.
Ma quali sono le cause delle chiusure? L’invecchiamento progressivo della
popolazione artigiana, provocato in particolar modo anche da un insufficiente
ricambio generazionale, la feroce concorrenza esercitata nei decenni scorsi
dalla grande distribuzione e in questi ultimi anni in particolare dal commercio
elettronico, il peso della burocrazia, il boom del costo degli affitti e delle
tasse nazionali/locali hanno costretto molti artigiani ad alzare bandiera
bianca. Una parte della “responsabilità”, comunque, è ascrivibile anche ai
consumatori che in questi ultimi tempi hanno cambiato radicalmente il modo di
fare gli acquisti, sposando la cultura dell’usa e getta, preferendo il prodotto
fatto in serie e consegnato a domicilio. La calzatura, il vestito o il mobile
fatto su misura sono ormai un vecchio ricordo; il prodotto realizzato a mano è
stato scalzato dall’acquisto scelto sul catalogo on-line o preso dallo scaffale
di un grande magazzino. Va comunque segnalato che questa riduzione in parte è
anche riconducibile al processo di aggregazione/acquisizione che ha interessato
alcuni settori dopo le grandi crisi 2008/2009, 2012/2013 e 2020/2021. Purtroppo,
questa “spinta” verso l’unione aziendale ha compresso la platea degli artigiani,
ma ha contribuito positivamente ad aumentare la dimensione media delle imprese,
spingendo all’insù anche la produttività di molti comparti; in particolare, del
trasporto merci, del metalmeccanico, degli installatori impianti e della moda.
“Negli ultimi decenni, si legge nel Report dell’Ufficio Studi della CGIA, tante
professioni ad alta intensità manuale hanno subito una svalutazione culturale;
questo processo ha allontanato molti ragazzi dal mondo dell’artigianato. Il
tratto del profondo cambiamento avvenuto, ad esempio, è riscontrabile dal
risultato che emerge dalla comparazione tra il numero di avvocati e di idraulici
presenti nel nostro Paese. Se i primi sono poco più di 233mila unità, si stima
che i secondi siano “solo” 165mila. E’ evidente che la mancanza di tante figure
professionali di natura tecnica siano imputabili a tante criticità. A nostro
avviso le principali sono: lo scarso interesse che molti giovani hanno nei
confronti del lavoro manuale; la mancata programmazione formativa verificatasi
in tante regioni del nostro Paese e l’incapacità di migliorare/elevare la
qualità dell’orientamento scolastico che, purtroppo, è rimasto ancorato a
vecchie logiche novecentesche”.
I piccoli negozi e le botteghe artigiane giocano un ruolo fondamentale nei
centri storici, nelle piccole comunità e nei borghi, contribuendo all’identità
culturale, all’economia locale e al mantenimento del patrimonio storico. Queste
attività, spesso situate in edifici storici, arricchiscono l’ambiente urbano con
la loro presenza e le loro creazioni, attirando turisti e residenti interessati
alla tradizione e all’artigianato di qualità. Per questo, la CGIA di Mestre
propone di introdurre per legge un “reddito di gestione delle botteghe
commerciali e artigiane” per chi (giovane o meno) gestisce o apre una attività,
compatibile con la residenzialità, nei centri minori (fino a 10.000 abitanti).
Qui per approfondire:
https://www.cgiamestre.com/wp-content/uploads/2025/08/Crollo-artigiani-16.8.25.pdf.
Giovanni Caprio