CdS: i termini di conclusione del procedimento amministrativo decorrono dalla richiesta di appuntamento
I tempi per accedere ad un procedimento amministrativo (richiesta di
appuntamento anche tramite piattaforme informatiche) rilevano ai fini della
decorrenza dei termini di legge per la conclusione dello stesso (cd. dies a
quo). È quanto afferma il Consiglio di Stato, sez. III, con
un’importante sentenza del 2 aprile 2025, la n. 2819/2025, in un giudizio in
materia di rilascio del visto di ingresso in Italia per lavoro subordinato, da
parte del Consolato generale d’Italia a Casablanca, in favore di un cittadino
straniero.
Con parole cristalline, i giudici di Palazzo Spada affermano che: “qualsiasi
atto di impulso del cittadino volto a sollecitare l’esercizio di un potere
dell’Amministrazione previsto dalla legge è suscettivo di far sorgere l’obbligo
di provvedere purché tale impulso sia presentato nelle forme e coi modi previsti
dalla disciplina regolativa del potere stesso”.
In appello viene, dunque, ribaltata la tesi del Tar Lazio, sez. III che, con la
sentenza n. 17710/2024, aveva respinto il ricorso del cittadino straniero,
ritenendo che la domanda di appuntamento per il rilascio del visto di ingresso,
attraverso la piattaforma VFS Global (società esterna di servizi di cui si
avvale il Consolato italiano per la raccolta delle stesse domande di Visto), non
potesse considerarsi atto di impulso del procedimento amministrativo.
In altre parole, il Tar aveva ritenuto che la risposta automatica del sistema
non potesse avere natura provvedimentale e quindi, la successiva inerzia della
pubblica amministrazione, fino all’effettivo appuntamento presso il Consolato,
non rilevasse, anche ai fini dell’azione contro il silenzio (cui, come si dirà,
si potrebbe aggiungere l’azione di classe pubblica di cui al D.lgs. 198/2009).
Il Consiglio di Stato, con questa importante pronuncia, nega fermamente
l’esistenza di “buchi neri” del procedimento, all’interno dei quali
l’amministrazione sarebbe libera di NON agire, in danno della persona istante,
italiana o straniera, priva, in questo lasso di tempo, di rimedi giudiziali.
Non ci sono “zone franche” per la p.a., soprattutto quando esternalizza un
servizio relativo ad una propria funzione: una prenotazione, un’istanza di
appuntamento per il rilascio di un titolo, anche quando effettuata con
piattaforme web che restituiscono una risposta automatica di presa in carico, fa
sorgere in capo all’amministrazione il dovere, e in capo alla persona che ha
presentato l’istanza il diritto, ad una risposta conclusiva del procedimento nei
tempi previsti dalla legge: “dovendo in definitiva l’informatica inerire alla
“forma della funzione amministrativa” e non già assurgere a funzione autonoma o,
ancor peggio, a causa di inutili appesantimenti procedurali o, come nel caso di
specie, di impasse deteriori (arg. ex 3-bis legge n. 241/1990 “per conseguire
maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche agiscono
mediante strumenti informatici e telematici”)”.
In particolare, la pronuncia ha il pregio di fare luce su un problema
particolarmente diffuso, soprattutto nel settore dell’immigrazione, nell’ambito
del quale, troppo spesso, l’affidamento del servizio di gestione delle agende a
soggetti privati ovvero l’utilizzo, anche tramite risorse interne, di
piattaforme informatiche per la prenotazione degli appuntamenti (ad esempio, il
cd. sistema Prenotafacile in uso in molte Questure del territorio italiano), si
traduce in un ritardo ingiustificabile nell’accesso al procedimento di rilascio,
per fare qualche esempio, del visto in materia di lavoro (oggetto della
pronuncia in parola), del visto per ricongiungimento familiare, o ancora dei
titoli di soggiorno per chi già si trova sul territorio italiano, comprese
persone richiedenti asilo.
Questa pronuncia, in conclusione, afferma un principio di tutela effettiva
– anche attraverso le azioni di classe quali l’azione avverso la violazione dei
termini di cui al D.lgs. n. 198/2009) – nei confronti dell’amministrazione, la
quale, secondo prassi evidentemente illegittime, non considera i tempi per
accedere alle procedure come tempi del procedimento, lasciando soprattutto le
persone straniere che attendono un titolo di soggiorno e che, quindi, sono
maggiormente precarie dal punto di vista della fruizione dei propri diritti
fondamentali, in una inaccettabile situazione di limbo giuridico.
Consiglio di Stato, sentenza n. 2819 del 2 aprile 2025