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Catania, docenti universitari: “Quello che si sta consumando a Gaza è un genocidio!”
Continua a Catania la mobilitazione contro il genocidio del popolo palestinese. Dopo i grandi cortei degli ultimi giorni, in attesa della partenza dalla Sicilia Orientale della Global Sumud Flotilla, molte/i docenti dell’Università prendono posizione e si rivolgono al Rettore e agli organismi accademici con questa lettera aperta   ALL’ATTENZIONE DEL MAGNIFICO RETTORE ELETTO, PROFESSORE ENRICO FOTI ALL’ATTENZIONE DEL SENATO ACCADEMICO ALL’ATTENZIONE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE ALL’ATTENZIONE DELLA COMUNITÀ UNIVERSITARIA TUTTA   Agosto 2025: Quello che da quasi due anni sta accadendo a Gaza per mano del governo israeliano, sotto gli occhi di tutto il mondo e nell’inerzia generale dei decisori politici, viola ogni elementare principio di diritto internazionale e offende i valori di umanità e giustizia su cui dovrebbero fondarsi le pacifiche relazioni tra i popoli. Per questo noi tutti/e riteniamo che il silenzio e l’inazione non siano più opzioni percorribili. La morte e la distruzione inflitta per mano delle IDF alla popolazione civile palestinese – complici molti dei paesi occidentali (il nostro compreso) che hanno attivamente supportato la macchina bellica israeliana o hanno rifiutato di ricorrere ad alcun significativo strumento di dissuasione – ha già da molto tempo assunto dimensioni abnormi. Quello che si sta consumando a Gaza è, lo affermiamo senza incertezze, un genocidio: i crimini di guerra commessi dallo Stato di Israele rientrano infatti appieno nella definizione stipulata dalla Convenzione del 1948 per la prevenzione e la repressione del genocidio (a cui l’Italia ha aderito con legge n. 153 dell’11 marzo 1952), e che si propone di prevenire e punire gli atti “commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale” (art. II). Già il 26 gennaio 2024 la Corte Internazionale di Giustizia aveva giudicato “plausibile” l’accusa di genocidio rivolta contro Israele. Oggi, quella plausibilità è divenuta certezza, tanto che alcuni tra i più noti intellettuali israeliani, a partire da David Grossman, ammettono ormai “che a Gaza è in corso un genocidio” (1/08/2025). Ma più che le parole, oggi a parlare a Gaza sono i fatti. I dati raccolti da organizzazioni internazionali (ONU, UNHCR, UNICEF, UNESCO), ONG indipendenti (Amnesty International, MSF, Emergency) e studi pubblicati su accreditate riviste scientifiche accreditate (The Lancet) sono inequivocabili. Dal 2023 a oggi, l’offensiva israeliana ha provocato più di 60.000 morti diretti e oltre 150.000 feriti, in larghissima parte civili, con donne e bambini a rappresentare più della metà del totale. Circa 1,9 milioni di persone – l’85 % della popolazione – sono state sfollate, mentre abitazioni, strade, scuole, ospedali, luoghi di culto, biblioteche, archivi e siti di interesse storico-artistico sono stati sistematicamente distrutti. A queste vittime si aggiungono decine di migliaia di morti indirette, dovute a fame, malattie, assenza di cure mediche e collasso delle infrastrutture sanitarie. Altre cifre testimoniano di una distruzione pianificata e tutt’altro che casuale, mirata a silenziare l’informazione, a usare la fame come arma e a rendere invivibile Gaza non solo per le generazioni presenti, ma anche per quelle future. Al 25 agosto 2025, l’esercito israeliano aveva assassinato almeno 279 giornalisti, nel più grave massacro di operatori dei media nella storia recente. Da fine maggio ad agosto 2025, almeno 1760 palestinesi sono stati uccisi a Gaza dalle IDF mentre erano in fila per ricevere i (pochi) aiuti umanitari fatti entrare da Israele nella Striscia. Con un report dell’IPC rilasciato il 22 agosto 2025 e basato su studi di autorità indipendenti, l’ONU ha ufficialmente confermato lo stato di carestia a Gaza, indicando Israele come unico responsabile. Infine – ed è un dato che, per ovvie ragioni, ci tocca particolarmente da vicino – in Palestina è in atto quella che le Nazioni Unite hanno definito scolasticidio, ovvero la “distruzione sistematica dell’istruzione attraverso l’arresto, la detenzione o l’uccisione di insegnanti, studenti e personale, nonché la distruzione delle infrastrutture educative”. Tra le vittime della popolazione civile si contano infatti oltre 6.000 persone in età scolare, studenti universitari, insieme a insegnanti, ricercatori e personale universitario. Le forze di occupazione israeliana hanno saccheggiato e distrutto strutture scolastiche e i campus universitari di Al Azhar, Al Quds e Israa. Secondo UNESCO, è scomparso il 75% degli edifici scolastici, impedendo a circa 625.000 studenti e 22.500 insegnanti di frequentare i propri luoghi di crescita culturale e professionale e compromettendo definitivamente il futuro dell’istruzione palestinese. Alla luce di tutto questo, e in linea con la lettera sottoscritta da alcuni/e colleghi/e più di un anno fa, come membri della grande comunità accademica catanese domandiamo con forza che il Magnifico Rettore e il Senato Accademico si pronuncino con coraggio e senza ambiguità. Il tempo delle esitazioni è finito. Il piano di occupazione totale di Gaza, già avviato da Netanyahu e dal suo governo, prevede entro il prossimo 7 ottobre di cacciare dalla loro terra quasi due milioni di civili gazawi: occorre agire al più presto con la massima decisione per cercare di dare il nostro (certo limitato) contributo affinché questo ennesimo piano criminale, in violazione di ogni diritto internazionale, venga impedito. Sulla scorta di quanto accaduto anche a livello globale, già altre Università italiane si sono mosse in questo senso: l’Università per Stranieri di Siena (26/6/2024), l’Università di Padova (1/7/2025), l’Università del Salento (2/7/2025), l’Università di Pisa (17/7/2025), l’Università di Bologna (17/6/2025), l’Università di Roma La Sapienza (19/6/2025), la Scuola Normale Superiore di Pisa (22/7/2025), l’Università di Bari (22/7/2025), il Politecnico di Milano (4/8/2025). Seguendo il loro esempio, chiediamo che anche da noi si approvi una mozione che impegni a: 1. > Prendere una posizione netta e inequivoca di condanna di quanto attuato a > Gaza dal governo e dall’esercito israeliani, nominando esplicitamente le > responsabilità e stigmatizzando i crimini commessi contro la popolazione > civile; 2. > Interrompere gli accordi e le relazioni formali con università israeliane, > se in vigore, o comunque impegnarsi a non stipularne di nuovi sino alla > fine della crisi in atto, senza che ciò escluda rapporti di collaborazione > individuali con singoli colleghi/eisraeliani/e; 3. > Dichiarare esplicitamente che mai si stringeranno accordi con Università e > aziende israeliane con sede in territori palestinesi occupati > illegalmente; 4. > Sospendere gli accordi con quelle aziende come la Leonardo spa che > producono dichiaratamente tecnologie belliche, o che sono comunque > suscettibili di dual use; 5. > Fare pressione perché si rinnovi al più presto il bando nazionale IUPALS > per borse di studio destinate a studenti e studentesse palestinesi e, nel > frattempo, ampliare il finanziamento in modo che tutti/e coloro > risultati/e idonei/e nel bando che si è chiuso abbiano la possibilità > immediata di venire a studiare in Italia; 6. > Istituire forme collettive di ricordo per le vittime civili palestinesi, > per ribadire che quei morti non sono solo numeri e che non devono esistere > vite indegne di lutto. Il momento di agire è questo. Se tacciamo, se non interveniamo, se lasciamo che ancora una volta questioni di (malintesa) opportunità politica abbiano la meglio sul senso di giustizia e sul rispetto del diritto, ne dovremo rispondere davanti ai nostri figli e figlie, ai nostri nipoti, alle nostre coscienze. PRIMI FIRMTARI * ATTILIO SCUDERI – DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANISTICHE (DISUM) * SOUADOU LAGDAF – DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANISTICHE (DISUM) * GIANNI PIAZZA – DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE E SOCIALI (DISUM) * SALVATORE MARANO – DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANISTICHE (DISUM) * ALESSANDRO PLUCHINO – DIPARTIMENTO DI FISICA E ASTRONOMIA * LORENZO COCCOLI – DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE E SOCIALI (DSPS) * CLAUDIA CANTALE – DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE E SOCIALI (DSPS) * ERIKA GAROZZO – DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE E SOCIALI (DSPS) * MARIA CARRERAS I GOICOECHEA – DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANISTICHE (DISUM) * MICHELE CAMPOPIANO – DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANISTICHE (DISUM) SEGUONO ALTRE 306 FIRME, A QUESTO LINK Redazione Sicilia
Lunedì 28 luglio, Messina ha assistito a un nuovo episodio di mobilitazione popolare, con cittadini e attivisti scesi in piazza davanti alla prefettura per esprimere la loro solidarietà al popolo di Gaza. In questo contesto, i partecipanti hanno unito le loro voci a quelle di tutti i siciliani e di coloro che in tutto il mondo rifiutano di piegarsi di fronte alle atrocità della guerra_ La manifestazione, stavolta, ha evidenziato una nuovo tipo di urgenza. È fondamentale riconoscere che la lotta per la giustizia non può limitarsi a una retorica generica, ma deve assumere una dimensione intersezionale, coinvolgendo concretamente una vasta gamma di attori sociali. È essenziale che scuole, famiglie, istituzioni si uniscano in modo sinergico, costruendo alleanze e attivando iniziative che permettano di affrontare le ingiustizie in modo concreto e condiviso. Solo attraverso un impegno collettivo e integrato si potrà sperare di creare un cambiamento significativo e duraturo. Le guerre, d’altra parte, non nascono mai per caso. Esse sono il risultato di complesse dinamiche che spesso riflettono un culto del dominio economico. La questione si complica ulteriormente quando si considerano rappresentazioni distorte della realtà, come gli inquietanti video generati dall’intelligenza artificiale che mostrano una Gaza idealizzata e fiorente. Questi materiali, purtroppo, possono rivelare come, per alcuni politici, le considerazioni economiche prevalgano sul valore delle vite umane. Una riflessione critica e consapevole su queste dinamiche è fondamentale per comprendere le radici profonde dei conflitti contemporanei. Le immagini di bambini sofferenti e ridotti alla fame, insieme a quelle di strutture distrutte e in macerie, rappresentano una ferita profonda nelle nostre coscienze collettive. Un dolore che richiede tutto il nostro coraggio e la nostra energia. Perché i martiri di Gaza non sono solo numeri, ma storie di vite spezzate che devono rimanere impresse nelle nostre memorie. Antonio Mazzeo, attivista e concittadino messinese, ha recentemente condiviso la sua esperienza a bordo della nave Handala, bloccata al largo di Gaza prima di poter raggiungere la popolazione in difficoltà. Durante un’intervista dopo il suo rientro a Roma, Mazzeo ha evidenziato la mancanza di pietà verso i bambini gravemente malnutriti, denunciando l’assenza di compassione nelle azioni intraprese anche in situazioni di carestia alimentare. Ha espresso la sua amarezza per questo ennesimo tentativo fallito, sottolineando la disumanità di fronte a una crisi umanitaria senza precedenti negli ultimi decenni. Inoltre, Mazzeo ha commentato il concetto di “mare nostrum”, sottolineando che questo termine non può essere appropriato alla luce della realtà delle operazioni militari, che hanno visto l’abbordaggio dell’equipaggio come un vero e proprio atto di pirateria. Ha affermato che, in tali circostanze, il diritto internazionale sembra ridursi a un formalismo giuridico privo di reale sostanza. Questa riflessione solleva interrogativi significativi sull’etica internazionale e il senso intimo delle nostre istituzioni. È paradossale, poi, come chi ha conosciuto sulla propria pelle l’orrore dello sterminio oggi possa replicare i metodi di oppressione su un altro popolo. I bambini che muoiono di fame, gli ospedali assediati e le case ridotte in macerie non sono semplici danni collaterali, ma il risultato di una macchina di oppressione che la storia avrebbe dovuto insegnarci a riconoscere. In definitiva, la situazione rimane drammatica, complessa e in continua evoluzione. Ma niente è mai vano. Zizek afferma che “l’utopia” non deve essere vista come una semplice immaginazione libera, ma come una questione di intima urgenza, un’imposizione alla quale siamo forzati a rispondere. In questo contesto, l’utopia diventa non solo un desiderio, ma una necessità pressante, un faro che ci guida verso una trasformazione sociale e personale. È attraverso il recupero della nostra umanità che possiamo trovare la forza per mettere in discussione le strutture esistenti. La chiave per il cambiamento risiede nella nostra capacità di trasformare la rabbia e il dolore in un potente motore di solidarietà e bellezza. La determinazione di Messina va proprio incontro a questa volontà.  Dove l’idealismo non sia più un semplice sogno ma una realtà tangibile. Frutto di amore, giustizia sociale e di umanità condivisa.   Redazione Sicilia