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La Palestina nel cuore dei palermitani: 50 mila in corteo per lo sciopero generale
La Palestina è nel cuore di Palermo, città che è gemellata con Betlemme (Cisgiordania) e Khan Younis (Gaza) e che ha il lungomare del Foro Italico intitolato a Yasser Arafat, Premio Nobel per la Pace e fondatore dell’OLP. I 50mila palermitani scesi in piazza per Gaza – nel giorno dello sciopero generale proclamato da Cgil, Usb, Cobas, Cub, ADL e SGC in segno di solidarietà con la Global Sumud Flotilla – confermano ancora una volta l’affetto di Palermo per la Palestina. Un legame trasversale dal punto di vista politico, sociale, religioso e culturale. La bandiera palestinese, simbolo di un popolo fiero e oppresso, sventola ovunque: dal centro storico alle borgate marinare, dalle zone residenziali alle periferie, dalle piazze ai luoghi della movida, dai negozi ai palazzi, dalla Curva Nord dello stadio Renzo Barbera ai settori ospiti delle città in cui gioca il Palermo in trasferta. Il nuovo imponente corteo parte dalla Stazione centrale di Palermo, attraversa il centro storico e i Quattrocanti, confluisce in Piazza Indipendenza e poi si sposta verso l’Università e verso la Circonvallazione. “Free Free Palestine”, “Stop al genocidio”, “Palestina libera dal fiume al mare” sono tra gli slogan più gettonati. Folta la rappresentanza di forze politiche, tra le quali (in ordine alfabetico): Azione Civile, Carc, Cinquestelle, Partito Comunista, PCI, Partito Comunista dei Lavoratori, Partito Democratico, Partito della Rifondazione Comunista, Partito Marxista Leninista Italiano, Potere al Popolo, Sinistra Italiana, Verdi. Esultano gli organizzatori di sciopero e cortei. L’Unione Sindacale di Base snocciola con orgoglio i dati: “Due milioni in tutta Italia. 300mila a Roma, 150 mila a Milano, 150mila a Bologna, 80mila a Napoli, decine di migliaia a Brescia, Catania e Palermo, 50mila a Genova, 30mila a Livorno, 50mila a Firenze e poi Bari, Pavia, La Spezia e tante tantissime altre città… Le lavoratrici e i lavoratori hanno aderito massicciamente allo sciopero proclamato da Usb e da altre organizzazioni riconoscendone la piena legittimità. Un popolo in movimento che ha indicato la via: rompere le relazioni con Israele, chiedere la liberazione dei nostri concittadini imbarcati sulla Global Sumud Flotilla e, soprattutto, mettere fine al genocidio in Palestina”. Anche la Cgil, con il segretario regionale Alfio Mannino, è soddisfatta per il successo delle iniziative: “La partecipazione alle manifestazioni nelle varie città dell’isola è stata massiccia, i cortei si ingrossavano man mano che procedevano. A Palermo la Cgil stima la presenza di 50 mila manifestanti, in Sicilia la presenza di 150 mila in tutta la regione. Lo sciopero è riuscito in molte realtà produttive. I dati dimostrano quanto sia sentito dai siciliani il dramma della Palestina…un tema così importante, che poggia sui valori fondamentali della nostra Costituzione come il ripudio della guerra e la solidarietà, coinvolge e porta in piazza per giorni e giorni decine di migliaia di persone”. Dietro lo striscione della Fiom-Cgil, con i metalmeccanici, sfila il regista e conduttore televisivo Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif. Secondo la Fiom, “come sempre le metalmeccaniche e i metalmeccanici sono in prima linea nella lotta contro la guerra, per l’umanità, per la dignità, per la solidarietà e il ripristino del diritto internazionale. Chiediamo al Governo italiano di intervenire per difendere l’esercizio dei diritti costituzionali dei propri cittadini impegnati in un’azione umanitaria, sanzionare il Governo Netanyahu, bloccare gli accordi commerciali e militari con Israele e per riconoscere formalmente lo Stato di Palestina”. Anche gli altri sindacati promotori gongolano. Ad esempio, la Confederazione Unitaria di Base scrive: “Ad animare le piazze affollate sono stati i movimenti pro Pal, gli studenti medi e universitari, i centri sociali e migliaia e migliaia di cittadini che da due anni sostengono la causa del popolo palestinese, vessato dagli attacchi indiscriminati di Israele. I manifestanti anche oggi hanno ribadito con fermezza la richiesta al governo di fermare il genocidio nella Striscia di Gaza e rompere le relazioni con Israele, la vendita di armi e attuare un vero e proprio embargo”. I Cobas evidenziano lo storico sciopero congiunto tra Cgil e sindacati di base e osservano: “Oggi siamo andati ben oltre la partecipazione del 22 settembre, che già ci sembrò un notevolissimo successo: in piazza oggi, in più di cento città italiane, c’erano almeno tre volte le presenze del 22 settembre, con una cifra complessiva di due milioni di presenze. Per la prima volta in 40 anni di coesistenza con il sindacalismo di base e conflittuale, la Cgil ha concordato un’indizione di sciopero comune con COBAS, Usb e Cub, sancita ufficialmente con un invio congiunto delle convocazioni di sciopero e con una conferenza-stampa comune di lancio dello sciopero”. In piazza, tra gli altri, anche il mondo dell’associazionismo, i collettivi studenteschi, i centri sociali, la comunità Palestinese di Palermo e l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. L’avvocato Armando Sorrentino, vicepresidente vicario dell’ANPI Palermo Comandante Barbato (intitolata al comandante partigiano Pompeo Colajanni, protagonista della Liberazione di Torino) difende le scelte della Global Sumud Flotilla e tiene a precisare come le acque intorno a Gaza siano palestinesi, non israeliane: “Con riguardo alla qualificazione giuridica delle acque antistanti Gaza, si deve ricordare che il limite di quel mare non segna i confini di Israele, né le sue acque territoriali, ma, al contrario, fissa le acque palestinesi e questo a prescindere dal riconoscimento o meno dello stato palestinese. Il diritto internazionale a proposito di annessioni illecite, come quella perpetrata da Israele in danno della Palestina, è assolutamente chiaro, nel senso di non potersi riconoscere alcun effetto giuridico e, quindi, non può ci può essere alcuna sovranità territoriale israeliana sul mare di fronte a Gaza dove si stanno legittimamente dirigendo le imbarcazioni. La Corte Internazionale di Giustizia nel luglio 2024 ha statuito che Israele non ha alcun potere sovrano sul territorio palestinese occupato e ha, anche, affermato che tutti gli stati membri delle Nazioni unite non devono riconoscere la sovranità dell’occupante illegittimo. Non è territorio israeliano Gaza e non sono israeliane le acque territoriali dinanzi Gaza”. Pietro Scaglione
Lunedì 28 luglio, Messina ha assistito a un nuovo episodio di mobilitazione popolare, con cittadini e attivisti scesi in piazza davanti alla prefettura per esprimere la loro solidarietà al popolo di Gaza. In questo contesto, i partecipanti hanno unito le loro voci a quelle di tutti i siciliani e di coloro che in tutto il mondo rifiutano di piegarsi di fronte alle atrocità della guerra_ La manifestazione, stavolta, ha evidenziato una nuovo tipo di urgenza. È fondamentale riconoscere che la lotta per la giustizia non può limitarsi a una retorica generica, ma deve assumere una dimensione intersezionale, coinvolgendo concretamente una vasta gamma di attori sociali. È essenziale che scuole, famiglie, istituzioni si uniscano in modo sinergico, costruendo alleanze e attivando iniziative che permettano di affrontare le ingiustizie in modo concreto e condiviso. Solo attraverso un impegno collettivo e integrato si potrà sperare di creare un cambiamento significativo e duraturo. Le guerre, d’altra parte, non nascono mai per caso. Esse sono il risultato di complesse dinamiche che spesso riflettono un culto del dominio economico. La questione si complica ulteriormente quando si considerano rappresentazioni distorte della realtà, come gli inquietanti video generati dall’intelligenza artificiale che mostrano una Gaza idealizzata e fiorente. Questi materiali, purtroppo, possono rivelare come, per alcuni politici, le considerazioni economiche prevalgano sul valore delle vite umane. Una riflessione critica e consapevole su queste dinamiche è fondamentale per comprendere le radici profonde dei conflitti contemporanei. Le immagini di bambini sofferenti e ridotti alla fame, insieme a quelle di strutture distrutte e in macerie, rappresentano una ferita profonda nelle nostre coscienze collettive. Un dolore che richiede tutto il nostro coraggio e la nostra energia. Perché i martiri di Gaza non sono solo numeri, ma storie di vite spezzate che devono rimanere impresse nelle nostre memorie. Antonio Mazzeo, attivista e concittadino messinese, ha recentemente condiviso la sua esperienza a bordo della nave Handala, bloccata al largo di Gaza prima di poter raggiungere la popolazione in difficoltà. Durante un’intervista dopo il suo rientro a Roma, Mazzeo ha evidenziato la mancanza di pietà verso i bambini gravemente malnutriti, denunciando l’assenza di compassione nelle azioni intraprese anche in situazioni di carestia alimentare. Ha espresso la sua amarezza per questo ennesimo tentativo fallito, sottolineando la disumanità di fronte a una crisi umanitaria senza precedenti negli ultimi decenni. Inoltre, Mazzeo ha commentato il concetto di “mare nostrum”, sottolineando che questo termine non può essere appropriato alla luce della realtà delle operazioni militari, che hanno visto l’abbordaggio dell’equipaggio come un vero e proprio atto di pirateria. Ha affermato che, in tali circostanze, il diritto internazionale sembra ridursi a un formalismo giuridico privo di reale sostanza. Questa riflessione solleva interrogativi significativi sull’etica internazionale e il senso intimo delle nostre istituzioni. È paradossale, poi, come chi ha conosciuto sulla propria pelle l’orrore dello sterminio oggi possa replicare i metodi di oppressione su un altro popolo. I bambini che muoiono di fame, gli ospedali assediati e le case ridotte in macerie non sono semplici danni collaterali, ma il risultato di una macchina di oppressione che la storia avrebbe dovuto insegnarci a riconoscere. In definitiva, la situazione rimane drammatica, complessa e in continua evoluzione. Ma niente è mai vano. Zizek afferma che “l’utopia” non deve essere vista come una semplice immaginazione libera, ma come una questione di intima urgenza, un’imposizione alla quale siamo forzati a rispondere. In questo contesto, l’utopia diventa non solo un desiderio, ma una necessità pressante, un faro che ci guida verso una trasformazione sociale e personale. È attraverso il recupero della nostra umanità che possiamo trovare la forza per mettere in discussione le strutture esistenti. La chiave per il cambiamento risiede nella nostra capacità di trasformare la rabbia e il dolore in un potente motore di solidarietà e bellezza. La determinazione di Messina va proprio incontro a questa volontà.  Dove l’idealismo non sia più un semplice sogno ma una realtà tangibile. Frutto di amore, giustizia sociale e di umanità condivisa.   Redazione Sicilia