Tag - Maria Giuliana Lo Piccolo

Tunisia: il confine invisibile d’Europa
Detenzioni arbitrarie, deportazioni e cooperazione UE: come la strategia di esternalizzazione alimenta violenze e violazioni dei diritti delle persone migranti. La Tunisia è uno dei principali Paesi di transito, ma anche di destinazione, per persone migranti, rifugiati e richiedenti asilo, provenienti principalmente dall’Africa sub-sahariana. In passato, le condizioni di vita di rifugiati e migranti erano considerate generalmente migliori rispetto a quelle di altri Paesi, come ad esempio la Libia. Dal 2023, tuttavia, in seguito alla decisione del governo di adottare un approccio più duro, la situazione è nettamente peggiorata.  Kaïs Saïed è in carica dal 2019, ma è nel 2021 che, sospeso il parlamento, ha cominciato a governare per decreto, tanto da parlare di “iper-presidenzialismo”, in cui l’opposizione politica è praticamente assente.  In questa situazione, la questione migratoria viene utilizzata politicamente per compattare la nazione contro un nemico comune, fomentando il razzismo già presente nella società tunisina.  Il presidente, infatti, ha dichiarato che l’arrivo di «orde di migranti illegali» dall’Africa sub-sahariana fa parte di un «piano criminale per cambiare la composizione demografica» 1 della Tunisia. Come ha sottolineato l’antropologa Kenza Ben Azouz, «Incolpando la comunità subsahariana senza affrontare in modo sostanziale la questione migratoria, egli si aggrappa a una logica populista e opportunistica» 2, in accordo con le diffuse (soprattutto in Europa) narrative di una presunta “sostituzione etnica”. Inevitabilmente, questi commenti «danno legittimità a chiunque voglia attaccare una persona nera per strada» 3, denuncia Saadia Mosbah. Quest’ultima, presidente dell’associazione Mnemty, è stata arrestata nel maggio 2024 4, mentre l’associazione, impegnata nella lotta contro il razzismo, è stata sottoposta, insieme a molte altre organizzazioni per i diritti umani, a un mese di sospensione delle attività 5.  E infatti è stato documentato un incremento di violenza contro i migranti africani, tramite raid, arresti arbitrari e detenzioni, ma anche deportazioni di massa ai confini con Algeria e Libia. Le persone migranti vengono abbandonate senza cibo e acqua ed esposte al rischio di rapimenti, estorsioni, lavoro forzato, violenza sessuale e perfino morte 6. Nonostante i richiami e le ingiunzioni al governo da parte delle Nazioni Unite, affinché migliorasse il trattamento delle persone senza cittadinanza e mettesse fine alla retorica xenofoba, il trattamento discriminatorio e violento continua, così come la propaganda razzista.  Ad aprile 2025, ad esempio, le autorità hanno smantellato i campi vicino Sfax, che ospitavano circa 7000 migranti sub-sahariani, dando fuoco alle tende prima di arrestarli e deportarli  7. L’incremento di questo tipo di azioni, insieme alla detenzione di rappresentanti delle organizzazioni della società civile e alla retorica xenofoba, coincide con il crescente supporto dell’Unione Europea per quanto riguarda il controllo del confine e la gestione dei flussi migratori, che è a sua volta parte della più generale strategia di esternalizzazione del confine europeo.  Una tappa fondamentale nella costruzione delle relazioni UE-Tunisia è stata il Memorandum d’intesa firmato a luglio 2023 dal presidente tunisino Kais Saied, dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, dalla premier italiana Giorgia Meloni e dall’ex-premier olandese Mark Rutte. Grazie a questo accordo la Tunisia ha ottenuto 105 milioni di euro dedicati alla gestione dei confini e alla “lotta contro l’immigrazione illegale” 8, che hanno finanziato anche la Guardia Nazionale tunisina, la quale, secondo un’indagine del The Guardian, ha sottoposto centinaia di migranti a stupri, pestaggi e altri abusi 9.  L’ultimo rapporto di Global Detention Project (GDP) e Forum Tunisien pour les droits économiques et sociaux (FTDES) 10, pubblicato a ottobre, fa luce proprio sulla situazione attuale e sulle numerose problematiche legate alla detenzione di migranti, rifugiati e richiedenti asilo. L’utilizzo della detenzione per le persone in movimento è impiegato sistematicamente in Tunisia, anche se la legge tunisina non contiene disposizioni specifiche relative alla detenzione amministrativa per motivi di immigrazione o alla detenzione prima del rimpatrio. Il GDP e l’FTDES, infatti, hanno documentato ripetutamente l’uso di centri di detenzione informali nel Paese, nonostante l’assenza di qualsiasi base legale chiara per il loro funzionamento. Il Forum Tunisien pour les Droits Économiques et Sociaux (FTDES) è un’organizzazione tunisina indipendente, fondata nel 2011, che si occupa di difendere e promuovere i diritti economici, sociali e ambientali. Conduce ricerche, monitora politiche pubbliche e denuncia violazioni riguardanti lavoro, migrazioni, disuguaglianze regionali e giustizia sociale. È riconosciuto come una delle principali voci della società civile tunisina. Questi includono la struttura Al-Wardia, fuori Tunisi, e un’altra vicino a Ben Guerdane, utilizzata per raccogliere i migranti prima della loro deportazione in Libia. Sebbene le autorità designino alcuni siti come “centri di accoglienza e orientamento”, nella pratica essi funzionano come vere e proprie strutture di detenzione. Nel 2020, diverse organizzazioni, come Avocats Sans Frontières e Terre d’Asile Tunisie, hanno inviato degli avvocati al centro di Al-Wardia, i quali hanno riferito di essersi visti negare l’ingresso, confermando che per migranti all’interno non era possibile uscire 11. In seguito alle pressioni della società civile, 22 migranti sono stati rilasciati nel settembre dello stesso anno, ma le autorità hanno comunque continuato a trattenere i non-cittadini all’interno della struttura, compresi donne e bambini, nonostante manchino le basi legali per farlo 12.  Oltre a queste strutture, gli osservatori riportano anche l’uso di stazioni di polizia, sedi della polizia di frontiera e stazioni della polizia di frontiera aeroportuali e marittime per la detenzione di persone senza la cittadinanza tunisina. Rapporti attendibili indicano, inoltre, che un numero significativo di migranti subsahariani viene detenuto all’interno delle carceri del paese e nei “dépôts” (strutture di detenzione preventiva) a seguito della loro condanna per ingresso, soggiorno e uscita irregolari. Alcuni vengono trasferiti in centri di detenzione informali (senza autorizzazione giudiziaria), il che comporta sostanzialmente un allungamento significativo del periodo della loro reclusione 13. Pochi osservatori sono stati in grado di entrare in questi centri e quindi vi è una trasparenza molto limitata riguardo ciò che accade all’interno. Tuttavia, il GDP e l’FTDES hanno documentato in diversi rapporti le condizioni e i trattamenti che i non-cittadini, la maggior parte dei quali di origine subsahariana, devono affrontare durante la permanenza in queste strutture. Nel marzo 2023, France 24 ha pubblicato rapporti e foto dall’interno del centro Al-Wardia, che includono accuse di abusi fisici, grave sovraffollamento e spazio insufficiente per dormire 14. Gli osservatori riportano inoltre che i detenuti hanno difficoltà a contattare avvocati e interpreti, il che, combinato con il mancato obbligo delle autorità di informare i detenuti del loro diritto di fare ricorso, crea significative barriere all’accesso a qualsiasi forma di revisione giudiziaria significativa. A ciò si aggiunge che, poiché la legge tunisina non prevede la detenzione amministrativa, essa non contiene disposizioni riguardanti la durata massima della detenzione, lasciando i detenuti esposti al rischio di detenzione indefinita 15.  Persone migranti, rifugiati e richiedenti asilo detenuti nella struttura di Al-Wardia hanno inoltre segnalato violenze durante perquisizioni e arresti, trasferimenti verso altri siti non identificati e problemi, tra cui scarsa igiene, mancanza di cibo, confisca dei beni, stress psicologico. Inoltre, poiché il trattenimento legato all’immigrazione non è previsto dalla legge tunisina, non esistono nemmeno garanzie o protezioni formali per gruppi vulnerabili come i bambini, le vittime di tratta e i richiedenti asilo. Allo stesso tempo, tuttavia, la legge non prevede alcuna base giuridica per privare tali gruppi della libertà per motivi legati alla migrazione 16.  Inoltre, in assenza di un sistema nazionale di asilo, l’UNHCR ha condotto la registrazione dei richiedenti asilo e la determinazione dello status di rifugiato, ma queste procedure sono state sospese nel giugno 2024, lasciando molte persone bloccate senza uno status legale. Ciò ha lasciato centinaia di persone senza protezione ed esposte all’arresto e alla detenzione. I rapporti indicano che molti – in particolare quelli provenienti dall’Africa sub-sahariana – che intendono richiedere protezione vengono arrestati, detenuti e deportati senza avere l’opportunità di fare domanda di asilo.  L’FTDES e il GDP chiedono pertanto la ripresa immediata della registrazione delle domande di asilo e l’adozione di una legge nazionale sull’asilo conforme agli standard internazionali. Ritengono inoltre che le strutture di detenzione debbano essere chiuse immediatamente. Le organizzazioni che presentano la denuncia invitano inoltre le autorità ad adottare regole chiare e pubbliche per qualsiasi luogo in cui una persona sia privata della libertà: registrazione, informazioni in una lingua che il detenuto comprenda, accesso a un avvocato e a un interprete al momento dell’arrivo, certificato medico, separazione tra uomini e donne e visite regolari da parte di organizzazioni indipendenti. Senza trarre insegnamenti dai risultati devastanti della cooperazione con la Libia, l’attuale cooperazione UE-Tunisia in materia di controllo delle migrazioni ha portato al contenimento delle persone in un Paese in cui sono esposte a diffuse violazioni dei diritti umani. Questa cooperazione è ancora in corso a più di due anni di distanza, nonostante le allarmanti e ben documentate segnalazioni di violazioni. Tuttavia, dando priorità al controllo della migrazione a scapito del diritto internazionale, la collaborazione è stata celebrata dai funzionari europei come un successo, citando una significativa riduzione degli arrivi irregolari via mare di persone dalla Tunisia dal 2024 17. Come ha dichiarato Heba Morayef, direttrice regionale per il Medio Oriente e il Nord Africa di Amnesty International, «il silenzio dell’UE e dei suoi Stati membri di fronte a questi orribili abusi è particolarmente allarmante. Ogni giorno che l’UE persiste nel sostenere in modo sconsiderato il pericoloso attacco della Tunisia ai diritti dei migranti, dei rifugiati e di coloro che li difendono, senza rivedere in modo significativo la sua cooperazione in materia di migrazione, i leader europei rischiano di diventarne complici» 18. 1. Tunisia’s President Saied claims sub-Saharan migrants threaten country’s identity, Le Monde (23 febbraio 2023) ↩︎ 2. Cfr. Le Monde (23 febbraio 2023) ↩︎ 3. Cfr. Le Monde (23 febbraio 2023) ↩︎ 4. Affaire Mnemty : la justice tunisienne relance les poursuites, la société civile alerte, tunisienews (6 agosto 2025) ↩︎ 5. Suspension des activités de l’association Mnemty, BusinessNews (28 ottobre 2025) ↩︎ 6. Global Detention Project, “Tunisia: Detention and “Desert Dumping” of Sub-Saharan Refugees,” 8 luglio 2024 ↩︎ 7. Tunisia dismantles sub-Saharan migrant camps and forcibly deports some | Reuters, Reuters (5 aprile 2025) ↩︎ 8. EU-Tunisia Memorandum of Understanding ↩︎ 9. The brutal truth behind Italy’s migrant reduction: beatings and rape by EU-funded forces in Tunisia | Global development | The Guardian, The Guardian (19 settembre 2024) ↩︎ 10. Global Detention Project, “Tunisia: Issues Related To The Immigration Detention Of Migrants, Refugees, And Asylum Seekers”, ottobre 2025 ↩︎ 11. Note-juridique-El-Ourdia-VF.pdf, OMCT, “Note sur la détention arbitraire au centre de détention de migrants d’El-Ouardia,” 2023 ↩︎ 12. Tunisia, la denuncia: “Nei centri di detenzione illegale anche migranti bambini”, Dire (17 novembre 2025) ↩︎ 13. Note-juridique-El-Ourdia-VF.pdf, OMCT, “Note sur la détention arbitraire au centre de détention de migrants d’El-Ouardia,” 2023 ↩︎ 14. ‘They spit on us’: What’s really going on in the El Ouardia migrant centre in Tunis, France24 (13 marzo 2023). ↩︎ 15. Note-juridique-El-Ourdia-VF.pdf, OMCT, “Note sur la détention arbitraire au centre de détention de migrants d’El-Ouardia,” 2023 ↩︎ 16. En Tunisie, “les prisons sont remplies de migrants subsahariens” condamnés pour “séjour irrégulier” – InfoMigrants, Infomigrants (18 novembre 2024) ↩︎ 17. Answer given by Mr Brunner on behalf of the European Commission ↩︎ 18. Tunisia: Rampant violations against refugees and migrants expose EU’s complicity risk, Amnesty International (6 novembre 2025) ↩︎
“Desaparecer” in gruppo: le rotte migratorie marittime del Chiapas
Il 21 dicembre del 2024, 40 persone migranti di varie nazionalità sono state fatte desaparecer in mare aperto, di fronte alle coste del Chiapas, nel sud del Messico. La rotta marittima che doveva portarle varie centinaia di chilometri più a nord, si è rivelata una trappola “che le/li ha inghiottiti” senza lasciarne traccia. 10 mesi di vuoto da parte delle istituzioni hanno convinto madri, nonne, sorelle ad alzare le loro voci, perché risuonino al di là di tutte le frontiere, in una conferenza stampa che si è tenuta il 25 ottobre 2025. Le madri delle persone desaparecidas LE AUTORITÀ MESSICANE: UN MURO DI INDIFFERENZA, SILENZIO E NEGLIGENZA «Dopo la desaparición dei nostri figli, ci siamo scontrate con un muro di indifferenza, silenzio e negligenza da parte delle autorità messicane… Per vari mesi ci siamo sentite sole, prive di protezione e disperate… Siamo andate di ufficio in ufficio, abbiamo presentato denunce, ma le nostre voci non sono state ascoltate… L’immobilismo delle Procure non solo ci impedisce di trovare i nostri figli, ma perpetua l’impunità e permette che si continuino a commettere ingiustizie… La vita di un migrante non vale, la sua desaparición non merita un’investigazione… Quanti altri sogni devono sparire perché qualcuno faccia qualcosa? … Esigiamo l’immediato inizio di ricerche esaustive e trasparenti, sulla desaparición dei nostri figli e di tutti gli altri migranti fatti sparire in Messico» Sono i frammenti di un solo discorso corale, pronunciati da Alicia, Margarita, Lázara, Isis, Elizabeth, Graciela, Lilian, 7 donne familiari di persone migranti cubane e un honduregno, vittime di una desaparición in massa in Chiapas, Messico, in un tratto marittimo della rotta verso gli USA. Per loro è arrivato il momento della denuncia pubblica, con dolore, rabbia e con indignazione. Parlano anche a nome di altre madri dell’Ecuador y del Perù che si stanno appena scoprendo e riconoscendo come parte del gruppo. DESAPARECER LONTANO, CERCARE “A DISTANZA“ Come si fa la ricerca “a distanza”? È la domanda che attraversa, come un filo invisibile, la conferenza stampa organizzata lo scorso 25 ottobre da sei madri e nonne cubane e da una sorella honduregna. Collegate da Cuba e dagli Stati Uniti, con computer, videocamere, schermi e un link di Meet, hanno dato una risposta concreta a quella domanda, dialogando con giornalisti, giornaliste e persone solidali riunite in Messico, Spagna e Italia. Hanno raccontato il loro calvario, iniziato il 21 dicembre 2024: la disperata ricerca dei propri cari scomparsi a migliaia di chilometri di distanza, in un paese che da decenni rappresenta la frontiera verticale degli Stati Uniti. Un paese latinoamericano in cui, paradossalmente, a chi proviene dal resto dell’America Latina è “vietato l’accesso”, perché – secondo la logica del suprematismo bianco al potere negli USA – rappresenterebbe una minaccia per la sicurezza nazionale. È il 21 dicembre 2024, a San José el Hueyate, un’oasi tropicale sulla costa del Chiapas. Alle 8:14 del mattino, un gruppo di 23 persone – che ha trascorso la notte in una casa di sicurezza a pochi metri dal mare – viene condotto sulla spiaggia e fatto salire su un motoscafo diretto verso il mare aperto. L’imbarcazione attraversa la “barra”, il punto in cui si scontrano la forza delle correnti marine e quella del fiume che preme per uscire. Poco dopo, un secondo motoscafo accoglie un’altra ventina di persone, anche loro provenienti dallo stesso villaggio. In tutto, più di quaranta persone imbarcate. La rotta marittima era stata scelta per evitare i numerosi posti di blocco lungo i 400 chilometri di strada che separano Tapachula da Juchitán, nello stato di Oaxaca: una decisione apparentemente prudente, ma che per molti si rivelerà una brusca e inquietante sorpresa, poiché avevano pattuito un viaggio via terra, in un veicolo considerato sicuro. Sin dalla mattina presto ognuno ha aggiornato la propria famiglia. Le mamme, rimaste a casa, ricordano: «Mamma, va tutto bene, sto aspettando» mamma, abbi cura di Lulú (la cagnetta)» Frasi semplici, quotidiane, come in una qualunque mattina di viaggio: un saluto, una rassicurazione, un piccolo frammento di normalità. «Mamma, Lorena ed io partiamo con gli ultimi 20» «Mamma, facciamo colazione e poi speriamo di andarcene da qui» E sì, se ne sono andati. Hanno lasciato quelle spiagge tra lagune e mangrovie – paesaggi da dépliant di vacanze ai tropici – che però sono tristemente note per essere un nodo strategico dei traffici dei cartelli in questa zona di frontiera. L’INUTILITÀ DELLA TECNOLOGIA Una delle persone migranti aveva sul telefono un’app che permetteva ai familiari di seguirne, passo dopo passo, gli spostamenti. Grazie a questo, si conoscono i movimenti del gruppo negli ultimi giorni prima della desaparición. Alle 8:25 si registra l’ultima geolocalizzazione: il segnale li colloca in mare aperto. Poi, all’improvviso, la tecnologia diventa inutile – il segnale svanisce, i telefoni tacciono. Se ne sono andati, ma nessuno sa dove. Come dice Graciela, “Sembra che la terra li abbia ingoiati”. I cellulari non si riaccendono più, e alle famiglie restano soltanto quelle ultime parole. Samei è il più giovane: ha solo 14 anni. Sua nonna paterna, Lázara, racconta che “è l’unico ricordo che mi rimane di mio figlio Santiago, morto tre anni e cinque mesi fa”. Viaggia insieme a sua madre, Meiling, 41 anni. Elianis ha appena compiuto 18 anni, ma mostra una determinazione sorprendente. Jorge Alejandro ha 23 anni, Dayranis 31, Lorena 28. Tutti sognano di raggiungere gli Stati Uniti, dove qualcuno li attende per riprendere progetti di vita sospesi da tempo, a volte per anni. Provengono da diversi angoli di Cuba – da L’Avana, dalla provincia di Matanzas, da Santiago de Cuba, l’antica capitale, e da Camagüey. Ma non ci sono solo cubani tra loro: c’è anche Ricardo, 32 anni, originario del dipartimento honduregno di Yoro; Karla, 28 anni, anche lei honduregna; e Jefferson Stalin, 21 anni, dell’Ecuador. Tutte e tutti sono vittime del trumpfascismo. Alcune persone del gruppo avevano richiesto il “parole” umanitario 1, una delle poche vie ancora possibili per entrare negli Stati Uniti in modo “regolare”, ma avevano ricevuto solo silenzio o un secco rifiuto. Avevano fretta, consapevoli che, con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, ogni tentativo di raggiungere gli Stati Uniti – per vie legali o irregolari – sarebbe diventato impossibile. Sapevano anche che il diritto di chiedere asilo, un tempo relativamente accessibile almeno per chi proveniva da Cuba, sarebbe stato spazzato via dalla nuova amministrazione. MESSICO SELVAGGIO Il loro viaggio si è svolto lungo una delle nuove rotte migratorie, che cambiano di continuo. Un percorso tortuoso, fatto di voli alternati a lunghi tratti via terra, attraverso numerosi paesi del Sud e del Centro America, fino a raggiungere Tapachula, in Chiapas. Fino a quel punto, per tutte e tutti, il viaggio procede senza grandi ostacoli. Ma a Tapachula l’atmosfera si fa più tesa: si avverte la presenza dei cartelli, anche se i gesti quotidiani – a volte persino gentili – di alcuni operatori che controllano o spostano i migranti riescono a bilanciare, almeno in parte, le paure e le inquietudini che affiorano nei messaggi inviati ai familiari. Il gruppo cubano, unito e solidale, rappresenta per ciascuno una fonte di forza e di rassicurazione. All’inizio, l’interruzione del contatto telefonico non desta troppa preoccupazione: capita spesso, durante viaggi così incerti. Ma con il passare delle ore, e soprattutto la sera, il nervosismo delle famiglie cresce. Le rassicurazioni dei coyotes non bastano più a placare l’ansia, e le versioni che circolano nei giorni successivi, invece di portare sollievo, aumentano la paura: il gruppo sarebbe stato fermato dall’Istituto Nazionale di Migrazione (INM), o dalla Marina, o dalla polizia nazionale; oppure – si dice – sarebbe caduto nelle mani della delinquenza organizzata, o avrebbe persino naufragato. Poi, poco a poco, i coyotes smettono di rispondere a chiamate e messaggi, recidendo l’unico filo che sembrava poter ricondurre alle persone scomparse. Quando le famiglie iniziano le ricerche attraverso i social network, scatta la trappola crudele delle estorsioni. Per circa un mese ricevono chiamate continue, minacce di ogni tipo, manipolazioni del dolore e della disperazione: tutto per spingerle a pagare migliaia di dollari, senza mai una prova di vita. È stato un processo durissimo, imparato da sole e in fretta. “All’inizio – racconta una delle madri – non sapevamo cosa fare né a chi rivolgerci, eravamo completamente sole.” Eppure, fin dall’inizio, l’iniziativa è rimasta nelle mani delle madri e delle famiglie, che solo in un secondo momento hanno trovato sostegno in alcune organizzazioni della società civile. RICONOSCERSI ED AGIRE IN COLLETTIVO Già a dicembre, nella ricerca sulle reti sociali, madri, sorelle, mariti, padri iniziano ad incontrarsi, a riconoscersi come parte dello stesso incubo ed a pensare ed agire insieme. Si cominciano ad organizzare creando un gruppo di whatsapp. Il 31 dicembre viene contattata per la prima volta la console di Cuba a Veracruz che, in seguito, informerà la Procura Speciale delle persone migranti di Chiapas dei fatti avvenuti il 21 dicembre, ma senza ricevere alcuna risposta. Da quel momento le famiglie hanno utilizzato tutti i mezzi possibili per denunciare e chiedere sostegno. Hanno intrapreso lunghi viaggi dalle proprie comunità per recarsi di persona presso gli uffici competenti dei loro paesi – dai Ministeri degli Esteri alle direzioni consolari – e hanno inviato innumerevoli email e fatto altrettante telefonate alle istituzioni messicane, nonostante le enormi difficoltà di comunicazione 2. Hanno presentato denunce e richiesto l’attivazione delle Commissioni di Ricerca: quella nazionale (Comisión Nacional de Búsqueda, CNB) e quella statale del Chiapas (Comisión Estatal de Búsqueda, CEB). Le segnalazioni sono partite da Cuba, dal Brasile, dagli Stati Uniti e dal Messico. Si sono rivolte anche alla Procura statale del Chiapas e successivamente alla Commissione Nazionale per i Diritti Umani (CNDH). Hanno contattato una corrispondente del quotidiano spagnolo El País, che ha pubblicato un ampio reportage sulla desaparición di massa del 21 dicembre 2024 3. Con l’assistenza legale della Fondazione per la Giustizia e per lo Stato Democratico di Diritto (Fiscalía Especial de investigación de delitos relacionados con personas migrantes y refugiadas de la Fiscalía General de la República – FJEDD), l’11 aprile 2025 hanno presentato una denuncia collettiva alla Procura Speciale per i delitti contro persone migranti e rifugiate, all’interno della Procura Generale della Repubblica (FGR). Di fronte al silenzio e all’inerzia delle istituzioni nazionali, le famiglie si sono rivolte al Comitato delle Nazioni Unite contro la Sparizione Forzata (CED), chiedendo l’attivazione di azioni urgenti e sollecitando i governi del Messico e dei paesi d’origine ad avviare indagini e ricerche effettive. In questi dieci mesi interminabili, le madri non hanno mai smesso di cercare. Prive di protezione istituzionale, si sono esposte a rischi enormi e hanno affrontato da sole ogni tipo di difficoltà logistica ed economica. Grazie al loro impegno instancabile, hanno fornito nelle denunce informazioni dettagliate e preziose sugli ultimi giorni trascorsi in Chiapas – fino alle fatidiche 8:25 del mattino del 21 dicembre – dati che, purtroppo, le autorità hanno ignorato, rendendoli oggi, a quasi un anno di distanza, praticamente inutilizzabili. LA RETE REGIONALE DI FAMIGLIE MIGRANTI Il contatto con la Red Regional de Familias Migrantes 4 è più recente ed è servito prima di tutto a fare un bilancio della situazione: la mancanza di un’indagine efficace, di collaborazione tra le autorità coinvolte, e di comunicazione con le famiglie. Ne sta prendendo corpo una nuova strategia che ha già dato luogo a varie iniziative. Per la prima volta, le madri e altri familiari si sono riuniti con rappresentanti della Procura Generale della Repubblica (FGR) e della Commissione Nazionale di Ricerca (CNB), per chiarire se esista un’indagine ufficiale e conoscerne gli esiti aggiornati. Hanno inoltre chiesto nuove azioni di ricerca e d’investigazione, una reale coordinazione tra tutte le istituzioni coinvolte – a livello nazionale e internazionale – e la partecipazione diretta e costante delle famiglie. Su questi punti, la FGR e la CNB hanno assunto impegni espliciti. LE DESAPARICIONES DI MASSA DI MIGRANTI: UNA PRATICA ORMAI COMUNE SULLE COSTE DEL CHIAPAS? La conferenza stampa del 25 ottobre nasce all’interno di questa strategia collettiva: un momento in cui le madri hanno deciso di prendere la parola pubblicamente, per squarciare il velo di silenzio che ancora nasconde all’opinione pubblica fatti tanto gravi. Fatti che avvengono in un territorio, quello del Chiapas, dove la presenza della delinquenza organizzata e la violenza sistematica contro le persone migranti sono realtà note da decenni – ma dove, fino a poco tempo fa, le desapariciones di massa erano un fenomeno inedito. Questi episodi segnano una svolta nella gestione criminale delle rotte migratorie alla frontiera sud del Messico. Negli ultimi mesi, infatti, sono emerse nuove segnalazioni di sparizioni collettive nella stessa area costiera del Chiapas, come quella di 23 migranti scomparsi il 5 settembre 2025. Tutto lascia pensare che si tratti ormai di una pratica ricorrente nella regione. Le madri chiedono l’appoggio della presidenta del Messico, Claudia Sheinbaum, affinché si assuma la responsabilità politica di quanto sta accadendo. Ana Enamorado, fondatrice della Red de Familias de Personas Desaparecidas, commenta: > «Claudia Sheinbaum deve sapere che qui stanno facendo desaparecer le persone > in gruppo», forse alludendo ai 133.427 casi ufficialmente registrati di sparizione forzata 5, un numero che il governo sembra intenzionato, se non a occultare, quantomeno a minimizzare. Enamorado aggiunge: «Ma il messaggio deve arrivare anche a chi sa dove sono le persone scomparse, a chi oggi controlla le loro vite». TROVARE I NOMI CHE MANCANO La conferenza stampa del 25 ottobre coincide con il quarto anniversario della Red, celebrato il 15 e il 23 ottobre. A questo proposito, Sandra Odette Gerardo, collaboratrice solidale della rete sin dalla sua fondazione, afferma: «Non vorremmo nemmeno che la Rete esistesse, invece ogni anno le desapariciones aumentano… e sono sempre di più le persone che si avvicinano al nostro collettivo». Il gruppo iniziale del 21 dicembre 2024 – già cresciuto con le famiglie provenienti da Honduras, Ecuador e Perù – sa che resta un passo fondamentale da compiere: identificare una trentina di giovani migranti tuttora senza nome, scomparsi nello stesso episodio. Un lavoro necessario per spezzare la maledizione che colpisce le persone migranti, costrette a desaparecer due volte: la prima in mare o lungo la rotta, la seconda nel silenzio, quando nessuno notifica la loro assenza e nessun registro ufficiale ne riconosce la scomparsa. Il prossimo passo sarà rintracciare le loro famiglie e coinvolgerle in questa battaglia per la verità e la giustizia, per – come dicono le madri – «…obbligare le autorità messicane, ma anche quelle dei paesi d’origine delle persone scomparse, a fare il loro lavoro e ad assumersi le proprie responsabilità». IL DIRITTO DELLE FAMIGLIE A CERCARE A una domanda sul possibile coinvolgimento delle famiglie nella ricerca sul terreno, la prima risposta, spontanea, di diverse madri è netta: non vogliono farlo. > «Non vogliamo che sia necessario. Vogliamo che le nostre ragazze e i nostri > ragazzi compaiano subito…» Poi, dopo un silenzio, Lilian aggiunge: «…ma se questo non succederà, siamo disposte ad andare fino in capo al mondo per cercarlə». Perché questo sia possibile, spiega Sandra Odette Gerardo, le autorità devono riconoscere alle famiglie il diritto di cercare le persone scomparse, senza alcuna distinzione di nazionalità o status migratorio – così come stabilito dal diritto internazionale e dalle leggi messicane. In concreto, è necessario che le madri e gli altri familiari del gruppo del 21 dicembre vengano riconosciuti come vittime indirette, affinché nel 2026 si possa organizzare una brigata internazionale di ricerca in Chiapas, con l’appoggio del governo. Solo così potranno recarsi nei luoghi dove le persone amate hanno trascorso gli ultimi giorni prima di essere inghiottite dalla rotta migratoria, per raccogliere informazioni, tracce, nuove piste su cui spingere le autorità a indagare – fino a trovare e riportare a casa chi oggi manca all’appello. LE VITE DELLE PERSONE MIGRANTI DESAPARECIDAS VALGONO Le madri sanno che la loro lotta va ben oltre la ricerca dei propri familiari. È una battaglia contro le politiche migratorie che producono morti e sparizioni di frontiera in tutto il mondo. Hanno chiaro che gli obiettivi di verità e giustizia sono inseparabili dal principio della non ripetizione: «La desaparición dei nostri figli e di tanti altri migranti è una tragedia che non possiamo ignorare. Non è un caso individuale, ma il riflesso della grave crisi umanitaria che vivono i migranti in Messico e nel resto del mondo. Non possiamo permettere che altre famiglie soffrano questa agonia». Le madri promettono una tenacia instancabile, per difendere e affermare i valori più profondi e radicali della solidarietà e dell’umanità: > “…Non permetteremo che i loro sogni diventino statistiche dimenticate. > La loro assenza è una ferita aperta nel cuore delle loro famiglie e > dell’umanità.” La logica dei governi e delle istituzioni deve cambiare. Perché le nostre vite valgono. Notizie IL DIRITTO DI MIGRARE NELL’ERA TRUMP Le riflessioni di Gabriela Hernández, direttrice di “Tochan, Nostra Casa“ di Città del Messico Mara Girardi 26 Febbraio 2025 1. Il programma di “Parole humanitario”, ovvero la libertà condizionata umanitaria (CHNV, acronimo di Cuba, Haiti, Nicaragua, Venezuela), era stato istituito dall’amministrazione Biden nell’ottobre 2022. Permetteva a migranti provenienti da questi quattro paesi di entrare regolarmente negli Stati Uniti e di viverci e lavorare per un periodo di due anni. Con l’ordine esecutivo “Proteggere i nostri confini”, firmato da Trump il giorno stesso del suo insediamento (20 gennaio 2025), questo programma di libertà vigilata è stato abolito, cancellando una delle poche vie legali di accesso al territorio statunitense per migliaia di persone in fuga da crisi economiche e politiche ↩︎ 2. Le istituzioni non mettono a disposizione numeri con whatsapp, e alle famiglie mancano le risorse per fare lunghe telefonate internazionali ↩︎ 3. Anatomía de una desaparición masiva en México: “Mamá, caí en manos de la mafia”, El Pais (22 giugno 2025); Intervista di Adela Micha a Beatriz Guillén ↩︎ 4. Collettivo di familiari di migranti centro e sudamericani desaparecidas nelle rotte migratorie del Messico ↩︎ 5. Al 5 novembre 2025, secondo la base di dati del Registro Nacional de Personas Desaparecidas y No Localizadas, RNPDNO della CNB ↩︎
«Mi hanno accusato di voler andare in Europa»
Profilazione razziale ed etnica, estorsione, arresti di massa, detenzione per giorni senza accesso a cibo e cure mediche, espulsioni collettive, percosse e torture: queste sono solo alcune delle violazioni che migranti e richiedenti asilo hanno subito negli ultimi anni, per mano delle forze di sicurezza, nel contesto del controllo delle frontiere e dell’immigrazione in Mauritania. Nel frattempo, quelle stesse forze hanno continuato a ricevere sostegno finanziario e materiale dall’Unione Europea e dalla Spagna 1. Il report di agosto 2025, redatto dall’organizzazione internazionale Human Rights Watch 2, cerca di fare chiarezza su questa situazione attraverso indagini e testimonianze raccolte dal 2020 al 2025 3.  Situata a sud del Marocco, la Repubblica Islamica di Mauritania confina con l’Oceano Atlantico, il Senegal, il Mali, l’Algeria e il Sahara occidentale occupato dal Marocco. Il Paese ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia nel 1960, ma le sue istituzioni democratiche sono state soggette a forme di controllo militare per quasi cinquant’anni, trasformandolo in una sorta di eterna “democrazia pretoriana” 4. Questa continuità di leadership è dimostrata dall’elezione di Mohamed Ould Ghazouani, ex direttore generale della Sicurezza Nazionale e Capo di Stato Maggiore dell’esercito, nelle elezioni del 2019.  La Mauritania è comunque considerata dalla comunità internazionale uno Stato più affidabile rispetto ad alcuni dei suoi vicini del Sahel, anche perché le ultime elezioni hanno avviato un nuovo programma politico che mira a realizzare riforme in diversi settori, migliorare i servizi pubblici fondamentali e porre maggiore enfasi sulla giustizia sociale. Destinazione e paese di transito principalmente per i migranti dell’Africa occidentale e centrale, la Mauritania ospita anche richiedenti asilo e rifugiati, la maggior parte dei quali provenienti dal Mali, dove negli ultimi anni il conflitto armato e la violenza sono peggiorati.  Nonostante ciò, la Mauritania è ancora minacciata da fragilità profondamente radicate, come la diffusa disoccupazione e la persistente rivalità tra la maggioranza della popolazione mauritana nera – haratin e afromauritani – e l’élite minoritaria dei Bidhan, discendenti di arabi e berberi, che predominano nelle forze di sicurezza e ai livelli più alti del governo. Inoltre, il Paese è particolarmente soggetto ai cambiamenti climatici e al terrorismo islamico proveniente dai confini porosi. A causa delle crescenti pressioni migratorie e dell’insicurezza nel Sahel, tuttavia, la Mauritania ha acquisito importanza geostrategica per l’UE e in particolare per la Spagna, le cui Isole Canarie distano circa 700 chilometri dalla città più settentrionale del Paese, Nouadhibou. La rotta migratoria marittima dal nord-ovest dell’Africa alle Canarie, nota come “rotta atlantica” o “rotta nord-occidentale africana”, è diventata sempre più attiva dal 2020, diventando una delle rotte irregolari più trafficate e mortali verso l’Europa. Nel 2024, un numero record di quasi 47.000 migranti e richiedenti asilo – provenienti principalmente dall’Africa occidentale, centrale o settentrionale, con i maliani in testa – è arrivato alle Canarie su piccole imbarcazioni 5. Il 7 marzo 2024, l’Unione Europea e la Mauritania hanno siglato un accordo sulla migrazione del valore di 210 milioni di euro. L’accordo è stato promosso dall’UE e sostenuto dal governo spagnolo, preoccupato per l’aumento dell’immigrazione clandestina: a gennaio, sono stati registrati oltre 7.000 arrivi sulle isole 6. L’obiettivo è ridurre questi arrivi sostenendo le forze di frontiera e di sicurezza mauritane nella lotta al traffico di esseri umani e rafforzando le capacità di gestione e sorveglianza dei confini, col supporto di Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera 7 . L’accordo promette anche fondi per la creazione di posti di lavoro nel paese, il rafforzamento del sistema di asilo e dei programmi di migrazione legale. In realtà, come emerge chiaramente dal report, l’accordo e, più in generale, la politica di esternalizzazione dei confini europei, hanno permesso ed esacerbato le violazioni dei diritti umani. Infatti, i progetti dell’UE tra il 2015 e il 2023, per un valore di almeno 61 milioni di euro, hanno adottato un approccio di securitizzazione che ha dato priorità al sostegno alle forze di controllo delle frontiere e dell’immigrazione della Mauritania, in particolare alla polizia, alla guardia costiera e alla gendarmeria, senza adeguate garanzie per affrontare i rischi di violazioni dei diritti umani.  PH: Lauren Seibert/Human Rights Watch Questo dato non include i 100 milioni di euro di finanziamenti concessi alla Mauritania nel 2024, per i quali l’UE non ha pubblicato alcun bilancio disaggregato, né include i milioni di euro di sostegno dell’UE alle forze armate mauritane per motivi di sicurezza e di “integrità territoriale”, che possono sovrapporsi al controllo delle frontiere. A livello bilaterale, anche la Spagna ha continuato e aumentato il sostegno al controllo delle frontiere da parte delle forze mauritane, in particolare della guardia costiera. Come denuncia il rapporto, le forze di sicurezza mauritane, col supporto europeo, hanno spesso sottoposto migranti e richiedenti asilo provenienti dai paesi africani a vessazioni e arresti arbitrari. Le autorità hanno preso di mira individui o gruppi sulla base di informazioni o supposizioni secondo cui fossero privi di documenti, stessero pianificando partenze irregolari verso i paesi nordafricani o la Spagna, o fossero coinvolti nel traffico di persone migranti; alcuni hanno utilizzato il controllo dell’immigrazione anche come pretesto per estorcere denaro. Sono riportati anche casi di tortura e di stupro compiuti dalla polizia.   Human Rights Watch ha intervistato 78 vittime di abusi, di cui molti hanno affermato che le forze di sicurezza li hanno sottoposti a profilazione razziale o hanno dimostrato un trattamento razzista perché neri: «Se hai la pelle nera, non ti rispettano, ti insultano e ti prendono i documenti», ha detto una persona migrante rientrato in Senegal 8. «Quando vedono me, una straniera, è come se vedessero qualcosa di strano o di losco», ha aggiunto una donna togolese a Nouakchott 9.  Altro fattore critico sono i centri di detenzione. Definiti dalle autorità “centri di transito”, in realtà sono vere e proprie prigioni in cui i migranti vengono rinchiusi per giorni o settimane, prima di venire espulsi, in condizioni disumane: si lasciano dormire per terra, in stanze sovraffollate, con accesso limitato ai bagni, alle cure mediche e al cibo.  Oltre a ciò, il rapporto mostra come il governo mauritano abbia regolarmente espulso gruppi di persone ai confini con Mali e Senegal, usando dei bus che partono dai centri di detenzione di Nouakchott e abbandonano i migranti in aree remote in cui è difficile chiedere aiuto: «li scaricano al confine senza cibo, senza soldi per il trasporto», ha dichiarato una rappresentante della comunità gambiana 10. È chiaro, quindi, che gli incentivi dell’UE e le pressioni per controllare i flussi migratori hanno incoraggiato i duri approcci descritti in questo rapporto, replicando la strategia europea documentata anche in Tunisia, Libia e Marocco. Il governo della Mauritania ha respinto le conclusioni del rapporto 11, affermando di aver recentemente adottato misure volte a proteggere i diritti delle persone migranti, e la Commissione Europea ha dichiarato che il suo accordo è fondato sul rispetto dei diritti umani 12. Nonostante ciò, l’impatto dei controlli migratori lungo la rotta atlantica negli ultimi cinque anni e gli abusi commessi dalle forze di sicurezza mauritane rivelano che l’esternalizzazione delle frontiere dell’UE ha spesso ignorato, o aggravato, le violazioni dei diritti. Come dichiara un operatore umanitario intervistato da Human Rights Watch, ancora una volta «gli africani stanno facendo il lavoro per l’UE, e loro lo sanno» 13. 1. EU Projects on Border Control and Migration Management in Mauritania ↩︎ 2. “They Accused Me of Trying to Go to Europe”. Migration Control Abuses and EU Externalization in Mauritania, HRW (27 agosto 2025) ↩︎ 3. Human Rights Watch ringrazia tutte le persone che hanno fornito testimonianze e prove per questo rapporto, nonché i partner che hanno offerto un prezioso supporto alla ricerca, tra cui l’Association Mauritanienne des Droits Humains (AMDH); l’Association Mauritanienne pour la Citoyenneté et le Développement (AMCD); l’Association Malienne des Expulsés; DIADEM Senegal; e altri ↩︎ 4. Per approfondire ISPI ↩︎ 5. EU deal fuelling Mauritania’s abuse of migrants – rights group, BBC (27 agosto 2025) ↩︎ 6. The EU-Mauritania migration deal is destined to fail, Al Jazeera (marzo 2024) ↩︎ 7. L’Ue firma un nuovo partenariato sulla migrazione con la Mauritania. E impegna 210 milioni di euro, EuroNews (marzo 2024) ↩︎ 8. Intervista di Human Rights Watch con Abdou Khadre Diop, leader dell’Association des Migrants de retour au Sénégal, Dakar, Senegal, 22 febbraio 2023 ↩︎ 9. Intervista di Human Rights Watch con una donna togolese, Nouakchott, Mauritania, 21 giugno 2022 ↩︎ 10. Intervista di Human Rights Watch con rappresentante della comunità del Gambia, Nouakchott, Mauritania, settembre 2023 ↩︎ 11. Qui la risposta del governo ↩︎ 12. Reply – Human Rights Watch Report on Mauritania ↩︎ 13.  “They Accused Me of Trying to Go to Europe”, p. 1 ↩︎
Grecia. Il Closed Controlled Access Centre (CCAC) di Vastria
In Grecia, nel corso del 2025, le politiche per “combattere l’immigrazione” si sono intensificate, soprattutto in seguito alla direzione data da Makis Voridis come Ministro per la Migrazione. Quest’ultimo, già noto per le sue affiliazioni con l’estrema destra e per aver sempre descritto gli immigrati come una minaccia per l’Europa 1, ha proposto al Parlamento greco nuove legislazioni sul tema: l’estensione del periodo in cui i migranti possono essere trattenuti in detenzione amministrativa, la criminalizzazione di coloro che restano dopo che la richiesta di asilo è stata rifiutata e la proibizione della residenza per le persone senza documenti, che prima potevano chiederla una volta ottenuto un lavoro 2. Approfondimenti/CPR, Hotspot, CPA GRECIA, SOSPENSIONE DELL’ASILO E NUOVA RIFORMA RAZZISTA DEL GOVERNO MITSOTAKIS Atene anticipa la linea più dura del Patto UE Redazione 14 Agosto 2025 Nonostante l’incarico si sia concluso già a giugno, a causa del coinvolgimento dello stesso ministro in un’inchiesta, il suo successore, Thanos Plevris, sta portando avanti la stessa linea politica, sottolineando anzi come “la sicurezza dei confini non può esistere se non ci sono perdite e, per essere chiari, se non ci sono morti” e affermando che le condizioni di vita per i migranti dovrebbero apparire loro peggiori di quelle dei paesi d’origine 3 . Come illustrato da diversi osservatori 4, il cambio di ministri non ha comportato un cambiamento di approccio, ma piuttosto una continuazione e un rafforzamento del regime migratorio razzista e violento dello Stato greco. Le politiche di frontiera a Lesbo continuano a violare diversi diritti fondamentali: i migranti subiscono violenze, vivono in condizioni degradanti nei campi, sono soggetti a sorveglianza, sfratti, negazione dell’assistenza finanziata dall’UE e ritardi arbitrari nelle domande di asilo. Inoltre, nuove leggi e tattiche amministrative, come il ripristino della Turchia come “paese terzo sicuro” nonostante le sentenze dei tribunali, perpetuano l’incertezza giuridica.  Il Closed Controlled Access Centre (CCAC) di Vastria a Lesbo esemplifica questa tendenza, rafforzando la detenzione e l’espulsione come pilastri centrali della politica migratoria greca, e della generale assimilazione di approccio in tutta Europa. A differenza dei centri di detenzione già esistenti (come quello tristemente noto di Moria 5), Vastria costituisce un modello per un nuovo tipo di struttura: isolata geograficamente, sorvegliata attentamente tramite controlli biometrici, difficilmente accessibile dall’esterno. Il nuovo centro, infatti, si troverà in un bosco a 30 km da Mitilene, luogo strategico per isolare i migranti dallo spazio pubblico e limitare il coinvolgimento e la supervisione della società civile.  Nonostante numerosi problemi legali, dovuti anche al fatto che la struttura viola gli standard ambientali (dovrebbero essere abbattuti 35.000 alberi solo per costruire la strada di accesso, in una zona già ad alto rischio di desertificazione e incendi 6), la costruzione prosegue e il Ministero della Migrazione, citando gli obblighi di finanziamento dell’UE, ha sostenuto la continuazione dei lavori e la deforestazione. Cos’è il CCAC di Vastria? Closed Controlled Access Centre (CCAC) di Vastria, Lesbo Capacità prevista: fino a 5.000 persone, fra cui famiglie, minori non accompagnati e persone vulnerabili Funzione prevista: non un centro di accoglienza temporaneo, ma una struttura di detenzione prolungata: tutte le procedure di asilo ed espulsione saranno centralizzate in sito L’opposizione si è concentrata sul mancato rispetto da parte del governo delle decisioni giudiziarie e delle leggi ambientali, ha messo in guardia dai danni irreversibili alla più grande pineta di Lesbo e ha sollecitato la sospensione immediata dei lavori, che però non è mai stata disposta.  A marzo, invece, è stato firmato un contratto da 1 milione di euro per l’installazione di un sistema di rilevamento incendi entro settembre 2025. Nel giugno 2025, infatti, un incendio boschivo sull’isola di Chios ha costretto all’evacuazione del CCAC locale e, nonostante la costruzione di un sistema di rilevamento incendi presso il CCAC di Vastria a Lesbo, il campo di Vastria è ancora privo di vie di fuga antincendio, il che significa che l’evacuazione in caso di incendio a Lesbo sarà ancora più difficile.  Nel frattempo, il governo continua ad affittare il sito per 748.800 euro all’anno e, dato il sostegno politico e finanziario della Commissione europea, il progetto rimane una priorità politica per la Grecia e l’Unione Europea. Se completato, il centro di Vastria, pur non essendo classificato come una prigione, istituzionalizzerebbe un sistema detentivo carcerario: la struttura è infatti creata per imporre limitazioni molto strette alla libertà di movimento, creando di fatto una zona grigia in cui migliaia di persone verranno private dei propri diritti, senza alcun processo legale.  PH: Legal Centre Lesvos In quest’ottica, il CCAC di Vastria prevede anche l’implementazione di due sistemi di intelligenza artificiale avanzata, Centaur e Hyperion, che combinano riconoscimento biometrico, sistemi di videosorveglianza, sorveglianza con droni e analisi comportamentale. Nel 2024, l’Autorità ellenica per la protezione dei dati ha già inflitto una multa significativa al Ministero della Migrazione per gravi violazioni del GDPR (Regolamento UE 2016/679 sulla Protezione Generale dei Dati, entrato in vigore nel 2018 7). Nel frattempo, in altre strutture, in particolare a Samo e Lesbo, sono stati segnalati casi di confisca sistematica dei telefoni dei residenti, limitando l’accesso all’assistenza legale e la supervisione esterna attraverso comunicazioni limitate 8.  Rapporti e dossier/CPR, Hotspot, CPA VITE MONITORATE: COME LA TECNOLOGIA RIDEFINISCE LA LIBERTÀ NEL CCAC DI SAMOS IN GRECIA Le organizzazioni denunciano monitoraggio oppressivo e abusi Rossella Ferrara 25 Agosto 2025 Lungi dall’essere uno spazio di accoglienza transitorio, il CCAC è concepito come un luogo di detenzione prolungata, con una capacità massima di 5.000 persone, tra cui famiglie, minori non accompagnati e richiedenti particolarmente vulnerabili, che vengono trattenuti per mesi in attesa di decisioni amministrative o di espulsione.  Le ONG, tra cui Amnesty International 9, denunciano già da tempo le diverse violazioni dei diritti di coloro che verranno rinchiusi in questo tipo di struttura. Oltre alla violazione dei diritti umani alla vita (nel caso specifico di Vastria si aggiunge il rischio di morire in un incendio, data la vicinanza ai boschi e la mancanza di vie di fuga), alla libertà e alla sicurezza, le persone migranti non vedranno garantiti nemmeno i propri diritti alla protezione dei dati personali e all’educazione: a causa dei problemi strutturali presenti nei programmi di integrazione e nell’accesso a strutture educative, infatti, molti giovani non avranno la possibilità di frequentare la scuola, né dentro né tanto meno fuori dal Centro, e saranno, al contrario, attivamente guidati verso l’esclusione e la criminalizzazione.  L’isolamento non è quindi un effetto collaterale, ma l’obiettivo di una chiara politica migratoria. Come sottolinea il report di Community Peacemaker Teams, Vastria rappresenta “l’incarnazione materiale di un cambiamento nella politica europea verso l’invisibilizzazione, il controllo tecnologico e l’esclusione burocratica. Secondo il progetto attuale, il centro rimane una potenziale trappola mortale – e un monumento a una politica migratoria fallimentare basata sulla reclusione piuttosto che sulla protezione” 10. Questo modello non si sviluppa in un vuoto istituzionale, ma è strettamente legato al nuovo Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo. Adottato nel 2024, dovrebbe essere “orientato ai risultati ma ben ancorato ai nostri valori europei” 11, come riporta il sito ufficiale della Commissione europea. La logica del Patto, che entrerà in vigore dal 2026, è messa in pratica in strutture come Vastria e comporta l’accelerazione delle decisioni in materia di asilo, la centralizzazione delle funzioni burocratiche, la riduzione al minimo delle garanzie procedurali e la rapida espulsione dei richiedenti respinti.  1. Greek PM seeks ‘reset’ with former far-right activist as migration minister, The Guardian (14 marzo 2025) ↩︎ 2. Migration minister scraps residence permit extension, Kathimerini (marzo 2025) ↩︎ 3. Greece names new ministers after high-level resignations over farm scandal. Thanos Plevris was appointed migration minister – Politico (28 giugno 2025); Θάνος Πλεύρης / Όταν ζητούσε νεκρούς μετανάστες και πρόσφυγες στα σύνορα (βίντεο) – AVGI (27 giugno 2025) ↩︎ 4. Lesvos Situation Report January – June 2025 – Legal Centre Lesvos ↩︎ 5. Quel che resta di Moria. A Lesbo per i rifugiati inizia un’altra detenzione di Valerio Nicolosi – Altreconomia (20 Settembre 2020) ↩︎ 6. Εικόνες σοκ από νέες υλοτομήσεις στη Βάστρια αποκαλύπτουν το έγκλημα κατά της φύσης – StoNisi (2 Maggio 2025) ↩︎ 7. Regulation (EU) 2016/679 of the European Parliament and of the Council ↩︎ 8. Report on the Situation in the Samos Closed Controlled Access Centre (CCAC), I Have Rights and Homo Digitalis – (Maggio 2025) ↩︎ 9. One year since Greece opened new “prison-like” refugee camps, NGOs call for a more humane approach (settembre 2022) ↩︎ 10. New report unpacks the construction of a migrant detention centre, a report by CPT Aegean Migrant Solidarity (16 luglio 2025) ↩︎ 11. Patto sulla migrazione e l’asilo ↩︎
L’accordo “uno a uno” tra Francia e Regno Unito
«Quando ho promesso che non mi sarei fermato davanti a nulla per garantire la sicurezza dei nostri confini, dicevo sul serio», ha dichiarato su X il primo ministro britannico Keir Starmer 1, sottoposto a forti pressioni affinché fermi l’afflusso di migranti. Il capo del governo britannico aveva concordato un «progetto pilota» con il presidente francese Emmanuel Macron durante la sua visita di Stato nel Regno Unito all’inizio di luglio. La Commissione Europea ha poi «dato il via libera a questo approccio innovativo per scoraggiare l’immigrazione illegale», come dichiarato dal Ministero dell’Interno inglese in un comunicato 2. Dunque, giovedì 7 agosto 2025 il le autorità britanniche hanno annunciato di aver bloccato i primi migranti arrivati nel Regno Unito su piccole imbarcazioni. Dall’inizio dell’anno, secondo i dati del Ministero dell’Interno francese, 18 persone sono morte nel tentativo di raggiungere clandestinamente l’Inghilterra su queste piccole imbarcazioni 3.  L’accordo, valido fino al giugno 2026 e i cui dettagli di attuazione non sono stati specificati, mira a dissuadere le persone che desiderano attraversare la Manica. Il trattato si basa sul principio “uno a uno”, da cui prende il nome, il quale prevede che la Francia riprenda i migranti arrivati nel Regno Unito. Qualsiasi persona migrante adulta che attraversi la Manica a partire dal 6 agosto 2025 sarà ora a rischio di rimpatrio, se la sua richiesta di asilo sarà considerata inammissibile. Alcuni media hanno riferito che il Regno Unito mira a rimpatriare circa 50 persone a settimana 4; tuttavia, nel trattato non sono state fornite indicazioni ufficiali sul numero di migranti interessati. Si menziona solo un “equilibrio” per garantire che il numero di persone rimpatriate in Francia e quelle che entrano nel Regno Unito corrispondano.  Viceversa, Londra si impegna ad accettare le persone che si trovano in Francia e che hanno presentato domanda su una piattaforma online, operativa da giovedì sul sito web del governo britannico. I richiedenti devono soddisfare certi criteri di idoneità (come allegare un documento di identità e una foto recente), seguendo una procedura standard per la richiesta del visto e superare i controlli di sicurezza. I candidati selezionati dovranno superare ulteriori controlli biometrici, un aspetto ormai onnipresente nella gestione dei flussi migratori 5. Se accettati, avrebbero tre mesi di tempo per richiedere un visto nel Regno Unito e sarebbero soggetti alle stesse regole applicate a tutti i richiedenti asilo, ovvero non potrebbero lavorare, studiare o accedere alle prestazioni sociali 6.  Le ONG che sostengono i profughi chiedono vie di transito sicure, mentre più di una settimana fa una persona è morta nel tentativo di raggiungere l’Inghilterra via mare. «Questo trasferimento di persone annunciato è assolutamente terribile dal punto di vista politico, ma anche filosofico», aveva già avvertito Flore Județ, coordinatrice dell’Auberge des migrants. «Questo non farà altro che generare ancora più stress e panico per persone che già vivono in condizioni di assoluta precarietà», ha continuato la responsabile dell’associazione 7. Le persone provenienti da paesi devastati dalla guerra e dalla siccità, come l’Eritrea, potrebbero essere escluse dal programma a causa del requisito dei documenti ufficiali. Un portavoce di Refugee Legal Support ha dichiarato: «Questa settimana a Calais abbiamo parlato con molte persone provenienti dall’Eritrea e quasi nessuna di loro possiede una copia del proprio passaporto eritreo perché non è mai riuscita a ottenerne uno. I cittadini eritrei sono la nazionalità più rappresentata tra coloro che attraversano la Manica nel 2025; l’86% dei richiedenti asilo eritrei ottiene una decisione positiva, ma quasi tutti saranno esclusi da questo programma» 8.  Siamo di fronte ad una chiara strategia politica di propaganda. Negli ultimi mesi, infatti, sono aumentati gli arrivi attraverso la Manica e da inizio anno un numero record di oltre 25.400 persone è entrato nel Regno Unito attraverso questo canale, con un aumento del 49% rispetto all’anno precedente 9. La situazione è stata strumentalizzata dai media di destra e dall’opposizione dei Conservatori e di Reform UK (che ha riportato una storica vittoria alle ultime elezioni locali 10), ma lo stesso partito Laburista, con Starmer in testa, ha adottato una retorica e degli slogan contro l’immigrazione praticamente identici a quelli della destra. Lo scorso maggio, ad esempio, il primo ministro aveva promesso di «riprendere il controllo delle frontiere», invocando il rischio che la Gran Bretagna diventi «un’isola di stranieri» 11. Nonostante ciò, i conservatori sostengono che il nuovo programma non avrà un effetto deterrente sufficiente e non riuscirà a respingere un numero consistente di potenziali migranti, affermando che l’accordo con la Francia sarà meno efficace del piano di collaborazione con il Ruanda proposto dal precedente governo conservatore 12.  Uno dei motivi principali dell’aumento degli arrivi di migranti irregolari è l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea nel 2020 (sostenuta proprio da Nigel Farage, leader del Reform UK). Dato che il Regno Unito non fa più parte dell’UE, non è più soggetto al Regolamento di Dublino, un sistema volto a rimpatriare i richiedenti asilo nel loro paese UE di primo arrivo. Pertanto, coloro che raggiungono il Regno Unito, nonostante abbiano attraversato diversi Stati UE e abbiano potenzialmente presentato domanda di asilo in uno qualsiasi di questi, possono comunque richiedere protezione nel Regno Unito senza rischiare di essere rimandati in un altro Paese di transito ai sensi del regolamento di Dublino.  È in questo clima, infine, che si svolgono ormai regolarmente nel Regno Unito numerose manifestazioni razziste contro i richiedenti asilo. In tutto il Paese si assiste infatti a livelli significativi di violenza contro le comunità razzializzate e migranti in diverse forme, dalle parole e dal linguaggio usati per descrivere e attaccare le comunità, agli episodi di violenza fisica. Nelle ultime settimane, per esempio, sono stati presi di mira hotel che ospitano migranti e richiedenti asilo, come nel caso di Epping, pochi chilometri a nordest di Londra, dove un migrante era stato accusato di violenza sessuale, Ma anche a Manchester e Newcastle, in un generale clima di tensione e di scontri tra gruppi “anti-migranti”, che brandendo le bandiere britanniche chiedono di chiudere le strutture e spostare altrove i migranti scandendo slogan come “proteggiamo i nostri bambini”, e gruppi anti-razzisti che rispondono con “i rifugiati sono benvenuti qui” e tentano di portare il loro supporto alle persone migranti 13.  Queste proteste ovviamente non nascono dal nulla. Sono plasmate e alimentate dal linguaggio dei politici e dei media: un linguaggio provocatorio, razzista e disumanizzante che descrivendo le comunità razzializzate e migranti come “illegali” e “criminali” legittima la diffusione dell’odio e della violenza. Rinforzando il mito secondo cui il Regno Unito sarebbe invaso da migranti criminali, i politici (quasi tutti ormai, sia a destra che a sinistra) possono giustificare politiche migratorie sempre più severe e assecondare l’ascesa della popolarità dell’estrema destra. È uno schema che vediamo non solo Regno Unito ma, più in generale, in tutta Europa. Questa atmosfera politica e sociale affonda le radici in una lunga storia di stereotipi razziali e narrazioni coloniali, che tuttora rispondono a un’esigenza politica ineludibile: individuare un nemico cui addossare la colpa.  1. Leggi il post ↩︎ 2. Leggi la nota ↩︎ 3. Manche : un migrant décédé et plusieurs dizaines d’autres secourus ce week-end, InfoMigrants (28 luglio 2025) ↩︎ 4. What do we know about the UK-France agreement on asylum returns? freemovement.org.uk (7 agosto 2025) ↩︎ 5. Il Ministero dell’Interno britannico ha annunciato l’intenzione di sperimentare l’uso dell’intelligenza artificiale nella valutazione dell’età attraverso la stima dell’età facciale (FAE). Questa tecnologia viene proposta per l’uso sui minori non accompagnati richiedenti asilo, ovvero giovani in cerca di sicurezza che arrivano nel Regno Unito senza genitori o tutori. Spesso i giovani non dispongono di documenti che attestino la loro età; pertanto, il governo effettua una “valutazione dell’età” per decidere se debbano essere trattati come minori o adulti. Questa decisione determina l’accesso alla protezione dei minori, all’istruzione e al sostegno abitativo, ed è chiaro che presenta numerosi rischi. Cfr. righttoremain.org.uk ↩︎ 6. Dozens of migrants detained under ‘one in, one out’ deal with France, BBC (7 agosto 2025) ↩︎ 7. Immigration : l’odieux accord entre Paris et Londres du « un pour un » est entré en vigueur, L’Humanité (5 agosto 2025) ↩︎ 8. First people to be returned to France under UK’s ‘one in, one out’ asylum deal, The Guardian (7 agosto 2025) ↩︎ 9. Immigration : le Royaume-Uni annonce avoir arrêté les premières personnes sous le coup du traité franco-britannique, Le MOnde (7 agosto 2025) ↩︎ 10. Reform UK makes big gains in English local elections, BBC (3 maggio 2025) ↩︎ 11. UK risks becoming ‘island of strangers’ without more immigration curbs, Starmer says, The Guardian (12 maggio 2025) ↩︎ 12. What is the UK’s plan to send asylum seekers to Rwanda?, BBC (giugno 2024); Q&A: The UK’s former policy to send asylum seekers to Rwanda, The Migration Observatory (luglio 2024) ↩︎ 13. Pro- and anti-migrant protesters face off at London hotel housing asylum seekers, The Guardian (2 agosto 2025) ↩︎