Tag - Un mondo, molti mondi

Spagna (Murcia). Torre Pacheco come sintomo?
Nel luglio 2025, il comune murciano di Torre Pacheco è stato teatro di un’escalation di violenza razzista a seguito dell’aggressione a un uomo di 68 anni, attribuita a tre giovani presumibilmente di origine magrebina. Questo episodio è stato immediatamente strumentalizzato da gruppi di estrema destra – tra cui Vox, Frente Obrero e collettivi come Deport Them Now 1 – per fomentare un clima di odio, con vere e proprie “caccia all’immigrato”, incendi e minacce nei confronti della comunità migrante, in particolare nordafricana. In risposta agli attacchi e al clima di terrore, diverse realtà sociali, sindacati e collettivi antirazzisti in tutto il paese si sono mobilitate per manifestare il loro rifiuto del razzismo strutturale e chiedere giustizia per le vittime della violenza xenofoba. A seguire la traduzione di questa interessante analisi di Antonio J. Ramírez Melgarejo pubblicata dalla rivista Zona de Estrategia, ringraziando l’autore e l’editore per la gentile concessione. La revisione del testo è stata curata da Ángel Luis Lara. Le persone migranti hanno il diritto di pianificare il proprio progetto di vita, non vengono per ripopolare i paesi o pagare le pensioni, questa visione utilitaristica delle persone è miserabile. Dovrebbero poter fare ciò che ritengono opportuno, ma questo non è ammesso in un modello di organizzazione sociale svilito dall’individualismo identitario. A questo punto si è scritto e detto molto di ciò che sta accadendo a Torre Pacheco (Murcia) nell’estate del 2025, ma riteniamo importante cercare di approfondire le cause e le conseguenze per comprendere questo tipo di conflitti, perché siamo certe che questa esplosione razzista, xenofoba e fascista non sarà l’ultima. Il 9 luglio 2025, un pensionato di Torre Pacheco è stato picchiato nelle prime ore del mattino, presumibilmente da alcuni giovani vicini di origine marocchina. La crescente tensione sociale reazionaria degli ultimi anni e i discorsi di odio contro i migranti, le diversità sessuali, la sinistra politica, ecc. hanno facilitato la trasformazione di questo evento in un canale per incanalare la violenza fomentata, diffusa e incoraggiata da bufale e disinformazione diffuse massicciamente sui social network. Non intendiamo analizzare qui come si generano queste dinamiche né le razzie fasciste, ma piuttosto, cercare di fornire un quadro esplicativo critico che contestualizzi l’evento al di là dell’opinione urgente e angosciata e dell’impotenza di vedere gruppi neonazisti che cercano di trasformare un paese in un laboratorio di pogrom. Un fatto che non è isolato, ma che si inserisce in un aumento generalizzato della violenza contro le persone migranti in tutta Europa. Sappiamo bene che l’espansione dell’internazionale reazionaria e le sue conseguenze concrete, in questo caso in un paese della Murcia, come potrebbe essere (e purtroppo sarà) in qualsiasi altro luogo. In Spagna, le periferie sono quasi sempre oggetto di notizie per fatti tragici. Torre Pacheco era un luogo sconosciuto alla grande maggioranza della popolazione fino ad ora. Si tratta di un paese della campagna di Cartagena, a soli 10 chilometri dal maltrattato Mar Menor. L’intera zona è un’enclave produttiva agroindustriale intensiva e globale, dove vengono coltivati, con metodi tecnologici avanzati, meloni, angurie e ortaggi che vengono esportati in tutta Europa.  Questi prodotti sono coltivati, raccolti e confezionati per il 90% da migranti, la maggior parte dei quali provenienti dal Marocco, che costituiscono circa il 7-8% della popolazione totale. I dati statistici rivelano che le famiglie di migranti sono quelle con il reddito più basso, anche se in proporzione sono più iscritte alla previdenza sociale rispetto agli spagnoli, dati disponibili per chiunque voglia consultarli. La storia delle persone migranti a Torre Pacheco, come in tanti territori periferici del sud della Spagna, inizia negli anni ’90, quando i primi giovani provenienti dal Marocco cominciano ad arrivare nei campi di Cartagena. Con o senza contratto, lavoravano a cottimo nei campi e vivevano in condizioni precarie in casolari fatiscenti e/o abbandonati in mezzo alla campagna: non erano visibili, non erano prossimi, solo forza lavoro sfruttata su cui si è fondato il modello di sviluppo agroindustriale del paese e dell’intera regione. Nel 1993 la popolazione totale non raggiungeva le 18.000 persone, mentre oggi è una piccola città di quasi 40.000 abitanti. Torre Pacheco è uno dei pochi paesi che ha visto aumentare la popolazione negli ultimi 30 anni, moltiplicandosi per 125%. Il dinamismo economico e demografico della zona è il risultato dello sfruttamento della forza lavoro migrante vulnerabile, in gran parte priva di diritti di cittadinanza, dipendente da un lavoro agricolo mal retribuito che non poteva permettersi di perdere perché con esso manteneva le proprie famiglie là e sopravviveva qui. Questo processo ha creato una classe operaia migrante priva di strumenti comunitari e sindacali con cui difendere il proprio diritto a migliorare le condizioni di vita e di lavoro. È stata loro lasciata solo la possibilità di diventare schiavi moderni del capitale agroindustriale.  Con il passare degli anni questi uomini sono riusciti, nonostante tutte le difficoltà, i pregiudizi e le vessazioni, a stabilizzarsi nel lavoro e nel territorio, riunendo le loro famiglie e mettendo al mondo figli e figlie nel paese. Ciò non è stato accettato da una parte della popolazione locale che ha votato Vox come primo partito già nel 2019, sostenendo il suo discorso di paura e odio contro le persone migranti accusate di reati e violenze sessuali, dati che non trovano riscontro nelle statistiche. Una forma classica di criminalizzazione che affonda le sue radici e cresce nei pregiudizi contro ciò che è diverso e sconosciuto. Come accade in tanti altri territori o periferie urbane come il nord di Parigi o l’est di Londra, dove nel 2024 si sono verificati gravi attacchi razzisti, territori urbani in tensione che hanno assistito a simili cacce all’uomo. Manifestazione antirazzista a Murcia (PH: Dani Gago) Abbiamo, quindi, una popolazione originaria del Marocco in crescita che si sta insediando in un paese a bassa densità demografica e con ampie zone rurali. La competizione iniziale per i posti di lavoro nei campi tra stranieri e nazionali è durata poco. Il tessuto imprenditoriale ha scommesso definitivamente sul reclutamento di manodopera migrante, più facilmente sfruttabile e disumanizzabile, a cui poter chiedere di lavorare più velocemente e guadagnare meno, per guadagnare di più. Inoltre, molti contadini autoctoni non potevano più competere con le grandi agroindustrie che cominciavano a insediarsi nel paese e hanno dovuto trovare altri lavori per sopravvivere e/o vendere i loro terreni ai nuovi grandi imprenditori. A Torre Pacheco, come in qualsiasi enclave agroindustriale, convivono in tensione classi sociali molto disuguali. Da un lato, le grandi rendite dei capitalisti dell’agro, generate dai corpi sacrificati della classe operaia, e dall’altro, la classe operaia a basso reddito, composta principalmente da migranti nel caso dell’agricoltura, che condivide lo spazio con gli abitanti autoctoni del comune. In effetti, pochi capitalisti spagnoli hanno lucrato enormemente per tre decenni sfruttando lavoratori e lavoratrici di origine straniera. Pertanto, non c’è concorrenza sul posto di lavoro tra migranti e “nazionali” perché la segregazione è attualmente istituzionalizzata. L’unica “concorrenza” è quella che si percepisce nell’occupazione dello spazio pubblico, nella pratica del diritto alla città. Negli ultimi trent’anni, infatti, la popolazione marocchina ha costruito la piccola città di Torre Pacheco, aprendo attività commerciali, frequentando parchi, scuole e centri sanitari, come veri e propri vicini. Durante questo processo, ben documentato dalla crescita demografica e dalla trasformazione urbana, non c’è stato un vero processo di socializzazione, comunicazione e conoscenza tra le due comunità. La tensione e la sfiducia sono state la norma. È evidente che i datori di lavoro e una parte dei residenti autoctoni non li considerano veri e propri vicini, ma li vedono come una semplice forza lavoro necessaria da sopportare per mantenere l’economia. Ancora una volta, l’economia prevale sulla vita, pura essenza capitalista. Questa è la base del risentimento verso la comunità migrante, che in risposta a questo disprezzo ha costruito le proprie relazioni, in cui sono cresciute le loro famiglie, i figli e le figlie nati in Spagna, che sono stati educati qui con la speranza che “non fossero come noi”, che avessero opportunità lavorative e di vita diverse da quelle dei loro padri e delle loro madri, il desiderio di poter costruire un progetto di vita come chiunque altro, studiare se lo si desidera, lavorare, formare una famiglia…  Ma questi figli di persone migranti già nati a Torre Pacheco sanno che non sarà facile, che porteranno con sé il peso della loro condizione razzializzata per tutta la vita nonostante siano murciani e spagnoli, che i partiti politici neofascisti, ma anche una parte della popolazione, non li considereranno mai spagnoli né persone con il diritto di decidere liberamente della propria vita. Loro sanno che gli imprenditori e i politici, ma anche una parte della popolazione autoctona, li vogliono legati all’agricoltura, a ciò che hanno fatto e fanno i loro padri e le loro madri; li vogliono senza pieni diritti, senza autonomia né capacità di decidere. Li vogliono invisibili, silenziosi, vulnerabili, spaventati, perché sanno bene che chiunque ne abbia l’opportunità cercherà prima o poi di uscire dalle condizioni di semi-schiavitù dell’agricoltura e della dipendenza. Questi figli di persone migranti, erroneamente definiti seconda generazione, devono provare un crescente senso di impotenza e rabbia per l’impossibilità materiale di poter realizzare il proprio progetto di vita; stanno constatando che non avranno autonomia e che, se necessario, le loro decisioni saranno molto limitate; intuendo che non avranno la vita che è stata loro promessa, come tutta una generazione di giovani nel Paese, indipendentemente dalla loro provenienza. Questo sentimento di delusione rivelatrice è lo stesso che pulsa nelle banlieue francesi o nella zona est di Londra, lo stesso che provano milioni di lavoratori migranti in tutto il mondo quando scoprono che il capitalismo li vuole solo come corpi da sfruttare e consumatori ipnotizzati, attori secondari in un film di cui non saranno mai protagonisti. Le promesse di crescita sostenuta e di crescente capacità di consumo non saranno mantenute come avevano immaginato. Il capitalismo, razzista e colonizzatore, non può mantenere le sue promesse, solo pochi ne sono i beneficiari. Lo sforzo e la sottomissione dei loro genitori non sono serviti ad altro che a sopravvivere, e loro lo sanno, lo sentono ogni giorno. Si tratta di una forma di violenza che, sebbene non sia direttamente fisica, danneggia le loro vite e quelle della società in cui vivono.  È violenza strutturale: quella che subiscono perché sono lavoratori poveri e per di più migranti, peggio ancora se sono donne. È il tipo di violenza che impedisce loro di avere gli stessi diritti degli altri, che li condanna a una posizione subordinata nella società, a occupare posti di lavoro precari e rifiutati dai nativi. Ma anche se riescono a uscire da quella situazione, è altamente probabile che non potranno mai cancellare la loro condizione di migranti, e questa è una forma di violenza simbolica che deriva dall’interiorizzazione della posizione di dominati nella società, dall’impossibilità di migliorare la propria vita.  Il che ci porta alla terza forma di violenza che subiscono, quella normalizzata, quella che ricevono quotidianamente sotto forma di disprezzo, insulti, esclusione dallo spazio sociale; quella che subiscono sul lavoro, con contratti falsi, con gli inganni delle agenzie di lavoro interinale, con il mancato versamento dei contributi, con i maltrattamenti e i gravissimi casi di molestie sul lavoro e anche sessuali nei confronti delle donne migranti che hanno già mandato in galera diversi responsabili spagnoli, sia a Torre Pacheco 2 che a Huelva, anche se non si continua ad agire con fermezza contro le molestie sessuali e gli stupri. Il clamoroso contrasto tra il silenzio come risposta a queste aggressioni e violenze quotidiane contro le donne migranti e il rumore generato dall’aggressione al pensionato di Torre Pacheco che è stato picchiato è particolarmente illuminante e doloroso. Questa generazione, spagnola e murciana, ripeto, vuole uscire dall’invisibilità dei primi migranti, e questo viene punito. Come persone integrali rivendicano il loro diritto alla città, a quella città che in gran parte hanno costruito, non vogliono continuare a essere invisibili nei campi, nelle case, nelle strade. Il capitalismo non offre, non può offrire loro alcun tipo di progetto civilizzatore, è un modello socioeconomico basato sulla competizione, che fomenta la lotta del penultimo contro l’ultimo, non può costruire comunità perché la sua tendenza è quella di distruggerla, individualizzare, isolare, frammentare. Per offrire un orizzonte di speranza è necessario porre fine alle condizioni di sfruttamento e segregazione lavorativa come premessa fondamentale affinché esista una possibilità di convivenza. Inoltre, tenendo conto che le persone migranti hanno il diritto di pianificare il proprio progetto di vita, non vengono a ripopolare i paesi o a pagare le pensioni, questa visione utilitaristica delle persone è miserabile. Dovrebbero poter fare ciò che ritengono opportuno, e questo non è ammesso in un modello di organizzazione sociale svilito dall’individualismo identitario. Gran parte del nostro futuro, della possibilità di lottare per un futuro comune diverso, gioioso, entusiasmante e degno di essere vissuto, è in gioco nella socializzazione e nella politicizzazione delle persone migranti, come ci sta insegnando la rinascita sindacale negli Stati Uniti, guidata principalmente da lavoratori migranti che stanno perdendo la paura e che hanno saputo identificare il loro vero nemico: i rapporti di sfruttamento capitalistico e la frammentazione sociale che essi producono. Di fronte a ciò, le alleanze trasversali di razza, genere e classe sono senza dubbio la strada da seguire per imparare a indirizzare bene la nostra rabbia, ma anche la nostra solidarietà. 1. Torre Pacheco, come un canale Telegram razzista ha scatenato la “caccia all’immigrato” in Spagna, Fernanda Gonzalez – Wired (16 luglio 2025) ↩︎ 2. Detenido un encargado agrícola por una veintena de agresiones sexuales a temporeras en Cartagena, El Diario (settembre 2020) ↩︎