Abriendo Fronteras a Calais, l’ultima frontiera
La tappa principale dell’annuale carovana nella città simbolo delle frontiere
europee.
Non ci sono prati a Calais. Ogni fazzoletto di erba è stato coperto con grossi
massi bianchi. Neppure i parchi pubblici sono stati risparmiati. Lo hanno fatto
per impedire ai migranti di accamparsi. Hanno voluto togliere loro anche lo
spazio per sistemare un sacco a pelo e passarci una notte. I sociologi francesi
lo chiamano “arredo a vocazione disciplinare“; è di fatto un arredo urbano
anti-povero e prolifera in tante città specialmente di frontiera, anche
italiane.
Calais è l’ultima frontiera per le persone migranti dirette nel Regno Unito. Una
frontiera dove la Francia, di fatto, fa da «barriera preventiva», come i Paesi
di transito balcanici lo fanno per l’Europa.
“I migranti sono relegati e abbandonati in un ghetto, una sorta di tendopoli
fatiscente senza il minimo servizio” spiega Damiana Massara, attivista torinese
di Carovane Migranti. “Ogni due o tre giorni arriva la polizia e sbaracca tutto:
taglia i sacchi a pelo, sequestra i cellulari, rompe tutto quello che si può
rompere”.
Si stima siano più di 1.800 le persone che sopravvivono in condizioni
difficilissime in un’area compresa tra Calais e Dunquerke, in insediamenti
informali senza accesso all’acqua, al cibo, all’assistenza sanitaria.
Damiana è arrivata a Calais seguendo la Caravana Abriendo Fronteras. Le
attiviste e gli attivisti spagnoli sono partiti da Irun l’11 luglio. A Parigi
hanno raccolto la delegazione italiana, composta da una quindicina di persone e,
dopo una partecipata manifestazione a Place de la Bastille, sono partiti per la
Francia settentrionale, sino a raggiungere Calais.
Dal 15 al 17 luglio il gruppo di carovanieri ha partecipato a manifestazioni di
protesta, momenti di commemorazione delle morti di frontiera, azioni di denuncia
e seminari formativi sulla criminalizzazione della solidarietà, sui diritti dei
minori e la sorveglianza tecnologica delle frontiere.
Come di consueto nei suoi viaggi verso le frontiere d’Europa, Carovane Migranti
ha portato i lenzuoli della memoria: lunghi teli bianchi dove vengono ricamati i
nomi delle persone migranti uccise dalle frontiere.
“A Calais abbiamo aperto un nuovo lenzuolo: il primo nome è stato quello di un
migrante morto nel tentativo di attraversare la Manica proprio il giorno del
nostro arrivo”, racconta Damiana.
Quante persone sono state uccise, non dal mare, ma dalla frontiera tra Francia e
Gran Bretagna? L’anno più mortifero è stato il 2024, con 89 morti. Quest’anno
siamo a quota 25.
Con Carovane sono arrivati a Calais anche tre testimoni di altre frontiere
assassine: Laila, la madre, e le sue due giovani figlie, Fatima e Setayesh. Il
fratello di Laila, sua moglie e i loro tre figli sono stati uccisi nel naufragio
di Cutro. Il corpo di uno dei ragazzi non è ancora stato trovato e Carovane
Migranti ha chiesto alla Comunità Europea di attivarsi per recuperare il relitto
e poter dare un nome a tutti coloro che sono periti in quella tragedia.
Non è solo una questione di rispetto. Senza un corpo su cui piangere, i
familiari non possono fare a meno di coltivare dolorose speranze.
“A Calais abbiamo toccato con mano le conseguenze di una frontiera. Una
frontiera tanto inutile quanto sanguinosa” prosegue Damiana . “Ma abbiamo
trovato anche tanta solidarietà. Come quel grande magazzino gestito da un
collettivo di associazioni, come Human Rights Observers, dove le attiviste e gli
attivisti raccolgono materiale come sacchi a pelo, suppellettili, cellulari
usati per rimpiazzare ciò che la polizia distrugge durante gli sgomberi. Poi c’è
la Caritas, che ha organizzato un efficiente punto di accoglienza dei migranti,
con bagni pubblici e docce, corrente elettrica, consulenza legale e
informazioni.”
Calais, assieme alle spiagge della Normandia, è un punto di passaggio obbligato
per le rotte migratorie. Arrivano dai Paesi subsahariani, da Libia, Siria,
Pakistan, Eritrea, Iran, Iraq, Kuwait, soprattutto. Un passaggio costa circa
1.500 euro.
Negli ultimi tempi sono giunti anche migranti vietnamiti. “A loro i trafficanti
chiedono un prezzo maggiore, perché si dice che siano i più ricchi” spiega
l’attivista Marta Peradotto. Un giro d’affari milionario che ormai viaggia
online. Il che dimostra quanto sia ridicolo, oltre che criminale, pensare di
poter risolvere la questione migratoria alzando muri o ricorrendo a sgomberi o
altre brutalità.
Gommoni, barche e motori vengono messi all’asta su internet alla luce del sole.
Il passaggio a Dover è diventato una merce acquistabile e vendibile online.
Discorso diverso per i giubbotti di salvataggio, che sono stati praticamente
messi fuori commercio. Non se ne trovano in tutta la città e le persone sono
costrette a imbarcarsi anche senza questa minima protezione. E se non è
criminale questo…”
A Calais è evidente l’ipocrisia delle politiche migratorie europee, che
esternalizzano le frontiere, reprimono la solidarietà e bloccano il diritto di
migrare. “Di fronte a ciò” ha scritto Abriendo Fronteras “insistiamo sulla
necessità urgente di vie legali e sicure, di una protezione reale per chi fugge
dalla guerra, dalla miseria o dal saccheggio, e del riconoscimento politico
delle reti di sostegno che si prendono cura delle vite che gli Stati violano”.
Foto di Carovane Migranti
Melting Pot Europa