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Riconoscimento dello Stato di Palestina e solidarietà in Italia
Ci sono 14 Stati disponibili al riconoscimento dello Stato di Palestina. Dopo Francia e Regno Unito, ora anche Finlandia, Australia, Portogallo, Germania e Canada annunciano che a settembre riconosceranno lo Stato di Palestina in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. Lo scorso maggio, l’Assemblea dell’Onu, con un voto di 143 favorevoli, 9 contrari (Argentina, Repubblica Ceca, Ungheria, Israele, Stati Federati di Micronesia, Nauru, Palau, Papua Nuova Guinea, Stati Uniti) e 25 astensioni, ha stabilito che lo Stato di Palestina è qualificato per l’adesione alle Nazioni Unite. L’Italia del governo delle destre è un fanalino di coda, in compagnia di Ungheria e Micronesia. In Italia, il successo dell’iniziativa di Milano davanti alla sede del consolato USA, organizzata da “Maiindifferenti, ebrei per la pace” e altre associazioni non ha trovato la meritata copertura mediatica,  forse perché non ci sono state vetrine rotte o scontri. Potete trovare il link alla diretta social clicca! Il Comune di Venezia ha votato un documento per il riconoscimento dello Stato di Palestina e di boicottaggio alle istituzioni israeliane. Il Consiglio Comunale di Trofarello (To), su proposta avanzata dall’associazione Cuoche e Sarte Ribelli, impegnata su temi sociali e nel sostegno ai bambini di Gaza con le adozioni a distanza, ha approvato  l’interruzione delle relazioni commerciali e istituzionali con il governo israeliano fino al totale cessate il fuoco totale e permanente. Il Centro studi Paolo e Rita Borsellino esprime apprezzamento per l’iniziativa di solidarietà a favore dei bambini della Striscia di Gaza, promossa proprio in questi giorni dal Dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo Paolo e Rita Borsellino, dott. Maurizio Carandini. L’istituto di Valenza (AL), infatti, ha deciso di dedicare “nel corso di questa estate, un’ora al giorno alla memoria dei bambini uccisi o ridotti alla fame nella Striscia di Gaza, a partire dal 28 luglio”. Di tutte queste mobilitazioni e iniziative, la stampa scorta mediatica del genocidio non dà informazioni. Rivendichiamo 60 mila kefieh in Senato, una per ogni civile palestinese ucciso dall’esercito israeliano a Gaza.   ANBAMED
Il Consiglio Comunale di Mamoiada approva una mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina
Il Consiglio Comunale di Mamoiada (NU) ha approvato ieri, 30 luglio 2025, una mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina e di solidarietà nei confronti di Francesca Albanese. Mozioni simili sono state approvate o presentate anche in altri comuni della Sardegna. Dopo l’approvazione della mozione, il sindaco di Mamoiada Luciano Barone ha appeso la bandiera della Palestina, donata dalla consigliera della minoranza Anna Mannu, sulla facciata del Comune. Il testo della Mozione COMUNE DI MAMOIADA  – IL CONSIGLIO COMUNALE  OGGETTO: riconoscimento dello stato di Palestina da parte dello Stato e delle istituzioni internazionali e solidarietà alla nostra connazionale e Relatrice ONU Francesca Albanese.  Premesso che * Il riconoscimento dello Stato d’Israele da parte dell’ONU (1949) e dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (1988), gli Accordi di Oslo (1993-95) sottoscritti dalle parti ed il nutrito pacchetto di risoluzioni ONU costituiscono il quadro di riferimento giuridico necessario per dar corso al riconoscimento dello Stato di Palestina; * lo Stato di Palestina è stato riconosciuto dalla risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazione Unite del 29 novembre 2012 come “Stato osservatore permanente non membro” presso l’organizzazione; * il Parlamento europeo ha riconosciuto in linea di principio lo Stato di Palestina con la risoluzione 2014/2964 (RSP) approvata in data 17/12/2014; * il 10 aprile 2024 l’Assemblea Generale dell’ONU ha adottato la risoluzione intitolata “Ammissione di nuovi membri alle Nazioni Unite” (documento A/ES-10/L.30/Rev.1) con 143 voti favorevoli, 9 contrari e 25 astensioni. La risoluzione stabilisce che lo Stato di Palestina è qualificato per l’adesione alle Nazioni Unite in conformità con l’articolo 4 della Carta delle Nazioni Unite e dovrebbe, pertanto, essere ammesso a far parte dell’Organizzazione come membro a tutti gli effetti; * il 18 aprile 2024 la proposta di risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU S/2024/312, necessaria per l’effettiva adesione della Palestina come stato membro, è stata accolta da 12 dei 15 paesi votanti, ma bloccata dall’unico voto contrario degli Stati Uniti; Considerato che * alla fine di maggio 2024 Spagna, Norvegia, Slovenia e Irlanda si sono unite al gruppo di Stati membri dell’ONU che riconoscono formalmente lo Stato di Palestina; * sono ormai 146 su 193 Stati membri delle Nazioni Unite, oltre il 75% degli Stati Membri, che hanno riconosciuto formalmente lo Stato di Palestina, entro i confini antecedenti la guerra del 1967 e con Gerusalemme capitale condivisa, quale passo fondamentale per una equa soluzione politica del conflitto che porti ad una pace duratura; Copia informatica per consultazione; * lo Stato di Palestina è attualmente membro della Lega araba, dell’Organizzazione della cooperazione islamica, del G77, del Comitato Olimpico Internazionale, dell’UNESCO e di varie altre organizzazioni internazionali; * il riconoscimento internazionale dello Stato di Palestina è un passo fondamentale per equiparare la sua condizione sul piano politico a quella di altri Stati, riconoscere le aspirazioni legittime ad avere uno Stato da parte dei palestinesi e ribadire le tutele previste dal Diritto Internazionale; * risulta ormai evidente quanto sia indispensabile che le Nazioni Unite e l’Unione Europea non si fermino alle dichiarazioni di condanna ed al richiamo alle parti di fermare la violenza ma che prendano posizioni vincolanti per eliminare le cause che provocano continui bombardamenti e morti di civili fra Israele e Palestina. La mediazione degli Enti Internazionali deve avere il fine dell’immediato cessate il fuoco, di far terminare l’occupazione militare israeliana e della colonizzazione dei Territori Palestinesi Occupati ed il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale in tutto il territorio proteggendo bambini, civili, ospedali e le zone sotto sorveglianza UN come spesso disatteso in questi ultimi mesi da un’escalation militare che deve essere fermata. Ricordato che * la politica estera italiana fin dagli anni ’70 è sempre stata trasversalmente impegnata per la pace in Medio Oriente e per il riconoscimento dei diritti legittimi del popolo palestinese; * su iniziativa italiana l’Europa, con la Dichiarazione di Venezia del 1980, riconobbe il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese; * nel 2012 all’Assemblea delle Nazioni Unite l’Italia votò a favore dell’ammissione della Palestina quale Stato osservatore all’ONU; * nel dicembre 2014 il Parlamento italiano ha approvato una mozione che impegnava il governo a “sostenere l’obiettivo della costituzione di uno Stato palestinese” e a promuovere il riconoscimento della Palestina quale stato democratico e sovrano entro i confini del 1967, con Gerusalemme capitale condivisa”, sostenendo e promuovendo i negoziati diretti fra le parti; * nelle comunicazioni al Senato della Presidente del Consiglio in data 25 ottobre 2023 si sosteneva che “In tutti i contesti, e con tutti gli interlocutori, ho sottolineato l’importanza di contribuire alla de-escalation del conflitto e riprendere quanto prima un’iniziativa politica per la regione, non solo per risolvere l’attuale crisi ma per arrivare a una soluzione strutturale sulla base della prospettiva “due popoli, due Stati”; * tale posizione è stata ribadita del ministro degli Esteri italiano Tajani in occasione del suo incontro con Netanyahu; * la prospettiva “due popoli, due Stati” non può essere raggiunta senza il previo riconoscimento dello Stato di Palestina, laddove oggi l’unico Stato riconosciuto dal nostro Paese è lo Stato di Israele; Visto che * in occasione della 59a sessione del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, la Relatrice Speciale sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati dal 1967, Francesca Albanese, ha presentato il suo ultimo Rapporto “From economy of occupation to economy of genocide” (datato 30 giugno 2025); * il documento analizza l’evoluzione dell’occupazione israeliana in Palestina come progetto coloniale, alimentato e sostenuto da un ampio apparato economico-industriale che, secondo la Relatrice Speciale, ha raggiunto un nuovo stadio: quello dell’”economia del genocidio”. “Mentre i leader politici e i governi si sottraggono ai loro obblighi, troppe entità aziendali hanno tratto profitto dall’economia israeliana dell’occupazione illegale, dell’apartheid e ora del genocidio”, si legge nel Rapporto. * settori chiave come l’industria militare, il settore tecnologico, il sistema finanziario e quello accademico sono profondamente integrati nell’infrastruttura dell’occupazione. In particolare, il Rapporto documenta come imprese israeliane e multinazionali (tra cui Elbit Systems, Lockheed Martin, Google, Microsoft e Amazon) abbiano fornito strumenti, tecnologie e supporto logistico che hanno alimentato il massiccio utilizzo della forza contro la popolazione civile palestinese. Queste collaborazioni includono forniture di armamenti, sistemi di sorveglianza biometrica, analisi predittive tramite intelligenza artificiale e servizi cloud critici per le operazioni militari. Dato atto che sulla base del rapporto sopra citato la Relatrice ONU Francesca Albanese è stata oggetto di un vergognoso e feroce attacco, sia politico che mediatico, dopo che gli Stati Uniti hanno annunciato sanzioni pesanti contro la sua persona; Preso atto che sarebbe la prima volta nella storia dell’occidente di applicazione di sanzioni nei confronti di una persona fisica, autorevole rappresentante delle Nazioni Unite che ha avuto il coraggio di mettere a “nudo”, in un report dettagliato, tutte le complicità delle aziende occidentali con il genocidio in corso in Palestina; Necessario dare un segnale forte di solidarietà e sostegno ad una nostra connazionale, eccellenza del diritto internazionale, che ha dimostrato estremo coraggio nel denunciare non solo i crimini di Israele contro la popolazione inerme di Gaza e dei territori, ma anche le complicità politiche, economiche e commerciali a sostegno dell’occupazione israeliana; IL CONSIGLIO COMUNALE DI MAMOIADA * esprime, con un atto forte e ufficiale, la vicinanza della comunità mamoiadina alla Relatrice ONU Francesca Albanese e il profondo orgoglio per il suo encomiabile operato e stigmatizza gli attacchi politici e mediatici ricevuti in relazione al report “From economy of occupation to economy of genocide” (datato 30 giugno 2025); Chiede al governo Italiano * di riconoscere a tutti gli effetti lo Stato di Palestina come entità sovrana, nei confini precedenti all’occupazione del 1967 e con Gerusalemme capitale condivisa; * ad agire in sede ONU per un immediato riconoscimento dello Stato di Palestina come membro a pieno titolo delle Nazioni Unite, per permettere alla Palestina e a Israele di negoziare direttamente in condizioni di pari autorevolezza, legittimità e piena sovranità; * ad impiegare tutti gli strumenti politici, diplomatici e di Diritto Internazionale per fermare la colonizzazione e l’annessione dei Territori Occupati Palestinesi; * di esprimere la vicinanza dello Stato Italiano alla nostra connazionale e Relatrice ONU Francesca Albanese.  IMPEGNA IL SINDACO 1. a farsi interprete di tali istanze e ad attivarsi verso gli altri Sindaci ed Amministrazioni della Regione Sardegna per concordare un’azione comune di sensibilizzazione delle rappresentanze politiche parlamentari; 2. ad adoperarsi, affinché l’Amministrazione tutta, unita al Consiglio Comunale e alle altre istituzioni del paese, coltivino e promuovano sul territorio di Mamoiada, ed in particolare presso le giovani generazioni, i più alti valori di pace, democrazia, rispetto dei diritti umani e libertà dei popoli; 3. a dare massima diffusione del presente Ordine del Giorno alla cittadinanza e alle associazioni, e ad inoltrarlo:           a)  al Presidente del Parlamento Europeo           b)  al Presidente della Repubblica Italiana;           c)  al Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana;           d)  al Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale della Repubblica italiana           e)  al Presidente del Senato della Repubblica italiana;            f)  al Presidente della Camera dei deputati della Repubblica italiana;           g)  ai Presidenti dei Gruppi Parlamentari;           h)  alla Presidente della Regione Sardegna           i)   alle Sindache, ai Sindaci, ai Presidenti delle Unioni dei Comuni e Comunità Montane nonché ai Commissari delle Province e Città                     metropolitani di Cagliari e Sassari. Redazione Sardigna
Il blocco navale come parte della “soluzione finale” su Gaza
1. Mentre l’imbarcazione Handala della Freedom Flotilla naviga in acque internazionali in direzione di Gaza, droni ne seguono il percorso e fanno temere un attacco simile a quello operato nel maggio scorso sulla nave umanitaria Conscience mentre si trovava al largo delle coste maltesi. A partire dal 2007 Israele ha imposto un blocco terrestre, aereo e navale sulla Striscia di Gaza, una punizione collettiva contro l’intera popolazione. Già nel 2010 Israele aveva colpito un’altra nave umanitaria che stava portando aiuti a Gaza, la Mavi Marmara, uccidendo dieci attivisti, lo stesso Stato che oggi colpisce impunemente ambulanze, operatori sanitari e giornalisti, e permette uccisioni mirate di donne e bambini, oltre a proseguire nella impunità, finora garantita dalla comunità internazionale, il genocidio della popolazione civile nella Striscia. Nel suo rapporto del 2025, “Lo stato dei diritti umani nel mondo”, Amnesty International ha descritto il 2024 come l’anno in cui il mondo è diventato spettatore passivo di un genocidio trasmesso in diretta streaming. Dal 2 marzo le forze israeliane hanno inoltre bloccato l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza. E gli abitanti sono ora minacciati da una «carestia di massa». Lo scorso giugno, la marina militare israeliana ha bloccato in acque internazionali e dirottato la nave umanitaria Madleen, diretta alla Striscia di Gaza per portare cibo e beni di prima necessità arrestando il suo equipaggio. 2. Secondo il governo israeliano il blocco navale, dichiarato e notificato agli Stati confinanti, sarebbe una misura legittima prevista dal diritto internazionale, e questo permetterebbe l’intercettazione di qualsiasi imbarcazione anche in acque internazionali, e l’arresto del suo equipaggio. In realtà il diritto internazionale permette la libera navigazione in acque internazionali, salvo il caso nel quale si ravvisino potenziali attività terroristiche, ed il diritto di transito inoffensivo nelle acque territoriali (12 miglia dalla costa), a meno che questo non comporti attività illegali, o rischi per la sicurezza dello Stato (art.19 Convenzione UNCLOS di Montego Bay). La giurisdizione israeliana non si estende alle acque internazionali, al di là della cd. zona contigua (24 miglia dalla costa), nel senso che è solo in quest’ambito spaziale che possono essere effettuati controlli, che comunque non possono tradursi in attacchi armati contro persone indifese e non possono comportare sequestri di persona o atti lesivi della libertà e della dignità. Il tentativo di portare aiuto a chi sta morendo per fame, dopo essere stato sottoposto a crudeli bombardamenti che hanno colpito sistematicamente ospedali e centri di distribuzione del cibo, non può ritenersi un comportamento “illegale” perchè contrario a disposizioni di legge o ad altri atti d’imperio provenienti dalle autorità israeliane, perche sono queste ultime autorità che operano da tempo al di fuori dei limiti della propria sovranità e contro la legalità internazionale, come sottolineato in diverse occasioni dalla Relatrice speciale ONU per i Territori palestinesi occupati Francesca Albanese che ha pure denunciato la complicità dell’Italia. Le acque territoriali della Striscia di Gaza sono acque che non dovrebbero neppure ricadere nella giurisdizione israeliana, in quanto costituiscono parte di uno Stato riconosciuto da molti paesi e oggetto da anni di occupazione militare, condannata da una serie di Risoluzioni delle Nazioni Unite, l’ultima con l’astensione dell’Italia. 3. Nel 2024 la Corte internazionale di giustizia ha dichiarato illegale la presenza di Israele nei territori palestinesi occupati. A novembre dello stesso anno, una Commissione speciale delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto che ha documentato bombardamenti indiscriminati sui civili e l’uso sistematico della fame come arma di guerra. La natura illegale dell’occupazione della Striscia di Gaza, esaltata dall’ultima operazione “I carri di Gideon”, priva di qualsiasi legittimità i divieti di ingresso nelle acque territoriali della Striscia che Israele controlla soltanto in virtù dell’uso arbitrario della forza militare in violazione del diritto internazionale. Appare ormai evidente come il blocco navale imposto per impedire l’arrivo di aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza risulti in contrasto con la legalità internazionale. Gli ordini impartiti dalle autorità israeliane, che non permettono alle navi della Freedom Flotilla di avvicinarsi alle coste della Striscia per sbarcare i loro aiuti, non possono dunque considerarsi ordini legittimi. 4. Le navi della Freedom Flotilla trasportano aiuti per una popolazione sottoposta ad un vero e proprio genocidio per fame, non certo armi o altro tipo di materiale militare, ed il loro blocco sembra corrispondere alla “soluzione finale” che il governo israeliano sta praticando con l’operazione “I Carri di Gideon”, con l’obiettivo ormai dichiarato di eliminare la popolazione palestinese ancora presente nella striscia, deportarne una parte, e creare grandi campi di concentramento nei quali rinchiudere tutti coloro che si opporranno alla deportazione. Un progetto di pulizia etnica, esteso anche alla Cisgiordania, reso possibile dalla copertura militare e politica garantita dagli Stati Uniti di Trump, dalle divisioni e dalle complicità dell’Unione europea, dalla sostanziale indifferenza di molti paesi arabi. Al di là di qualunque ipotesi di blocco navale della Strscia di Gaza per ragioni difensive e di sicurezza, nessuna norma di diritto internazionale autorizza attacchi a navi in libera navigazione in acque internazionali, cariche di aiuti umanitari per la popolazione civile. Le norme di diritto internazionale vanno rispettate anche in tempo di guerra, in base a quanto previsto dal diritto umanitario. 5. Sono tempi in cui le alleanze tra le grandi potenze sono state strette all’insegna della negazione del diritto internazionale, ma è ancora possibile, anzi doveroso, operare nel rispetto della normativa convenzionale che garantisce la sicurezza della navigazione ed il diritto di portare soccorsi, come stabilito dalle Convenzioni di Ginevra del 1949, base del diritto internazionale umanitario. La Prima e la Seconda Convenzione impegnano gli Stati a proteggere i feriti, i malati, i naufraghi indipendentemente dalla parte in cui combattono, e il personale medico, le ambulanze e gli ospedali. La Terza Convenzione regola il trattamento dei prigionieri di guerra. La Quarta Convenzione contiene norme a protezione dei civili in tempo di guerra. Nel 1977 sono stati approvati due Protocolli aggiuntivi, I e II che Israele non ha ratificato. Il Primo integra la Quarta Convenzione con regole più precise sulla condotte belliche, quali il divieto di attaccare persone e installazioni civili von la limitazione dei mezzi e dei metodi autorizzati. Il Secondo sviluppa l’art. 3, comune alle quattro Convenzioni, in merito alla protezione delle vittime dei conflitti armati non internazionali e si applica a tutti i conflitti armati. Ciascuna Parte contraente accorderà il libero passaggio per qualsiasi invio di medicamenti e di materiale sanitario, come pure per gli oggetti necessari alle funzioni religiose, destinati unicamente alla popolazione civile, anche se nemica. Essa autorizzerà pure il passaggio di qualunque invio di viveri indispensabili, di capi di vestiario e di ricostituenti riservati ai fanciulli d’età inferiore ai quindici anni, alle donne incinte o alle puerpere(art. 23). Le violazioni di queste norme sono da considerare come crimini di guerra. 6. Il 28 maggio 2024 Spagna, Irlanda e Norvegia hanno riconosciuto ufficialmente lo Stato di Palestina e anche il Presidente francese Macron ha recentemente dichiarato che la Francia riconoscerà lo Stato di Palestina. Occorre un riconoscimento immediato dello Stato di Palestina anche da parte dell’Italia, perchè questo atto formale dei governi europei potrebbe contribuire a rompere il blocco (non solo navale) imposto alla Striscia di Gaza che, malgrado l’occupazione militare, deve essere considerata ancora come una entità statale atonoma rispetto ad Israele. Su questo il governo italiano deve risposte immediate. 7. Già lo scorso anno la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia ha respinto nel mese di gennaio la richiesta di archiviazione di Israele, decidendo di procedere nella verifica delle accuse di genocidio mosse dal Sudafrica e da altri Stati contro Tel Aviv. A distanza di un anno la pratica sistematica del genocidio per fame, oltre che con i bombardamenti, è ormai conclamata. La Corte Penale internazionale sta proseguendo le sue attività di indagine nei confronti dei principali leader israeliani, dopo avere emesso mandati di arresto per il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ex Ministro della difesa Yoav Gallant. Per la Corte dell’Aja, Netanyahu e Gallant avrebbero violato il diritto internazionale anche impedendo che aiuti umanitari giungessero alla popolazione della Striscia di Gaza. il 24 aprile 2025 la Camera d’appello della Corte penale internazionale ha stabilito che la questione della competenza giurisdizionale sui mandati di arresto contro il Primo ministro e l’ex Ministro della difesa israeliani doveva essere riesaminata. Il dossier è stato rinviato ai giudici della Prima camera preliminare per rivalutare la questione centrale: se la Corte penale internazionale abbia effettivamente giurisdizione sul caso, anche tenendo conto del fatto che Israele non ha firmato lo Statuto di Roma, base legale dell’attività della Corte. Con la decisione depositata il 16 luglio scorso, la Pre-Trial Chamber ha respinto il ricorso di Tel Aviv che chiedeva il ritiro del mandato di arresto nei confronti del Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del Ministro della difesa Yoav Gallant e la sospensione delle indagini per i presunti crimini commessi in Palestina. Gli Stati aderenti al Trattato di Roma istitutivo della CPI rimangono così obbligati ad eseguire i mandati di arresto ordinati dalla Corte e rimane aperta la procedura per i gravi reati commessi dai vertici israeliani, anche attraverso le misure di blocco degli aiuti alla popolazione civile. La Corte Penale internazionale mantiene comunque la sua competenza ad indagare sui crimini contro l’umanità, anche quando questi crimini si rivolgano verso cittadini di Stati parte dello Statuto di Roma, dunque l’Italia, ovunque siano commessi. Le caratteristiche violente del possibile intervento delle forze armate israeliane a bordo delle navi della Freedom Flotilla, e la valenza di minaccia generalizzata verso chiunque si proponga di portare aiuti alla popolazione di Gaza, potrebbero persino integrare gli estremi del reato di terrorismo marittimo, o di terrorismo internazionale, se non della pirateria. Gli atti di “pirateria internazionale” possono essere realizzati da chi blocca con la violenza l’arrivo degli aiuti essenziali per la sopravvivenza, intercettando le navi umanitarie in acque internazionali, non da chi si espone direttamente con il proprio corpo per fare arrivare comunque medicine e alimenti per una popolazione continuamente esposta, oltre che ai bombardamenti, a continui ordini di evacuazione ed alla distruzione sistematica, dopo scuole ed ospedali, dei punti di distribuzione del cibo. Tutti gli atti del governo israeliano che si riverberano sulla morte per fame della popolazione di Gaza possono comunque rientrare nella definizione di crimini contro l’umanità. Sono quindi in contrasto con la legalità internazionale gli ordini di blocco delle navi civili che trasportano aiuti, non i tentativi di soccorrere una popolazione ormai stremata dai bombardamenti, dalla carenza di presidi sanitari e da una carestia dilagante. Per questa ragione qualunque attacco che sarà portato alle navi della Freedom Flotilla dovrà essere denunciato sia a livello nazionale, che agli organismi internazionali, ed in particolare alla Corte Penale internzionale, tanto da fare emergere come il blocco navale in acque internazionali non sia finalizzato a garantire la sicurezza di Israele, ma risulti invece diretto esclusivamente a realizzare quella che si profila come la “soluzione finale” su Gaza, con la eliminazione fisica del maggior numero possibile di palestinesi, l’occupazione militare della striscia, e la deportazione in grandi campi di concentramento dei sopravvissuti. Fulvio Vassallo Paleologo