L’Europa non crolla sotto le bombe. Si sta svuotando dall’interno
> L’Europa non sta crollando a causa di missili, invasioni o città ridotte in
> macerie. La frattura viene dall’interno. Ciò che sta accadendo è più lento e
> pericoloso di una guerra, e milioni di giovani europei se ne vanno perché non
> c’è futuro per loro dove sono nati. E mentre tutto questo accade, Bruxelles
> discute regolamenti che nessuno legge. L’emorragia non fa rumore, ma sta
> svuotando il cuore del continente.
Dietro questa migrazione silenziosa si cela un modello esausto. Le economie
europee sono cresciute senza condivisione, hanno incorporato senza inclusione,
hanno promesso sicurezza ma hanno consegnato precarietà. In Italia, Grecia e
Portogallo, intere generazioni vivono con salari insufficienti a sostenere una
vita dignitosa. In Francia, lo stato sociale è diventato un campo di battaglia.
In Germania, la prosperità non è più sufficiente a sostenere la propria
narrazione. Il continente sta invecchiando, diventando isolato e burocratico, e
il suo peggior nemico non è esterno; è la disillusione.
Questa disillusione sta rimodellando la politica europea. In Ungheria, Polonia,
Paesi Bassi e Francia, i partiti ultranazionalisti stanno crescendo nel vuoto
lasciato dalle socialdemocrazie. Al nord, Svezia e Finlandia si stanno
orientando verso la militarizzazione. Al sud, Spagna e Italia brancolano tra
stanchezza e rabbia. L’Europa non teme più il futuro, ma lo evita. Il continente
che un tempo dettava il corso del mondo ora si chiede come sopravvivere alla
propria disillusione. La frattura europea non sarà un’esplosione, ma una lenta
scomparsa demografica, morale e politica.
L’ESODO SILENZIOSO CHE L’EUROPA NASCONDE
Negli ultimi dodici anni l’Europa ha perso più di 8,3 milioni di giovani. Non si
tratta di una stima soggettiva, ma di dati ufficiali forniti da Eurostat e dalla
Banca Mondiale. La sola Romania ha visto emigrare 3,7 milioni di persone dal
2007, il più grande esodo civile dalla Seconda Guerra Mondiale. La Lettonia ha
perso il 25% della sua popolazione tra il 2000 e il 2023. La Bulgaria ha perso
più di 2 milioni di abitanti in trent’anni e non ci sono stati bombardamenti.
C’è un’evacuazione economica al rallentatore.
Nel 2023, oltre 400.000 spagnoli sotto i 35 anni vivevano fuori dalla Spagna. Il
Portogallo ha il 10% della sua popolazione totale che vive all’estero. L’Italia
registra oltre 1.200.000 emigranti qualificati dal 2008, per lo più medici,
ingegneri e personale sanitario. L’Europa non sta perdendo turisti. Sta perdendo
coloro che sostengono il suo domani.
La cosa più rivelatrice è che non fuggono dalla Russia o dalle guerre, fuggono
dal costo degli alloggi, dai salari stagnanti, dal lavoro precario e da un
sistema in cui l’energia e la tecnologia costano più che in qualsiasi altra area
del pianeta. Mentre Bruxelles gioca a regolamentare il futuro, il futuro sta
uscendo dalla porta.
I 13 PAESI CHE STANNO GIÀ RETROCEDENDO
Nell’Europa orientale, la fuga umana ha le dimensioni di un’intera economia. La
Romania ha perso quasi il 20% della sua popolazione e oltre 60 miliardi di
dollari in talento produttivo accumulato dal 2007.
La Lettonia ha perso l’equivalente di 12 miliardi di dollari all’anno in
capitale umano, con l’evaporazione del 25% della sua forza lavoro dal 2000. La
Lituania, con un PIL di appena 76 miliardi di dollari, ha visto evaporare una
popolazione equivalente a 15 miliardi di dollari in produttività futura e la
Polonia ha perso lavoratori qualificati per un valore stimato di 100 miliardi di
dollari in tasse non riscosse dal 2010.
Il sud vive un altro livello di collasso. La Grecia ha un debito superiore ai
400 miliardi di dollari, con più di 500.000 giovani emigrati in seguito alla
crisi; il Portogallo supera i 280 miliardi di dollari di debito pubblico, mentre
1,5 milioni di portoghesi vivono all’estero, pari a oltre il 15% del PIL perso
in produttività. La Spagna supera i 32 miliardi di dollari all’anno in fuga
netta di giovani che emigrano e non tornano. In Italia si sono persi
professionisti qualificati per un valore di oltre 200 miliardi di dollari
nell’ultimo decennio, tra cui 70.000 medici e tecnici sanitari.
L’energia industriale in Europa è arrivata a costare 300 dollari per MWh nel
2022, mentre negli Stati Uniti non supera i 70 dollari. L’Italia ha un debito
pari al 140% del PIL, equivalente a 3,1 trilioni di dollari; e in Grecia,
Portogallo e Romania i salari minimi superano di poco gli 800 dollari al mese.
Non se ne vanno a causa di una guerra, se ne vanno perché il modello è crollato
di fronte al costo della vita e della produzione e l’Europa continua ad esistere
sulle mappe, ma non più nelle decisioni vitali.
IL CENTRO CROLLA. GERMANIA E FRANCIA GIÀ NE RISENTONO
La fuga non è più solo umana. È industriale. La Germania ha perso oltre 90
miliardi di dollari in investimenti industriali diretti tra il 2022 e il 2024,
dirottati verso Stati Uniti e Cina. BASF ha trasferito 10 miliardi di dollari in
un nuovo mega impianto chimico a Zhanjiang. Volkswagen, BMW e Mercedes hanno
confermato che oltre 50 miliardi di dollari in nuovi impianti per veicoli
elettrici saranno installati fuori dall’Europa, principalmente in Texas e
Shanghai, e non si tratta di speculazioni.
L’attrattiva degli Stati Uniti è puramente energetica e fiscale. Lo Stato
federale sovvenziona fino a 7.500 dollari per ogni auto elettrica prodotta
localmente. L’elettricità industriale in zone come il Texas costa 30 dollari per
MWh, contro i 90-120 dollari per MWh della Germania post-Nord Stream. Ogni
megafabbrica che sceglie il Texas invece dell’Europa rappresenta tra i 5 e i 10
miliardi di dollari di PIL futuro annuo che svanisce dal continente.
La Francia, dal canto suo, non esporta più talenti, ma li importa. Nel 2023 ha
reclutato più di 25.000 medici stranieri, principalmente dal Marocco, dalla
Tunisia e dal Senegal, per sostenere un sistema ospedaliero collassato per
mancanza di personale locale. Il deficit previsto supera i 12 miliardi di
dollari all’anno per la sostituzione di lavoratori qualificati. Le università
francesi formano meno ingegneri di quanti ne richieda l’industria del Paese.
L’Europa non solo ha perso il monopolio produttivo, ma sta perdendo anche la
capacità umana di ricostituirlo con la propria gente.
L’EUROPA È UN LUOGO CHE VIENE ABBANDONATO
Il simbolo più evidente non è nelle frontiere, ma negli aerei in partenza. Più
di un milione di portoghesi vivono oggi in Francia, generando oltre 15 miliardi
di dollari all’anno di PIL per un altro Paese e più del 70% non intende tornare,
secondo i dati dell’Osservatorio Portoghese sull’Emigrazione. Il Portogallo ha
già perso in capitale umano l’equivalente del 20% della sua economia attuale.
La Lettonia è il caso più estremo del Baltico. È passata da 2,3 milioni di
abitanti nel 2000 a soli 1,8 milioni nel 2023. Una perdita del 25% della sua
popolazione attiva, valutata in oltre 30 miliardi di dollari in produttività
futura evaporata. Si tratta di una scomparsa demografica non causata da guerre.
Il Paese esiste sulle mappe, ma non sarà più in grado di sostenere da solo la
sua piramide lavorativa e fiscale.
La Spagna subisce una fuga silenziosa e strategica. Ogni anno se ne vanno più di
100.000 professionisti qualificati, tra cui medici, scienziati e ingegneri che
generano in altri paesi un output stimato superiore a 25 miliardi di dollari
all’anno in valore aggiunto perso. Germania, Regno Unito e Svizzera accolgono
questi talenti senza pagare per la loro formazione.
GLI STATI UNITI E LA CINA VINCONO. L’EUROPA SI LIMITA A OSSERVARE
Gli Stati Uniti stanno assorbendo l’industria che l’Europa non è più in grado di
sostenere. Dal 2022 le aziende europee hanno annunciato oltre 200 miliardi di
dollari di investimenti industriali trasferiti sul suolo statunitense, attratti
da energia tre volte più economica e sussidi federali diretti dall’Inflation
Reduction Act per 369 miliardi di dollari. La sola Germania ha dirottato 100
miliardi di dollari in progetti chimici, automobilistici e farmaceutici verso il
Texas, la Louisiana e l’Ohio. Washington non sta conquistando le fabbriche, le
sta ricevendo senza resistenza.
La Cina gioca su un altro piano. Acquista energia quattro volte più economica
rispetto all’Europa grazie a contratti con la Russia e l’Arabia Saudita
inferiori a 10 dollari per MWh e, con questo divario, sta sostituendo l’Europa
come esportatore globale. Nel 2024 il surplus commerciale cinese con l’UE ha
superato i 400 miliardi di dollari, e Pechino sta attirando i giovani
ricercatori europei che non riescono più a trovare finanziamenti locali. Solo
nel 2023 la Cina ha attirato più di 12.000 scienziati europei con contratti
superiori a 120.000 dollari l’anno, cosa inaccessibile nelle università europee
in regime di austerità.
Nel frattempo, Bruxelles investe migliaia di ore nella legislazione sui
caricabatterie USB e sulle quote di emissione, ma non è riuscita a fissare un
prezzo energetico stabile per la sua industria né un piano reale per trattenere
i talenti. La discussione è normativa e la fuga è globale. L’Europa continua a
parlare e i suoi figli non ascoltano più.
2030: L’UE PUÒ CONTINUARE AD ESISTERE… MA VUOTA
L’Unione Europea può arrivare al 2030 istituzionalmente intatta, con un
parlamento funzionante, una commissione che emana direttive e vertici
diplomatici impeccabili. Ma dietro questa facciata potrebbe esserci un
continente vuoto, senza tessuto industriale, senza forza lavoro giovane e senza
un reale potere strategico. Il rischio non è il collasso istituzionale, è
l’irrilevanza.
Se l’attuale tendenza continuerà, l’Europa perderà più di 1,5 trilioni di
dollari in investimenti industriali accumulati tra il 2024 e il 2030 a favore
degli Stati Uniti e dell’Asia e più di 15 milioni di lavoratori potrebbero
uscire dal sistema produttivo europeo senza essere sostituiti dalle nuove
generazioni.
L’età media in Italia e Germania supererà i 50 anni, mentre in paesi come
l’India è di 29 anni. Non è solo un problema demografico, è una rottura della
spinta economica.
Il continente può trasformarsi in quello che molti analisti definiscono già il
suo destino silenzioso, in altre parole un museo globale, con città da cartolina
che accolgono turisti cinesi, arabi e statunitensi che contribuiscono con oltre
600 miliardi di dollari all’anno alla spesa turistica… mentre anche l’industria
europea si riduce a pezzi da museo. L’Europa può continuare a esistere, senza
forza, senza progetti e senza un proprio futuro.
L’EUROPA SI STA DISSOLVENDO
L’Europa non sta affrontando un’invasione né un crollo improvviso. Sta
affrontando qualcosa di più pericoloso. Si sta dissolvendo silenziosamente, non
a causa della guerra, ma dell’irrilevanza. Per aver delegato l’energia alla
Russia, l’industria alla Cina e la strategia agli Stati Uniti. Per aver
insegnato al mondo la democrazia e i diritti, ma aver dimenticato di difendere
con lo stesso rigore la propria sovranità materiale.
C’è ancora margine. Forse cinque anni, non di più. Se l’Europa riuscirà a
riprendere il controllo del prezzo e dell’origine della sua energia, se deciderà
di produrre dove vive e non solo di consumare ciò che altri producono, se
tornerà a considerare il talento giovane una priorità invece che una risorsa da
esportare, allora potrà non solo sopravvivere, ma rinascere, ma l’orologio non
segna più decenni, bensì cicli elettorali.
L’Europa non è condannata a scomparire. È condannata a scegliere se continuare
ad amministrare rovine gloriose o ricostruire un futuro che non dipenda da
nessun altro. E questa decisione non sarà presa dai discorsi ufficiali. Saranno
quelli che oggi stanno facendo le valigie a prenderla.
Bibliografia:
. Eurostat, Demographic Trends & Migration Report 2023–2024
. FMI, Regional Outlook on Europe — Structural Decline Indicators
. Banco Mundial, Global Talent Drain & Human Capital Flight in the EU
. IEA, Energy Price Divergence between EU–US–China 2022–2024
. Comisión Europea, European Industrial Competitiveness Report 2024
. OECD, The Silent Migration Crisis in Southern Europe
. Bloomberg & Financial Times, Factory Exodus & IRA vs EU Analysis 2023–2024
. McKinsey Global Institute, Industrial Relocation and Talent Flows 2030 Risk
Model
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Traduzione dallo spagnolo di Stella Maris Dante. Revisione di Thomas Schmid.
Mauricio Herrera Kahn