Tag - Donbass

Tryzub e svastica, esiste un uso “neutrale” dei simboli politici nella storia?
A maggio 2023, scrissi un articolo dal titolo Tryzub, lo stemma nazista dell’Ucraina. Un articolo che aveva lo scopo fornire gli elementi basici per capire quanto quel simbolo, spacciato per nazionale (come se fosse per noi il tricolore), in realtà ha ben poco di neutrale, ma ha un’origine antica che affonda le sue radici tra paganesimo e cristianesimo per poi essere usato per tutto il Novecento da movimenti ed organizzazioni nazisti, collaborazioniste naziste ed in seguito da gruppi sia politici sia paramilitari di stampo neonazista. Ebbene questo breve articolo, che tutti potete leggere, è stato accusato recentemente di avere “un’impostazione che appare più vicina a una narrazione propagandistica che a un’analisi storica equilibrata”. Il tatuaggio di Carlo Calenda (da X) Secondo chi ha commentato alla nostra redazione, il tridente indossato dal presidente Zelensky (esaltato recentemente da Pina Picierno e tatuato da Carlo Calenda) “il riferimento è alla sovranità e all’identità storica ucraina, non a gruppi estremisti”. Se “è vero che dagli anni ‘30 in avanti il simbolo è stato occasionalmente strumentalizzato da minoranze di estrema destra, ma ciò accade ovunque: croci, bandiere nazionali e persino simboli religiosi sono stati usati da estremisti senza perdere il loro significato originario” – si afferma. Lo scritto prosegue affermando che “indossare il tridente significa esibire un simbolo nazionale e non un marchio ideologico. Equipararlo al nazismo significa delegittimare la simbologia statale dell’Ucraina e contribuire a diffondere una narrativa propagandistica oltre che omettere come nasce e come si diffonde questo simbolo. È giusto condannare l’uso improprio del tryzub da parte di estremisti, ma è altrettanto necessario riconoscerne la natura storica e costituzionale”. Questo importante commento, mi ha permesso di sviluppare una riflessione che non avevo mai elaborato prima d’ora su tutti quei simboli religiosi, spirituali od esoterici che immancabilmente finiscono per essere strumentalizzati ed usati da gruppi politici connotati in precisi contesti culturali, il cui uso strumentale di questi simboli impedisce di fatto un uso neutrale di questi simboli. Il tryzub ha origini medievali, legato alla dinastia di Volodymyr il Grande (X secolo), e divenne emblema dei principi Rjurikidi, dominante a partire dall’862 d.C. La riduzione dell’uso del tryzub iniziò a metà dell’XI secolo, quando cessò di essere coniato sulle monete della Rus’ di Kiev. Il periodo dell’oblio del tryzub durò dalla metà del XIII secolo fino alla fine del XVIII secolo, quando furono trovate le prime monete della Rus’ di Kiev con questo segno. I tentativi di analizzare il tryzub iniziarono all’inizio del XIX secolo e il termine “tryzub” fu usato per la prima volta dallo storico russo Nikolaj Karamzin nella sua opera del 1815 Storia dello Stato russo. Il suo significato si perde nella notte dei tempi. Secondo lo storico ucraino Volodymyr Sičyns’kyj (V. S. Sičyns’kyj, Український тризуб і прапор, Winnipeg, 1953, p. 24.) poteva rappresentare in modo stilizzato o una colomba “simbolo dello Spirito Santo”, o fiore, o un candeliere, o un “kuša” (simbolo di arco e freccia usato come segno del magistrato di Kiev nei secoli XVI-XVIII), o una runa, o un vessillo, o la testa (estremità) della mazza o dello scettro del principe, o una corona (come simbolo del potere nei secoli XVI-XVII), o la parola “volontà”, o il simbolo del fulmine. Quest’ultimi risultano improbabili perché si riferiscono a periodi in cui è documentato il suo disuso. Lo storico del XIX secolo Bernhard Karl von Koehne affermò che il tryzub rappresentava uno dei corvi Huginn e Muninn del dio norreno Odino presente nello stendardo del corvo (O. F. Belov e G. I. Šapovalov, Український Тризуб. Історія дослідження та історичний реконструкт, Zaporižžja, Дике поле, 2008.). Huginn e Muninn viaggiano per il mondo portando notizie e informazioni al loro padrone. Odino li fa uscire all’alba per raccogliere informazioni e ritornano alla sera, siedono sulle spalle del dio e gli sussurrano le notizie nelle orecchie. È da questi corvi che deriva l’epiteto dio-corvo che rappresenta Odino. La tradizione, riconosciuta anche dall’articolo 20 comma 4 della Costituzione ucraina, vuole che il tryzub sia lo stemma del principe Volodymyr il Grande: “Articolo 20§4. L’elemento principale del grande stemma di Stato dell’Ucraina è il segno dello Stato principesco di Volodymyr il Grande (piccolo stemma di Stato dell’Ucraina).” Nel dicembre 1917 fu riadottato dalla nascente Repubblica Popolare Ucraina (che durò pochi mesi) come stemma ufficiale nazionale. E’ proprio in questo frangente che il tryzub inizia ad assumere un significato politico in seno al nascente nazionalismo ucraino. La Repubblica Popolare Ucraina, inizialmente di ispirazione sovietica ed anti-zarista, ben presto assiste ad uno scontro interno tra nazionalisti e i comitati filo-sovietici. Nella Russia rivoluzionaria di quei convulsi momenti si apre una stagione di possibilità e prospettive per il nazionalismo ucraino che persegue apertamente gli obiettivi di una autonomia territoriale e di una riorganizzazione dello stato russo. Prende corpo l’opzione indipendentista, fino a quel momento coltivata solo da frange politiche minoritarie. Le pretese della Rada ucraina vengono prima fortemente contestate dalle 4 regioni tradizionalmente non Ucraine per composizione etnica ovvero quella di Kharkov, di Kherson, la Crimea e la regione di Dnepropetrovsk dove gli intellettuali di estrazione russa di queste regioni insorgono contro le pretese di ucrainizzazione di territori non ucraini. Il 9 agosto , dopo un violento dibattito fra nazionalisti e i rappresentanti dei soviet, la Rada approva una risoluzione sulle Istruzioni nella quale si prende atto delle decisioni del governo centrale ma al tempo stesso si insite sulla necessità dell’ampliamento dell’autonomia e delle competenze del segretariato con un cenno finale alla convocazione di una «Assemblea costituente ucraina», da affiancare a quella pan-russa. Il 12 agosto si apre a Mosca la conferenza di Stato, organizzata dal nuovo governo rivoluzionario alla quale i delegati del segretariato ucraini, pur invitati, decidono di non partecipare. Si apre da questo punto in poi un confronto anche serrato fra nazionalisti ucraini, Soviet ucraini e comitato centrale ucraino che porterà conseguenze fino allo scontro armato. La Rivoluzione sovietica dell’ottobre 1917 e la vittoria dell’Armata Rossa su quella Bianca nei furiosi scontri che si avranno in quel periodo, metterà fine all’esperimento ucraino che nella sostanza non avrà mai una vera consistenza politica anche per gli scontri interni alla stessa Rada e soprattutto per la mancanza di un vero sostegno popolare. È proprio da questo momento in poi che il tryzub assumerà un significato storico che rispecchia il suo significato politico di oggi: simbolo del nascente nazionalismo ucraino. Il tryzub, in seguito assume fortemente un carattere politico nel 1929, in funzione anti-sovietica, come simbolo dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN), un partito politico nazionalista e fascista che nel giugno 1941, sotto la guida di Stephan Bandera, annunciò la creazione di uno Stato ucraino indipendente nella regione che era sotto il controllo della Germania nazista, sostenendo i piani espansionistici nazisti, giurando fedeltà ad Adolf Hitler e rendendosi responsabile del massacro di 100.000 civili polacchi ed ebrei attraverso il suo braccio armato, l’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA). Quindi il Tryzub non è stato un simbolo occasionalmente strumentalizzato da minoranze di estrema destra, ma è diventato un simbolo – contestualmente a ciò che è accaduto – dell’etnonazionalismo ucraino. Non solo sappiamo che i movimenti neonazisti ucraini, dal 2014, hanno utilizzato più volte questo simbolo, ma sappiamo che è stato ed è l’emblema principale delle più importanti e influenti organizzazioni dell’estrema destra ucraina, sia storica sia contemporanea (vedi articolo). Nel maggio 2022 lo Stemma dell’Unità (del battaglione Azov), che faceva riferimento al Wolfsangel, è stato sostituito dal tryzub stilizzato, formato da tre spade d’oro: quindi il tryzub è anche simbolo del Battaglione mercenario paramilitare di stampo neonazista responsabile di pulizia etnica dal 2014, documentate dall’OCSE e da Amnesty International. Non si tratta di un “uso improprio del tryzub da parte di estremisti”, ma si tratta dell’uso del tryzub che viene fatto fin dal 1929 dai neonazisti ucraini, esattamente come oggi i neonazisti europei usano la svastica perchè si è configurata storicamente come simbolo nazista fin dall’estate 1920. L’articolo 20 della Costituzione ucraina, adottata il 28 giugno 1996, riconosce il tryzub – con la risoluzione “Sull’emblema di Stato dell’Ucraina” – come “l’elemento principale del grande emblema di Stato dell’Ucraina” in quanto “simbolo dello Stato Principesco di Volodymyr il Grande”. E’ tipico di Stati etnonazionalisti introdurre legalmente simboli che rimandano all’ideale su cui si fondano. Vedasi Israele con la Stella di David, simbolo religioso ebraico. Come hanno suggerito importanti analisti, è giusto e altrettanto necessario riconoscere che il tryzub in Ucraina non avrebbe natura costituzionale se non avesse il suo significato storico legato al patriottismo e il suo significato ideologico legato all’etnonazionalismo ucraino. Il tryzub è ora, contestualmente, un simbolo nazista che viene usato da partiti, movimenti e battaglioni paramilitari di estrema destra ucraini in rappresentanza del patriottismo, della loro identità nazionale e dell’etnonazionalismo ucraino in opposizione a tutto ciò che lo rinnega. Quando il tryzub viene indossato dal presidente Zelensky fa riferimento sicuramente al patriottismo e all’identità nazionale ucraina non slegata dall’etnonazionalismo ucraino, oltre a schiacciare l’occhio a tutti quei battaglioni paramilitari di stampo neonazista (Azov, Aidar, Donbass e molti altri…) che sono stati assimilati nell’Esercito Nazionale Ucraino. Azov per esempio fu inquadrato l’11 novembre 2014 nella Guardia Nazionale dell’Ucraina, il corpo di gendarmeria nazionale ucraina e forza militare interna sotto la giurisdizione del Ministero degli Affari Interni, quindi del governo. Ho abbastanza memoria per ricordare che il Battaglione Azov fu fondato nel febbraio 2014 come unità paramilitare di volontari di orientamento neonazista, guidati dal militare e politico suprematista bianco Andrіj Bіlec’kyj, che ne fu primo comandante. Andrіj Bіlec’kyj, dal novembre 2014 al luglio 2019, è stato membro del Parlamento ucraino per l’Unione Ucraina di Patrioti – UKROP e, ora, oltre a guidare il partito politico d’estrema destra Corpo Nazionale (di stampo neo-nazista fondato nel 2016 da lui stesso), è pure comandante del 3º Corpo d’Armata dell’Esercito Ucraino. Esempi di questo tipo sono molteplici e non starò ad elencarli per mancanza di tempo, però credo che sia ingenuo pensare che l’esibizione del tryzub sia un simbolo di solo patriottismo ed identità nazionale. Quindi si può dichiarare che Zelensky sia vicino a movimenti neonazisti. Inoltre non dimentichiamoci che dopo l’inizio dell’invasione russa del 2022, Zelensky ha dichiarato la legge marziale e mobilitato le Forze Armate dell’Ucraina. Legge marziale significa che i pieni poteri sono in mano al governo, vige il divieto di svolgere le elezioni parlamentari e vengono emanati provvedimenti che sospendono temporaneamente le leggi ordinarie per introdurre regole e misure speciali in condizioni di eccezionalità, come la guerra. Quindi definire Zelensky come “vicino ai gruppi d’estrema destra” non è assolutamente retorica propagandistica, in quanto lui stesso si definisce “nazionalista” e a capo di un “governo nazionalista”, quindi non può risultare nemmeno “offensivo”. In Ucraina, i movimenti e i partiti d’estrema destra sono tutt’altro che marginali. Partiti “minoritari” d’estrema destra sono stati la manovalanza della Strage di Odessa del 2 maggio 2014, ed hanno avuto importanti ruoli di governo sotto la presidenza di Poroschenko. Molti dei loro membri attivi hanno intrapreso carriera militare (essendo prima paramilitari di battaglioni volontari) e politica. Il fatto che alle elezioni 2019 i partiti di estrema destra non hanno ottenuto alcun seggio non vuol dire nulla (non erano affiliati a coalizioni importanti), poichè il loro obiettivo l’hanno già ottenuto: infiltrarsi negli apparati di Stato, sia civile sia militare. Non esiste un uso “neutrale” e decontestualizzato dei simboli, i quali – nella storia – vengono da sempre utilizzati in memoria di qualcosa o addirittura strumentalizzati allo scopo di utilizzarli per altri scopi, acquisendo altri significati contestualizzati in un preciso periodo o momento storico. Da appassionato di filosofie orientali, specialmente buddhismo e induismo come esempio lampante mi sovviene la svastica (dal sanscrito “swastika”, che nella scrittura devanagari si scrive स्वास्तिक ), antico e millenario simbolo religioso – utilizzato fin dal Neolitico – da sempre concepito come simbolo universale di buona fortuna e benessere in culture antiche dell’India e dell’Estremo Oriente, simboleggiando il moto del Sole, i punti cardinali o la prosperità. Lo swastika si può trovare nei graffiti rupestri in ValCamonica, nel cristianesimo antico come antico simbolo della Croce di Gesù, si può trovare nelle popolazioni mesopotamiche e si può trovare con diversi significati anche nell’Islam e nell’ebraismo. Nel buddhismo lo swastika rappresenta il sigillo della mente-cuore dei Buddha (i “risvegliati”, o “illuminati”), capace di comprendere tutte le cose (non è un caso trovarla incisa su grandi statue dei Buddha). Nell’induismo simboleggia al contempo i Quattro Veda, i corrispondenti quattro volti di Brahmā (il Dio supremo creatore di tutto e presente in tutte le cose) e i portali solari o i portali lunari, oltre ad avere diversi significati in base a come sono rivolti i rebbi (così 卐 o così 卍). La grande satguru del Sahaja Yoga, Shri Mataji Nirmala Devi, spiegava come lo swastika fosse la rappresentazione del Mooladhara chakra, ovvero il primo chakra, rappresentando le quattro dimensioni della consapevolezza, e il punto di incontro con la quinta dimensione, oltre che ad essere la sorgente della Kundalini. Non a caso la parola chakra significa ‘ruota’, o anche ‘rotazione’, che puó essere in senso orario o anti-orario. Lo swastika, riprendendo i quattro petali del Mooladhara, rappresenta dunque – in base alla direzione della rotazione – “costruzione o distruzione”, se non addirittura la ruota del Dharma stesso. Nel giainismo invece, lo swastika rappresenta i Quattro Regni nei quali un’anima è soggetta al saṃsāra, il ciclo delle vite e delle morti, e può rinascere se non ha raggiunto l’illuminazione e non si è ancora liberata dalla sofferenza terrena dei desideri effimeri. Nonostante tutto ciò, come sappiamo bene, lo swastika fu adottato dai nazisti nel XX secolo, che lo associarono – a causa della risignificazione esoterica che ne fece la destra spiritualista da Julius Evola in poi – alla loro ideologia razzista. Venne chiamata hakenkreuz (“croce uncinata”, in italiano “la svastica”), trasformandola nel simbolo del nazionalsocialismo. La sua odierna notorietà è legata alla sua adozione durante il primo dopoguerra da parte del Partito Nazionalsocialista Tedesco e, successivamente, per l’apposizione sulla bandiera della Germania nazista. In Occidente, dopo la Seconda Guerra Mondiale fino ad oggi – a meno che non venga usata in contesti ben specifici come i templi induisti, buddhisti e nelle sale di meditazione di Sahaja Yoga – chi usa la svastica in contesti pubblici o manifestazioni politiche, non lo fa per augurare benessere e prosperità o per motivi spirituali, ma in ricordo di una determinata storia politica, il nazionalsocialismo tedesco, se non per inneggiare al neonazismo in alcune manifestazioni. Partendo dal fatto che non si capisce quale spazio abbia la narrazione propagandistica e quali siano le omissioni in questa riflessione, io credo che ogni sociologo politico, sociologo delle religioni e studioso di simbologia religiosa potrebbe convenire su quanto detto. In molti parlano oggi – con fare paternalistico – di svolgere un buon lavoro di “fact-checking” prima di pubblicare articoli, studi, libri e lavori di qualunque tipo. Interessante è che lo dicano agli altri, avendo la presunzione di essere nel “giusto” come se nessun “superficialismo” possa intaccarli. Io ritengo che prima di voler fare un “fact-checking” si debba essere a conoscenza di certi dettagli ed importanti distinguo concettuali, altrimenti è razionalmente impossibile condurre un virtuoso “fact-checking”. Prima di voler fare un fact-checking è importante conoscere i fatti: come puoi decidere se i fatti raccontati sono veri o falsi se prima non li si conosce? Spesso e volentieri è importante fare un “contro-factcheking” molto più accurato attraverso analisi e informazioni vere ma che non spesso i media mainstream sono soliti pubblicare. Per questo esistono i libri di storia. Lorenzo Poli
Torino, annullata la conferenza “Russofobia, russofilia, verità”. La risposta di Angelo D’Orsi
Non è tardata ad arrivare la risposta del prof. Angelo d’Orsi che con un comunicato ufficiale ha umiliato il PD torinese, nazionale e Pina Picierno. Massima solidarietà al Professor Angelo d’Orsi e condivisione come chiesto da quest’ultimo nel medesimo comunicato. Nella città di Gramsci e Gobetti, medaglia d’oro alla Resistenza, è una vergogna che un sindaco del PD vieti – sulla linea della cancellazione delle esibizioni degli artisti russi – una conferenza sul conflitto russo-ucraino ad un noto esponente dell’accademia torinese solo perché contrasta con la vulgata del regime NATO sostenuta senza pudore dal governo Meloni, dalla destra italiana, dai neoliberali Renzi e Calenda e dal PD. Di seguito il comunicato di D’Orsi. La mia conferenza “Russofobia, russofilia, verità”, prevista l’11 novembre a Torino nei locali del Polo del ‘900 è stata inopinatamente annullata. L’accusa che ‘spiega’ l’annullamento è la stessa che ha impedito al direttore d’orchestra russo Gergiev, al baritono Abdrazaov, per citare solo gli ultimi episodi di cronaca, ossia di fare ‘propaganda’. E quindi senza neppure aspettare che io tenga la mia conferenza vengo poco democraticamente silenziato in nome della democrazia, di cui l’Occidente sarebbe il faro, mentre la Russia di Putin affoga nella ‘autocrazia’. Chi sono io? Sono un ‘terrone’ (salernitano) e vivo a Torino dal 1957, e vi ho compiuto tutti gli studi dalle Medie all’Università dove mi sono laureato con Norberto Bobbio. Sono stato professore ordinario di Storia del pensiero politico nell’ateneo cittadino, e ho insegnato nelle Facoltà di Scienze politiche e di Lettere e Filosofia, diverse altre discipline. Ho collaborato alla creazione dell’Archivio storico dell’ateneo e ho inventato e diretto per un quindicennio i ‘Quaderni di Storia’ dell’Università di Torino. E tra i miei libri ve n’è uno, molto corposo, specificamente dedicato alla nostra università (Allievi e maestri, l’Università di Torino tra 800 e 900). Ho 43 anni di docenza alle spalle, senza contare gli ultimi tre anni nei quali sono stato docente a contratto al Politecnico.  Ho presieduto per anni il più importante corso di laurea della mia Facoltà, quello in Scienze politiche. Di Torino ho studiato la storia culturale pubblicando opere rimaste come pietre miliari, a cominciare da La cultura a Torino tra le due guerre (2000) il libro più discusso in quell’anno, vincitore di premi importanti. Ho scritto la biografia dei tre iconici intellettuali del 900 che hanno operato sotto la Mole: Antonio Gramsci, Leone Ginzburg e ultimo Piero Gobetti, che uscirà in libreria tra qualche mese. Ho fondato e diretto le riviste ‘Historia Magistra’ e ‘Gramsciana’ che escono tuttora e sono considerate testate autorevoli a livello internazionale. Sul piano della milizia civile, dopo essere stato redattore capo del glorioso foglio di GL ‘Resistenza’, ho fondato e diretto ‘Nuova Sinistra’ e, anni dopo, ‘Nuvole’, che poi ho abbandonato. Giornalista pubblicista del 1971 (ho ricevuto la targa per i Decani dei giornalisti piemontesi), ho collaborato intensamente per un ventennio al quotidiano La Stampa e ad altri quotidiani (Corriere della Sera, Il Sole 24 ore, Il Manifesto…). Ho pubblicato oltre 50 volumi, e miei scritti sono usciti in inglese francese spagnolo portoghese tedesco serbocroato: è appena stata pubblicata la traduzione spagnolo della mia biografia di Gramsci, per citare solo l’ultimo esempio. Ho preso parte, sempre, alla vita culturale e al dibattito civile e politico, da indipendente, in città e sul piano nazionale Sono stato anche, sempre come indipendente, candidato sindaco di una coalizione di sinistra. Le mie posizioni di sinistra sono note a tutti, e non tocca a me sottolineare il mio peso di studioso e di intellettuale, ma credo sia universalmente riconosciuto. Ebbene, non avrei mai (e dico mai) potuto immaginare che venisse annullata una mia conferenza nella mia città. Era previsto anche un collegamento dal Donbass con un giornalista italiano, Vincenzo Lorusso, in quanto autore di un recente volumetto intitolato ‘De russophobia’, quindi persona informata e qualificata per parlare. Ma questo era un ‘di più’: il cuore dell’incontro annullato era precisamente la mia conferenza. Dopo un comunicato di una ignota associazione ucraina e di una sigla legata al Partito Radicale (che, ricordo, ha sempre sostenuto le forze di estrema destra nei Balcani e ora in Ucraina, contribuendo a far scarcerare il responsabile dell’omicidio del nostro fotoreporter Andrea Rocchelli, nel Donbass), è scesa in campo la ben nota Pina Picierno (che ricopre la carica di vicepresidente del Parlamento UE), la quale e ha chiesto anzi ingiunto al sindaco di Torino di far annullare l’evento. Così è avvenuto. E io l’ho saputo da un post gongolante della stessa signora, prima che gli organizzatori me lo comunicassero. Ora mi aspetto che la ministra dell’Università venga al mio fianco e mi faccia tenere la conferenza come ha fatto con rulli di tamburi e squilli di trombe con Emanuele Fiano (al quale nessuno aveva vietato di tenere conferenza, ma era stato contestato dagli studenti, cosa ben diversa e che dopo l’episodio sta girando la Penisola per godere dei frutti di quell’episodio). Mi aspetto che il sindaco di Torino dichiari di non essere intervenuto per bloccare la conferenza. Mi aspetto che l’ANPPIA nazionale che a quanto leggo su agenzie di stampa avrebbe sconfessato la sezione locale, ente organizzatore della conferenza, mi chieda scusa. E aspetto le scuse anche della presidenza e della direzione del Polo del ‘900. Mi aspetto che la segretaria del PD sconfessi la Picierno. Mi aspetto un gesto di solidarietà dal mondo accademico e intellettuale, almeno cittadino. Temo che nessuno di questi atti avverrà. Perciò chiedo alle testate giornalistiche con le quali ho collaborato in passato o collaboro nel presente, e ai programmi televisivi delle diverse reti di quali sono stato e sono frequentemente ospite di pubblicare questa mia o di darmi spazio per esporre pubblicamente le mie ragioni nel primo momento utile. Che ad uno storico di professione, un accademico ‘togato’, frequentemente invitato a tenere lezioni in Europa e fuori (le prossime saranno a Parigi, Saragozza, Barcellona, Teheran), venga impedito di tenere una pubblica conferenza è un fatto inaccettabile, di cui sarebbe vergognoso tacere o sarebbe colpevole sottovalutare. Angelo D’Orsi Redazione Italia
La Russia “vende” i bambini ucraini? Il conflitto informativo colpisce ancora
Negli ultimi giorni diversi media italiani hanno rilanciato una notizia che ha fatto rapidamente il giro del web: nella Repubblica Popolare di Lugansk (LNR) sarebbe stato pubblicato un “catalogo” con i dati di bambini ucraini rapiti, presumibilmente destinati a un traffico di minori. L’informazione è stata diffusa da Save Ukraine, ONG fondata nel 2014 e presentata sul proprio sito come impegnata nel “recupero dei bambini ucraini rapiti”. Tra i partner dichiarati compaiono USAID, l’Unione Europea e il Ministero degli Affari europei dell’Austria. La notizia, rilanciata senza particolari approfondimenti da diverse testate, non è però supportata da prove concrete: negli articoli non vengono citate fonti verificabili che confermino la versione di Save Ukraine. Le accuse di “traffico di minori” sembrano inserirsi in un contesto di fortissima contrapposizione politica e propagandistica tra Kiev e Mosca, con la Russia che considera la Repubblica Popolare di Lugansk parte integrante del proprio territorio a seguito del referendum del 2022 e Kiev che vorrebbe porre fine a qualunque separatismo indipendentista russofono. La realtà, per quanto complessa, ha ben altro spessore e – chi si è affacciato alla questione riguardante il conflitto in Donbass fin dal 2014 con cognizione di causa – non può ignorare alcuni particolari fondamentali per capire quanto sta avvenendo. Dal 2014 la Repubblica Popolare di Lugansk ha promosso numerose iniziative per collocare i bambini orfani e i minori privi di cure parentali in nuove famiglie, riducendo in modo significativo il numero di minori ospitati negli istituti e favorendo la loro crescita in condizioni familiari, fornendo opportunità per uno sviluppo dignitoso nonostante le grandi difficoltà. Per chiarire la natura del documento, International Reporters ha contattato Vladlena Shehovtsova, Viceministra dell’Istruzione e della Scienza della Repubblica Popolare di Lugansk. Nella sua risposta, ha respinto fermamente ogni accusa di rapimenti: > “I bambini che hanno perso l’ambiente familiare hanno diritto a una protezione > speciale e all’assistenza dello Stato. Questo è garantito dalla Convenzione > sui diritti dell’infanzia. A questi bambini devono essere garantite non solo > condizioni di vita confortevoli e un’istruzione di qualità, ma anche la > possibilità di tornare in una famiglia. Un padre e una madre, anche se non > sono i genitori biologici, possono diventare un sostegno sicuro, condividendo > la loro esperienza di vita e la loro saggezza. Per accelerare e ottimizzare > questo processo, è stata creata una banca dati statale sui bambini rimasti > senza cure parentali. La digitalizzazione oggi è introdotta in molti settori, > compreso il lavoro degli organi di tutela e curatela.“ Secondo la Viceministra, la creazione del database rientra negli obblighi previsti dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e nella Costituzione della Federazione Russa, che attribuiscono allo Stato il dovere di garantire protezione e assistenza ai minori privi di cure parentali. Anche il Garante per i diritti dell’infanzia della LNR, Inna Schvienk ha commentato la vicenda: > “Il lavoro con le famiglie affidatarie comprende un insieme di attività volte > a sostenere le famiglie che hanno accolto minori rimasti senza cure parentali. > Tale lavoro prevede un accompagnamento psicologico, pedagogico, sociale e > giuridico e viene svolto di norma in stretta collaborazione tra gli organi > statali competenti. Ogni tutore o affidatario deve obbligatoriamente > frequentare una “scuola per genitori affidatari”, sottoporsi a una visita > medica e preparare il pacchetto di documenti previsto dalla legislazione > federale. Inoltre, tra il potenziale tutore/affidatario e il bambino si lavora > per stabilire un contatto. In caso di instaurazione di un rapporto positivo, > viene obbligatoriamente presa in considerazione l’opinione del minore sulla > sua disponibilità a entrare in una famiglia affidataria. In questo modo, lo > Stato agisce esclusivamente nell’interesse del bambino.” Shehovtsova ha spiegato a International Reporters che la piattaforma è un database regionale sui bambini rimasti senza cure parentali, istituita “per aiutare i cittadini che desiderano prendere un bambino in affidamento o adottarlo, e per creare un archivio unico di informazioni affidabili accessibile in tempi rapidi agli organi competenti”. La gestione del database è affidata al Ministero dell’Istruzione e della Scienza della LNR, che agisce come operatore regionale del registro, in conformità alla Legge Federale Russa n. 44-FZ del 16 aprile 2021. Gli aspiranti genitori adottivi o tutori devono essere cittadini russi maggiorenni e giuridicamente capaci. Prima dell’affidamento, è prevista “una verifica accurata del livello morale, materiale e fisico” della famiglia, e la frequenza di un corso di formazione specifico. Una volta collocato il minore, “gli organi di tutela e cura effettuano controlli programmati e straordinari presso il luogo di residenza per verificare che i diritti e gli interessi del bambino siano rispettati e che il suo patrimonio venga tutelato”. Il caso della presunta “vendita di bambini” dimostra quanto ancora il giornalismo embedded generi un acceso conflitto informativo parallelo a quello militare: da una parte, il governo etnonazionalista ucraino di Zelensky e i suoi alleati occidentali che accusano Mosca e le autorità russe di deportazioni e traffici illeciti; dall’altra, la LNR e la Russia che respingono le accuse e presentano iniziative come la banca dati degli orfani come adempimenti normativi per la tutela dei minori (sicuramente non il migliore dei modi per gestire una questione umanitaria). Non è la prima volta che la disinformazione sui presunti rapimenti di bambini ucraini russofoni della Repubblica Popolare di Lugansk si fa sentire. Già nel 2023 giornalisti italiani avena rilanciato questo tipo di notizie confusionarie, parziali e decontestualizzati, dicendo mezze verità per affermare grandi bugie. Presentare documenti ufficiali della LNR come “cataloghi per la vendita di bambini” senza prove verificabili significa utilizzare la disinformazione come arma politica, per polarizzare l’opinione pubblica e minare la credibilità stessa dell’informazione mainstream, già ampliamente considerata parziale e incompleta da gran parte della popolazione occidentale stessa. Lorenzo Poli