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Se non ora, quando?
Non c’è ancora un vero cessate-il-fuoco a Gaza Netanyahu ha dichiarato in un’intervista tv, in diretta, che l’aggressione israeliana a Gaza “finirà soltanto dopo il disarmo di Hamas. Il nostro esercito è lì sul territorio e opera quotidianamente per scongiurare ogni pericolo. Siamo pronti a tornare ad occupare le zone che abbiamo abbandonato”. Molti osservatori hanno letto nelle sue parole il tentativo di calmare i suoi alleati scalmanati, Ben-Gvir e Smotrich, che minacciano di far cadere il governo se non venisse occupata e colonizzata Gaza. In realtà, non è soltanto così. L’esercito di occupazione non ha smesso un minuto di colpire con ogni pretesto i centri abitati e gli sfollati di ritorno verso le loro case diroccate. Ieri sono stati bombardati Khan Younis e i quartieri meridionali e orientali di Gaza città. Tra le vittime civili palestinesi di ieri: 29 uccisi e 21 feriti. Il criminale di guerra ricercato ha annunciato che il valico di Rafah non sarà aperto come programmato, né oggi, né domani. “Rimarrà chiuso fino alla consegna di tutti i corpi dei soldati ostaggi morti”. Un pretesto per ricattare la popolazione palestinese e accrescere le sofferenze dei malati bisognosi di cure all’estero. Il valico di Rafah, infatti, è destinato, secondo gli accordi firmati a Sharm el-Sheikh, al transito dei passeggeri in entrata e uscita da Gaza. Il ministero della sanità aveva predisposto le liste di malati e feriti bisognosi di cure ormai impossibili nella Striscia, a causa della distruzione sistematica degli ospedali di Gaza da parte dell’esercito israeliano. Vanno a rilento anche gli ingressi di aiuti umanitari, cibo e medicinali. Limitate le forniture di carburanti, la cui scarsità mette a rischio gli ospedali ancora in funzione. Scambio di prigionieri La Croce rossa ha consegnato alla polizia palestinese i corpi di 15 ostaggi palestinesi catturati dall’esercito israeliano. I corpi hanno segni di torture e di assassinio: un colpo alla nuca o al cuore. Ieri sera, la Croce rossa ha preso in consegna altri due corpi di soldati israeliani che erano tra gli ostaggi, ma uccisi dai bombardamenti del loro esercito. Le ricerche  per trovare i corpi dei dispersi sotto le macerie sono ininterrotte. Cisgiordania L’esercito di occupazione espellerà oggi 32 attivisti internazionali arrivati in Cisgiordania per accertare le attività criminali dei coloni e costituire un corpo di osservatori civili disarmati, testimoni dello scempio e delle violenze che i palestinesi subiscono sistematicamente per mano di coloni ebrei e soldati di occupazione. Gli attivisti erano a Burin, a sud di Nablus, ed avevano assistito agli attacchi dei coloni, protetti dai soldati, contro i contadini palestinesi, filmando e pubblicando le nefandezze criminali commesse dagli israeliani per deportare i nativi. Israele non vuole testimoni dei suoi crimini. Offensiva dei coloni ebrei israeliani in diverse località agricole palestinesi. Ad est di Ramallah ed a est di Nablus, i coloni hanno attaccato i raccoglitori di olive, hanno rubato il raccolto e incendiato gli ulivi. In un villaggio vicino a Betlemme, i coloni hanno attaccato armi in mano un’officina meccanica. Hanno cacciato gli operai e appiccato il fuoco a tutte le auto. In tutti gli attacchi, i coloni erano accompagnati e protetti dai soldati. Irruzione delle truppe di occupazione a Toubas, nel nord della Cisgiordania. I mezzi corazzati hanno provveduto alla distruzione delle infrastrutture urbane (manto stradale, sistema idrico e fognario, reti elettriche e telefoniche), come punizione collettiva. Le case di ex prigionieri politici, liberati nello scambio avvenuto nei giorni scorsi, sono state perquisite violentemente. Un’abitazione è stata evacuata e fatta saltare. È una rappresaglia. Nella zona di Toubas è forte la resistenza contro l’esercito di occupazione. Il giorno prima, una mina era esplosa sotto un veicolo militare provocando il ferimento di due soldati. Intanto in tutto il mondo non si fermano la protesta e la solidarietà per la Palestina: scioperi della fame a staffetta, presidi permanenti, ogni sorta di sit in e flash mob, ma soprattutto il boicottaggio dei prodotti israeliani  (BDS) e la richiesta di liberazione dei medici in ostaggio nei campi di concentramento israeliani, del dott. Abu Safuya, detenuto da mesi senza processo, e di Marwan Barghouti, attivista palestinese prigioniero in Israele e la cui liberazione non è prevista dagli accordi di tregua (ndR).     ANBAMED
Palermo con la Palestina, ancora e ancora
Lunedì 28 luglio, i movimenti cittadini di Palermo hanno continuato ad agire e “fare rumore” per i compagni della nave Handala e per la Palestina. Nel primo pomeriggio si è svolto un presidio davanti alla Prefettura, in concomitanza con altri in ogni provincia siciliana, per consegnare alle autorità rappresentative del governo nazionale un documento di cui riportiamo alcuni stralci. Mentre sbandieravamo kefieh, bandiere palestinesi ed arcobaleni per la pace e la nonviolenza, un autobus di linea si è accostato all’orlo del marciapiedi dov’eravamo radunati, martellando con il clacson e lampeggiando con i fari in segno di solidarietà. Abbiamo risposto a pugno chiuso. Così la sera precedente alcuni spettatori all’uscita dallo spettacolo di balletti del Teatro Massimo avevano applaudito ai nostri striscioni e al nostro clangore. Piccoli grandi gesti che commuovono e ci fanno sentire non proprio soli e non proprio inutili. Ecco, dunque, alcuni passaggi del documento affidato ai funzionari. Dopo aver denunciato il genocidio in corso a Gaza, l’annessione israeliana della Cisgiordania e le complicità italiane legate al traffico d’armi e a tanto altro, il documento chiede di: > 1) avviare una procedura per la sospensione di tutti gli accordi con Israele, > ed in generale, alla luce dei gravi crimini commessi da Israele di astenersi > dal contribuire al genocidio e all’apartheid della popolazione palestinese > attraverso nuovi accordi di qualsiasi natura, inclusa quella economica, > militare e culturale; > > 2) effettuare una tempestiva ricognizione di tutte quelle attività > promozionali, di scambio commerciale, culturale e sociale, nonché delle > attività di mero rilievo internazionale con Israele, oggetto di richiamo per > le sue condotte da parte della Corte Internazionale di Giustizia; > > 3) garantire un’adeguata accoglienza sanitaria e umanitaria ai profughi > palestinesi in fuga dal genocidio ed incentivare la cooperazione con i presidi > sanitari nel Territorio Palestinese Occupato, in primis nella Striscia di > Gaza. > > 4) adire la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) in caso di violazioni > della sovranità e dell’ordine giuridico internazionale, e la Corte Penale > Internazionale (ICC) per i crimini commessi da Israele contro civili, > operatori umanitari e imbarcazioni civili. > > 5) promuovere un’azione diplomatica multilaterale con altri Stati coinvolti > nella missione e nel Mediterraneo. Chiede anche una presa di posizione ufficiale del governo italiano circa l’aggressione alla nave Handala e conclude: > Non si possono ulteriormente tollerare né il totale disprezzo dei diritti > umani da parte di Israele, né l’occupazione illegale del Territorio > Palestinese, per altro sotto regime di apartheid. > > Non si può tollerare il clima di guerra fomentato dalla stessa Unione Europea, > attraverso la corsa agli armamenti e il conseguente attacco a tutti i diritti > sociali. > > A Gaza si muore sotto le bombe, ma anche per fame e denutrizione, occorre dire > basta, ora. > > La legalità internazionale, la dignità umana e la sovranità dello Stato > italiano non possono essere piegate all’interesse geopolitico di uno Stato > coloniale e aggressore. > > È giunto il momento per la Repubblica Italiana di riprendere la propria > autonomia morale e giuridica e di schierarsi dalla parte del diritto, della > vita, della giustizia. La città di Palermo è dal 1998 gemellata con la città di Khan Yunis nella striscia di Gaza e, poco dopo, si è aggiunto il gemellaggio con Ramallah in Cisgiordania. Incontri culturali, scambi di classi scolastiche, iniziative politiche e sociali si sono svolte da allora negli anni. Ma l’attuale governo della città a guida UDC, il partito di Cuffaro, ex presidente della regione che ha scontato in galera una condanna per associazione mafiosa, finge di non saperlo. A partire da questa considerazione si è tenuta nel tardo pomeriggio un’assemblea ai Cantieri Culturali alla Zisa (raggiunta di corsa in bici, dalla Prefettura…) proposta dall’associazione Schierarsi. Marcello Faletta, docente dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, ha ricostruito con attenzione e passione la storia del sionismo, ideologia razzista e colonialista, a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento, sotto il governo del conservatore inglese Palmerston, ossia ben prima dell’affaire Dreyfus (1894-96) e del congresso di Basilea (1897) voluto da Theodor Herzl, autore de Lo Stato ebraico. Ha ricordato il fermo antisionismo di Hannah Arendt, filosofa ebrea tedesca perseguitata dal nazismo ed esule negli USA, e la sua contrarietà alla nascita di uno Stato confessionale anziché laico nel 1948, nonché la sua denuncia ne La banalità del male (report puntuale del processo ad Eichmann nel 1961 a Gerusalemme, per il New Yorker) di numerose connivenze tra alcuni ebrei e il nazismo durante la Shoah, cosa che le costò l’ostracismo di molti connazionali statunitensi. Insomma si può essere ebrei ed antisionisti e non per questo si è antisemiti… Amal Khayal, dolcissima compagna gazawi, operatrice del Ciss a Gaza, che mai si risparmia e ad ogni incontro ci narra trattenendo a stento le lacrime la devastazione della Striscia a cui ha personalmente assistito, stavolta descrive le mutilazioni dei bimbi feriti e le amputazioni senza anestesia, come senza anestesia sono i parti cesarei delle innumerevoli giovani donne negli ospedali deliberatamente distrutti dai raid israeliani. Che fare? Zaher Darwish, di Voci del Silenzio, e Fateh Hamdan, di Palestina nel Cuore, espongono le loro diverse prospettive sulla questione palestinese. Il primo sostiene l’impossibilità di trattare con l’entità sionista “criminale e genocida”: “Sarebbe come proporre a una donna stuprata il matrimonio riparatore” dice, e propone la creazione di un solo Stato “dal fiume [Giordano] al mare” per i due popoli. Il secondo, appartenuto all’OLP di Arafat, che ha personalmente conosciuto e amato, pur riconoscendo il fallimento dell’illusione degli accordi di Oslo del 1993, sostiene comunque la necessità di trattative per la pace e suggerisce la soluzione di “Due popoli, Due Stati”. Entrambi concordano, però, sull’urgenza che tutti gli Stati del cosiddetto Occidente e della NATO riconoscano lo Stato di Palestina e la smettano di fare affari, militari e d’altro genere, con Israele. E noi europei riflettiamo che non abbiamo alcun diritto di ergerci a giudici e risolutori di un conflitto che non solo non stiamo patendo in prima persona, ma che abbiamo contribuito a innescare e continuiamo a fomentare per interessi di primazia economica e geopolitica… Ai palestinesi le decisioni sulla terra palestinese. A noi il dovere di farci tramite di un dialogo che non ci veda protagonisti, ma rei confessi di tutte le atrocità commesse da più di due secoli in nome dell’imperialismo “bianco”. Cosa ci lascia, infine, l’esempio di ieri sera? La consapevolezza che è possibile e perciò indispensabile che voci diverse, ispirate a diverse appartenenze, ad ogni costo dialoghino per trovare percorsi condivisi di resistenza ed empatia.     Daniela Musumeci