Il blocco navale come parte della “soluzione finale” su Gaza1. Mentre l’imbarcazione Handala della Freedom Flotilla naviga in acque
internazionali in direzione di Gaza, droni ne seguono il percorso e fanno temere
un attacco simile a quello operato nel maggio scorso sulla nave umanitaria
Conscience mentre si trovava al largo delle coste maltesi. A partire dal 2007
Israele ha imposto un blocco terrestre, aereo e navale sulla Striscia di Gaza,
una punizione collettiva contro l’intera popolazione. Già nel 2010 Israele aveva
colpito un’altra nave umanitaria che stava portando aiuti a Gaza, la Mavi
Marmara, uccidendo dieci attivisti, lo stesso Stato che oggi colpisce
impunemente ambulanze, operatori sanitari e giornalisti, e permette uccisioni
mirate di donne e bambini, oltre a proseguire nella impunità, finora garantita
dalla comunità internazionale, il genocidio della popolazione civile nella
Striscia. Nel suo rapporto del 2025, “Lo stato dei diritti umani nel mondo”,
Amnesty International ha descritto il 2024 come l’anno in cui il mondo è
diventato spettatore passivo di un genocidio trasmesso in diretta streaming. Dal
2 marzo le forze israeliane hanno inoltre bloccato l’ingresso di aiuti umanitari
a Gaza. E gli abitanti sono ora minacciati da una «carestia di massa». Lo scorso
giugno, la marina militare israeliana ha bloccato in acque internazionali e
dirottato la nave umanitaria Madleen, diretta alla Striscia di Gaza per portare
cibo e beni di prima necessità arrestando il suo equipaggio.
2. Secondo il governo israeliano il blocco navale, dichiarato e notificato agli
Stati confinanti, sarebbe una misura legittima prevista dal diritto
internazionale, e questo permetterebbe l’intercettazione di qualsiasi
imbarcazione anche in acque internazionali, e l’arresto del suo equipaggio. In
realtà il diritto internazionale permette la libera navigazione in acque
internazionali, salvo il caso nel quale si ravvisino potenziali attività
terroristiche, ed il diritto di transito inoffensivo nelle acque territoriali
(12 miglia dalla costa), a meno che questo non comporti attività illegali, o
rischi per la sicurezza dello Stato (art.19 Convenzione UNCLOS di Montego Bay).
La giurisdizione israeliana non si estende alle acque internazionali, al di là
della cd. zona contigua (24 miglia dalla costa), nel senso che è solo in
quest’ambito spaziale che possono essere effettuati controlli, che comunque non
possono tradursi in attacchi armati contro persone indifese e non possono
comportare sequestri di persona o atti lesivi della libertà e della dignità. Il
tentativo di portare aiuto a chi sta morendo per fame, dopo essere stato
sottoposto a crudeli bombardamenti che hanno colpito sistematicamente ospedali e
centri di distribuzione del cibo, non può ritenersi un comportamento “illegale”
perchè contrario a disposizioni di legge o ad altri atti d’imperio provenienti
dalle autorità israeliane, perche sono queste ultime autorità che operano da
tempo al di fuori dei limiti della propria sovranità e contro la legalità
internazionale, come sottolineato in diverse occasioni dalla Relatrice speciale
ONU per i Territori palestinesi occupati Francesca Albanese che ha pure
denunciato la complicità dell’Italia. Le acque territoriali della Striscia di
Gaza sono acque che non dovrebbero neppure ricadere nella giurisdizione
israeliana, in quanto costituiscono parte di uno Stato riconosciuto da molti
paesi e oggetto da anni di occupazione militare, condannata da una serie
di Risoluzioni delle Nazioni Unite, l’ultima con l’astensione dell’Italia.
3. Nel 2024 la Corte internazionale di giustizia ha dichiarato illegale la
presenza di Israele nei territori palestinesi occupati. A novembre dello stesso
anno, una Commissione speciale delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto che
ha documentato bombardamenti indiscriminati sui civili e l’uso sistematico della
fame come arma di guerra. La natura illegale dell’occupazione della Striscia di
Gaza, esaltata dall’ultima operazione “I carri di Gideon”, priva di qualsiasi
legittimità i divieti di ingresso nelle acque territoriali della Striscia che
Israele controlla soltanto in virtù dell’uso arbitrario della forza militare in
violazione del diritto internazionale. Appare ormai evidente come il blocco
navale imposto per impedire l’arrivo di aiuti umanitari alla popolazione civile
di Gaza risulti in contrasto con la legalità internazionale. Gli ordini
impartiti dalle autorità israeliane, che non permettono alle navi della Freedom
Flotilla di avvicinarsi alle coste della Striscia per sbarcare i loro aiuti, non
possono dunque considerarsi ordini legittimi.
4. Le navi della Freedom Flotilla trasportano aiuti per una popolazione
sottoposta ad un vero e proprio genocidio per fame, non certo armi o altro tipo
di materiale militare, ed il loro blocco sembra corrispondere alla “soluzione
finale” che il governo israeliano sta praticando con l’operazione “I Carri di
Gideon”, con l’obiettivo ormai dichiarato di eliminare la popolazione
palestinese ancora presente nella striscia, deportarne una parte, e creare
grandi campi di concentramento nei quali rinchiudere tutti coloro che si
opporranno alla deportazione. Un progetto di pulizia etnica, esteso anche alla
Cisgiordania, reso possibile dalla copertura militare e politica garantita dagli
Stati Uniti di Trump, dalle divisioni e dalle complicità dell’Unione europea,
dalla sostanziale indifferenza di molti paesi arabi.
Al di là di qualunque ipotesi di blocco navale della Strscia di Gaza per ragioni
difensive e di sicurezza, nessuna norma di diritto internazionale autorizza
attacchi a navi in libera navigazione in acque internazionali, cariche di aiuti
umanitari per la popolazione civile. Le norme di diritto internazionale vanno
rispettate anche in tempo di guerra, in base a quanto previsto dal diritto
umanitario.
5. Sono tempi in cui le alleanze tra le grandi potenze sono state strette
all’insegna della negazione del diritto internazionale, ma è ancora possibile,
anzi doveroso, operare nel rispetto della normativa convenzionale che garantisce
la sicurezza della navigazione ed il diritto di portare soccorsi, come stabilito
dalle Convenzioni di Ginevra del 1949, base del diritto internazionale
umanitario. La Prima e la Seconda Convenzione impegnano gli Stati a proteggere i
feriti, i malati, i naufraghi indipendentemente dalla parte in cui combattono, e
il personale medico, le ambulanze e gli ospedali. La Terza Convenzione regola il
trattamento dei prigionieri di guerra. La Quarta Convenzione contiene norme a
protezione dei civili in tempo di guerra. Nel 1977 sono stati approvati due
Protocolli aggiuntivi, I e II che Israele non ha ratificato. Il Primo integra
la Quarta Convenzione con regole più precise sulla condotte belliche, quali
il divieto di attaccare persone e installazioni civili von la limitazione dei
mezzi e dei metodi autorizzati. Il Secondo sviluppa l’art. 3, comune alle
quattro Convenzioni, in merito alla protezione delle vittime dei conflitti
armati non internazionali e si applica a tutti i conflitti armati. Ciascuna
Parte contraente accorderà il libero passaggio per qualsiasi invio di
medicamenti e di materiale sanitario, come pure per gli oggetti necessari alle
funzioni religiose, destinati unicamente alla popolazione civile, anche se
nemica. Essa autorizzerà pure il passaggio di qualunque invio di viveri
indispensabili, di capi di vestiario e di ricostituenti riservati ai fanciulli
d’età inferiore ai quindici anni, alle donne incinte o alle puerpere(art.
23). Le violazioni di queste norme sono da considerare come crimini di guerra.
6. Il 28 maggio 2024 Spagna, Irlanda e Norvegia hanno riconosciuto ufficialmente
lo Stato di Palestina e anche il Presidente francese Macron ha recentemente
dichiarato che la Francia riconoscerà lo Stato di Palestina. Occorre un
riconoscimento immediato dello Stato di Palestina anche da parte dell’Italia,
perchè questo atto formale dei governi europei potrebbe contribuire a rompere il
blocco (non solo navale) imposto alla Striscia di Gaza che, malgrado
l’occupazione militare, deve essere considerata ancora come una entità statale
atonoma rispetto ad Israele. Su questo il governo italiano deve risposte
immediate.
7. Già lo scorso anno la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia ha respinto
nel mese di gennaio la richiesta di archiviazione di Israele, decidendo di
procedere nella verifica delle accuse di genocidio mosse dal Sudafrica e da
altri Stati contro Tel Aviv. A distanza di un anno la pratica sistematica del
genocidio per fame, oltre che con i bombardamenti, è ormai conclamata.
La Corte Penale internazionale sta proseguendo le sue attività di indagine nei
confronti dei principali leader israeliani, dopo avere emesso mandati di arresto
per il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ex Ministro della
difesa Yoav Gallant. Per la Corte dell’Aja, Netanyahu e Gallant avrebbero
violato il diritto internazionale anche impedendo che aiuti umanitari
giungessero alla popolazione della Striscia di Gaza. il 24 aprile 2025 la Camera
d’appello della Corte penale internazionale ha stabilito che la questione della
competenza giurisdizionale sui mandati di arresto contro il Primo ministro e
l’ex Ministro della difesa israeliani doveva essere riesaminata. Il dossier è
stato rinviato ai giudici della Prima camera preliminare per rivalutare la
questione centrale: se la Corte penale internazionale abbia effettivamente
giurisdizione sul caso, anche tenendo conto del fatto che Israele non ha firmato
lo Statuto di Roma, base legale dell’attività della Corte.
Con la decisione depositata il 16 luglio scorso, la Pre-Trial Chamber ha
respinto il ricorso di Tel Aviv che chiedeva il ritiro del mandato di arresto
nei confronti del Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del Ministro
della difesa Yoav Gallant e la sospensione delle indagini per i presunti crimini
commessi in Palestina. Gli Stati aderenti al Trattato di Roma istitutivo della
CPI rimangono così obbligati ad eseguire i mandati di arresto ordinati dalla
Corte e rimane aperta la procedura per i gravi reati commessi dai vertici
israeliani, anche attraverso le misure di blocco degli aiuti alla popolazione
civile. La Corte Penale internazionale mantiene comunque la sua competenza ad
indagare sui crimini contro l’umanità, anche quando questi crimini si rivolgano
verso cittadini di Stati parte dello Statuto di Roma, dunque l’Italia, ovunque
siano commessi. Le caratteristiche violente del possibile intervento delle forze
armate israeliane a bordo delle navi della Freedom Flotilla, e la valenza di
minaccia generalizzata verso chiunque si proponga di portare aiuti alla
popolazione di Gaza, potrebbero persino integrare gli estremi del reato di
terrorismo marittimo, o di terrorismo internazionale, se non della pirateria.
Gli atti di “pirateria internazionale” possono essere realizzati da chi blocca
con la violenza l’arrivo degli aiuti essenziali per la sopravvivenza,
intercettando le navi umanitarie in acque internazionali, non da chi si espone
direttamente con il proprio corpo per fare arrivare comunque medicine e alimenti
per una popolazione continuamente esposta, oltre che ai bombardamenti, a
continui ordini di evacuazione ed alla distruzione sistematica, dopo scuole ed
ospedali, dei punti di distribuzione del cibo. Tutti gli atti del governo
israeliano che si riverberano sulla morte per fame della popolazione di Gaza
possono comunque rientrare nella definizione di crimini contro l’umanità.
Sono quindi in contrasto con la legalità internazionale gli ordini di blocco
delle navi civili che trasportano aiuti, non i tentativi di soccorrere una
popolazione ormai stremata dai bombardamenti, dalla carenza di presidi sanitari
e da una carestia dilagante. Per questa ragione qualunque attacco che sarà
portato alle navi della Freedom Flotilla dovrà essere denunciato sia a livello
nazionale, che agli organismi internazionali, ed in particolare alla Corte
Penale internzionale, tanto da fare emergere come il blocco navale in acque
internazionali non sia finalizzato a garantire la sicurezza di Israele, ma
risulti invece diretto esclusivamente a realizzare quella che si profila come la
“soluzione finale” su Gaza, con la eliminazione fisica del maggior numero
possibile di palestinesi, l’occupazione militare della striscia, e la
deportazione in grandi campi di concentramento dei sopravvissuti.
Fulvio Vassallo Paleologo