Scecco, Cavallo e Re. Un’idea sull’inganno del potere: dominio, controllo e sfruttamento
ll concetto del paesaggio come teatro, sviluppato da Giuseppe Turri, propone una
visione del paesaggio non solo come spazio fisico o scenografico, ma come luogo
di relazioni, di azioni e di significati condivisi. In questa metafora, il
paesaggio è paragonato a un palcoscenico dove si svolge la vita quotidiana delle
persone, con la comunità che ne è sia attrice sia spettatrice.
Il paesaggio non è solo natura o estetica, ma è il risultato di un’interazione
continua tra ambiente e comunità. Come in un teatro, il valore del paesaggio
nasce dall’esperienza vissuta, dalle memorie, dalle pratiche sociali e culturali
che vi si svolgono.
La comunità locale ha un ruolo centrale: dà significato ai luoghi, li
interpreta, li trasforma, li custodisce. È con questo spirito, e da un’idea di
Monia Alfieri, che nasce lo spettacolo teatrale Sceccu, Cavallo e Re. Da unidea
sull’inganno del potere: concepito come uno spettacolo di teatro site-specific,
cioè, pensato per essere messo in scena direttamente nei luoghi vissuti dalla
comunità (strade, piazze, cortili, spazi informali), e non solo su un palco
tradizionale.
Questo lo rende parte integrante del paesaggio che lo ospita, e al tempo stesso
lo trasforma, animandolo di nuove letture e significati e dove il luogo stesso
diventa parte integrante della narrazione. Un lavoro faticoso e in continua
evoluzione elaborato collettivamente dalla compagnia costituita oltre che dalla
stessa regista da: Gabriella Cacia, Elvira Ghirlanda, Alice Camardella, Massimo
Cammarata, Simone di Blasi, Sergio Runci e Gerri Cucinotta.
A partire del progetto del Ponte sullo stretto si evidenziano le dinamiche e le
strategie che il potere adopera per agire attingendo alla fiaba e ai miti più
noti: Lo “scecco nel lenzuolo” di Pitrè, il cavallo di Troia, Il re nudo di
Andersen. Si fa riferimento anche alla letteratura alta e di Dante e Amleto. Lo
spettacolo unisce territorio, memoria collettiva e partecipazione della comunità
in una dimensione performativa e simbolica.
Scecco, Cavallo e Re è un esempio concreto di paesaggio vissuto come teatro, in
cui la comunità recita sé stessa all’interno del proprio spazio vitale,
rinnovando legami, memorie e significati in ogni contesto in cui viene messo in
scena. Spesso viene modificato secondo l’ascolto della comunità che lo accoglie
e In questo modo, lo spettacolo non è solo arte, ma pratica territoriale e
culturale, capace di attivare una lettura partecipata e condivisa del paesaggio.
Questo rende ogni replica unica, perché intreccia la narrazione con le
specificità fisiche, storiche e simboliche del contesto. Il ponte sullo Stretto
viene evocato non come semplice infrastruttura o opera pubblica, ma come oggetto
carico di promesse, inganni e imposizioni. In questa chiave, il ponte diventa un
Cavallo di Troia contemporaneo: un simbolo di potere che si presenta come dono
ma cela al suo interno meccanismi di dominio, controllo e sfruttamento.
Come il cavallo offerto dai Greci ai Troiani, il ponte è portatore di un
messaggio ambiguo: appare come segno di progresso, ma nasconde forme di violenza
– ambientale, sociale, culturale. Il paesaggio, in questo schema, è il corpo
violato, e la comunità è la polis ingannata. Lo spettacolo mette in scena il
ripetersi ciclico di certe dinamiche di potere, che mutano forma ma non
sostanza: la forza si traveste da sviluppo, il dominio da modernità, la
colonizzazione da investimento. È una critica profondamente politica, ma anche
“teatrale” nel senso più ampio, perché rivela la messinscena del potere stesso.
Attraverso la performance, la comunità è chiamata infatti non solo a ricordare,
ma a decodificare i miti del presente, a smascherare i “regali” che portano
dentro di sé la distruzione. In questo senso, Scecco, Cavallo e Re è atto di
consapevolezza collettiva, che unisce mito e realtà, teatro e politica,
paesaggio e partecipazione.
La compagnia considera lo spettacolo non semplicemente un evento artistico, ma
un vero e proprio atto di attivismo civile e culturale. Ogni rappresentazione è
un’occasione per stimolare consapevolezza, mettere in discussione il potere e
creare partecipazione, non in modo astratto, ma attraverso un coinvolgimento
diretto, popolare, accessibile. Per questo motivo, non esiste un biglietto
d’ingresso. Come avviene per gli artisti di strada, lo spettacolo si sostiene a
cappello: il pubblico è invitato a contribuire in forma libera e volontaria, non
come consumatore, ma come partecipe di un gesto collettivo. In questo modo, la
compagnia pratica una forma di teatro militante, che esce dalle sale chiuse, si
immerge nei territori, si espone, e si mette in dialogo diretto con la gente,
senza filtri, senza palcoscenico, senza distanza.
Lo spettacolo, quindi, è un rito di svelamento, in cui la comunità ritrova la
voce per mettere in discussione i miti contemporanei e difendere il proprio
paesaggio come spazio vivo di significati.
Venera Leto