L’inarrestabile marea della solidarietà palestinese
del Dr. Ramzy Baroud,
Arab News, 28 luglio 2025.
Manifestazione per la Palestina al Colosseo, Roma. 15 maggio 2021
Raramente succede che io visiti Roma senza fermarmi a Campo de’ Fiori per
rendere omaggio a Giordano Bruno, filosofo italiano che nel 1600 fu brutalmente
bruciato sul rogo durante l’Inquisizione romana. Il suo crimine era stato quello
di aver osato sfidare dogmi radicati e di aver pensato liberamente alla natura
infinita dell’universo.
Mentre mi trovavo sotto la sua imponente statua durante il fine settimana,
improvvisamente è scoppiato uno strano trambusto, che è diventato sempre più
forte man mano che un nutrito gruppo di manifestanti si avvicinava. Decine di
persone di tutte le età battevano con fervore su pentole e padelle.
Dopo lo shock iniziale e la confusione che ne è seguita, si è capito che la
protesta era un tentativo urgente di sensibilizzare la gente sulla terribile
carestia che sta colpendo Gaza. In poco tempo, altre persone si sono unite
spontaneamente, alcune applaudendo in assenza di altri strumenti per farsi
sentire. I camerieri delle osterie della piazza hanno cominciato istintivamente
a battere le mani su qualsiasi cosa potesse produrre rumore, aumentando il
clamore.
La piazza è rimasta immobile per un attimo, vibrando del rumore collettivo,
prima che i manifestanti marciassero verso un’altra piazza, il loro numero
visibilmente crescente ad ogni passo.
Nelle vivaci strade di Roma, le bandiere palestinesi sono le uniche bandiere non
italiane ad occupare gli spazi pubblici. Sono appese ai lampioni, incollate ai
cartelli stradali o sventolano orgogliosamente dai balconi.
Nessun altro paese, nessun altro conflitto, nessun’altra causa ha permeato gli
spazi pubblici in modo così profondo come la causa palestinese. Sebbene questo
fenomeno non sia del tutto nuovo, la guerra e il genocidio in corso a Gaza hanno
indubbiamente amplificato questa solidarietà, spingendola oltre i confini
tradizionali di classe, ideologia e linee politiche.
Eppure, nessun altro luogo in Italia può essere veramente paragonato a Napoli. I
simboli palestinesi sono ovunque, permeano il tessuto della città come se la
Palestina fosse la principale preoccupazione politica dell’intera popolazione
della regione.
Ciò che affascina particolarmente della solidarietà con i palestinesi in questa
vivace città non è solo l’enorme quantità di graffiti, manifesti e bandiere, ma
i riferimenti molto specifici ai martiri, ai prigionieri e ai movimenti
palestinesi. Le immagini di Walid Daqqa, Shireen Abu Akleh e Khader Adnan sono
esposte in modo prominente accanto a richieste precise e mirate che, al di fuori
della Palestina, sarebbero considerate dettagli sconosciuti al grande pubblico.
Come ha fatto Napoli a entrare così profondamente in sintonia con il discorso
palestinese? Questa domanda fondamentale risuona ben oltre i confini italiani e
riguarda numerose città in tutto il mondo. È degno di nota il fatto che questo
importante cambiamento nella comprensione profonda della lotta palestinese e
l’ampio sostegno al popolo palestinese si stiano verificando nonostante il
pregiudizio diffuso e incessante dei media a favore di Israele e le continue
intimidazioni dei governi occidentali nei confronti degli attivisti
filopalestinesi.
In politica, la massa critica si raggiunge quando un’idea, inizialmente
sostenuta da un gruppo minoritario, si trasforma in modo decisivo in una
questione mainstream. Questo cambiamento cruciale le permette di superare il
simbolismo e di iniziare a esercitare un’influenza reale e tangibile nella sfera
pubblica.
In molte società in tutto il mondo, la causa palestinese ha già raggiunto quella
massa critica. In altre, dove la repressione governativa soffoca ancora il
dibattito alla radice, la crescita organica continua comunque, promettendo così
un cambiamento inevitabile e fondamentale.
E questo è proprio il timore ossessivo di numerosi israeliani, soprattutto
all’interno delle classi politiche e intellettuali. Scrivendo venerdì sul
quotidiano israeliano Haaretz, l’ex primo ministro Ehud Barak ha lanciato ancora
una volta l’allarme. “La visione sionista sta crollando”, ha scritto,
aggiungendo che Israele è “bloccato in una ‘guerra dell’inganno’ a Gaza”.
Sebbene la pervasiva macchina propagandistica israeliana si stia impegnando
senza sosta per arginare il crescente flusso di simpatia verso la Palestina e
l’ondata di rabbia contro i presunti crimini di guerra israeliani, per ora il
suo obiettivo rimane fermamente fissato sulla giustificazione dello sterminio di
Gaza, anche a costo di una condanna e di un’indignazione globali.
Quando la guerra sarà finalmente finita, tuttavia, Israele farà senza dubbio
tutto il possibile, ricorrendo a numerosi nuovi modi creativi per demonizzare
ancora una volta i palestinesi ed esaltare se stesso, la sua cosiddetta
democrazia e il suo “diritto all’autodifesa”.
A causa della crescente credibilità internazionale della voce palestinese,
Israele sta già ricorrendo all’uso di palestinesi che difendono indirettamente
Israele incolpando Gaza e cercando di interpretare il ruolo della vittima per
“entrambe le parti”. L’uso di questa tattica insidiosa è destinato a crescere in
modo esponenziale, poiché mira a creare confusione e a mettere i palestinesi gli
uni contro gli altri.
I palestinesi, gli arabi e tutti i sostenitori della giustizia in tutto il mondo
devono cogliere con urgenza questa opportunità cruciale per sconfiggere
definitivamente la hasbara israeliana. Non dobbiamo permettere che le menzogne e
gli inganni di Israele definiscano ancora una volta il discorso sulla Palestina
sulla scena mondiale.
Questa battaglia deve essere combattuta con ferocia ovunque e non deve essere
concesso a Israele nemmeno uno spazio: né un parlamento, né un’università, né un
evento sportivo, né un angolo di strada.
Bruno ha subito una morte orribile e dolorosa, ma non ha mai abbandonato le sue
convinzioni. Nel movimento di solidarietà con la Palestina, nemmeno noi possiamo
vacillare nella lotta per la libertà dei palestinesi e per la condanna dei
criminali di guerra, indipendentemente dal tempo, dall’energia o dalle risorse
necessarie.
Ora che la Palestina è finalmente diventata una causa globale indiscussa,
l’unità di tutti è fondamentale per garantire che la marcia verso la libertà
continui, affinché il genocidio di Gaza diventi l’ultimo straziante capitolo
della tragedia palestinese.
Dr. Ramzy Baroud è giornalista, autore e redattore di The Palestine Chronicle. È
autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappe, è “Our
Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak Out”
(La nostra visione per la liberazione: leader e intellettuali palestinesi
impegnati prendono la parola).
https://www.arabnews.com/node/2609778
Traduzione a cura di AssopacePalestina
Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma
pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.