Colombia, storica sentenza di condanna: 12 anni per l’ex presidente Uribe
La sentenza della giudice Heredia apre una nuova fase nella storia della
Colombia, perché per la prima volta l’ex presidente Álvaro Uribe Vélez è stato
condannato nell’ambito di un procedimento sulle relazioni tra la politica e il
paramilitarismo. Lo scorso lunedì 28 luglio, per oltre 10 ore, la giudice Sandra
Heredia ha letto in diretta nazionale circa la metà delle oltre duemila pagine
della sentenza. Prima di entrare nel merito della sentenza, aveva dichiarato:
«La giustizia non si inginocchia davanti al potere».
Ieri, venerdì 1 agosto, è stata resa nota, con effetto immediato, l’entità della
condanna: 12 anni di arresti domiciliari, multa di 3.444 milioni di pesos
(all’incirca 700mila euro) e interdizioni ai pubblici uffici per 8 anni e 3
mesi.
Fin dalla mattina del giorno della sentenza, davanti al Tribunale di Paloquemao
erano presenti sia simpatizzanti dell’ex presidente ed esponenti politici di
estrema destra (tra cui l’ex vicepresidente dei due governi di Uribe e l’ex
ministro della difesa del governo Duque), sia persone che invece denunciavano le
responsabilità dell’ex presidente chiedendo verità e giustizia.
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I simpatizzanti dell’ex presidente di estrema destra portavano maschere con la
faccia di Uribe e cartelli e bandiere con su scritto “Uribe innocente”, mentre
dall’altra parte del Tribunale attivisti per i diritti umani chiedevano condanna
e carcere per l’ex-presidente. Secondo quanto appreso dalle testimonianze dei
presenti, vi sono stati diversi episodi violenti da parte dei militanti di
estrema destra, che hanno portato ad un arresto per aggressione ai danni di
giornalisti e attivisti per i diritti umani.
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Intanto sia davanti al Tribunale, che nelle zone limitrofe e in altri luoghi
simbolo di Bogotá si sono tenuti presidi, mobilitazioni e cucine comunitarie per
chiedere verità, giustizia e carcere per l’ex presidente. Poco distante, si è
tenuto durante l’intera giornata il “Processo popolare contro Uribe”, una
assemblea pubblica in piazza, dove è stato poi dipinto un immenso murales che
dice: “Uribe colpevole”. La stessa frase che comincia a circolare sulle reti
sociali e che diventa il titolo dei giornali poche ore dopo.
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La vicenda politica e giudiziaria che ha portato a questa sentenza è molto lunga
e rappresenta una importante vittoria dei movimenti sociali e per i diritti
umani che per decenni hanno denunciato le relazioni tra politica e
paramilitarismo e i crimini di Stato. L’attuale procedimento nasce da una
denuncia che lo stesso Uribe ha portato avanti contro il senatore Iván Cepeda
Castro, figlio di Manuel Cepeda Castro, dirigente del Partito Comunista
assassinato dai paramilitari nel 1994. Dopo la morte del padre, Cepeda è stato
fondatore e portavoce del Movimento delle Vittime dei Crimini di Stato, e dopo
essere stato costretto due volte all’esilio, oggi è una figura fondamentale e
importante riferimento della lotta contro il paramilitarismo e il terrorismo di
Stato in Colombia.
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Dopo un intervento al Congresso, nel 2012, nell’ambito di un dibattito di
controllo politico, in cui Iván Cepeda ha denunciato le relazioni tra
paramilitarismo e politica, la cosiddetta “parapolitica”, Álvaro Uribe Vélez lo
ha denunciato: proprio durante quel procedimento, terminato con una assoluzione
nel 2018, sono stati riscontrati i tentativi di manipolazione delle
testimonianze portati avanti da persone di fiducia dell’ex presidente, motivo
per cui è stato aperto un nuovo processo giudiziario che ha portato questa
settimana alla condanna in primo grado.
Secondo quanto emerso dal processo, l’avvocato Diego Cadena, per conto di Uribe,
ha visitato diverse carceri per fare pressione sugli ex paramilitari implicati
nel procedimento, che avevano rilasciato dichiarazioni sulle relazioni tra l’ex
presidente e le organizzazioni paramilitari, al fine di cambiare le loro
testimonianze. Così, alla fine, è stato proprio Iván Cepeda a portare a processo
Uribe, per il tentativo di manipolazione delle testimonianze dei due
ex-paramilitari Carlos Vélez e Juan Guillermo Monsalve, testimoni nell’ambito
delle indagini sul “Bloque Metro de las Autodefensas”, formazione paramilitare
che, secondo diverse testimonianze, aveva legami stretti con Uribe.
Dopo la sentenza, si è atteso fino a venerdì per sapere l’entità della condanna
e la modalità di detenzione per l’ex-presidente, il primo della storia
colombiana a essere condannato penalmente. Dopo l’annuncio dell’entità della
condanna, immediatamente esecutiva per il rischio di fuga dell’ex presidente, di
tre anni superiore alla richiesta dei pm (che avevano chiesto 9 anni), la destra
in Colombia ha annunciato mobilitazioni il prossimo 7 agosto in difesa di Uribe.
A un anno dalle elezioni presidenziali, questa sentenza storica dimostra ancora
una volta le complicità dei governi di estrema destra con il paramilitarismo;
pochi mesi fa, infatti, la scoperta delle fosse comuni alla Escombrera della
Comuna 13 a Medellín, e prima ancora, il riconoscimento da parte della Giustizia
Speciale per la Pace dei cosiddetti “falsos positivos”, con 6402 vittime
accertate, ha fatto luce sulla sparizione di migliaia di giovani dei quartieri
popolari, che dopo essere stati sequestrati sono stati sistematicamente uccisi
dalle forze militari tra il 2002 e il 2008, durante i governi di Uribe, e poi
presentati alla stampa come guerriglieri caduti in combattimento.
Ma la grande sconfitta politica dell’ex presidente e del suo modello politico,
prima ancora della condanna di ieri, e prima ancora della vittoria elettorale
del progressismo nel 2022, va fatta risalire alle lotte dei movimenti sociali,
delle vittime del conflitto e delle organizzazioni per i diritti umani, e
soprattutto alle proteste sociali di massa tra il 2019 e il 2021: risuonano
ancora gli slogan scritti sui muri, sulle magliette e nelle strade, cantati da
migliaia di manifestanti durante le proteste, gli scioperi e le rivolte popolari
contro il governo Duque, che più di ogni altro ha rappresentato la continuità
dell’uribismo al governo, che dalle strade hanno sfidato il potere: «Questo non
è un governo, sono i paramilitari al potere», e «Uribe, paraco [paramilitare,
ndr] il popolo è arrabbiato».
> Mentre la destra difende Uribe e parla di «persecuzione politica», le
> organizzazioni dei diritti umani e le sinistre chiedono che si indaghi a fondo
> per far emergere tutta la verità sulle relazioni e le complicità dei governi
> di estrema destra con il paramilitarismo.
Le posizioni dei partiti di destra in difesa di Uribe è sostenuta anche dalla
gravissima ingerenza da parte del governo degli Stati Uniti, con il segretario
di Stato Marco Rubio che è intervenuto in difesa di Uribe poche ore dopo la
sentenza, in quella che il presidente Petro ha immediatamente qualificato come
una intromissione nella sovranità nazionale. Anche il senatore Iván Cepeda
Castro e diverse organizzazioni per i diritti umani hanno denunciato l’ingerenza
degli Stati Uniti, sollecitando garanzie per difendere l’indipendenza dei
giudici in Colombia, ed evitare condizionamenti rispetto al secondo grado di
giudizio.
All’uscita dal tribunale, Iván Cepeda ha dichiarato: «Oggi è una giornata in cui
dobbiamo riconoscere il ruolo della giustizia come garante della democrazia e
come forma efficace di controllo dei politici più potenti e dei loro crimini.
Nel nostro caso, con questa sentenza, è stata stabilita la verità sul tenebroso
apparato diretto da Uribe Vélez e composto da numerosi falsi testimoni che hanno
cercato di ingannare la giustizia. Dopo tredici anni e un lungo processo, in cui
sono state offerte tutte le garanzie processuali all’ex presidente, è stato
condannato in primo grado». Oggi con la persistenza, nonostante anni di esilio e
minacce, Cepeda ha vinto la sua causa, che è anche la causa di tanti e tante in
Colombia.
> Conclude così il senatore Iván Cepeda: «Oggi non solamente viene reso onore
> alla nostra dignità, ma anche a quella di tantissime vittime in Colombia. Oggi
> questa sentenza giusta la dedichiamo anche alle madri di quei giovani che sono
> stati desaparecidos, torturati e gettati nelle fosse comuni o presentati ai
> media come falsos positivos»
Una sentenza che mette fine all’impunità e apre il cammino verso la ricerca
della verità e della giustizia per i decenni di violenza e massacri di Stato in
Colombia, per le relazioni tra politica e paramilitarismo nel periodo della
“sicurezza democratica”, nome della dottrina applicata durante i due governi del
Centro Democratico guidati da Álvaro Uribe Vélez. Un processo che segna, in modo
assolutamente significativo, lo scenario elettorale verso le presidenziali da
qui al prossimo anno, in cui la destre puntano a tornare al potere, mentre il
progressismo punterà a ripetere la vittoria elettorale, con l’obiettivo di
migliorare le elezioni al Congresso. In attesa della prossima definizione, ad
ottobre, dei candidati delle diverse coalizioni, questa storica condanna
inaugura sicuramente una nuova tappa dello scenario politico nel paese. E
potrebbe non essere l’ultima.
Tutte le immagini sono di Sebastián Bolaños Pérez, fotografo e collaboratore di
Dinamopress, dal tribunale di Paloquemao, lunedì 28 luglio 2025, Bogotá
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