Chi pagherà i dazi di Trump?
Era il 2 aprile 2025 quando nel giardino delle rose della Casa Bianca il
presidente degli USA ha esordito dicendo: «Questo è uno dei più importanti
giorni nella storia d’America. È la nostra dichiarazione di indipendenza
economica». Durante quel discorso Trump ha mostrato ad un pubblico di
fedelissimi una tabella con le proposte di tariffe doganali reciproche tra gli
USA e il resto del mondo.
Se fosse stato il 1° aprile, in Italia avremmo pensato ad uno scherzo, anche
perché l’esposizione della tabella trumpiana ricordava quelle che la fantomatica
“Camila” fornisce a Zaia/Crozza. È il caso di segnalare che la formula
utilizzata per stabilire i dazi in realtà calcolava la percentuale del rapporto
tra disavanzo commerciale USA e valore delle importazioni dall’estero. Pertanto
il Presidente degli USA ha palesemente scambiato lucciole per lanterne.
In questo modo Trump ha attribuito numeri falsi ai dazi degli altri Paesi, per
poter dire che, con magnanimità, gli USA stabilivano dazi reciproci soltanto del
50% di quelli applicati dagli altri. Non solo: Trump ha mostrato solamente una
tabella relativa alle merci, per le quali gli USA risultano in deficit
commerciale con quasi tutti i Paesi. Ha volutamente tralasciato di considerare
lo scambio dei servizi, per i quali la situazione è rovesciata, poiché sono gli
altri Paesi in disavanzo commerciale nei confronti degli USA.
Insomma, l’impostazione del problema dei dazi da parte di Trump è illogica nel
metodo e viziata nei contenuti. Non è un caso che subito dopo la presentazione
della proposta trumpiana tutte le borse mondiali sono crollate, compresa quella
degli USA. Persino la logica del mercato non può approvare le scelte
irragionevoli degli apprendisti stregoni.
Infatti a pagare il prezzo dell’imposizione dei dazi trumpiani saranno anzitutto
i cittadini americani, che compreranno i prodotti stranieri ad un prezzo
maggiorato. Inoltre, l’aumento dei prezzi dei prodotti negli USA farà salire
l’inflazione, riducendo il poter d’acquisto dei cittadini americani, in
particolare di quelli a basso reddito.
La recente riforma fiscale dell’amministrazione Trump, il cosiddetto “Big
Beautiful Bill”, ha fortemente ridotto le tasse sui redditi più alti e sulle
imprese. Di conseguenza i dazi servono a Trump per compensare la riduzione del
gettito delle imposte dirette sui contribuenti più ricchi.
Ovviamente l’aumento dei prezzi sui beni materiali negli USA porterà a minori
acquisti di merci importate, con conseguenze negative anche per le economie dei
Paesi esportatori verso gli USA. Questi ultimi dovranno cercare di trovare
mercati alternativi con minori barriere doganali. L’impatto negativo dei dazi
USA ci sarà sicuramente in tutti i Paesi che esportano verso gli USA, ma con
molta probabilità sarà inferiore al danno causato all’economia e ai consumatori
in USA.
Recentemente Tommaso Monacelli su sito lavoce.info ha scritto: «L’aumento dei
dazi Usa sull’Ue non è una strategia “patriottica” che colpisce gli stranieri. È
una tassa mascherata imposta a imprese e cittadini americani che, spesso
inconsapevolmente, ne subiscono gli effetti diretti e indiretti, in termini di
minore possibilità di scelta. Difficile sbandierare tutto ciò come una “vittoria
di Trump”».
Parafrasando Democrito si potrebbe dire che “il peggior governo è quello, non
dove sono le peggiori leggi, ma dove i peggiori governano”.
Rocco Artifoni