Dora Šustić / Il demone nella mente
«La scrittura in realtà non è nient’altro che un suicidio dilatato nel tempo»,
scrive Dora Šustić ne I cani, potente esordio letterario dell’autrice croata,
impegnata anche nel campo cinematografico come regista e sceneggiatrice.
Scrivere è vergare una lettera d’addio, ritardare la fine, scrivere è frugare in
un vecchio cassetto per trovare i documenti che confermino il nostro esistere,
scrivere è esorcizzare le ossessioni che abitano l’anima. “È tutto nella mia
testa. La mente è un demonio”, afferma la protagonista cercando di arginare il
flusso di pensieri che l’assale. Sin dalle pagine iniziali capiamo che la morte
è onnipresente nel libro: compare nel suicidio dell’ignoto che si getta sotto il
treno per ragioni oscure, nella figura della zia Margita, lanciatasi dalla
finestra a sedici anni per un amore non corrisposto, nella professione del padre
di Dora, un anestesista impegnato a “intorpidire la carne” combattendo una lotta
impari con la sofferenza per domare il corpo, riducendo il trauma del passaggio
verso l’ignoto.
I cani del titolo, i galgos, sono la materializzazione del dolore che perseguita
la protagonista. Un incontro casuale con un uomo più grande di lei, segnato da
un’esperienza terribile, le ha lasciato in eredità il progetto di un libro
fotografico in bianco e nero, abitato da randagi votati a un destino crudele che
li vede combattenti spietati o vittime sacrificabili. In un pellegrinaggio che è
anche una fuga verso l’ignoto, Dora si cala nelle nebbiose atmosfere praghesi,
per poi approdare nell’assolata Cadice, dove la paura della morte viene
sconfitta con il flamenco. L’irruenza della giovinezza viene descritta con
toccante sincerità, così come la sessualità femminile, indagata in tutti i suoi
aspetti con cruda franchezza. Non a caso l’epigrafe del libro reca la firma di
Virginia Woolf, autrice refrattaria alle convenzioni sociali della propria
epoca, costantemente dedita alla conquista di una propria irrinunciabile
autonomia.
Dora percepisce il pericoloso baratro dentro sé stessa, nel quale rischia di
precipitare, ma la sua forza proviene dal legame con tutte le altre donne. Un
vincolo che spazza via la solitudine. Dora ama Leon perché è diverso dagli altri
uomini, anche se la contagia con la sua tristezza quasi fosse una malattia
venerea; Leon è anche un artista senza un’occupazione stabile, uno straniero che
verrà sempre visto con sospetto nell’Europa occidentale. A questo punto la
scrittrice, facendo separare gli amanti e impedendo un loro ricongiungimento,
anche se probabilmente effimero, introduce nel libro la tematica delle
migrazioni e dell’estraneità, particolarmente sensibile nel nostro tempo.
Ci troviamo di fronte a uno scenario nel quale le barriere proliferano, scavando
un solco fra gli esseri umani, consegnandoli alla solitudine più crudele della
quale i galgos sono il simbolo. Il romanzo è prima di tutto una confessione, un
viaggio all’interno dell’io e delle proprie ossessioni, un percorso irto di
spine verso la conquista della libertà.
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