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MESOPOTAMIA: IL PRIMO MAGGIO IN TURCHIA TRA MANIFESTAZIONI DI MASSA E REPRESSIONE. IL RACCONTO DI MURAT CINAR
Il nuovo appuntamento con Mesopotamia – notizie dal vicino oriente è dedicato al Primo maggio, giornata internazionale dei lavoratori e delle lavoratrici. In particolare, nella puntata di Mesopotamia andata in onda venerdì 2 maggio 2025 abbiamo raccontato le manifestazioni che hanno riempito le strade di Istanbul e di molte altre città della Turchia. Lo abbiamo fatto grazie al contributo di Murat Cinar, giornalista turco che vive in Italia e nostro collaboratore. Per quanto riguarda il Primo maggio in Turchia, anche quest’anno l’attenzione era tutta su Istanbul: ogni anno dal 2012, infatti, le autorità della città sul Bosforo vietano ai lavoratori e alle lavoratrici di raggiungere in corteo piazza Taksim, simbolo delle lotte operaie e sociali della megalopoli turca. In realtà, il 2012 fu una breve parentesi. Quell’anno il governo di Erdogan e dell’Akp non vietò la piazza per la prima volta dal 1977, quando in occasione della giornata di lotta di lavoratori e lavoratrici polizia ed esercito turco spararono sulla folla provocando la morte di 37 manifestanti. Da allora, regimi e governi della Repubblica di Turchia hanno sempre vietato le manifestazioni del Primo maggio in Piazza Taksim “per motivi di sicurezza”. Per quanto riguarda il Primo maggio di quest’anno, nei giorni precedenti la polizia turca aveva già arrestato decine di compagne e compagni di sindacati e organizzazioni della sinistra turca per ostacolare l’organizzazione della manifestazione. Nonostante questo migliaia e migliaia di persone si sono radunate per raggiungere piazza Taksim nonostante il divieto e il dispositivo di polizia che chiudeva tutte le strade di accesso. In tutta risposta gli agenti hanno arrestato oltre 400 persone, che sono state poi trattenute per ore in vari commissariati della città in condizioni brutali. Grandi manifestazioni sono state organizzate anche ad Ankara e in molte altre città del Paese. Con Murat Cinar non abbiamo parlato soltanto dei cortei del Primo maggio. Ci siamo occupati anche del caso del giornalista svedese Joakim Medin, arrestato lo scorso 27 marzo all’aeroporto di Istanbul con una doppia accusa: “vilipendio al presidente della Repubblica” e “appartenenza a un’organizzazione terroristica”. Per la prima accusa, che tra l’altro riguarderebbe manifestazioni cui il giornalista ha partecipato in Svezia, è già stato condannato a 11 mesi e 7 giorni di reclusione. Per la seconda, dovuta ad alcuni articoli nei quali Medin ha raccontato le azioni dell’esercito e del governo turco nel nord della Siria, in Rojava, deve ancora essere processato. Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, nel frattempo, proprio in occasione del comunicato del Primo maggio ha confermato la propria disponibilità a intraprendere un dialogo con lo stato turco come indicato dal suo leader Abdullah Ocalan dal carcere di Imrali lo scorso 27 febbraio. Tuttavia, denuncia il Pkk, nonostante il recente incontro e le dichiarazioni positive del Ministero della Giustizia turco e della delegazione a Imrali del Partito Dem, da Ankara non è stato intrapreso nessun passo concreto verso un processo di pace o un dialogo. Con Murat Cinar abbiamo fatto il punto anche su questo. Ascolta o scarica la trasmissione.
TURCHIA. «Gezi golpista»: ergastolo aggravato per Osman Kavala
Toccato il fondo: per il filantropo fine pena mai, per altri sette attivisti 18 anni di prigione a testa. Ankara lega con un folle filo rosso le proteste di Taksim del 2013 con il fallito colpo di stato del 2016. Schiaffo all’Europa Osman Kavala (Foto: Amnesty International) di Chiara Cruciati – Il Manifesto Roma, 26 aprile 2022, Nena News – L’hanno definita una delle peggiori pagine giudiziarie della Turchia, ma quanto accaduto ieri dentro la 13esima corte penale di Istanbul va oltre: è la sentenza più politica che potesse uscire da 22 anni di dominio di Recep Tayyip Erdogan. I tre giudici della corte hanno condannato all’ergastolo aggravato (in isolamento e senza possibilità di ottenere un rilascio anticipato, se non dietro grazia del presidente) il filantropo e attivista Osman Kavala e a 18 anni di carcere sette tra i volti più noti delle proteste di Gezi Park, nei giorni del suo nono anniversario. L’accusa stata costruita per tempo: tentativo di rovesciare il governo. Ovvero, tentato golpe. Un fascicolo che la magistratura turca del post-2016, oggetto di un’enorme campagna di epurazione, ha aperto tre anni fa collegando con un filo rosso le proteste nel parco di Istanbul della primavera 2013 al vero fallito golpe, quello del 15 luglio 2016. Come fosse un evento unico, lungo tre anni, di matrice golpista e magari anche terrorista, cancellando in un colpo il senso di tre milioni di persone in piazza per mesi in 81 città contro le politiche neo-liberiste del partito di governo, l’Akp di Erdogan. Non a caso Kavala, arrestato una prima volta con l’accusa di aver finanziato la protesta di Taksim, era stato rilasciato nel 2020 per essere riarrestato in relazione al tentato colpo di stato. Per Mucella Yapici, Çigdem Mater, Hakan Altınay, Mine Özerden, Can Atalay, Yigit Ali Ekmekçi e Tayfun Kahraman 18 anni di carcere a testa per aver partecipato al crimine. Kavala è in detenzione preventiva già da 1.637 giorni, quattro anni, nel famigerato maxi carcere di Silivri. Non ne uscirà, questa la decisione dei tre giudici che lo hanno esentato solo dall’accusa di spionaggio: prove insufficienti, hanno detto. Una sentenza a cui è seguita un’immediata reazione: fuori dal tribunale è scoppiata la protesta al grido di «Tutto è Taksim, tutto è resistenza, lunga vita alla resistenza», i social sono stati invasi in poche ore dallo sdegno per il buco nero in cui è stato risucchiato il dissenso nel paese, mentre le associazioni internazionali per i diritti umani, da Amnesty International a Human Rights Watch, parlavano di processo-farsa. È uno schiaffo in faccia anche all’Europa che attraverso la Cedu, la Corte europea per i diritti umani, nel 2019 ha chiesto – la prima di svariate volte – il rilascio immediato di Osman Kavala da quella che ha definito una detenzione «politica». E lo scorso ottobre Ankara arrivò a minacciare di espulsione dieci ambasciatori occidentali (tra cui quelli di Usa, Francia e Germania) etichettandoli come «persona non grata» per una nota congiunta in cui chiedevano la liberazione del filantropo. Fino alla decisione, a inizio 2022, del Consiglio d’ Europa di avviare una procedura di violazione per la Turchia proprio in riferimento al mancato rilascio dopo la sentenza della Cedu. Ma la definizione migliore, ieri, l’ha data lo stesso Kavala: «Un omicidio giudiziario». Nena News