Le guerre uccidono gli uomini e il futuro. Dall’inquinamento bellico alle macerie di Gaza e dell’Ucraina
Le guerre non lasciano solo morti, feriti e traumi collettivi: lasciano anche
cicatrici profonde sull’ambiente. Ogni conflitto, oltre a devastare comunità e
città, produce una quantità immane di rifiuti tossici, distruzione di habitat,
emissioni climalteranti e avvelenamento delle risorse naturali. Un aspetto
spesso sottovalutato, perché l’attenzione è comprensibilmente concentrata sulla
tragedia umana immediata, ma che diventa sempre più cruciale in un mondo già
messo a dura prova dai cambiamenti climatici.
La produzione e l’uso delle armi comportano un impatto ambientale enorme. Le
industrie belliche sono tra le più inquinanti: richiedono enormi quantità di
energia e materie prime, sfruttano miniere di metalli rari e devastano territori
in varie aree del mondo. Le emissioni di CO₂ legate al comparto militare restano
spesso escluse dagli accordi internazionali sul clima, alimentando un paradosso:
mentre i governi si impegnano a ridurre le emissioni civili, le spese militari
continuano a crescere senza controlli sulle loro conseguenze ecologiche.
Ma l’impatto più devastante si vede sul terreno delle guerre. Le bombe che
distruggono centrali elettriche, acquedotti, ospedali e fabbriche rilasciano
nell’aria sostanze tossiche che restano a lungo nei polmoni delle persone e nel
suolo. I carri armati e i mezzi militari, alimentati da combustibili fossili,
devastano terreni e inquinano falde acquifere. I siti industriali bombardati
liberano agenti chimici che contaminano aria e acqua.
L’attuale guerra a Gaza è un caso emblematico. I bombardamenti massicci hanno
ridotto intere città a cumuli di macerie, con polveri sottili e residui tossici
che minacciano la salute dei civili e compromettono la qualità dell’aria. La
distruzione delle infrastrutture idriche ha aggravato la già drammatica carenza
d’acqua potabile, mentre il collasso del sistema di smaltimento dei rifiuti ha
trasformato molti quartieri in discariche a cielo aperto. La popolazione vive
non solo sotto le bombe, ma anche dentro un ambiente reso quasi invivibile, dove
respirare e bere sono diventati atti rischiosi.
Ed anche il conflitto in Ucraina ha aperto un fronte drammatico non soltanto sul
piano umanitario e geopolitico, ma anche su quello ambientale. Le esplosioni che
hanno colpito raffinerie, depositi di carburante e impianti chimici hanno
liberato nell’aria sostanze tossiche che hanno contaminato il suolo e le acque.
Il rischio di un disastro nucleare legato agli scontri attorno alla centrale di
Zaporizhzhia, più volte sotto attacco o minacciata da interruzioni
dell’alimentazione elettrica, resta una delle paure più gravi per la salute
dell’intero continente europeo.
L’uso massiccio di armi convenzionali e pesanti, dai missili ai proiettili di
artiglieria, ha disseminato nelle campagne ucraine frammenti metallici e ordigni
inesplosi, che renderanno difficoltosa la bonifica per decenni. Le polveri
sottili derivanti dai bombardamenti, unite ai roghi di interi quartieri
residenziali e infrastrutture industriali, hanno generato un inquinamento
atmosferico persistente che minaccia la salute delle comunità locali.
La distruzione di dighe e impianti idrici, come l’episodio catastrofico della
diga di Kakhovka, ha trasformato territori agricoli in paludi contaminate,
cancellato ecosistemi fluviali e messo a rischio l’approvvigionamento d’acqua
potabile per milioni di persone. Oltre agli effetti immediati, si profila un
danno a lungo termine per la biodiversità, l’agricoltura e la sicurezza
alimentare di un’area cruciale per l’export cerealicolo mondiale.
La guerra in Ucraina conferma come i conflitti armati, oltre a uccidere e
dividere i popoli, lascino cicatrici profonde sull’ambiente, compromettendo
risorse vitali e aggravando crisi globali come quella climatica.
Gli esperti sottolineano che i danni ambientali delle guerre si protraggono per
decenni. Le polveri e i metalli pesanti generati dalle esplosioni contaminano
terreni agricoli e acque sotterranee, rendendo difficile ricostruire una vita
normale dopo la fine dei conflitti. È accaduto nei Balcani, in Iraq, in
Afghanistan, ed è già visibile oggi a Gaza, dove la crisi umanitaria si
intreccia con un’emergenza ecologica di proporzioni immani.
Le guerre, insomma, sono incompatibili non solo con la pace e la dignità umana,
ma anche con la tutela dell’ambiente e del futuro del pianeta. Lottare contro i
conflitti significa anche difendere la terra, l’aria e l’acqua da un
inquinamento che rischia di essere irreversibile. In questo senso, la causa
pacifista e quella ecologista si fondono: senza pace non c’è giustizia
ambientale, e senza giustizia ambientale non può esserci una pace duratura.
Laura Tussi