Tag - guerra russo-ucraina

‘Media di guerra e media di pace sulla guerra in Ucraina’: a Palermo, il 12 novembre
Alla sala di lettura dei Cantieri culturali alla Zisa (ex Officine Ducrot – via Poalo Gili 4), alle h 16:30 il presidente dell’Istituto Gramsci Siciliano, Salvatore Nicosia, dialoga con l’autore del libro recentemente edito da Mimesis, e insieme alla giornalista Tiziana Martorana e ad Augusto Cavadi del centro Movimento Nonviolento cittadino-territoriale. Docente di lingua e letteratura greca all’Università degli Studi di Palermo, dove per otto anni ha tenuto anche un laboratorio di Teoria e pratica della nonviolenza, Andrea Cozzo è un pacifista che si autodefinisce ‘amico della nonviolenza’. Tra i suoi libri si annoverano: “Nel mezzo”. Microfisica della mediazione nel mondo greco antico (2014), Riso e sorriso e altri saggi sulla nonviolenza nella Grecia antica (2018), La nonviolenza oltre i pregiudizi. Cose da sapere prima di condividerla o rifiutarla (con A. Cavadi e M. D’Asaro, 2022), La logica della guerra nella Grecia antica. Contenuti, forme, contraddizioni (2024). In Media di guerra e media di pace sulla guerra in Ucraina. Promemoria e istruzioni per il futuro analizza filologicamente il linguaggio utilizzato e le argomentazioni proposte, cercando di individuarne i presupposti, esplicitarne le retoriche e mostrarne le costruzioni e le contraddizioni del modo in cui i media italiani – giornali, telegiornali e talk show con opinionisti e intellettuali – narrano la guerra in Ucraina. La sua ricerca dimostra che il ‘giornalismo di guerra’ ha esercitato fin dall’inizio una violenza culturale continuata a danno dell’opinione pubblica, poiché in nome di una pretesa difesa dell’“aggredito” ha descritto questo conflitto parteggiando per uno dei belligeranti e non perseguendo la ricerca delle verità di tutte le parti e non mostrando le soluzioni possibili attraverso mezzi pacifici secondo le regole, che qui vengono presentate ed esemplificate nella loro applicazione, del ‘giornalismo di pace’. L’autore illustra il modo in cui la guerra poteva essere evitata e quale sia invece la strada, autoritaria e militarista, che, come già Gandhi aveva previsto, la democrazia attuale sta pericolosamente imboccando. Redazione Italia
Finché c’è guerra c’è speranza. L’Europa tra il nemico assoluto e i porcospini di Schopenhauer
L’incontro tra Trump e Biden in Alaska ha coinciso con il quarto anniversario della precipitosa fuga dell’esercito USA da Kabul dopo vent’anni di occupazione: un quarto di secolo di guerre, iniziato nell’ottobre del 2001, come vendetta e punizione collettiva – modello futuro per Netanyahu – per l’attacco terroristico subìto l’11 settembre. L’invasione dell’Ucraina ne è stata anche l’estremo effetto, un effetto farfalla nel tempo e nello spazio secondo l’intuizione di Edward Lorenz, che impregna di sé anche le complesse relazioni internazionali: il battito d’ali di una farfalla in una parte del mondo genera un uragano dall’altra. Ossia il diritto internazionale vale per tutti ovunque – dall’Afghanistan all’Iraq, dall’Ucraina alla Palestina – oppure è impossibile farlo valere solo per qualcuno. L’Europa si è stracciata le vesti per la sua esclusione dall’incontro di Anchorage, insieme a quella di Zelensky, ma la sua assenza – recuperata solo tre giorni dopo con l’anticamera dei “volenterosi” alla Casa Bianca, nell’incontro tra Trump e il presidente ucraino – è frutto della rinuncia sdegnosa ad essere, fin dall’inizio, Terzo rispetto alla guerra russo-ucraina. L’UE, scegliendo la cobelligeranza con una parte “fino alla vittoria”, attraverso la reiterata fornitura di armi all’Ucraina “per tutto il tempo che sarà necessario”, e imponendo diciotto ondate di sanzioni economiche all’altra (ma zero ad Israele, ndr), anziché essere attivamente neutrale come chiedevano i movimenti pacifisti, è esattamente il Terzo assente secondo la formula usata da Norberto Bobbio nel 1989: il terzo mancante nel conflitto. Un Terzo imparziale e credibile per entrambe le parti, capace di svolgere, se presente, il ruolo di mediatore. Ruolo che, in assenza dell’Europa, aveva provato ad assumersi, già nell’aprile 2022, la Turchia di Erdogan in una mediazione sabotata dagli USA di Biden e dalla Gran Bretagna di Johnson. Ed che oggi si assume Donald Trump. Oltre tre anni di guerra dopo, un milione e quattrocentomila vittime dopo tra i soldati russi e ucraini (stime del Center for Strategic and International Studies di Washington), in una condizione sul terreno molto peggiorata per l’Ucraina, gli ucraini sono ormai stremati da questa strage infinita. Lo certifica la società di analisi Gallup: nell’ultimo sondaggio in Ucraina il 69% si dichiara favorevole a una fine negoziata della guerra il prima possibile, rispetto al 24% che sostiene di continuare a combattere ancora. «Un’inversione di tendenza quasi totale rispetto all’opinione pubblica del 2022 – scrive Gallup – quando il 73% era favorevole a che l’Ucraina combattesse fino alla vittoria e il 22% preferiva che l’Ucraina cercasse una conclusione negoziata il prima possibile». Un crollo del consenso bellico al governo, dimostrato anche dai disertori sempre più numerosi e perseguitati, come monitora la Campagna di Obiezione alla guerra del Movimento Nonviolento. Ma la guerra russo-ucraina rappresenta la gallina dalle uova d’oro per l’industria bellica europea, che sta ampliando enormemente le proprie aziende: «Le fabbriche di armi europee si stanno espandendo a un ritmo tre volte superiore a quello dei tempi di pace», rivela il Financial Time (12 agosto), per prepararsi alla guerra duratura. «Un circolo vizioso che si autoalimenta – commenta Francesco Vignarca, coordinatore di Rete Italiana Pace e Disarmo (il manifesto, 14 agosto) – le tensioni geopolitiche spingono i governi ad aumentare le spese militari, questi flussi di denaro rafforzano i bilanci delle industrie belliche aumentandone il valore azionario, per cui ogni passo verso la pace viene vissuto come una minaccia economica». Infatti, la sola ipotesi di una prospettiva di pace ha messo “sotto pressione il comparto della difesa europeo”, scrive il Sole 24 Ore (11 agosto), con caduta dei titoli in borsa: «un rallentamento del flusso di ordini, nel pieno del boom del comparto della difesa, che molti analisti sottolineano potrebbe essere aggravato dall’impatto di una possibile tregua in Ucraina»… «Poiché per fare la guerra ci vuole un nemico con cui guerreggiare – spiegava Umberto Eco – la ineluttabilità della guerra corrisponde alla ineluttabilità dell’individuazione e della costruzione del nemico» (Costruire il nemico, 2020). Se l’incontro tra Trump e Putin e il successivo con Zelensky saranno preludio allo “scoppio della pace” in Ucraina e ciò facesse venire meno il nemico assoluto per l’Europa, contro il quale è stato costruito l’obbligo del riarmo, i governi come convinceranno le rispettive opinioni pubbliche che bisogna ancora trasferire enormi risorse dagli investimenti per la salute, l’istruzione, la sicurezza sociale alle casse delle industrie belliche? Finché c’è guerra c’è speranza s’intitolava un celebre film di Alberto Sordi del 1974, nel quale interpretava il ruolo di un mercante di armi: ma se essa finisse, come si alimenterebbe la loro speranza? Niente paura, ci sarà da costruire il “porcospino d’acciao”, secondo la metafora utilizzata da Ursula Von der Leyen, come “garanzia di sicurezza” iper-armata dell’Ucraina, per significare i rapporti futuri tra Ucraina, Europa, Nato e la Russia. Invece, la presidente della Commissione europea dovrebbe ripassare la metafora dei porcospini di Arthur Schopenhauer. «Una compagnia di porcospini – scriveva il filosofo nei Parerga e Paralipomena – in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione». La metafora di Von der Leyen riafferma il riarmo, acuisce le tensioni e prepara la prossima guerra. Quella di Schopenhauer evoca la rimozione delle cause del conflitto, promuove il disarmo e la costruzione di soluzioni nonviolente. Due modi opposti per lavorare ad una pace “giusta e duratura” in Europa, ma solo uno coerente con il fine. [Articolo pubblicato su I blog del Fatto Quotidiano] Pasquale Pugliese