Finché c’è guerra c’è speranza. L’Europa tra il nemico assoluto e i porcospini di SchopenhauerL’incontro tra Trump e Biden in Alaska ha coinciso con il quarto anniversario
della precipitosa fuga dell’esercito USA da Kabul dopo vent’anni di occupazione:
un quarto di secolo di guerre, iniziato nell’ottobre del 2001, come vendetta e
punizione collettiva – modello futuro per Netanyahu – per l’attacco terroristico
subìto l’11 settembre. L’invasione dell’Ucraina ne è stata anche l’estremo
effetto, un effetto farfalla nel tempo e nello spazio secondo l’intuizione
di Edward Lorenz, che impregna di sé anche le complesse relazioni
internazionali: il battito d’ali di una farfalla in una parte del mondo genera
un uragano dall’altra. Ossia il diritto internazionale vale per tutti ovunque –
dall’Afghanistan all’Iraq, dall’Ucraina alla Palestina – oppure è impossibile
farlo valere solo per qualcuno.
L’Europa si è stracciata le vesti per la sua esclusione dall’incontro di
Anchorage, insieme a quella di Zelensky, ma la sua assenza – recuperata solo tre
giorni dopo con l’anticamera dei “volenterosi” alla Casa Bianca, nell’incontro
tra Trump e il presidente ucraino – è frutto della rinuncia sdegnosa ad essere,
fin dall’inizio, Terzo rispetto alla guerra russo-ucraina. L’UE, scegliendo la
cobelligeranza con una parte “fino alla vittoria”, attraverso la reiterata
fornitura di armi all’Ucraina “per tutto il tempo che sarà necessario”, e
imponendo diciotto ondate di sanzioni economiche all’altra (ma zero ad Israele,
ndr), anziché essere attivamente neutrale come chiedevano i movimenti pacifisti,
è esattamente il Terzo assente secondo la formula usata da Norberto Bobbio nel
1989: il terzo mancante nel conflitto. Un Terzo imparziale e credibile per
entrambe le parti, capace di svolgere, se presente, il ruolo di mediatore. Ruolo
che, in assenza dell’Europa, aveva provato ad assumersi, già nell’aprile 2022,
la Turchia di Erdogan in una mediazione sabotata dagli USA di Biden e dalla Gran
Bretagna di Johnson. Ed che oggi si assume Donald Trump.
Oltre tre anni di guerra dopo, un milione e quattrocentomila vittime dopo tra i
soldati russi e ucraini (stime del Center for Strategic and International
Studies di Washington), in una condizione sul terreno molto peggiorata per
l’Ucraina, gli ucraini sono ormai stremati da questa strage infinita. Lo
certifica la società di analisi Gallup: nell’ultimo sondaggio in Ucraina il 69%
si dichiara favorevole a una fine negoziata della guerra il prima possibile,
rispetto al 24% che sostiene di continuare a combattere ancora. «Un’inversione
di tendenza quasi totale rispetto all’opinione pubblica del 2022 –
scrive Gallup – quando il 73% era favorevole a che l’Ucraina combattesse fino
alla vittoria e il 22% preferiva che l’Ucraina cercasse una conclusione
negoziata il prima possibile». Un crollo del consenso bellico al governo,
dimostrato anche dai disertori sempre più numerosi e perseguitati, come monitora
la Campagna di Obiezione alla guerra del Movimento Nonviolento.
Ma la guerra russo-ucraina rappresenta la gallina dalle uova d’oro per
l’industria bellica europea, che sta ampliando enormemente le proprie
aziende: «Le fabbriche di armi europee si stanno espandendo a un ritmo tre volte
superiore a quello dei tempi di pace», rivela il Financial Time (12 agosto), per
prepararsi alla guerra duratura. «Un circolo vizioso che si autoalimenta –
commenta Francesco Vignarca, coordinatore di Rete Italiana Pace e Disarmo (il
manifesto, 14 agosto) – le tensioni geopolitiche spingono i governi ad aumentare
le spese militari, questi flussi di denaro rafforzano i bilanci delle industrie
belliche aumentandone il valore azionario, per cui ogni passo verso la pace
viene vissuto come una minaccia economica». Infatti, la sola ipotesi di una
prospettiva di pace ha messo “sotto pressione il comparto della difesa europeo”,
scrive il Sole 24 Ore (11 agosto), con caduta dei titoli in borsa: «un
rallentamento del flusso di ordini, nel pieno del boom del comparto della
difesa, che molti analisti sottolineano potrebbe essere aggravato dall’impatto
di una possibile tregua in Ucraina»…
«Poiché per fare la guerra ci vuole un nemico con cui guerreggiare –
spiegava Umberto Eco – la ineluttabilità della guerra corrisponde alla
ineluttabilità dell’individuazione e della costruzione del nemico» (Costruire il
nemico, 2020). Se l’incontro tra Trump e Putin e il successivo con Zelensky
saranno preludio allo “scoppio della pace” in Ucraina e ciò facesse venire meno
il nemico assoluto per l’Europa, contro il quale è stato costruito l’obbligo del
riarmo, i governi come convinceranno le rispettive opinioni pubbliche che
bisogna ancora trasferire enormi risorse dagli investimenti per la salute,
l’istruzione, la sicurezza sociale alle casse delle industrie belliche? Finché
c’è guerra c’è speranza s’intitolava un celebre film di Alberto Sordi del 1974,
nel quale interpretava il ruolo di un mercante di armi: ma se essa finisse, come
si alimenterebbe la loro speranza? Niente paura, ci sarà da costruire il
“porcospino d’acciao”, secondo la metafora utilizzata da Ursula Von der
Leyen, come “garanzia di sicurezza” iper-armata dell’Ucraina, per significare
i rapporti futuri tra Ucraina, Europa, Nato e la Russia.
Invece, la presidente della Commissione europea dovrebbe ripassare la metafora
dei porcospini di Arthur Schopenhauer. «Una compagnia di porcospini – scriveva
il filosofo nei Parerga e Paralipomena – in una fredda giornata d’inverno, si
strinsero vicini per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati.
Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad
allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li
portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che
venivano sballottati avanti e indietro fra due mali, finché non ebbero trovato
una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore
posizione». La metafora di Von der Leyen riafferma il riarmo, acuisce le
tensioni e prepara la prossima guerra. Quella di Schopenhauer evoca la rimozione
delle cause del conflitto, promuove il disarmo e la costruzione di soluzioni
nonviolente. Due modi opposti per lavorare ad una pace “giusta e duratura” in
Europa, ma solo uno coerente con il fine.
[Articolo pubblicato su I blog del Fatto Quotidiano]
Pasquale Pugliese