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KCK: Il popolo di Şengal ha aperto un nuovo capitolo con la sua resistenza
“La storia non ha registrato solo il massacro del 3 agosto, ma anche la grande resistenza e l’eroismo che hanno avuto inizio in quel 3 agosto. I bambini, le donne e i giovani di Şengal hanno scritto una nuova storia resistendo a uno degli attacchi più brutali della storia.” “Sono trascorsi undici anni dal massacro di Şengal [Sinjar] perpetrato dall’ISIS il 3 agosto 2014, che il popolo Êzidî (yazidi) definisce il ‘74° Ferman’ (genocidio). Nonostante siano trascorsi undici anni, il dolore per questo massacro è ancora vivo e le ferite non si sono ancora rimarginate. Perché ciò che è stato inflitto al popolo ezide a Şengal il 3 agosto 2014 è stato straziante, vergognoso e inimmaginabile. Migliaia di persone uccise, migliaia di donne rapite, vendute come schiave e violentate, le case saccheggiate e centinaia di persone, bambini e anziani che fuggirono dal massacro e finirono nel deserto morirono di fame e di sete. Migliaia di donne ezide risultano ancora disperse. Decine di fosse comuni non sono ancora state aperte. Ciò che il popolo ezida ha dovuto sopportare nel XXI secolo, che si vanta del proprio progresso, è una vergogna per l’umanità in ogni senso. Ancora una volta, condanniamo fermamente il massacro di Şengal, uno dei massacri più brutali della storia dell’umanità, così come l’ISIS, la sua mentalità e tutte le forze che lo sostengono. Commemoriamo con rispetto coloro che hanno perso la vita nel massacro di Şengal. Dichiariamo ancora una volta che sentiamo profondamente il dolore del popolo di Şengal e che saremo sempre al loro fianco nel loro cammino verso il superamento del Ferman e il raggiungimento della libertà. I peshmerga del KDP e l’esercito iracheno, che dispongono di una grande forza militare e il cui compito era garantire la sicurezza di Şengal, non hanno difeso Şengal e hanno lasciato che la popolazione affrontasse il massacro. La popolazione di Şengal, abbandonata al suo destino, è rimasta indifesa contro le bande assassine dell’ISIS. Ciò ha causato le conseguenze più tragiche e dolorose. Nonostante il dolore causato, non è stata fatta alcuna autocritica e non è stata richiesto di risponderne sulla responsabilità. Bisogna sapere che le pagine indelebili della storia hanno registrato questa vergogna, così come la brutalità dell’ISIS. Sia l’ISIS, che coloro che hanno istigato l’ISIS ad attaccare Şengal miravano a continuare il massacro fino a quando non fosse rimasto un solo ezida e a cancellare il popolo ezida dalla storia. Questo obiettivo è stato impedito grazie allo storico intervento di un piccolo gruppo di guerriglieri sui monti Şengal e alla grande determinazione e resilienza della popolazione di Şengal, dei suoi giovani e delle sue donne. Il genocidio totale è stato impedito grazie alla resistenza dei guerriglieri e del popolo di Şengal. Centinaia di ragazzi ezidi si erano unti alla linea di resistenza formata contro l’ISIS a fianco dei guerriglieri e sono caduti come martiri. Ricordiamo con grande rispetto i guerriglieri caduti come martiri e i giovani ezidi caduti come martiri, e chiniamo il capo in segno di rispetto davanti alla loro memoria. Questa posizione onorevole e questa linea di lotta non solo hanno impedito un grande genocidio, ma hanno anche gettato le basi affinché il popolo di Şengal possa esistere oggi con la propria lingua, fede, cultura e identità e a difendersi per non dover mai più sperimentare un altro Ferman. La lotta del popolo di Şengal per impedire che simili massacri si ripetano è estremamente giustificata e legittima. Non sostenere il popolo di Şengal nella sua causa di autodifesa e autogoverno, per non parlare di opporsi a esso, è inaccettabile. Il fatto che il popolo ezide, che ha sofferto molti fermani nel corso della storia a causa delle sue convinzioni e della sua identità, ora abbia autogoverno e autodifesa non è né una richiesta massimalista né una violazione dei diritti di nessuno. Si tratta di richieste del tutto minime e legittime. Non esiste alcuna base legittima, legale o sociale per opporsi alle richieste della popolazione di Şengal. Al contrario, il diritto internazionale, la legislazione e i diritti umani fondamentali, così come i valori umani universali, l’etica sociale e la coscienza, ci impongono di sostenerli. Dal punto di vista dello Stato iracheno, la soluzione più appropriata è risolvere la questione di Şengal garantendo l’autogoverno e l’autodifesa del popolo. Tale soluzione è infatti richiesta anche dalla Costituzione irachena. Mentre commemoriamo ancora una volta il massacro del 3 agosto, ci congratuliamo con la popolazione di Şengal, che è riuscita a preservare la propria esistenza resistendo a uno degli attacchi più brutali e gravi della storia. La storia non ha registrato solo il massacro del 3 agosto, ma anche la grande resistenza e l’eroismo che hanno avuto inizio da quel 3 agosto. I bambini, le donne e i giovani del popolo Şengal hanno scritto una nuova storia resistendo a uno degli attacchi più brutali della storia. Crediamo che il nostro popolo ezida otterrà la libertà con l’attuale “Processo di pace e società democratica”.
La rivoluzione in Rojava è la rivoluzione comune dei popoli
Sono trascorsi tredici anni dal 19 luglio che segnò l’inizio della Rivoluzione nel Rojava, uno degli eventi più importanti della storia. Ci congratuliamo con i popoli del Rojava e della Siria settentrionale e orientale, così come con tutti i popoli del Kurdistan e della Siria, con i popoli arabo, armeno, druso, turcomanno, siriaco e alevita, con i popoli del Medio Oriente e del mondo, in particolare con le donne, i giovani e tutte le forze socialiste, rivoluzionarie, democratiche e di liberazione in occasione della loro storica rivoluzione nel suo 13° anniversario. Celebriamo anche i compagni internazionalisti che hanno svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella difesa di questa rivoluzione storica. Rendiamo omaggio a questo sviluppo storico, che è una rivoluzione comune dei popoli, e commemoriamo ancora una volta tutti i martiri di questa rivoluzione con rispetto, amore e gratitudine. La Rivoluzione del Rojava ha portato nuove conquiste e nuovi valori alla nostra storia umana. Soprattutto, ha permesso alla società, indebolita, emarginata e indifesa dal sistema dominante degli stati nazionali, di riscoprire la propria forza di volontà. Ha aperto la strada alle dinamiche fondamentali della società, che era stata privata dei suoi diritti democratici, oppressa e sfruttata, affinché si organizzasse, diventasse consapevole e acquisisse la volontà e la forza di governarsi. La rivoluzione ha rimosso l’ostacolo tra le differenze di lingua, religione, credo ed etnia tra i popoli. Ha posto fine alle cause di conflitto tra i popoli e ha aperto la strada a una visione delle differenze come ricchezza della società. Ha creato un ambiente in cui popoli, credenze e culture possono convivere in fratellanza all’interno di questo quadro democratico. Ha permesso alle donne, relegate negli angoli più profondi e oscuri della vita sociale, di acquisire consapevolezza, organizzarsi e sollevarsi, e di assumere un ruolo guida sia nella difesa che nella costruzione della trasformazione sociale democratica e della rivoluzione. Ha creato le condizioni per l’emergere di una generazione di giovani consapevoli e organizzate. In breve, la Rivoluzione del Rojava è stata una soluzione importante con il suo sistema di Nazione Democratica e il paradigma della libertà delle donne. Ha dato prova di sé in molti modi negli ultimi 13 anni di pratica. Da un lato, i popoli e le forze rivoluzionarie si sono uniti per opporre una forte resistenza agli attacchi esterni volti a eliminare la rivoluzione, e la rivoluzione è stata difesa con successo. D’altra parte lo sviluppo del sistema democratico orientato alla libertà e comunitario è proseguito. In questo senso, la Rivoluzione del 19 luglio ha superato con successo un’importante soglia storica. La Rivoluzione del 19 luglio, messa in pratica nel Rojava e nella Siria settentrionale e orientale, rappresenta anche il modello di soluzione più accurato e realistico per la Siria nel suo complesso. L’attuale conflitto in Siria rivela chiaramente questa realtà. La soluzione ai problemi della Siria e il raggiungimento dell’unità possono essere raggiunti solo attraverso i principi della Rivoluzione del 19 Luglio: nazione democratica, autogoverno democratico e libertà delle donne. Imposizioni settarie e nazionaliste non faranno che aggravare il conflitto e i massacri, e rappresentano la più grande minaccia all’integrità della Siria. Ancora una volta celebriamo la storica Rivoluzione del 19 luglio con tutti i popoli. Crediamo che l’alleanza democratica, l’organizzazione e la lotta che i popoli svilupperanno lungo le linee della rivoluzione porteranno alla pace, alla vita democratica e alla libertà tanto attese in Medio Oriente. Co-presidenza del Consiglio esecutivo della KCK
Il partito DEM ha chiesto una commissione d’inchiesta per Madımak
Il partito DEM ha presentato una mozione per istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta per indagare sul massacro di Madımak, garantire il confronto sociale e impedire che simili sofferenze si ripetano. Nell’anniversario del massacro di Madımak, i vicepresidenti del gruppo del Partito per l’uguaglianza e la democrazia dei popoli (Partito DEM), Gülistan Kılıç Koçyiğit e Sezai Temelli, hanno presentato una mozione alla presidenza del Parlamento chiedendo l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta per indagare su tutti gli aspetti del massacro, garantire il necessario confronto sociale e contribuire alla pace sociale. La proposta recita quanto segue: “Il 2 luglio 1993, 33 persone, per lo più artisti, scrittori e intellettuali, furono uccisi in un incendio appiccato dagli aggressori che avevano preso di mira l’Hotel Madımak durante gli eventi culturali Pir Sultan Abdal tenutisi a Sivas. Nonostante i molti anni trascorsi, le ragioni, il contesto e gli effetti sociali di questo massacro non sono stati chiari completamenteti. Questo massacro ha lasciato un segno indelebile nella memoria della società; continua a esistere come una ferita che attende ancora una soluzione, soprattutto in termini di ricostruzione della fiducia reciproca tra i diversi gruppi di credo. Una valutazione completa delle conseguenze del massacro di Sivas, sia a livello individuale che sociale, è di vitale importanza per evitare che simili sofferenze si ripetano. In questo contesto, chiediamo e proponiamo l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta ai sensi dell’articolo 98 della Costituzione e degli articoli 104 e 105 del Regolamento interno della Grande Assemblea Nazionale turca, al fine di indagare su tutti gli aspetti dell’incidente, garantire il necessario confronto sociale e contribuire alla pace sociale.”
Turchia: la giusta lotta dei Curdi contro l’oppressione turca
Una società democratica come via per risolvere pacificamente il “Nodo gordiano” di Devriş Çimen “Quando è necessario, quando la loro esistenza è in gioco, quando si trovano di fronte alla perdita della loro libertà e della loro dignità, è inevitabile per i popoli resistere. Nessun altro metodo se non la resistenza può portare alla preservazione della loro esistenza, della loro libertà e della loro dignità. La resistenza in Kurdistan è stata un metodo per difendere l’esistenza ancor prima della libertà e della liberazione.” Abdullah Öcalan (*) Quale tipo di oppressione, assimilazione, annientamento e negazione è necessaria per portare una persona o una società collettiva al punto di negare la propria esistenza? Pensate a cosa è stato fatto a una società come quella curda per farla vergognare e persino temere la propria identità. Non chiedo compassione, voglio solo che ci pensiate per un momento. La vita nella regione storicamente conosciuta come Kurdistan e abitata da una maggioranza di Curdi, soprattutto quella entro i confini della Repubblica di Turchia fondata nel 1923, è soggetta a una dottrina statale monistica (sancita dalla Costituzione) che nega tutto ciò che si discosta dall’identità turca. Inutile dire che una collettività sociale, in questo caso la società curda, non può semplicemente accettare e sopportare una simile situazione. Così Abdullah Öcalan iniziò la sua legittima lotta negli anni ’70 contro questa ingiustizia storica e questa tirannia. La legittimità di queste iniziative è sancita anche nel preambolo della Carta dei diritti umani delle Nazioni Unite, che menziona esplicitamente il diritto alla rivolta contro la tirannia e l’oppressione, come ultima risorsa. Con la fondazione del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) il 27 novembre 1978, iniziò la lotta per superare l’annientamento e la negazione del popolo curdo. Nel 1984 iniziò una guerriglia sostenuta da milioni di Curdi (che attualmente in Turchia sono circa 22milioni su 85milioni) che riponevano in essa la loro speranza di cambiamento. Nonostante tutte le difficoltà e la guerra di annientamento condotta dal secondo esercito più grande della NATO, questa lotta è continuata ininterrotta per 47 anni. Da allora, il popolo curdo conduce una giusta lotta di resistenza per una vita dignitosa. Decine di migliaia di persone hanno sacrificato la propria vita per questi ideali. Nessuno ha il diritto di incolpare i Curdi per la loro lotta o di esigere da loro pentimento. Al contrario, lo Stato turco deve fare i conti con il suo passato di persecuzione e oppressione e chiedere scusa al popolo curdo. Tuttavia, questo è un passo importante che dovrebbe essere compiuto quando le condizioni saranno giuste. In uno storico appello del 27 febbraio 2025, Abdullah Öcalan, leader del PKK e senza dubbio il suo prigioniero politicamente più significativo, ha invitato il PKK a deporre le armi, convocare un congresso e decidere di sciogliersi. Questo appello ha suscitato scalpore e ha portato ad intense discussioni in Turchia e in tutto il mondo. L’appello di Öcalan del 27 febbraio è il risultato di mesi di mediazione, di diversi incontri con Öcalan e di lettere e colloqui tenuti da una delegazione del Partito per l’Uguaglianza dei Popoli e la Democrazia (Partito DEM) con diversi attori politici coinvolti nel conflitto. Sebbene la deposizione delle armi sia stata posta come condizione dal governo turco sotto R.T. Erdoğan, la ricerca di una soluzione a questo problema, che Abdullah Öcalan ha definito un “nodo gordiano”, ha una lunga storia. La fondazione del PKK nel 1978 e l’inizio della lotta armata nel 1984 non sono una causa, ma una conseguenza della politica di negazione e assimilazione dello Stato turco. È generalmente accettato che questa politica sia la ragione dell’enorme sostegno della società curda alla resistenza del PKK. Gli anni in cui il PKK è emerso coincisero con un periodo di numerose lotte di liberazione nazionale in tutto il mondo. Si sviluppò con un programma di partito socialista e fu influenzato dalle lotte di liberazione nazionale dell’epoca. Si prefiggeva l’obiettivo di istituire uno Stato nazionale basato sul diritto all’autodeterminazione dei popoli. Nel suo appello più recente, Öcalan ha spiegato che questo obiettivo era fortemente influenzato anche dal Socialismo reale, allora molto presente a livello internazionale. Tuttavia, la lotta armata iniziata nel 1984 acquisì un’influenza decisiva quando il socialismo reale crollò. Ciononostante, il PKK non fu indebolito dalla fine del socialismo reale, ma mantenne la sua base sociale e il suo sostegno. Riuscì persino ad ampliarla, ponendo al centro della sua lotta la via verso un Socialismo Democratico più orientato alla società, grazie alle sue critiche al socialismo reale guidato dallo Stato. Con il primo cessate il fuoco nel 1993, Öcalan e il PKK (tramite diversi mediatori) cercarono una soluzione politica con il presidente turco Turgut Özal, che a sua volta stava cercando di trovare una soluzione. Tuttavia, Özal morì in circostanze sospette proprio il giorno in cui avrebbe voluto rispondere al cessate il fuoco. Gli sforzi per un cessate il fuoco e una soluzione furono ovviamente sabotati. In questo vuoto, il conflitto fu nuovamente indirizzato verso approcci militari dai leader politici turchi. Negli anni successivi, etichettati come “guerra sporca”, si verificò una serie di eventi che causarono gravi distruzioni. La Turchia fu presa in mano dalla politica militare e la società turca fu intimidita con il pretesto della “politica di sicurezza”. Per privare il PKK del sostegno sociale, negli anni ’90 l’esercito turco distrusse oltre 4mila villaggi curdi. Migliaia di omicidi “irrisolti” (in turco: faili meçul) furono commessi e milioni di curdi furono espulsi in Europa e nelle metropoli turche attraverso una sistematica pulizia etnica. Numerosi massacri, stupri, casi di tortura e arresti si trovano nei documenti di organizzazioni per i diritti umani come l’IHD. La società turca alle prese con le conseguenze di questa guerra sporca, condotta in suo nome, rappresenta uno dei passi verso una soluzione politica. Infatti, queste pratiche degradanti e disumane contro i Curdi furono perpetrate dalle forze militari, di polizia e paramilitari dello Stato, nel silenzio generale della società turca. Mappa: Encyclopedia Britannica Ciononostante, la questione curda non poté essere risolta. La Turchia, membro del Patto Atlantico, e il suo apparato militare riuscirono ad avere la meglio grazie al sostegno internazionale della NATO. Furono fatte tutte le possibili concessioni di natura politica, economica e geostrategica. In cambio, la lotta di resistenza del PKK fu criminalizzata in molti paesi e demonizzata, venendo inserita nell’elenco delle organizzazioni terroristiche (negli Stati Uniti e in 2002 nell’UE). La comunità internazionale vedeva il PKK esclusivamente attraverso la lente del nazionalismo turco. La verità veniva distorta, irriconoscibile, da un’agitazione sistematica e da una propaganda anti-terrorismo nei media e nella politica, le vittime venivano trasformate in carnefici e i carnefici in vittime. Eppure, Öcalan persisteva nella sua ricerca di contatti nella politica turca. Tentava con grande perseveranza di risolvere il problema con mezzi politici e pacifici. Quando questo falliva, cercava persino di portare la questione sulla scena internazionale. Prima di essere rapito in Turchia, il 15 febbraio 1999, nell’ambito di una cospirazione internazionale organizzata da membri della NATO e da paesi come Stati Uniti, Israele, Grecia, Kenya, Italia, Turchia e i loro servizi segreti in Kenya, trascorse mesi in Italia e quindi in Europa alla ricerca di un sostegno internazionale per una soluzione politica. Chiunque in Turchia e nel resto del mondo credesse che il PKK e Öcalan sarebbero stati indeboliti dalla cospirazione che ha portato al suo rapimento e all’isolamento sull’isola-prigione di Imrali si sbagliava di grosso. Al contrario, il PKK, in quanto pioniere della lotta di liberazione in Kurdistan, ha acquisito influenza e potere persuasivo sulla base del fondamento ideologico, teorico e politico creato da Öcalan, che si può leggere anche negli scritti di Öcalan dal carcere. Criticando la natura distruttiva della modernità capitalista, Öcalan ha sviluppato un contro-progetto, una modernità democratica costruttiva. Con il progetto del Confederalismo Democratico (basato sul socialismo democratico), ha mostrato prospettive e soluzioni per la creazione di una società democratica ed ecologica, incentrata sulla libertà delle donne. Il movimento delle donne curde svolge un ruolo decisivo nell’attuazione del confederalismo democratico ovunque sia organizzato. La formula di Öcalan “Jin, Jiyan, Azadî“, che ricorre in tutti i suoi scritti difensivi, rappresenta non solo la resistenza, ma anche la volontà, la forza e l’organizzazione per costruire un nuovo sistema democratico al di là del patriarcato sotto la guida delle donne. A metà settembre 2022, le donne curde, a cui si sono poi unite decine di migliaia di donne in Iran, hanno dato vita a un movimento di protesta che ha suscitato scalpore in tutto il mondo. Anche l’Amministrazione Autonoma Democratica della Siria Settentrionale e Orientale (DAANES), multietnica e multireligiosa, si ispira alle idee e al quadro teorico di Öcalan. Di conseguenza, continua a influenzare non solo milioni di Curdi e numerosi partiti e movimenti politici in Turchia, Siria, Iraq e Iran, ma offre anche soluzioni democratiche per l’intero Medio Oriente devastato dai conflitti e per tutti i luoghi in cui prevale l’oppressione. La storia dimostra che equiparare il diritto all’autodeterminazione alla creazione di un nuovo Stato nazionale non porta a una soluzione, ma aggrava solo i problemi esistenti. Gli attuali conflitti, che devono essere visti come parte della Terza Guerra Mondiale in corso, non necessitano di più armi e violenza, ma del dialogo come base per lo spazio della politica democratica. La realizzazione di libertà, uguaglianza e democrazia in Kurdistan, come in altre regioni, non richiede nuovi confini, ma l’attenuazione e il superamento di questi. Non è lo Stato che dovrebbe dominare e controllare la società, come nel caso della Turchia e di molti altri Stati nazionali centralizzati, ma il contrario: se la società sviluppa una coscienza democratica e strutture democratiche, può anche controllare democraticamente lo Stato. Pertanto, uno sviluppo democratico e pacifico rappresenta anche un’opportunità per la società turca di controllare il proprio Stato attraverso la democratizzazione e le strutture democratiche. Quindi, il compromesso di Öcalan di “democrazia più Stato come autorità pubblica generale” potrebbe fungere da base futura affinché Curdi e Turchi possano vivere nella stessa regione senza reciproca emarginazione. In questo contesto, l’appello del 27 febbraio non è una sorpresa, ma l’espressione di una ricerca decennale di una soluzione democratica. Öcalan scrive inoltre nella sua dichiarazione: “Il PKK, il più lungo e vasto movimento insurrezionale e armato nella storia della Repubblica, ha trovato una base sociale e un sostegno ed è stato ispirato principalmente dal fatto che i canali della politica democratica erano chiusi”. E se oggi, dopo anni di resistenza, il PKK e le sue armi rappresentano un ostacolo all’“apertura dei canali della politica democratica”, allora anche la lotta di liberazione curda è in grado di superare questo ostacolo. Questo perché Öcalan e il PKK stanno togliendo allo Stato turco la giustificazione, e quindi l’“arma”, o il pretesto, per ignorare una soluzione giusta, pacifica e democratica o per ritardarla per ragioni tattiche o calcoli politici, come nel caso del primo cessate il fuoco sopra menzionato e dell’ultimo processo di dialogo nel 2012-2015. Foto: Pirehelokan – CC BY-SA 4.0 Dopo l’appello di Öcalan, la palla è ora nel campo dello Stato turco. Öcalan ha vincolato la sua richiesta a una condizione: “Indubbiamente, la deposizione delle armi e lo scioglimento del PKK richiedono una politica democratica e il riconoscimento pratico della base giuridica”. Öcalan dimostra la maturità della sua lotta di liberazione: se necessario, abbandonare i metodi precedenti, la lotta armata e il partito (PKK), e guidarla in una nuova forma in condizioni democraticamente sviluppate. Non si tratta quindi di porre fine alla lotta di liberazione, ma di modificarne di conseguenza i mezzi e la forma. Il PKK condivide l’appello alla pace di Abdullah Öcalan e ha annunciato un cessate il fuoco il 1° marzo, dichiarando: “Condividiamo il contenuto dell’appello così com’è e affermiamo che lo seguiremo e lo metteremo in pratica”. Il PKK ha convocato il suo 12° congresso di partito tra il 5 e il 7 maggio in condizioni estremamente difficili. A causa dei massicci attacchi turchi, 232 delegati si sono riuniti in due luoghi diversi. Il PKK ha dichiarato di aver portato a termine con successo la sua missione storica, avendo “smantellato le politiche di negazione e annientamento”. La questione curda poteva ora essere risolta attraverso la politica democratica. Pertanto, il congresso ha deciso di “sciogliere la struttura organizzativa del PKK e porre fine alla lotta armata”. Torniamo adesso agli scritti di Öcalan dal carcere: ad esempio, il libro “Oltre Stato, Potere e Violenza”, pubblicato nel 2004, in cui sviluppa possibili soluzioni. In esso, propone una ridefinizione della concezione dello Stato prevalente in Turchia e in tutto il Kurdistan. “Sarebbe meglio concordare su uno Stato snello che svolga solo compiti di protezione della sicurezza interna ed esterna e di fornitura di sistemi di sicurezza sociale. Una tale concezione dello Stato non ha più nulla in comune con il carattere autoritario dello Stato classico, ma corrisponderebbe al carattere di un’autorità sociale”. In una Repubblica di Turchia democratica di nuova definizione, i Curdi godrebbero di tutti i diritti civili e di tutte le libertà. Si potrebbe così creare uno spazio democratico in cui una società democratica (Turchi, Curdi e altri gruppi etnici nello stesso Paese) potrebbe realizzare la propria identità nel rispetto del diritto costituzionale. Nello stesso libro (come sottolineato anche nell’appello attuale), Öcalan aggiunge: “Affinché i Curdi riconoscano la Repubblica come popolo, la repubblica deve riconoscerli come gruppo culturale e come titolari di diritti politici. Il riconoscimento deve quindi essere reciproco e basato su garanzie legali”. Il PKK ha chiarito che la decisione del congresso non annunciava una fine, ma una nuova fase nella lotta per la libertà, la democrazia e il socialismo. La dichiarazione afferma che il popolo curdo, in particolare le donne e i giovani, si assumeranno i compiti della nuova fase di lotta democratica e di autorganizzazione per la creazione di una società democratica.Per attuare le risoluzioni del congresso, Abdullah Öcalan deve guidare i processi di pace. Il suo diritto a partecipare alla politica democratica e le relative garanzie legali devono essere riconosciuti. Allo stesso tempo, la partecipazione del Parlamento, delle forze extraparlamentari e dei movimenti sociali è cruciale per il processo di pace. Il rilascio di Abdullah Öcalan sarebbe quindi uno dei passi più importanti per accelerare questo processo. Ciò significa che l’attuazione pratica di queste risoluzioni non può essere raggiunta con l’attuale sistema legale turco, la sua concezione antidemocratica, i governi autocratici e arbitrari con le loro leggi antiterrorismo e la strumentalizzazione politica della magistratura. Sono necessari rapidi cambiamenti nella politica, nel sistema legale e nella società. Il riconoscimento dei Curdi e delle altre identità etniche e religiose che vivono in Turchia richiede democrazia, consapevolezza politica e giustizia. Se lo Stato e la società turca realizzeranno la trasformazione e il cambiamento democratici auspicati da Öcalan, diventeranno anche “democratici”, una condizione a cui hanno rinunciato fin dalla loro fondazione. Dopo anni di isolamento e 26 anni di carcere, l’ultimo appello di Öcalan dimostra ancora una volta che egli è ancora la figura chiave per una soluzione giusta in Turchia, un processo che avrà grande influenza anche nella Regione. A livello internazionale, rappresentanti delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti, dell’Unione Europea, del Regno Unito, della Germania e di molti altri Paesi hanno sottolineato nelle loro dichiarazioni l’importanza dell’appello di Öcalan e delle successive risoluzioni del PKK come passi avanti verso una soluzione alla questione curda. Ma le sole dichiarazioni non bastano. La Turchia deve invece essere incoraggiata a democratizzarsi e a trovare una soluzione pacifica. In Turchia, le reazioni all’appello di Öcalan da parte di rappresentanti politici, tra cui il Presidente Erdogan e il suo alleato di governo Devlet Bahçeli, il leader del Partito del Movimento Nazionalista (MHP), ma anche rappresentanti del maggiore partito di opposizione, il Partito Popolare Repubblicano (CHP), contengono segnali positivi. In questo contesto, Bahçeli ha rilasciato una dichiarazione il 18 maggio, chiedendo l’istituzione di una commissione parlamentare apartitica per elaborare una strategia. La commissione parlamentare dovrebbe essere presieduta dal Presidente del Parlamento e composta da 100 membri. Oltre ai membri di tutti i partiti rappresentati in Parlamento, dovrebbero essere coinvolti anche esperti apartitici. Tuttavia, sia la retorica di Bahçeli che quella di altri rappresentanti politici conservano ancora il loro consueto tono autoritario. Ciò è evidente anche dalla dichiarazione di Erdoğan del 22 maggio, secondo cui la società non può essere “unita” su una Costituzione scritta dai golpisti. (In particolare, l’attuale Costituzione è stata redatta dopo il colpo di Stato militare del 1980 sotto la direzione dei militari. La Costituzione vigente al momento della fondazione della repubblica è stata riscritta con particolare enfasi sulla turchità). Erdoğan ha sottolineato la necessità e la volontà di redigere una nuova Costituzione. Allo stesso tempo, ha affermato di non avere alcun problema con i primi quattro articoli della Costituzione. Tuttavia, il problema fondamentale risiede proprio in questi primi quattro articoli, che ignorano e negano le numerose identità etniche – compresi i Curdi – che non sono turche. Ma i diritti dei Curdi e delle altre identità etniche – siano esse sociali, culturali o politiche – non devono e non possono essere ignorati. Se andiamo alla radice del problema, allora il PKK e la lotta politica dei Curdi non sono la causa, ma la conseguenza di questa dottrina statale antidemocratica e autocratica. L’organizzazione della società curda come comunità democratica, insieme alla sua volontà di lavorare per una soluzione e la pace, così come i passi compiuti finora in quella direzione, sono stati accolti dai funzionari statali con la mentalità tradizionalmente autoritaria prevalente in Turchia. Le prossime settimane e i prossimi mesi riveleranno se la Turchia sta davvero intraprendendo un serio percorso verso la democratizzazione e una risoluzione pacifica, o se un pensiero autoritario radicato continuerà a dettarne la pratica. Nota: (*) Estratto dal quinto volume (titolo turco, Kürt Sorunu Ve Demokratik Ulus Çözümü – Kültürel Soykırım Kıskacında Kürtleri Savunmak) del Manifesto della civiltà democratica di Öcalan (2010). ……………………………………………………………………. Sabato, 7 giugno 2025 – Anno V – n°23/2025 In copertina: Cry_for_Freedom – Illustrazione di Ali_Zülfikar autori vari https://www.theblackcoffee.eu/turchia-la-giusta-lotta-dei-curdi-contro-loppressione-turca/
Serxwebûn pubblica le prospettive di Öcalan sul congresso del PKK
L’ultimo numero del mensile curdo Serxwebûn è interamente dedicato al 12° congresso del PKK e presenta per la prima volta le prospettive presentate da Abdullah Öcalan da Imrali. L’ultimo numero del mensile curdo Serxwebûn è interamente dedicato al XII Congresso del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), presentando per la prima volta le prospettive presentate da Abdullah Öcalan dalla sua cella di prigione sull’isola turca di Imrali. Il numero 521 segna anche la fine dei 44 anni di storia ininterrotta della pubblicazione. Il comitato editoriale descrive questa decisione come una conclusione deliberata, presa “in vista di nuovi e più solidi inizi”. Oltre alle riflessioni strategiche di Öcalan, il numero contiene le trascrizioni complete dei discorsi di apertura e chiusura del congresso, delle risoluzioni adottate e dei contributi dei delegati. Include anche testi biografici su figure del PKK come Ali Haydar Kaytan e Rıza Altun, nonché articoli commemorativi su Pelin Yılmaz (Pelîn Zozan), Gurbet Aydın (Hozan Mizgîn) e i leader rivoluzionari turchi del ’68 Deniz Gezmiş, Yusuf Aslan e Hüseyin Inan. Sette principi per un nuovo orientamento In un testo fondativo di venti pagine e in una lettera di accompagnamento in quattro punti, Öcalan analizza l’evoluzione del movimento curdo, riflettendo sulla sua prevista riorganizzazione e delineando i pilastri di una nuova visione socio-politica. I sette temi principali proposti per questo riorientamento sono: • Natura e significato • Natura sociale e storia dei problemi • Il dualismo tra Stato e comunismo nella società storica • Modernità • Le realtà dei curdi e del Kurdistan • Il PKK e la questione della dissoluzione • Prospettive per la nuova fase Abdullah Öcalan sottolinea che il tema dello scioglimento del PKK non è nuovo e che la questione non è meramente organizzativa, ma riguarda una profonda trasformazione della mentalità e dell’identità personale: “Una seria ristrutturazione può procedere solo lungo queste linee”. Il confederalismo democratico come modello sociale Al centro della trasformazione proposta da Öcalan c’è l’istituzione di una società basata sul “socialismo democratico”, incentrata sui concetti di “nazione democratica”, economia ecologica e autogoverno comunitario. Öcalan inquadra questa visione come un contromodello allo stato nazionale, al capitalismo e alla modernità industriale: La nostra prospettiva per la nuova fase si fonda sulla ricostruzione della società sulla base della nazione democratica, dell’economia ecologica e del comunitarismo. Il compito di sviluppare il quadro concettuale e teorico per questa ricostruzione – compresi i suoi fondamenti filosofici, le dimensioni ideologiche e la sua incarnazione in un tessuto sociale differenziato – è direttamente davanti a noi. Indubbiamente, le intenzioni dei diversi attori possono variare; tuttavia, il percorso intrapreso e le richieste avanzate sono, in sostanza, legittime. Il nostro attuale impegno è quello di elaborare i fondamenti ideologici, i programmi pratici e le dimensioni strategico-tattiche di un futuro ordine sociale. Il concetto di società democratica costituisce il programma politico centrale di questo periodo. Non mira a fondare uno Stato, ma si dispiega attraverso una forma di politica democratica. Il concetto di comune è inscindibile dall’organizzazione democratica. Distinguerli sarebbe fuorviante, poiché il comune, sia storicamente che in termini contemporanei, è il nucleo della società democratica. Anche il socialismo democratico significa una forma di comunanza democratica. Proprio come lo Stato ha una traiettoria storica, così ce l’ha anche la comune. La libera esistenza dei popoli può realizzarsi solo attraverso la comune. Mentre lo Stato-nazione funge da strumento del capitalismo, la comune è il principio costitutivo dei popoli. Questo modello di società comunitaria può essere istituzionalizzato attraverso l’autogoverno municipale. È teoricamente e praticamente realizzabile, sebbene subordinato a una lotta anticapitalistica autentica e approfondita. Per trascendere la modernità egemonica e i suoi paradigmi ausiliari del socialismo reale, abbiamo tentato di sviluppare una nuova teoria socialista analitica e alternativa, che chiamiamo “Modernità Democratica”. In questo concetto, sostituiamo i tre pilastri della modernità – lo Stato-nazione, il capitalismo e l’industrialismo – con i principi della nazionalità democratica, del comunitarismo e dell’economia ecologica. Dall’interrelazione di queste tre sfere, abbiamo costruito un modello sociale libertario che è stato articolato per iscritto e ha trovato notevole risonanza nella società. Naturalmente, ognuno di questi ambiti contiene molteplici sottocategorie. Ad esempio, la liberazione delle donne è una componente fondamentale del comunitarismo. Altri aspetti pertinenti includono l’etica politica, la filosofia morale e altro ancora. Queste questioni saranno esaminate e approfondite. La coerenza concettuale di questo modello è ben sintetizzata nel termine “Modernità Democratica”. Le visioni apocalittiche descritte nelle scritture religiose non si limitano all’aldilà; riguardano anche questo mondo. I pericoli delineati in questi libri sacri probabilmente si riferiscono a questo: la modernità capitalista impone un’apocalisse perpetua all’umanità. Implicazioni regionali e internazionali Öcalan sostiene che una trasformazione di successo non interesserebbe solo il Kurdistan, ma l’intera regione: “Il successo qui si rifletterà in Siria, Iran e Iraq. Per la Repubblica di Turchia, questo rappresenterebbe l’opportunità di ridefinirsi, rinnovarsi attraverso riforme democratiche e assumere un ruolo guida nello sviluppo regionale”. Si rivolge inoltre sia agli oppositori del processo in corso che ai suoi sostenitori, sostenendo che coloro che rifiutano questa strada mancano di alternative concrete e sono destinati a fallire. Tuttavia, superare le resistenze pone una responsabilità significativa sugli attori costruttivi del processo. La trasformazione politica prevista ha implicazioni non solo nazionali, ma anche regionali e internazionali. In questo contesto, Öcalan sottolinea la necessità di un confederalismo regionale, che descrive come “un imperativo assoluto” per garantire la stabilità futura e le strutture democratiche nella regione. Questo modello di cooperazione transfrontaliera e di condivisione del potere è concepito non solo come soluzione ai conflitti interni, ma come fondamento per un nuovo ordine internazionale. Un tale processo richiederebbe l’emergere di una “nuova Internazionale”, in grado di collegare i movimenti di emancipazione a livello regionale e globale. Il socialismo democratico come rottura con lo Stato nazionale In una lettera separata del 27 aprile, intitolata “Socialismo della società democratica”, Öcalan riflette sulla storia del movimento. Dopo 52 anni, scrive, è giunto il momento di passare “da un socialismo orientato allo Stato-nazione a una società democraticamente sociale”. Individua quattro compiti cruciali da valutare in questo processo di trasformazione. La chiusura di Serxwebûn come punto di svolta deliberato
23° Congresso ordinario del KNK: Uniamoci attraverso una Conferenza Nazionale
Il KNK ha annunciato la dichiarazione finale del suo 23° Congresso ordinario, tenutosi con la partecipazione dei delegati provenienti da tutte e quattro le parti del Kurdistan. Il 23° Congresso ordinario del Congresso nazionale del Kurdistan (KNK) è proseguito con la partecipazione di numerosi partiti politici, organizzazioni della società civile e personalità indipendenti provenienti da tutte e quattro le regioni del Kurdistan e dalla diaspora. Durante l’assemblea, è stata ampiamente discussa in generale la situazione attuale in Kurdistan e nella regione con particolare attenzione all’unità nazionale, alla pace e alle soluzioni democratiche. Queste discussioni hanno portato all’adozione di una dichiarazione congiunta per consenso comune. La dichiarazione è stata letta ad alta voce dal membro del Consiglio esecutivo della KCK, Zübeyir Aydar. La dichiarazione adottata durante il 23° Congresso ordinario del KNK è la seguente: In occasione del 23° Congresso ordinario del KNK, hanno preso parte al congresso decine di partiti, organizzazioni e personalità indipendenti curde provenienti da tutte e quattro le regioni del Kurdistan e dall’estero, insieme ai delegati del KNK. Si sono tenute discussioni approfondite sulla situazione in Kurdistan e nel mondo. L’Assemblea generale ha funzionato come una consultazione nazionale e questa dichiarazione viene presentata al pubblico come suo risultato. Il 23° Congresso ordinario ha coinciso con un periodo di significativi sviluppi in Medio Oriente, segnato da una guerra difficile e in continua evoluzione. Questo conflitto ha causato numerosi cambiamenti nella regione, tra cui il crollo del regime Baath in Siria. Nel frattempo, in Turchia e nel Kurdistan settentrionale (Bakur) proseguono intense discussioni e sforzi di dialogo per la risoluzione della questione curda. In questo periodo sono in corso negoziati tra Abdullah Öcalan sull’isola di Imralı e i funzionari statali turchi per risolvere la questione curda. A seguito di questi colloqui il 27 febbraio 2025 Öcalan ha lanciato un “Appello per la pace e una società democratica”. Di seguito il PKK ha tenuto il suo 12° Congresso dal 5 al 7 giugno. Il 12 giugno i risultati sono stati annunciati pubblicamente, dichiarando che il PKK ha svolto il suo ruolo storico e sostiene una risoluzione pacifica della questione curda. È stato inoltre affermato che “il movimento di liberazione del Kurdistan non opererà più sotto il nome del PKK e porrà fine alla lotta armata contro lo Stato turco”. Sia l’appello di Öcalan che la dichiarazione del congresso del PKK sono di importanza storica. Questi annunci hanno avuto una profonda risonanza tra il popolo curdo e la comunità internazionale. Le istituzioni e le potenze globali hanno risposto positivamente ed espresso sostegno. Anche i partiti e le organizzazioni curde hanno mostrato un atteggiamento di benvenuto. Anche i funzionari statali turchi hanno generalmente reagito positivamente. Il congresso valuta positivamente il processo di Imralı, l’appello di Öcalan e il congresso del PKK e li sostiene. Il KNK si impegna a mobilitare tutte le sue risorse per garantire il successo di questo processo. Se la questione curda verrà risolta nel Kurdistan settentrionale, ciò avrà un impatto positivo sulle altre tre parti del Kurdistan e sulla più ampia unità curda. Tuttavia, il processo non ha fatto progressi. Il governo non ha assunto misure serie, i messaggi sono stati vaghi e il linguaggio utilizzato non è stato propizio alla pace. Le operazioni militari, i bombardamenti e l’uso e la minaccia di armi chimiche continuano. Questo è inaccettabile. Perciò: – Invitiamo tutte le forze, i partiti, le istituzioni curde e il nostro popolo ad affrontare questo processo in modo positivo e a sostenerlo. – Facciamo appello agli amici del popolo curdo e ai sostenitori della pace: non lasciate soli i curdi; lavorate per il successo di questo processo – Facciamo appello alle Nazioni Unite, alle istituzioni internazionali e alle potenze mondiali: le semplici dichiarazioni non bastano; utilizzate i vostri rapporti con la Turchia per sostenere questo processo. – Facciamo appello ai funzionari statali turchi: c’è ancora tempo, non sprecate questa opportunità. Fate avanzare il processo. Rilasciate Öcalan, fermate la guerra e presentate la risoluzione al Parlamento per stabilire un quadro giuridico e politico. Un processo sano richiede un osservatore terzo indipendente che monitori e medi. Il Congresso ordinario del KNK invita entrambe le parti ad aprire la porta a mediatori e facilitatori terzi. Auspichiamo che tutte le parti agiscano con senso di responsabilità e che questo processo porti alla risoluzione della questione curda. Situazione in Iran e nel Rojhilat (Kurdistan orientale) Il regime iraniano è in profonda crisi economica, sociale e politica. L’Iran è di fatto diventato una prigione a cielo aperto, soprattutto per le donne e per vari gruppi etnici e religiosi. L’oppressione contro le donne è in aumento, trasformandosi in una ribellione. Dopo l’uccisione della curda Jîna Aminî, è scoppiata una rivolta a Rojhilat che si è poi diffusa in tutto l’Iran. Nonostante la dura repressione, la resistenza continua. Il regime iraniano prende di mira i partiti curdi e aumenta la pressione sulla popolazione. Ciò ha teso i rapporti con l’Iraq e la regione del Kurdistan, portando a una maggiore repressione delle organizzazioni del Rojhilat. La guerra in Medio Oriente colpisce in modo particolarmente grave l’Iran. Le forze legate all’Iran sono prese di mira direttamente e l’obiettivo finale è l’Iran stesso. Se la traiettoria attuale continua, potrebbe emergere una nuova rivoluzione. Tutte le forze curde, non solo quelle del Rojhilat, devono prepararsi a questi cambiamenti. Il Congresso del KNK rende omaggio e sostiene la resistenza guidata dalle donne del Rojhilat Kurdistan, che si è diffusa in tutto l’Iran. Iraq e Kurdistan meridionale (Bashur) L’Iraq versa in uno stato di incertezza che minaccia lo status del Kurdistan. Mentre l’Iraq attraversa una grave crisi, molti attori stranieri sono coinvolti. Le politiche di arabizzazione ai sensi dell’Articolo 140 si sono intensificate, costringendo molti curdi a lasciare il Paese. Purtroppo, le forze curde non sono unite in questo periodo critico. Nonostante le elezioni nella regione del Kurdistan, sono trascorsi oltre sette mesi senza la formazione di un nuovo governo o l’elezione di un presidente. Anche le prossime elezioni in Iraq, in autunno, sono cruciali. Senza l’unità curda, lo status federale e le conquiste già acquisite sono a rischio. Le regioni soggette all’Articolo 140 potrebbero andare completamente perse. Siria e Rojava Negli ultimi sei mesi si sono verificati nuovi sviluppi in Siria. Il regime Baath è crollato e le forze salafite hanno preso il potere a Damasco, pur non avendo il controllo sull’intero Paese. I problemi si stanno aggravando. Sebbene siano stati stipulati accordi con l’amministrazione del Rojava, le questioni rimangono irrisolte. Si sono verificati massacri contro gli alawiti e, se non affrontati, violenze simili potrebbero colpire cristiani e drusi. Il nuovo regime cerca di stabilire un sistema islamico basato sul nazionalismo arabo. I diritti delle donne vengono ignorati e gli individui laici e democratici sono sotto pressione, rappresentando una seria minaccia. Senza una Siria democratica, il caos continuerà e il Paese potrebbe frammentarsi. I curdi devono rimanere vigili e rafforzare le loro alleanze. La recente conferenza tra le forze curde in Rojava ha avuto successo e il KNK ne sostiene le decisioni. Valutazione generale La situazione in Kurdistan è critica e incerta. Tuttavia, accanto ai pericoli, ci sono anche opportunità. Gli stati occupanti si trovano ad affrontare profonde crisi. Dati sviluppi come l’instabilità in Iraq, l’incertezza in Siria, la trasformazione in Iran, le crisi interne in Turchia e la guerra in Palestina, è chiaro che lo status quo in Kurdistan sta cambiando. Se i curdi si uniscono e rafforzano l’unità nazionale, si può raggiungere uno status permanente per tutto il Kurdistan. Tutte le forze politiche, i partiti e il nostro popolo, in tutte e quattro le parti, devono unirsi con più forza, adottando una posizione nazionale e patriottica. In questo modo, i piani degli stati occupanti possono essere sconfitti.
Messaggio di cordoglio di Abdullah Öcalan per Sırrı Süreyya Önder
Il leader del popolo curdo Abdullah Öcalan ha inviato un messaggio di condoglianze al membro della delegazione di İmralı del Partito per l’uguaglianza dei popoli e la democrazia (Partito DEM) e vicepresidente del Parlamento Sırrı Süreyya Önder.  Il messaggio di Abdullah Öcalan: “In memoria del nostro caro Sırrı Süreyya Önder, La scomparsa del nostro cara Sırrı Süreyya Önder ha portato una profonda tristezza nei nostri cuori. Era una persona di grande valore, un vero figlio del popolo. La tradizione anatolica e turkmena ha perso un grande figlio, tutte le comunità e i popoli della nostra geografia hanno perso un grande compagno. Nutro un profondo rispetto per la sua memoria. Il 27 febbraio, durante il nostro ultimo incontro, aveva scritto l’ultima frase che avevamo aggiunto all’appello e voleva leggerlo di persona. La sua diligenza e il suo duro lavoro per la pacifica convivenza sono stati indimenticabili. Aveva una capacità magistrale nel trasformare tutta la negatività in positività. Era una vera identità di pace e una cultura di pace. Sapeva benissimo che la pace e il processo di pace avrebbero portato benefici a tutti noi, e questo era il suo grande desiderio. Questa speranza non può mai restare incompiuta. Ciò che è importante per tutti noi è portare questo spirito verso la pace e incoronarlo con il nome di Sırrı Süreyya Önder. Ancora una volta esprimo la mia eterna devozione alla tua memoria; Porgo le mie condoglianze alla sua preziosa famiglia, ai suoi amici, ai suoi cari e a tutti noi.  Le mie condoglianze  Abdullah Öcalan  3 maggio 2025”
Dichiarazioni finali della Conferenza del Rojava sull’Unità Curda e la Posizione Comune
Il documento finale della Conferenza sull’Unità curda in Rojava auspica l’unificazione delle regioni curde sotto l’egida federale siriana, come unità politica e amministrativa integrata. La Conferenza sull’unità curda e la posizione Comune in Rojava, tenutasi sabato a Qamishlo, si è conclusa con l’adozione di un documento completo contenente numerose decisioni. Oltre 400 delegati provenienti da diverse parti del Kurdistan e della Siria hanno partecipato alla conferenza, che mirava a rafforzare l’unità curda e a stabilire posizioni politiche comuni. Il documento, adottato all’unanimità, contiene disposizioni chiave sia sullo Stato nazionale siriano che sull’entità nazionale curda: Primo – Nel contesto nazionale siriano: 1. La Siria è uno stato caratterizzato da una molteplicità di nazionalità, culture, religioni e sette; la sua costituzione deve garantire i diritti di tutte le componenti siriane — Arabi, Curdi, Siriaci, Assiri, Circassi, Turcomanni, Alawiti, Drusi, ezidi e Cristiani — attraverso principi sovra-costituzionali. 2. Lo stato deve impegnarsi a rispettare convenzioni e trattati internazionali, i diritti umani e il principio di cittadinanza paritaria. 3. Il sistema di governo della Siria dovrebbe essere un sistema parlamentare bicamerale, basato sul pluralismo politico, il trasferimento pacifico del potere, la separazione dei poteri e l’inclusione di consigli regionali all’interno di un quadro di decentralizzazione. 4. La Siria deve adottare la decentralizzazione, garantendo una distribuzione equa dell’autorità e della ricchezza tra il centro e le regioni. 5. Il nome, la bandiera e l’inno nazionale dello stato dovranno riflettere la diversità nazionale e culturale della società siriana. 6. Lo stato dovrà essere neutrale verso le religioni e le credenze, garantendo la libertà di pratica religiosa e riconoscendo ufficialmente la fede ezida. 7. Adozione di un’identità nazionale unificata che rispetti le specificità della diversità. 8. Garanzia dell’uguaglianza di genere e della rappresentanza delle donne in tutte le istituzioni. 9. Protezione dei diritti dei bambini come dichiarato dagli accordi delle Nazioni Unite e di Amnesty International, fornendo assistenza secondo le condizioni delle rispettive regioni e tenendo conto delle esigenze in base alla natura e all’età. 10. Creazione di divisioni amministrative basate sulla densità di popolazione e sull’estensione geografica. 11. Recupero delle antichità e dei reperti siriani trafugati e trasferiti all’interno o all’esterno del paese, restituendoli ai loro luoghi d’origine. 12. Annullamento e prevenzione dei cambiamenti demografici nelle aree curde e in tutta la Siria, garantendo il ritorno sicuro degli sfollati, compresi i residenti di Serekaniye, Gire Spi e Afrin. 13.Formazione di un’assemblea costituente sotto patrocinio internazionale, che includa rappresentanti di tutte le componenti siriane, per redigere principi democratici e formare un governo rappresentativo di tutta la Siria con pieni poteri esecutivi. 14. Diritto di esprimersi ed essere educati nella propria lingua madre e di praticare la propria cultura come diritto di tutte le comunità. 15. Proclamazione dell’8 marzo come Giornata Nazionale delle Donne. Secondo – Nel contesto nazionale curdo: 1. Unificazione delle aree curde in un’unità politico-amministrativa integrata all’interno di una Siria federale. 2. Riconoscimento dell’esistenza nazionale del popolo curdo in Siria come popolo autoctono, garantendo costituzionalmente i suoi diritti nazionali secondo convenzioni e trattati internazionali, incluso il diritto di esercitare liberamente ed equamente i propri diritti politici, culturali e amministrativi. 3. Onorare i sacrifici dei martiri della rivoluzione siriana, delle Forze Democratiche Siriane (SDF), delle forze di sicurezza, dei prigionieri morti nelle carceri e dei martiri della resistenza contro l’ISIS, sostenendo le loro famiglie e garantendo i loro diritti attraverso testi legali. 4. Riconoscere i giovani come una forza vitale nella società e garantire la loro giusta partecipazione e rappresentanza in tutte le istituzioni statali. 5. Riconoscimento costituzionale della lingua curda come lingua ufficiale accanto all’arabo e garanzia del suo insegnamento e apprendimento. 6. Creazione di centri e amministrazioni per la lingua, il patrimonio storico e la cultura curda; apertura di media center in lingua curda. 7. Garanzia della partecipazione curda alle istituzioni legislative, giudiziarie, esecutive e di sicurezza dello stato. 8. Riconoscimento del 21 marzo, Newroz, come festa nazionale ufficiale, e del 12 marzo come giornata di commemorazione della rivolta di Qamishlo. 9. Abolizione di tutte le politiche, procedure e leggi eccezionali applicate contro i curdi — come il progetto della cintura araba e le campagne di arabizzazione delle aree curde — risarcendo i danneggiati da tali politiche discriminatorie, ripristinando lo status precedente di queste aree e annullando gli accordi segreti e pubblici che minano la sovranità siriana e l’esistenza curda. 10. Restituzione della cittadinanza siriana ai curdi a cui era stata sottratta durante il censimento eccezionale del 1962 e risoluzione dello status dei curdi non registrati. 11. Sviluppo delle infrastrutture nelle aree curde e allocazione di una quota delle loro risorse per lo sviluppo e la ricostruzione, affrontando la marginalizzazione e il deliberato abbandono subiti nelle fasi precedenti.
627 attacchi in 4 giorni
Affermando che gli attacchi continuano nonostante la decisione di cessate il fuoco, le HPG hanno rilevato che 627 bombardamenti sono stati effettuati contro le proprie aree in 4 giorni. A seguito dell'”Appello per la pace e una società democratica” del leader del popolo curdo Abdullah Öcalan annunciato pubblicamente il 27 febbraio, il PKK ha deciso di cessare il fuoco. Tuttavia gli attacchi contro le aree di Zap, Avashin (Avaşîn), Gare (Garê) e Metina (Metîna) continuano. Nella dichiarazione delle HPG pubblicata dall’agenzia di stampa Fırat News (ANF) si afferma che, nonostante la decisione di cessate il fuoco, gli attacchi da terra e dall’aria continuano ininterrottamente. La dichiarazione affermava che l’area di Girê Bahar, nella regione di Zap, è stata bombardata due volte da aerei da guerra, il 15 e il 17 aprile. 627 bombardamenti Nella dichiarazione viene registrato che il 15, 16, 17 e 18 aprile le aree di Heftebax, Mijê, Dêreşê e Zêvkê della regione di Garê sono state bombardate 131 volte, le aree di Girê Amediyê e Girê Bahar della regione di West Zap sono state bombardate 439 volte, le aree di Serê Metîna e Bêşîlî della regione di Metîna sono state bombardate 57 volte, per un totale di 627 volte con armi pesanti, artiglieria e obici, ed è stato affermato che l’attività di elicotteri è stata osservata sulle aree di Girê Bahar e Girê Cûdî il 16 e 17 aprile.