Le mani israeliane sul Porto di Fiumicino
Nel silenzio dei cantieri e delle carte ministeriali, il progetto del nuovo
porto crocieristico di Fiumicino prende forma. Un’infrastruttura che promette
sviluppo e turismo, ma che rischia invece di aprire la costa romana a un
intreccio di interessi economici e geopolitici molto più ampi di quanto appaia.
Dietro le vetrine scintillanti della compagnia Royal Caribbean, partner centrale
dell’operazione, emerge infatti una rete di capitali che dal Mediterraneo
conduce fino a Israele e ai grandi fondi d’investimento globali.
DALLE COSTE DI HAIFA A FIUMICINO
Nell’agosto 2022 Royal Caribbean ha inaugurato le operazioni di homeport da
Haifa con la Rhapsody of the Seas, inserendo Israele tra i porti di partenza dei
propri itinerari mediterranei. Solo dopo l’ennesima escalation in Medio Oriente,
la compagnia ha annunciato la cancellazione delle crociere israeliane per il
2024. Ma il legame economico e politico resta: dentro il consiglio di
amministrazione e tra gli azionisti principali di Royal Caribbean figura la
famiglia Ofer, una delle dinastie israeliane più potenti nel settore navale e
finanziario.
LA FAMIGLIA OFER: DAGLI ARSENALI ALLA FINANZA GLOBALE
Eyal M. Ofer, membro del board dal 1995, ha servito come ufficiale
dell’intelligence nell’aviazione israeliana dal 1967 al 1973, detiene una
partecipazione significativa attraverso i propri veicoli finanziari. Insieme al
fratello Idan, eredita l’impero costruito dal padre Sammy Ofer, ex ufficiale
della Marina israeliana che partecipò alla guerra arabo-israeliana del 1948 —
quella che i palestinesi chiamano Nakba. Negli anni del dopoguerra Sammy Ofer
contribuì all’espansione della flotta mercantile e della cantieristica
israeliana, settori strategici per la difesa nazionale. Da lì nacque una
galassia industriale che si estende oggi dallo shipping all’energia, fino alla
finanza immobiliare globale. Oggi gli Ofer vivono, con residenze fiscali in
località offshore, tra Monaco, Londra e Guernsey, ma restano centrali nei
circuiti economici legati a Israele e ai mercati finanziari mondiali.
IL CAPITALE DEI FONDI GLOBALI
Accanto alla famiglia Ofer, l’azionariato di Royal Caribbean è dominato da
colossi come Vanguard, BlackRock, Capital Research e State Street. Come ricorda
la relatrice ONU Francesca Albanese, fondi come Vanguard e BlackRock canalizzano
miliardi di dollari verso società e titoli di Stato coinvolti direttamente o
indirettamente nell’occupazione dei territori palestinesi. Vanguard, in
particolare, detiene circa il 10% delle quote di Royal Caribbean, consolidando
un legame diretto tra la finanza speculativa globale e l’economia di guerra che
sostiene l’apartheid israeliano.
LE OMBRE GIUDIZIARIE
La famiglia Ofer è stata coinvolta in una lunga serie di controversie
internazionali:
* Iran-gate (2010–2011): inchieste parlamentari e mediatiche hanno documentato
rapporti commerciali di società riconducibili agli Ofer con l’Iran, in
violazione di sanzioni internazionali.
* Pandora Papers: i documenti hanno rivelato una rete di veicoli offshore
riconducibili a Eyal Ofer, con sedi nelle Isole Cayman e Vergini Britanniche.
* Contenziosi immobiliari: Eyal Ofer è stato coinvolto in dispute legali su
proprietà di lusso, tra cui la vendita dell’hotel NoMad, oltre a diverse
cause civili nel settore finanziario.
* Zodiac Maritime, compagnia legata alla famiglia, è stata citata in numerosi
report (Lloyd’s List, Reuters, Guardian, AP) riguardanti attacchi e sequestri
di navi “israel-affiliated” nello Stretto di Hormuz e nel Mar Rosso, con
implicazioni geopolitiche dirette.
* Royal Caribbean e le class action in Israele: la compagnia ha comunicato
ufficialmente la chiusura, il 26 gennaio 2025, di una class action presso il
Tribunale Distrettuale di Haifa (caso n. 58120-05-21), con la concessione di
un on-board credit di 50 dollari per i membri della classe.
* Altri procedimenti civili internazionali riguardano responsabilità per
incidenti a bordo e violazioni della privacy, inclusi casi di telecamere
nascoste in cabine.
UN MODELLO DA RIFIUTARE
Dietro il progetto del porto di Fiumicino si disegna dunque un modello di
sviluppo che combina turismo di lusso, finanza globale e militarizzazione del
mare. Un modello che molti sul litorale stanno già contestando, con una forte
accellerazione da quando a marzo 2025 hanno recintato l’aria dei bilancioni.
Dalla mobilitazione per la Palestina del 14 settembre a Fiumicino, fino al
corteo del 5 ottobre a Ostia, dove le realtà della costa hanno sfilato dietro
uno striscione comune per Gaza e sono intervenute contro le speculazioni sul
mare, il legame tra resistenza locale e solidarietà internazionale è ormai
evidente: la lotta per la liberazione della Palestina passa anche da qui, dalle
coste del litorale romano.
Dire NO AL PORTO DI FIUMICINO non è solo una battaglia ambientale o urbanistica:
è un atto di rifiuto verso un’economia di guerra travestita da sviluppo
sostenibile. È un modo per dire che il mare non si compra, non si svende, e
soprattutto non si bombarda.
La copertina è di Patrizia Montesanti
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