Quando domina il profitto: gli incentivi vaccinali e la deriva della medicina pubblica
di Eugenio Serravalle | Ago 7, 2025 | Diritti
Negli Stati Uniti, una recente inchiesta di Children’s Health Defense ha portato
all’attenzione del pubblico un aspetto poco noto della pratica vaccinale
pediatrica: l’attribuzione di incentivi economici ai medici per ogni bambino
completamente vaccinato entro una certa età. Un pediatra può ricevere fino a 400
dollari per ogni paziente se raggiunge, ad esempio, l’80% di copertura vaccinale
nel proprio studio per l’intero panel di vaccini raccomandati.
Questa dinamica può apparire estrema o lontana, la domanda da porci oggi è: in
Italia esiste forse un modello simile?
IL MODELLO AMERICANO È GIÀ REALTÀ ANCHE IN ITALIA
In Italia, il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV), attualmente in
vigore nella versione 2023-2025, stabilisce obiettivi numerici di copertura
vaccinale, imponendo alle Regioni di garantire almeno il 95% di adesione per i
vaccini obbligatori e percentuali crescenti per i raccomandati.
I livelli essenziali di assistenza (LEA) – stabiliti con DPCM 12 gennaio 2017 –
legano strettamente le prestazioni vaccinali agli standard da rispettare per
l’erogazione di fondi statali. Inoltre, il Sistema Nazionale di Verifica e
Controllo sull’Assistenza Sanitaria (SiVeAS) valuta le performance regionali
anche sulla base dei tassi vaccinali.
Di conseguenza:
* le ASL ricevono finanziamenti legati ai risultati raggiunti;
* i dipartimenti di prevenzione sono incentivati economicamente per le
coperture ottenute;
* in alcune Regioni e aziende sanitarie, sono previsti premi di risultato anche
per singoli operatori coinvolti nella campagna vaccinale.
Anche se in forma indiretta e distribuita, l’incentivo economico esiste ed è
attivo, ed è difficile non notare le analogie con quanto avviene negli Stati
Uniti.
Nel caso della Regione Toscana, un esempio emblematico, si stabilisce al punto
4.3 dell’AIR (Accordo Integrativo Regionale) del 2001, ancora vigente, che
stabilisce che, per le attività connesse alle vaccinazioni – informazione,
promozione, acquisizione del consenso informato, somministrazione,
registrazione, segnalazione degli inadempienti e recupero – il pediatra ha
diritto a due livelli di retribuzione:
Compenso per prestazione:
* 15,00 € per ogni atto vaccinale, sia mono che pluri-somministrazione.
Premi per obiettivi di copertura (valutati annualmente):
* 1.000 € per copertura >95% della terza dose di esavalente
* 1.000 € per copertura >95% del morbillo
* 1.000 € per copertura >80% del papilloma virus nelle femmine
I premi vengono dimezzati in caso di coperture inferiori, e annullati del
tutto sotto una certa soglia (es. <92% per esavalente e morbillo). Sono esclusi
dal conteggio solo i soggetti irreperibili o con dissenso formale firmato.
Tutto regolare, tutto lecito, tutto “in nome della salute pubblica”… ma è
davvero etico?
IL CONFLITTO DI INTERESSI È SISTEMICO
Questi incentivi economici trasformano di fatto il pediatra da consulente
sanitario a promotore retribuito della campagna vaccinale, creando una
situazione in cui:
* l’obiettivo clinico (il benessere del singolo) viene subordinato
all’obiettivo statistico (la copertura di massa);
* la firma del consenso informato diventa un passaggio obbligato per il
pagamento della prestazione;
* il recupero degli “inadempienti” – cioè delle famiglie che scelgono
legittimamente di non aderire – viene incentivato come parte dell’attività
professionale.
In tale contesto, il consenso informato perde ogni autenticità: non è più un
atto libero e consapevole, ma una condizione necessaria perché il sistema
remuneri il medico.
E se da un lato l’art. 32 della Costituzione afferma che nessuno può essere
obbligato a un trattamento sanitario, dall’altro l’intero impianto normativo e
organizzativo lo spinge a farlo “spontaneamente”, ma sotto pressione economica,
burocratica, sociale. Questa asimmetria di potere mette le famiglie in una
posizione vulnerabile e snatura il rapporto fiduciario con il pediatra, che non
può più essere percepito come neutrale, ma come portatore di un interesse
economico nel convincere (o forzare) l’adesione.
VACCINI SEPARATI: PERCHÉ NON SI POSSONO FARE? E SOPRATTUTTO… CHI CI GUADAGNA?
Sempre più genitori chiedono di poter separare i vaccini: un’esigenza legittima,
dettata da buon senso e attenzione al benessere del bambino. Eppure, la risposta
del sistema è quasi sempre la stessa: “Non si può”. Ma è proprio vero? La legge
Lorenzin non ha stabilito obbligo per l’esavalente o per il quadrivalente
(MPRV), ma per quelle 10 vaccinazioni. La circolare 0001174 del 15/01/2018 del
Ministero della Salute prevede questa possibilità con lo schema per il recupero
dei minori inadempienti agli obblighi vaccinali, introdotto dal Decreto Legge
73/2017.
In Italia non sono disponibili vaccini monocomponenti per morbillo, parotite,
rosolia, difterite e pertosse. Una scelta strategica, non scientifica. Per
epatite B e Haemophilus influenzae B i monovalenti esistono, per cui
l’esavalente si potrebbe tecnicamente scomporre in:
* un quadrivalente (DTPa + polio)
* due monovalenti (epatite B e Hib)
per assolvere all’obbligo vaccinale.
(i monovalenti contro tetano, poliomielite e varicella sono disponibili)
Questa possibilità non viene mai offerta ai genitori, anzi spesso si sostiene
che tali vaccini NON ESISTONO!
Nel 2011, lo stesso Working Group pediatrico dell’AIFA raccomandava di evitare
il vaccino MPRV (morbillo-parotite-rosolia-varicella) per la prima dose perché
il rischio di convulsioni febbrili è più che doppio rispetto a MPR + varicella
somministrati separatamente.
Eppure… la somministrazione separata non è mai la prassi. Nemmeno oggi.
Una scelta clinica saggia e prudente è stata trasformata in un’opzione scomoda e
raramente praticata.
In pratica, il pediatra ha un interesse economico diretto nel non separare, nel
non dilazionare, nel non offrire alternative. Ogni genitore che chiede una
personalizzazione rischia di abbassare le performance, far saltare gli obiettivi
e tagliare i bonus.
Questa è una medicina che ha perso la sua anima.
Una medicina che premia chi si adegua, non chi riflette.
Una sanità che non ascolta le famiglie, ma impone protocolli pensati per fare
statistica, non per proteggere la persona. Il consenso informato è stato
svuotato. La personalizzazione delle scelte cliniche è scoraggiata.
Il dialogo con le famiglie è sostituito da automatismi retribuiti.
I vaccini separati “non si possono fare” non per ragioni scientifiche, ma per
logiche economiche e organizzative. La salute non è un target e il bambino non è
un dato statistico. Il medico non è un esecutore premiato per l’adesione cieca
ai piani. Essere medici significa custodire l’integrità della cura, difendere
l’autonomia professionale, agire per coscienza, anche quando è scomodo.
Tutto il resto è burocrazia che si disinteressa del paziente, è gestione
amministrativa mascherata da atto medico, è un’illusione di scientificità
piegata alla logica dell’obbedienza.
AsSIS