Azione o non azione? Azione!
La luce della luna che si sta alzando profila la corona di montagne che ci
circonda e l’aria inizia a farsi frescolina; penso che abbiamo fatto bene a
staccare per una mezza giornata e salire quassù. In verità non siamo tanto in
alto, a 600mt, e nemmeno in qualche valle austera e solenne: siamo in Val
Seriana, siamo venute a trovare un’amica che lavora presso un festival dedicato
ai popoli indigeni della Terra. Li abbiamo ascoltati attorno al fuoco sacro –
una fiamma che per l’intera durata del progetto non si deve mai spegnere;
l’amica ci ha raccontato che quest’anno a causa delle forti piogge è stato molto
impegnativo tenerlo sempre vivo.
Ogni delegato ha prima presentato la propria gente e poi raccontato sfide e
successi che in questo momento storico stanno affrontando nella loro terra
d’origine. Il piatto della bilancia continua a pesare molto di più sul negativo
che sul positivo; a parte una buona notizia per gli Inca del Perù, la cui lingua
quechua è stata riconosciuta come la prima del paese (lo spagnolo è passato
secondo), tutti gli altri riferiscono quasi solo di prepotenze e abusi su di
loro e sui loro territori. Le storie più tristi ancora oggi arrivano dall’icona
di libertà che amiamo tutti: gli Indiani d’America. Tuttavia lo spirito è alto,
e oserei quasi dire, battagliero. Di questo parliamo Laura ed io sedute una di
fronte all’altra a una tavolata dove ognuno consuma la propria cena.
Di fianco a noi una coppia. Mi accorgo che la donna, mia dirimpettaia di sbieco,
mi guarda spesso con uno strano sorriso. Entrambi parlano a voce piuttosto alta,
e in particolare lei sembra voler marcare certe parole: “canalizzazione”
“energie alte” “vibrazioni angeliche” ecc. Noi continuiamo la nostra cena
cercando di farci poco caso, senonchè al termine, proprio quando decidiamo di
alzarci, veniamo incastrate con il classico attacca-bottone. Mi ritrovo a
parlare con l’uomo e Laura con la donna. Capisco al volo che il loro interesse
nei nostri confronti è stato suscitato dalla mia borsa palestinese con tanto di
spilla “free Palestine”. Con esterrefatta incredulità intendo che “vogliono
salvarci”.
Non sono simpatizzanti sionisti, anzi lui si premura di prenderemi le mani e
cercando di guardarmi fisso negli occhi mi rassicura che sono dalla nostra
parte, ma mi spiega che quello che faccio, e milioni di altri esseri umani
fanno, lottare nelle strade e in mille altri modi, non serve a niente, anzi
abbassa la vibrazione e ritarda il processo. Tutto ciò che occorre è creare pace
dentro di sè, che da sola viaggerà nel mondo e aggiusterà il male. Lei,
rigorosamente vestita di bianco, sembra inorridita dall’apprendere che
addirittura io sono una che va ancora in manifestazione. Un brutto dialogo che
ha lasciato l’amaro in bocca, ma mi ha dato da riflettere.
Rispetto e ammiro le persone che scelgono di vivere in clausura, in un monastero
o in un bosco, cercando la purezza e la spiritualità. Pratico yoga da trent’anni
e lo insegno da quasi altrettanti; quelle persone sono, dunque, fari che
illuminano la mia strada. E, per quanto il mio approccio ai problemi e alle
tragedie del mondo sia diverso, più concreto, più materiale, credo che anche
loro diano un loro contributo, in modalità più sottili, alle cause per le quali
mi batto andando in piazza o scrivendo e mostrando cartelli di protesta.
Qui, però, non siamo di fronte a saggi eremiti. Lei vestita di bianco e lui che
mi prendeva le mani sono venuti come noi a un festival, hanno mangiato accanto a
noi e come noi si sono bevuti una birra. Se non fosse per il vestito bianco e
per il tono ispirato, li si potrebbe scambiare per due comuni borghesi, complici
dei problemi e delle tragedie che mi affliggono e che spingono tanti come me
all’azione. E non sono i soli; anzi sono rappresentativi di un atteggiamento che
caratterizza tutto il mondo “ufficiale” in cui mi muovo. Dove la wellness, la
meditazione, il rebirthing e, sì, anche lo yoga sono ridotti a quarti di nobiltà
per uomini e donne altrimenti annoiati, a scuse penose per il loro
irrefrenabile, quanto ingiustificato, senso di superiorità. “Noi che capiamo
queste cose”, “noi che riceviamo ed emaniamo bella energia” possiamo continuare
a vivere il nostro privilegio e la nostra indifferenza verso quel che capita –
quel che di orribile capita – con un sorriso di sufficienza.
Non ho ricette da offrire; ho solo dubbi. Uno di questi è il seguente: perché in
mezzo agli Incas e agli Indiani d’America, al festival, non c’era non dico una
bandiera palestinese, ma neanche un riferimento al genocidio in atto? Dobbiamo
aspettare che il genocidio sia arrivato a compimento per poter finalmente, fra
qualche decennio, celebrarne le nuove vittime, le vittime di un’arroganza e di
una violenza che sembrano non aver fine? Con tutti i miei dubbi, io non me la
sento di aspettare, e continuerò ad andare in piazza. Mantenendo acceso, a
fatica se è il caso, il fuoco della mia passione.
di Marina Serina
Redazione Italia