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Eros Tetti: “oggi più che mai serve un Nuovo Umanesimo Ecologista”
Con Eros Tetti ci conosciamo da tanti anni ed abbiamo condiviso l’attivismo nel Movimento Umanista e, recentemente, la Terza Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza. Eros di presenta nelle liste di AVS come consigliere regionale in Toscana.   A che punto sta l’Umanesimo nell’azione politica? Come essere umanisti in una politica che si degrada? Negli ultimi anni stiamo assistendo a un preoccupante arretramento dell’umanesimo. I diritti umani, che per decenni abbiamo dato per acquisiti, sono oggi messi in discussione come mai prima, mentre i violenti, nelle loro molteplici forme — economiche, politiche, mediatiche — sembrano guadagnare terreno. Eppure, per quanto possa sembrare paradossale, questo scenario rappresenta anche un segnale positivo: è il colpo di coda di un sistema in crisi, quello delle oligarchie globali che avvertono la fine di un ciclo di dominio. Questo irrigidimento nasce perché le persone stanno aprendo gli occhi, stanche di un modello economico disumano che divora il tempo, la dignità e il futuro dei propri figli. Un mondo che ha smarrito la centralità dell’essere umano e dell’ambiente non può durare. La ribellione che serpeggia nelle società, spesso in forme spontanee e disordinate, è la prova che un’umanità diversa è in gestazione. Negli ultimi anni l’abbiamo vista emergere in varie ondate: prima con il movimento delle Sardine, poi con i Fridays For Future ispirati da Greta Thunberg, e oggi con le mobilitazioni per Gaza e per la pace. Sono manifestazioni differenti, ma hanno una radice comune: l’indignazione verso un sistema che ha sostituito il Bene Comune con il profitto di pochi, e che ha ridotto la vita umana e il pianeta a merce. Questa disumanizzazione è il cuore del problema. Ci rende tutti più soli, più competitivi, più manipolabili. È un sistema che produce alienazione e angoscia, che trasforma le persone in consumatori e i cittadini in spettatori. Per questo oggi più che mai serve un Nuovo Umanesimo Ecologista: una visione capace di rimettere al centro la vita, la comunità, la solidarietà e la relazione con la natura. Chi si dice umanista, chi crede nella dignità dell’essere umano, non può restare ai margini della politica. Allontanarsene, disprezzarla o rinunciare al voto non è un atto di ribellione, ma di resa. Significa lasciare campo libero proprio a coloro che usano la politica come strumento di potere e non di servizio. Oggi è il momento di tornare alla politica come atto etico e collettivo, di riempirla di senso e di umanità. Perché la politica, nel bene o nel male, decide quasi tutto delle nostre vite: dal lavoro alla salute, dall’ambiente all’educazione. E se non saremo noi — cittadini consapevoli, ecologisti, umanisti — a riportarla sul terreno dei valori e della giustizia, continueranno a farlo coloro che la usano per distruggere ciò che resta del nostro legame con la Terra e con gli altri esseri umani. È il momento di scegliere. Io credo che la scelta giusta sia ricostruire insieme un Nuovo Umanesimo Ecologista, radicato nella solidarietà, nella sobrietà e nella cura reciproca. Solo così potremo davvero restituire alla politica — e alla vita — il significato profondo che hanno perduto.   Tu hai recentemente scritto un libro che è anche il tuo manifesto politico, basato sull’idea del Buon Vivere, ce ne puoi parlare? Come ho già accennato, per me il Buon Vivere è prima di tutto un ritorno a casa: il recupero di una politica che torna ad essere al servizio del bene comune, dei territori e delle comunità. Una politica che non misura il proprio successo dal numero delle opere costruite o dai favori concessi alla propria clientela, ma dalla qualità della vita che riesce a garantire ai cittadini. Il Buon Vivere è una visione che rimette al centro la persona e la comunità, restituendo senso alla parola “progresso”. Significa costruire una società dove la sanità pubblica sia diffusa, di qualità, gratuita e universale, radicata in un ambiente sano; dove l’educazione sia realmente accessibile, gratuita e di qualità, capace di formare cittadini liberi, critici e consapevoli. Significa permettere a ciascuno di costruirsi una vita dignitosa, senza dover compiere salti mortali per avere una casa, un lavoro stabile, cibo sano e di qualità, e la possibilità di guardare al futuro con fiducia — per sé e per i propri figli. Il Buon Vivere è, in definitiva, una politica della cura: della persona, del territorio e delle relazioni. È la scelta di misurare il progresso non con il PIL o con i metri cubi di cemento, ma con la salute delle persone, la coesione delle comunità e l’equilibrio con la natura. È questa la direzione in cui voglio portare la Toscana: un modello di sviluppo umano, sociale e ambientale che restituisca dignità alla politica e speranza alle nuove generazioni.   In Toscana si è molto parlato della questione dell’acqua pubblica, ci puoi fare una sintesi di come sta andando secondo la tua visione ecologista e quali saranno le prospettive dopo le elezioni? Il tema dell’acqua pubblica è oggi uno dei più sentiti e, fortunatamente, anche uno dei più condivisi. Vedo con favore che, su questo punto, diverse forze politiche, anche di altre aree, sembrano aver compreso la centralità del problema: un segnale incoraggiante, perché l’acqua non è né di destra né di sinistra — è un bene comune universale, e come tale deve essere tutelato. La nostra proposta è chiara: l’acqua deve essere gestita da società pubbliche in house, interamente controllate dagli enti locali, senza logiche di profitto e senza speculazioni. L’acqua non può essere trattata come una merce o una fonte di guadagno, ma come un diritto umano fondamentale, essenziale alla vita e alla coesione sociale. È tempo di dare piena attuazione alla volontà popolare espressa nel referendum del 2011, quando milioni di cittadini italiani si pronunciarono in modo netto contro la privatizzazione del servizio idrico. Quel voto, tradito per troppo tempo, deve tornare ad avere valore politico e istituzionale. Una gestione pubblica, trasparente e partecipata dell’acqua è la sola via per garantire equità, efficienza e sostenibilità. Solo così potremo assicurarci che ogni cittadino, in ogni territorio, possa accedere a un’acqua pulita, sicura e giusta, nel pieno rispetto dell’ambiente e delle generazioni future.   Un tema che sempre sta a cuore agli umanisti è quello della responsabilità politica: se sarai eletto cosa pensi di fare su questo? Ho presentato un programma politico articolato e concreto, non fatto di slogan ma di proposte dettagliate, alcune delle quali — come nel caso delle Alpi Apuane — corredate da un vero e proprio cronoprogramma. È su quello che intendo misurarmi, passo dopo passo, rendendo conto ai cittadini di ogni risultato raggiunto e di ogni ostacolo incontrato. La trasparenza e la coerenza sono, per me, i primi doveri di chi sceglie di rappresentare la comunità. Credo che sarebbe un passo avanti fondamentale approvare una nuova legge regionale sulla partecipazione, più vicina allo spirito di quella legge di iniziativa popolare che presentammo ormai quasi trent’anni fa. I cittadini devono poter incidere realmente sulle scelte che riguardano i loro territori, non solo essere consultati. Vincolare i politici ai programmi è una questione di democrazia sostanziale. Ogni rappresentante dovrebbe essere chiamato a rendere conto di ciò che ha promesso e di ciò che ha realizzato, perché la fiducia degli elettori si costruisce con la responsabilità e la continuità, non con la propaganda. Purtroppo, devo constatare che oggi il livello del dibattito politico e dei contenuti è ai minimi storici: si parla più di slogan e contrapposizioni che di soluzioni e visioni. Per questo credo che sia necessario ricostruire una politica del merito, della serietà e del confronto, una politica che torni a progettare il futuro invece di inseguire l’immediato.   Le recenti manifestazioni su Gaza hanno riacceso, soprattutto fra i giovani, la voglia di partecipare alla politica: come vedi questo fenomeno e le sue prospettive? Personalmente, fin dal momento in cui ho deciso di candidarmi, ho partecipato alle manifestazioni ma ho scelto di non cavalcare l’onda per la campagna elettorale. Credo che questi movimenti — nati spesso in modo spontaneo e genuino — abbiano bisogno di trovare la propria dimensione autonoma, senza essere strumentalizzati o assorbiti da logiche di partito. Chi tenta di sfruttarli rischia di apparire come un bambino che insegue i riflessi di luce sul pavimento: cerca di afferrarli, ma non li comprende davvero. Queste proteste, al contrario, sono già politica nel senso più alto del termine: rappresentano un atto di dono disinteressato al mondo, l’espressione di una generazione e di una società che vuole un futuro libero dalla violenza, dalla guerra e dalla sopraffazione. Stanno già producendo grandi cambiamenti. Mi auguro sinceramente che questo grande movimento di coscienza trovi presto uno sbocco politico, una casa che ne raccolga le istanze senza snaturarle. Olivier Turquet
Antonella Bundu: “sono convintamente nonviolenta, le nostre priorità sono pace, salute, lavoro e ambiente”
Con Antonella Bundu ci conosciamo dal 1987 quando giovane attivista si offrì di rappresentare la Sierra Leone alla Prima Internazionale Umanista che si svolse a Firenze. Da allora ci legano le lotte per i diritti umani, la giustizia sociale, la pace. Dopo l’esperienza di candidata a Sindaca riprovi con la Presidenza della Regione per la lista Toscana Rossa. Come è andata questa volta la presentazione della lista di sinistra? Tutto parte nel 2019 con l’esperienza di candidata Sindaca per Sinistra Progetto Comune, che ha portato all’elezione mia e di Dmitrij Palagi in Comune, con 7 consiglieri nei 5 quartieri. Purtroppo, negli anni successivi una parte di quella coalizione ha scelto di uscire, verso il centrosinistra, contribuendo di fatto all’uscita del Consiglio regionale con le elezioni del 2020, quando Sì – Toscana a Sinistra ha mancato la soglia di sbarramento, secondo noi antidemocratica, visto che è al 5% e ci ha costretto a raccogliere 10.000 firme in piena estate poche settimane fa. L’anno scorso abbiamo comunque voluto fortemente tutelare l’idea di uno spazio autonomo a sinistra del Partito Democratico, perché la nostra attività politica si svolge tutti i giorni anche nelle piazze e nelle lotte. Il lavoro nei quartieri e la relazione con altre esperienze territoriali ci ha portato a essere ancora presenti in tante Città della Toscana, come sinistra di alternativa, e in tutti i quartieri di Firenze, ancora oggi. Occorre anche ricordarsi come negli anni in alcuni Comuni la sinistra di alternativa ha battuto le destre e il PD al ballottaggio. Abbiamo lavorato sui contenuti per mesi e quando mi è stato chiesto se volessi mettermi a disposizione per rappresentare la lista Toscana Rossa ho accettato, sapendo che non ci appartiene la cultura dei listini bloccati, ma che le nostre liste (che abbiamo dovuto chiudere molto prima delle altre coalizioni per raccogliere le firme) sono fatte da persone che fanno politica attiva tutti i giorni, nei luoghi di conflitto, lavoro, studio e socialità. Vogliamo dare risposte a chi non crede nel bipolarismo delle larghe intese, a chi ha perso la fiducia nella politica e a chi pensa di astenersi.   Quali sono i punti per te più significativi del programma? Noi abbiamo messo anche nel simbolo della lista 4 parole: pace, ambiente, salute e lavoro. Pensiamo che uno dei punti principali sia quello di rendere la sanità pubblica accessibile a tutte e tutti, invertendo la logica per cui si danno soldi pubblici ai privati, per vedere di abbattere le liste di attesa. Occorre invece limitare l’attività intramoenia, usare i dati e le informazioni di cui la Regione già dispone per allungare l’uso degli spazi pubblici da parte del pubblico, cominciare a investire in modo importante sulla prevenzione, prima che le patologie si acuiscano. Vogliamo riportare la sanità a un maggiore livello di prossimità territoriale, smettendo di rimuovere il ruolo degli enti locali in materia di programmazione, legando in modo sempre più forte sanitario e sociosanitario. Servono più risorse, ovviamente, ma serve anche organizzare diversamente quelle esistenti. Ci sono alcune decisioni che spettano al Governo nazionale, ma invece di limitarsi a qualche dichiarazione stampa, occorre che la Regione si schieri al fianco di chi ogni giorno lavora in sanità, per raccontare precisamente cosa serve, alimentando i conflitti dal basso, per ottenere risposte reali. Un’altra cosa molto importante per noi è la pace. La Toscana non deve più ospitare strutture militari all’interno dei grandi parchi come il parco di San Rossore; non si deve dare la possibilità all’esercito israeliano di addestrarsi sui nostri territori; la contrarietà al Comando NATO di Rovezzano è imprescindibile. L’11 ottobre 2025 ci sarà una manifestazione importante a Firenze, a cui ovviamente saremo presenti e sarebbe bello che ci fosse anche il Gonfalone della Regione Toscana. Ci sarà dopo che avremo vinto le elezioni del 12 e 13. Abbiamo bisogno di raccontare quanto meglio si potrebbero spendere i soldi destinati all’aumento delle spese militari. In questi giorni sto girando tutta la Toscana e si vede bene i tanti problemi che segnano in modo particolare le aree interne, la costa e le altre zone in cui l’aspettativa di vita è più bassa, da cui vanno via le giovani generazioni e dove la crisi della natalità è ancora più forte che nel resto della Regione. Se non si garantiscono il diritto alla casa, alla mobilità, alla salute, è chiaro che poi i territori si impoveriscono: è un cane che si morde la coda, nella perdita della centralità che il resto del sistema politico ha dato alla questione sociale, che per noi si lega fortemente a quella ambientale (perché la giustizia climatica è anche un tema sociale e viceversa). Per garantirci un futuro abbiamo bisogno di investire in politiche di pace, smettendo di usare la parola “pace” solo quando conviene, o non “costa” molto: l’educazione parte dalle scuole, da cui deve tenersi fuori l’esercito. In questa fase storica è fondamentale non avere alcun tipo di ambiguità su questo.   Io noto una certa assenza dal dibattito politico della parola nonviolenza mentre trovo che la parola umanesimo venga spesso banalizzata. Come umanista nonviolento la cosa mi preoccupa un po’. Tu come la vedi? Anche io penso che l’umanesimo sia una categoria spesso banalizzata in questa fase storica: non fa parte della dialettica politica del momento, anche se sarebbe necessario averla al centro del dibattito politico e culturale. La nonviolenza sta prendendo piede, nella consapevolezza di tante piazze, ma larga parte del sistema politico non capisce quanto sia uno strumento necessario: per me è l’unico con cui si possono portare avanti le lotte giuste; personalmente sono convintamente nonviolenta e spesso lo sottolineo, perché quando parliamo di azioni giuste che combattono anche leggi ingiuste, dobbiamo usare ogni mezzo possibile, basta che non sia violento. Per esempio, in una televisione locale regionale pochi giorni fa mi è stato chiesto cosa ne pensassi di un gruppo di studentesse e studenti che aveva interrotto delle lezioni universitarie per dare centralità al tema del massacro del popolo palestinese. Il conduttore insisteva a incalzarmi su questo, per provare a farmi prendere le distanze, ma ho chiarito che la disobbedienza civile può prevedere anche pratiche che sono considerate illecite, o addirittura illegali dal sistema, perché la legalità è una categoria definita soprattutto da chi ha molto potere in poche mani. Ci sono molto modi di praticare la nonviolenza, la disobbedienza civile: sdraiarsi per terra, fare un picchetto, scioperare forzando il quadro normativo, … Sono tutti modi per denunciare il potere e far comprendere ai potenti che non hanno il controllo su tutto. Si è esteso in modo eccessivo la difesa di quelli che vengono considerati i pubblici servizi, ma si è arrivati a rendere quasi impossibile scioperare per alcune categorie e a negare la libertà di manifestare in alcune aree dei nostri territori, per difendere il turismo e il diritto al lusso. Anche questa è una forma di violenza, che viene imposta dall’alto verso il basso, limitando la nostra libertà di dissentire, senza violenza. Aggiungo che anche nelle carceri si sta togliendo sempre più la possibilità di esprimere dissenso, basta vedere l’ultimo decreto sicurezza. Persino chi non aveva libertà fino a ieri, in questo momento, si ritrova ad avere meno libertà.   Ultimamente sei stata oggetto di insulti di infimo livello per il colore della tua pelle. Quanto razzismo c’è ancora in Italia e qual è la differenza con la società multietnica che comunque avanza anche qui da noi? Mentre butto giù le risposte a queste domande sto tornando dal Mugello, dove ho fatto delle iniziative ed ho partecipato a degli incontri con la cittadinanza, mentre gli altri candidati a Presidente non si sono presentati. A Borgo San Lorenzo mi hanno raccontato che su alcuni giornali locali è bastata la notizia del mio arrivo a scatenare commenti e messaggi razzisti nei miei confronti, tanto che è stato fatto un comunicato dei circoli di Rifondazione Comunista della zona, chiedendo in particolare a una testata online di mettere un filtro, o cancellare gli insulti (cosa che poi è avvenuta). Io credo che ci siano forme di razzismo che vengono evidentemente tollerate, se si arriva a vedere persone esporsi con nome e cognome con insulti razzisti anche in contesti con un minore numero di abitanti. Per me non sono insulti personali, non sono io che vengo attaccata, ma il colore della mia pelle, quindi il tema è tutto politico. Negli incontri io accetto una normale dialettica, tu puoi non essere d’accordo su ciò che dico, puoi esprimere il tuo dissenso e proporre un’altra idea, ma quando finisce sul piano degli insulti (“tornatene nel Burundi” e così via) vuol dire che ancora c’è una mentalità profondamente razzista, che evidentemente si accompagna anche ad una impunità giuridica e sociale. Sicuramente c’è ancora un grande lavoro da fare, non solo sul razzismo ma anche su tutte le forme di discriminazione che segnano la nostra società e sull’incapacità di accettare la diversità. La società multietnica esiste da tanto tempo. Ci sono le cosiddette seconde generazioni, anche se non mi piace questo termine, che si ritrovano in molti casi senza cittadinanza. Ci sono tante realtà che fanno parte di una società multietnica di fatto. Una delle frasi più significative che mi dicono è: “tornatene nel tuo paese”. Ma io sono nata a Firenze! Quindi è proprio razzismo, una discriminazione che prescinde da qualsiasi altra cosa. Sono italiana, nata in Italia, mia madre è italiana, ma questo non è abbastanza per chi discrimina per il solo colore della pelle. Questa cosa sicuramente sta accompagnando questa campagna elettorale più che nelle campagne elettorale del 2019 e 2024: mi pare che ci sia anche una certa sottovalutazione da parte del sistema politico e istituzionale. Non stiamo parlando di qualche commento sulle piattaforme digitali, ma di vere e proprie campagne di odio, che si inseriscono in comportamenti radicati e ritenuti innocui, o persino accettabili, quantomeno dalle destre e da un pezzo di centrosinistra che non ha pronunciato una parola di solidarietà.   Come vedi la recente mobilitazione popolare intorno alla Global Sumud Flotilla? L’azione della Flotilla dimostra come si possono cambiare quelli che sono i rapporti di forza, quando tutte le istituzioni (comunali, regionali, nazionali e europee) non hanno risposto adeguatamente, escludendo pochissime eccezioni; servono risposte tempestive, capaci di mettersi contro i più forti. È diventato impossibile restare su posizioni di ambiguità quando scendono in piazza centinaia di migliaia di persone, fino a superare il milione di presenza a Roma l’ultimo sabato. Questo ha modificato la posizione del governo italiano e di molti governi nel mondo; questo è il risultato di una mobilitazione straordinaria. Non è giusto parlare di guerra. Israele attacca un intero popolo, che non ha mai avuto uno Stato. Dalla questione palestinese può nascere una mobilitazione più complessiva, contro le politiche di guerra e per un’economia radicalmente alternativa a quella che permette di fare profitto sulle armi. Ricordiamo che il Ministro Urso pochi giorni fa ha parlato della riconversione dell’automotive nella produzione di armi. Io penso che quelle stesse persone che hanno manifestato in questi giorni potranno scendere nuovamente in piazza per dire che non vogliamo questa economia di guerra, che non vogliamo la guerra, che vogliamo una pace giusta, adesso. I movimenti innescano la presa di coscienza e moltiplicano l’attività di ogni persona, perché si possa arrivare a reali cambiamenti sulle questioni fondamentali. Olivier Turquet
“Acqua pubblica” non può diventare uno slogan in nome del campo largo. Serve coerenza tra le parole e gli atti
In vista delle elezioni regionali le forze politiche che non vogliono rinunciare alla grande coalizione tentano in ogni modo di legittimare la loro partecipazione al campo largo e, per renderla digeribile agli elettori, omettono parole di verità. Giani ha il coraggio di promettere future politiche volte alla pubblicizzazione dell’acqua e gli altri partiti fingono di non sapere che l’operazione posta in essere dal PD Toscano negli ultimi anni va in direzione opposta. Quei partiti sembrano non considerare che la Multiutility (Plures) è nata grazie al PD e che si sta implementando un progetto che, nei suoi contenuti ed obiettivi, ha per scopo la finanziarizzazione dei servizi pubblici essenziali. Le forze che si accingono a costruire questa grande alleanza non possono ignorare che la scelta del PD è già stata fatta ed è chiara: trattare i beni comuni (acqua, ambiente ed energia) come merci qualsiasi, accettando che vengano gestiti secondo logiche di profitto e regole speculative. Come si fa a non comprendere che su questi temi il partito di maggioranza non tornerà mai indietro? La gestione in house cui si fa riferimento nell’accordo PD M5S non è compatibile con la Multiutility: l’Autorità Idrica Toscana ha già deliberato che il futuro servizio idrico nella Conferenza Territoriale 3 (attualmente gestito da Publiacqua) verrà affidato con gara a una società mista secondo il modello privatistico. Acqua pubblica non è uno slogan, acqua pubblica significa: – gestione interamente pubblica; – controllo diretto e “analogo” sulla società da parte dei Comuni soci; – assenza di scopo di lucro (né per i gestori, né per i Comuni soci); – servizio erogato nell’esclusivo interesse sociale; – utilizzo integrale delle risorse a beneficio del servizio e dei cittadini e non per la produzione di utili da redistribuire come dividendi ai Comuni; – governo democratico e partecipato (tutela delle minoranze con il voto capitario: ‘una testa, un voto’, non una quota di capitale, per evitare che i Comuni maggiori impongano le proprie scelte a discapito dei più piccoli e degli utenti); – massima trasparenza e controllo sociale. Allo stato attuale ci sono le condizioni affinché si possa attuare una vera gestione in house providing, Giani davvero riuscirà a mantenere l’impegno per l’acqua pubblica? I partiti della coalizione cosa scriveranno nel programma? Propositi ambigui e slogan privi di contenuto? I numerosi cittadini, che hanno sostenuto la battaglia contro la Multiutility, meritano parole di verità che rispettino i temi di cui trattano perché certi valori non sono negoziabili e impongono una linea di piena coerenza. Rete Toscana per la Tutela dei Beni Comuni Redazione Toscana