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Procedura accelerata inapplicabile senza fonti affidabili sulla designazione dei Paesi sicuri
Un interessante provvedimento cautelare emesso dal Tribunale Civile di Roma nei confronti di un cittadino tunisino nell’ambito di una procedura c.d. accelerata. Il Tribunale nell’accogliere l’istanza di sospensione del diniego di protezione internazionale ha puntualizzato come, a seguito della recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 1 agosto 2025, Cause riunite C-758/24 [Alace] e C-759/24 [Canpelli]) gli Stati membri siano tenuti, in forza dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, “ad adattare il loro diritto nazionale in un modo tale da garantire un accesso sufficiente e adeguato alle fonti di informazione sulle quali essi si sono basati per designare i Paesi di origine sicuri. Questo accesso deve consentire a un richiedente protezione internazionale originario di un tale Paese, e al giudice nazionale investito di un ricorso avverso una decisione concernente la domanda di protezione internazionale, di prendere utilmente conoscenza di dette fonti di informazioni (par. 87 sentenza CGUE cit.)” . Il D.L. 158/2024 è privo dell’indicazione di tali fonti e pertanto non può ritenersi legittimamente applicabile la procedura accelerata (“e debba applicarsi la procedura ordinaria per l’esame della domanda di protezione internazionale”) in assenza dei presupposti indicati dalla Corte. Una lista dei paesi sicuri seppur astrattamente legittima deve essere ancorata a delle fonti affidabili debitamente indicate, anche per evitare che tali liste siano predisposte indicando arbitrariamente i paesi con il maggiore flusso migratorio anziché quelli con le condizioni politiche-sociali ed ambientali più stabili. Tribunale di Roma, provvedimento del 22 agosto 2025 Si ringrazia l’Avv. Marco Galdieri per la segnalazione e il commento. * Consulta altre decisioni relative alla cd. procedura accelerata
Assegno sociale negato a rifugiato, l’INPS condannato per condotta discriminatoria
Il Tribunale di Roma – Sezione Lavoro condanna l’Inps per aver negato l’assegno sociale ad un rifugiato politico siriano che non aveva prodotto l’attestazione da parte dell’ambasciata del paese di origine circa l’assenza di redditi. La sentenza si segnala in quanto riconosce la natura discriminatoria della condotta posta in essere dall’INPS. Il provvedimento impugnato pregiudica i rifugiati politici che non hanno possibilità di accedere senza rischi nelle ambasciate del loro paese per richiedere una documentazione reddituale superflua e priva di riscontro normativo. Assegnaci il tuo 5‰: scrivi 00994500288 Secondo il provvedimento del Tribunale: “Detta pretesa si traduce in una violazione del vincolo di parità di trattamento in ragione del fatto che porre quale condizione necessaria ad un rifugiato la produzione di documentazione personale e reddituale da richiedere alle autorità del proprio Paese di cittadinanza – lo stesso dal quale il cittadino straniero è fuggito per un pericolo di persecuzione e ha ottenuto protezione in Italia – equivale ad impedire allo stesso di accedere in concreto alla prestazione sociale alla quale avrebbe diritto per legge”. Tribunale di Roma, sentenza n. 7872 del 3 luglio 2025 Si ringrazia l’Avv. Marco Galdieri per la segnalazione e il commento.