Parlare di “neutralità della scienza” significa ignorare la società che viviamo
Il recente caso Serravalle-Bellavite e la sua strumentalizzazione con gogna
mediatica annessa, ci potrebbe far riflettere su molte cose, ma soprattutto su
una cosa in particolare: la non-neutralità della scienza.
La narrazione dominante propone la “scienza” come un’entità superpartes
dogmatica portatrice di una verità imparziale e incontrovertibile che trascende
le ideologie e i conflitti. Secondo tale visione, la scienza seguirebbe un
cammino lineare e sarebbe il risultato di un processo unico, immutabile,
deterministico, unidimensionale, astorico, vincolato sull’asse
nuovo-vecchio/tradizionale-moderno e totalmente avulso dalla realtà sociale
nella quale viene partorita. La scienza sarebbe capace di rimanere incontaminata
dal contesto sociale in cui viene concepita, come se fosse mossa da una propria
dinamica interna.
Questa tesi fa emergere la profonda ignoranza epistemologica di chi la sostiene.
Ogni accademico serio ed ogni epistemologo degno di nota smentirebbe questa
concezione, a partire dal fatto che la scienza è un sapere pensato, discusso e
come tale non può essere incontaminato. Oltre alla dinamiche epistemologiche, se
dobbiamo ragionare su come procede la scienza in campo medico oggi, non si può
negare che la ricerca biomedica proceda per dinamiche economiche, ovvero si
sviluppa laddove c’è uno sviluppo di mercato.
In questi trent’anni di globalizzazione neoliberista, di deregulation di mercato
e di politiche di privatizzazione a discapito dei beni comuni, si è evidenziato
che la ricerca biomedica è diventata sempre più uno strumento il cui fine ultimo
non è il diritto alla salute, ma il mercato. La ricerca biomedica è diventata
uno strumento del mercato, mentre la salute – da diritto umano – diventa sempre
più una merce.
Nel mio libro “La guerra all’idrossiclorochina al tempo della Covid-19” cerco di
spiegare come un tempo l’investigazione scientifica consistesse principalmente
nella ricerca disinteressata in tutte le direzioni, facendo della scienza
l’oggetto principale della propria opera. I finanziamenti, per lo più pubblici e
statali, non costringevano a investigare in una determinata direzione e
necessariamente con un obiettivo. Quando si intraprendevano direzioni di ricerca
che non erano realmente utili o non avevano alcun reale beneficio a servizio
della collettività, tali rami venivano abbandonati per concentrarsi su altro. La
scienza era ancora patrimonio di tutti e proprietà comune in quanto finanziata
per la gran parte dallo Stato.
Oggi il contesto in cui la “scienza” si sviluppa è radicalmente cambiato. Si è
passati dal concetto di ricerca – finalizzato alla scienza e al suo insieme di
scoperte – al concetto industriale di produzione di ricerca e sviluppo, ovvero
contestualmente alla ricerca si deve per forza produrre qualcosa che abbia poi
un ritorno economico. La scienza oggi non deve produrre per forza qualcosa di
utile alla collettività, ma qualcosa di utile al profitto economico, soprattutto
se privato.
Coloro che oggi finanziano la ricerca sono per lo più privati, ovvero banche,
fondi d’investimento, multinazionali, grandi aziende e grandi corporations di
aziende e tutto ciò che viene finanziato nell’ambito della ricerca deve portare
alla produzione di un prodotto vendibile e con un ritorno economico. Non sono
più previsti i “rami morti” della ricerca e nemmeno è previsto fare marcia
indietro qualora una certa direzione non porti a niente di utile o addirittura
possa potenzialmente arrecare un danno.
Fa impressione oggi l’ingenuità con cui gli scientisti dogmatici che parlano in
difesa della scienza come “bene comune”, quando oggi la scienza è il deus ex
machina del capitale finanziario, uno strumento tecnico – si parla sempre più di
tecnoscienza – dipendente dall’accumulo capitalistico e, in quanto tale,
finanziato per la gran parte da privati che vogliono un ritorno produttivo e
proficuo. Poco importa se viene sviluppato un prodotto che poi, in definitiva,
realizza più danno che beneficio – il famoso e ignorato principio di precauzione
–, importa invece che il finanziamento in termini di ricerca porti comunque allo
sviluppo di un prodotto vendibile e che in un modo o nell’altro sia accettato e
abbia successo sul mercato.
Ciò che sconvolge è che non importa se i mezzi per ottenere tale successo si
incentrino su una rigorosità metodologica o su una obiettività dei dati
disponibili. Oggi, queste ultime due componenti sono del tutto secondarie,
poiché primario è lo sviluppo produttivo-industriale, mentre la ricerca
scientifica si deve adeguare di conseguenza. Una volta finanziata una ricerca,
questa deve per forza concretizzarsi in produzione e una volta avviata una
determinata produzione, questa deve essere per forza “buona” a prescindere che
lo sia veramente.
Il sistema industriale è riuscito a sdoganare il più basso livello di rigorosità
e di obiettività nella ricerca scientifica, soprattutto quella biomedica. La
ricerca scientifica, dipendente dall’industria, ormai ha acquisito moltissime
delle semplificazioni proprie del modo di operare industriale: viene meno il
rigore, l’obiettività e la neutralità e lascia spazio alla grande produzione
industriale e al marketing, dando poca importanza alla qualità del prodotto. Ciò
che realmente importa è la percezione del prodotto che si riesce a ingenerare
sul mercato e a livello mediatico. Su questo l’industria è imbattibile: può
tranquillamente vendere qualsiasi cosa facendola passare per il suo contrario.
Un documento ufficiale del Comitato Nazionale di Bioetica approvato in seduta
plenaria l’8 giugno 2006, dal titolo Conflitto d’interessi nella ricerca
biomedica e nella pratica clinica (1), ha definito la medicina come «una scienza
polimorfa e complessa, che intrattiene rapporti di vario tipo, con la Società e
con le istituzioni che questa produce», sottolineando come la ricerca biomedica
moderna può essere effettuata, nel suo complesso, «soltanto con l’impiego dei
capitali di enormi dimensioni». Nel documento addirittura si afferma come «la
storia della scienza testimonia ampiamente come nell’ultimo secolo siano stati
compiuti numerosi e cospicui falsi descrittivi». I falsi scientifici e le
distorsioni metodologiche in medicina possono dipendere dal fatto che «gli
orientamenti di un ricercatore possano essere diretti e motivati non solo dai
problemi conoscitivi […], ma anche da interessi personali o da quelli connessi
con le istituzioni di cui quel ricercatore fa parte».
In sostanza viene descritto come le case farmaceutiche decidano il brutto e il
cattivo tempo, essendo in grado di manipolare e falsificare studi al fine di un
profitto privato e a discapito dell’interesse pubblico e del diritto alla
salute. Il campo della salute, sia nei suoi aspetti reattivi sia nella
prevenzione e promozione, così come nella ricerca, costituisce oggi un mercato
gigantesco, che dà molto peso agli interessi finanziari (Stamatakis, 2013;
Ioannidis, 2016) a discapito della medicina intesa come campo del sapere.
Ce ne sarebbero tanti di esempi plateali, ma uno su tutti sicuramente è lo
scandalo che coinvolse l’allora Ministro De Lorenzo che all’epoca ricevette una
tangente di 600 milioni di lire – insieme a Poggiolini – dalla casa farmaceutica
SmithKline per far diventare obbligatorio, con la legge 165 del 1991, il vaccino
anti-epatite B già in uso dal 1981 in forma facoltativa. Nessuna prova
scientifica – inesistente tuttora – che provasse la necessità
dell’obbligatorietà del vaccino anti-epatite B, ma esistevano invece cause
economiche che ancora oggi plasmano le scelte di medici che invece, in nome
della “scienza” e di un ambiguo concetto di “prevenzione”, consigliano
normalmente un vaccino reso obbligatorio tramite tangente.
Ci viene da chiedere se di questo e di molto altro ne siano a conoscenza i
membri del Patto Trasversale per la Scienza, o se ne siano a conoscenza tutti
coloro che credono che la scienza sia un discorso puro sempre indipendente.
Riflettere su questo ci potrebbe aiutare forse ad abbandonare qualunque tipo di
fideismo scientifico fine a se stesso per capire che non è troppo diverso da
qualunque altro fideismo religioso.
(1) Comitato Nazionale per la Bioetica, Conflitto d’interessi nella ricerca
biomedica e nella pratica clinica:
https://bioetica.governo.it/media/3118/p76_2006_conflitti_interessi-clinica_it.pdf
Ulteriori info:
> Il mito della neutralità scientifica
> Il velo della scienza neutrale
https://ilmanifesto.it/la-scienza-non-e-neutrale-e-non-prova-la-verita
> Gerardo Ienna (Università Ca’ Foscari di Venezia): “La scienza non è neutrale.
> Il contributo dei fisici italiani all’idea della responsabilità sociale dello
> scienziato”
https://www.gssi.it/communication/news-events/item/21981-la-scienza-e-l-illusione-della-neutralita
https://www.ilpost.it/2021/10/17/scienza-politica/
https://ilmanifesto.it/il-secolo-di-marcello-cini
> Le “collaborazioni” delle Università: ma la scienza è neutrale?
Lorenzo Poli