Gotthard Günther / 70 anni dopo l’alba cibernetica
«Una di quelle affermazioni udite fino alla nausea è che una macchina non può
essere creativa». Niente potrebbe suonare più trito di un’affermazione come
questa nell’odierno dibattito sulle IA, ma per un testo filosofico apparso
settanta anni fa, all’alba della rivoluzione cibernetica di Wiener, McCulloch e
John Von Neumann, non riesco invece a immaginare una migliore garanzia di
assoluta attualità. Rimandiamo al mittente quindi anche questa sgradevole
sensazione di deja-vu. E a scanso di equivoci diciamo subito che La coscienza
delle macchine non appartiene – come avverte prudentemente Alberto Giustiniano
nell’introduzione – alla fiorente pubblicistica che dalle bacheche degli
e-commerce e delle librerie preme per spiegarci come l’intelligenza artificiale
migliorerà inevitabilmente le nostre vite e/o ci condurrà altrettanto
inevitabilmente all’estinzione.
Il saggio, ora tradotto da Orthotes, fu pubblicato per la prima volta negli
Stati Uniti nel 1957 e rivisto dal suo autore nel 1963. In pratica costituì
l’esordio americano di Gotthard Gunther e una delle prime, audaci riflessioni
filosofiche sulla cibernetica e l’intelligenza artificiale del secolo scorso.
Tedesco naturalizzato americano, di quel contesto Gunther ha rappresentato
sicuramente una delle menti imprescindibili e più brillanti, benché, anche per
ragioni linguistiche, un autore per lo più sottotraccia, malgrado il sostegno
ricevuto da McCulloch e dal Dipartimento di Stato. Allievo di Eduard Spranger,
laureato con una tesi di dottorato su Hegel, emigrò all’inizio della Seconda
Guerra Mondiale in Sudafrica e di lì negli USA dove divenne amico tra gli altri
di autori di fantascienza come Isaac Asimov e John W. Campbell. Ignorato dalla
filosofia continentale è oggi oggetto di riscoperta da parte di una nuova
generazione di ricercatori come Yuk Hui[1]
Gunther parte osservando che la logica aristotelica classica risulterebbe
inservibile per la cibernetica che, a differenza di altre discipline
scientifiche, deve fare i conti con i fenomeni di un’intelligenza meccanica
emergente. I principi di identità, non contraddizione e del terzo escluso, in
particolare, non potrebbero aver ragione di quelle intricate capacità riflessive
che chiamiamo coscienza e che esulano dal tradizionale binarismo
soggetto/oggetto. Per supplire a questa inadeguatezza, la prima parte del saggio
introduce i lineamenti di una possibile logica post-classica, con un set di
operatori transgiunzionali, prima di addentrarsi nel nucleo centrale della
trattazione.
Sul piano storico e metafisico l’idealismo tedesco, verso cui La coscienza
delle macchine riconosce pienamente il suo debito dalle prime pagine, avrebbe
infatti introdotto un modo completamente diverso e nuovo di guardare alla
riflessione e ai fenomeni dell’autocoscienza, fornendo concettualizzazioni
rivelatesi cruciali per il tipo di soggettività richiesta successivamente dalla
cibernetica. Gunther, in particolare, attribuisce a Hegel la prima disamina
scientificamente comunicabile dell’interiorità, attraverso un quadro concettuale
formato da una pluralità di nuclei. Un modo formale e computabile per descrivere
la soggettività e i suoi livelli di consapevolezza, superando i limiti della
logica oggettiva bivalente (che alla fine può immaginare la coscienza soltanto
nei termini di un “soffio vitale”).
Un secolo e mezzo dopo Fichte e Hegel, non c’è più lo spirito del mondo a
cavallo ma la bomba atomica e il computer. Nel nuovo mondo di Von Neumann e
della teoria dell’informazione, il filosofo intende ora far emergere una
coscienza cibernetico-trascendentale anche se non per questo, necessariamente,
una coscienza assoluta, cioè “umana”. Più probabilmente, come osserva sempre
Giustiniano, si tratterà di “un’eccedenza di riflessione”, né soggetto né
oggetto, la manifestazione di processi in ambienti a riflessività diffusa.
Una visione che – ne La coscienza delle macchine come nel successivo Cybernetic
Ontology and Transjunctional Operation (1962)[2] – sembra connettere il pensiero
logico-matematico di Gunther direttamente alla rivoluzione cibernetica di
Norbert Wiener, saltando tutte le caselle intermedie. Dopotutto, come osserva
Valeria Pinto [3] «Al di là del tratto apparentemente rivoluzionario la
cibernetica si iscrive in una metafisica assolutamente conforme al paradigma
occidentale, come Gunther positivamente rivendica». Settanta anni dopo la
direzione di questo rivolgimento è ancora oggetto di un dibattito contrastato,
non così la sua portata, ormai sotto gli occhi di tutti.
[1] Yuk Hui, Machine and Sovereignty, University of Minnesota Press, 2024
[2] Gotthard Gunther, Cybernetic Ontology and Transjunctional Operation, Self
Organizing System, Spartan books, pp. 313-392, 1962
[3] Valeria Pinto, Quel genere di macchine che possono esplodere, apocalissi
della tecnica e integrazione della cultura in MECHANE, Rivista di filosofia e
antropologia della tecnica, 9/2025
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