Sempre più famiglie italiane non riescono a mangiare in modo sano e dignitoso
La povertà alimentare è una delle espressioni più ingiuste delle disuguaglianze
sociali, perché compromette un bisogno primario e quotidiano: il cibo. Non si
tratta solo di quantità insufficienti, ma anche dell’impossibilità di scegliere
cosa mangiare, quando, come e con chi. È una deprivazione che tocca salute,
relazioni e dignità, negando al cibo il suo valore sociale, emotivo e culturale.
Come scrive ActionAid nel suo ultimo Rapporto “Fragili Equilibri”, la povertà
alimentare “riflette una condizione di vulnerabilità diffusa, fatta di
precarietà economica, abitativa e lavorativa, di mancanza di tempo e di reti di
sostegno. In queste situazioni, il cibo diventa spesso la prima voce su cui si
risparmia: si rinuncia alla qualità, si salta un pasto, si riduce la varietà, si
taglia sulla spesa per poter affrontare altri costi essenziali come l’affitto,
le bollette o le cure mediche. Mangiare diventa una sfida quotidiana di
compromessi e rinunce. Per farvi fronte, molte persone mettono in atto strategie
silenziose: si adattano, razionano, chiedono aiuto in modo discreto. Ma tutto
questo ha un costo profondo, che spesso non si vede: stress, isolamento,
vergogna, perdita di controllo sulla propria vita”.
Nel nostro Paese la povertà alimentare ormai non è più un fenomeno circoscritto
alla popolazione “a rischio”, ma colpisce sempre più spesso persone e famiglie
che non rientrano nei parametri ufficiali di povertà, ma che comunque non
riescono a garantire a sé stesse e ai propri figli un’alimentazione adeguata.
Nel 2023, l’11,8% della popolazione italiana sopra i 16 anni – circa 6 milioni
di persone – ha sperimentato almeno una forma di deprivazione alimentare
materiale o sociale, con un incremento di 1,3 punti percentuali rispetto
all’anno precedente. L’aumento riguarda soprattutto chi non è formalmente povero
secondo le soglie Istat: ben il 60% di chi vive una condizione di deprivazione
non rientra tra le persone a rischio di povertà economica, segnalando una
vulnerabilità crescente anche tra le fasce intermedie della popolazione. I
profili più esposti sono adulti tra i 35 e i 44 anni, persone con basso livello
di istruzione, disoccupati e lavoratori precari, nuclei familiari
monogenitoriali o numerosi, individui di origine straniera e chi vive in affitto
sul mercato privato. Tra i migranti extra-europei il tasso di deprivazione
supera il 23%, il doppio rispetto ai nati in Italia. Anche la condizione
abitativa gioca un ruolo cruciale: vivere in affitto a prezzi di mercato aumenta
sensibilmente il rischio di rinunce legate al cibo. Nel 2023, il 15,6% delle
famiglie italiane – oltre 4 milioni di nuclei – ha speso per l’alimentazione
meno della media nazionale, risultando così in condizione di povertà alimentare
relativa (a rischio di povertà alimentare).
Permane anche per la deprivazione alimentare materiale o sociale l’estremo
divario tra Nord e Sud. Nel Nord il 7,6% di individui è in stato di
deprivazione, a Sud questi sono il 18,2% e al Centro sono invece il 10,7%. Le
condizioni di forte svantaggio economico, l’assenza di servizi e la difficoltà
nel reperire magari le risorse utili per una condizione di benessere minimo
delineano una frattura profonda e persistente tra le aree del Paese. Sul totale
della popolazione nazionale in stato di deprivazione, il 52% delle persone in
questa condizione si trova nel Sud. “Questa non è soltanto una fotografia
dell’attuale distribuzione della povertà, si legge nel Rapporto, ma rappresenta
l’effetto cumulativo di disuguaglianze strutturali e storiche: accesso al lavoro
stabile, qualità dei servizi pubblici (sanità, istruzione, trasporti),
infrastrutture carenti e minori opportunità di mobilità sociale. Mentre il Nord
beneficia di un tessuto produttivo più solido, di una rete di welfare locale più
strutturata e di una maggiore accessibilità a servizi e opportunità, il Sud
sconta ancora oggi un ritardo sistemico, che alimenta un circolo vizioso:
povertà materiale che si traduce in povertà educativa e sanitaria, che a sua
volta limita le possibilità di uscita dalla condizione di bisogno Italia”.
“Oggi, in Italia, manca ancora un quadro strategico condiviso per affrontare la
povertà alimentare in modo organico e strutturale, si sottolinea nel Rapporto di
ActionAid. Sebbene la misurazione del fenomeno rappresenti un passo avanti,
permangono ampi margini di miglioramento. Inoltre, essa non risulta ancora
pienamente integrata nei processi decisionali né nelle politiche e programmi di
contrasto. In questo quadro, rafforzare l’assistenza alimentare è importante, ma
non può rappresentare l’unico asse d’intervento. (…) Per affrontare davvero la
povertà alimentare serve dunque una visione sistemica, capace di tenere insieme
misurazione, ascolto, co-progettazione e trasformazione. È tempo di superare
l’idea che la povertà alimentare sia una mera emergenza o una responsabilità del
solo terzo settore. Riconoscerla come problema strutturale vuol dire farne una
priorità politica, aprire spazi di confronto e costruire risposte che non
gestiscano solo il bisogno, ma ne affrontino le cause”. ActionAid propone alcune
raccomandazioni di policy volte a rafforzare le risposte alla povertà
alimentare, da parte tanto delle istituzioni quanto della società civile:
rivedere e adattare gli strumenti di misurazione; rendere la mensa scolastica un
servizio pubblico essenziale e garantito; innovare le risposte oltre la logica
dell’assistenza; promuovere studi qualitativi e partecipati sul fenomeno.
Qui per scaricare il Rapporto:
https://www.actionaid.it/poverta-alimentare-crisi-diffusa/.
Giovanni Caprio