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Le “paginette” di Renato che ci coinvolgono tutt3
Oggi pomeriggio, sarà presentato al Laboratorio A. Ballarò di Palermo, il libro di Renato Franzitta, appena uscito per i tipi di Multimage, “La scelta di parte.” Riportiamo qui alcuni stralci dall’introduzione dell’autore e dalla prefazione Dai non fare “u lagnuso” (pigro, ndR) scrivi i tuoi ricordi. Dai che poi la memoria si perde, è bene che di certi periodi resti qualcosa di nero su bianco, siediti alla tastiera, comincia a scrivere. Sollecitato più volte (da anni) da compagne e compagni che fanno parte della mia esistenza, ho deciso di scrivere alcune paginette per delineare un percorso di vita che mi colloca in quella schiera di individui che in modo tenace portano avanti l’idea che il Mondo in cui viviamo non sia l’unico possibile, ma che anzi si possa vivere per cercare di costruire un Mondo nuovo privo di violenza, sopraffazione e interesse privato, un Mondo nuovo senza sfruttati né sfruttatori, dove giustizia sociale, fratellanza, uguaglianza, felicità, rispetto delle persone e della natura siano i cardini del vivere civile. Tanti e tanti anni sono trascorsi da quel lontano e mitico 1968, anno emblematico che ha cambiato il corso della vita a molti di noi e che ha contribuito a dare un grosso scossone alla società perbenista e ingessata di quel tempo. Cambiamenti epocali che hanno modificato la società, il costume, i rapporti sociali. Un vortice impetuoso ha attraversato un’intera generazione che con grande entusiasmo ha profuso tantissima energia per modificare in modo libertario il mondo che ci circonda. Da allora tanto è cambiato, tanti flussi e riflussi, fino al momento storico attuale che fa apparire i ricordi di quei giorni lontani anni luce e a volte difficilmente leggibili con il metro con cui si misura la realtà attuale. Ho iniziato giovanissimo ad interessarmi al Mondo che ci circonda e con grande entusiasmo ho unito la mia ricerca del cambiamento con tante e tanti che ho incontrato strada facendo e che avevano l’idea precisa di lottare contro le tirannie, la sopraffazione, l’egoismo, il conformismo. Non sempre è stato facile andare avanti. Tanti ostacoli posti dal Sistema, tanti steccati alzati per isolarci, tanta violenza per farci desistere, tanti compagni di avventure persi o addirittura passati dall’altra parte della barricata. Ma io (con molti altri) sono ancora qui a raccontare per sommi capi tante vicissitudini che ho vissuto e che rappresentano lo specchio di un’intera generazione. […] Il titolo che ho dato a questo lavoro “La scelta di parte” per me è significativo nell’indicare “la parte precisa” dove mi sono schierato senza se e senza ma, “una scelta” che segna una profonda linea rossa che collega i miei ricordi. A questi ho allegato un paio di scritti e alcuni articoli pubblicati negli ultimi tempi per dare una sommaria idea del mio pensiero e della mia militanza nell’area antagonista e libertaria palermitana. Questo mio lavoro non vuole essere esaustivo, ma può contribuire a dare una chiave di lettura su ciò che è stata una componente del Movimento anticapitalista nella mia città dai primissimi anni ‘70. Istruttiva per chi non ha vissuto quel periodo e utile per dare degli spunti di riflessione, e, perché no, rinverdire i ricordi per chi c’era, sia come spettatore, sia come protagonista diretto.  […]  Renato Franzitta   Una sera come tante al Laboratorio Ballarò (che prende il nome non dal quartiere storico di Palermo ma da un compagno dei Cobas che ci ha lasciati troppo presto) chiacchieravamo attorno a una bottiglia di vino e strimpellavamo le chitarre. A dire il vero, non una sera come tante, ma una delle rare sere in cui non c’erano attività: né cineforum né concerti o presentazioni di libri o letture di poesie o assemblee no-guerra e no-muos né seminari del caffè filosofico intitolato ad un altro compagno che non c’è più, il filosofo contadino Beppe Bonetti. Insomma eravamo lì, quando, con non so quale pretesto, Renato iniziò a raccontare episodi delle lotte politiche cittadine degli anni Settanta. Nella sua narrazione emergevano memorie avvincenti: si ridestavano entusiasmi e passioni sopite, ma soprattutto si salvaguardavano pezzetti di microstoria altrimenti destinati a perdersi. “Dovresti scriverli” mi scappò di suggerirgli. Detto fatto: Renato si mise all’opera, io rileggevo convinta incoraggiandolo a continuare, Multimage fece il resto ed ecco qui il “libricino” che avete fra le mani. Rivestirà un qualche interesse anche per chi palermitano non è? Credo di sì, perché dà conto di un’epoca e di una generazione con le sue convinzioni forti e le altrettanto forti contraddizioni, con i suoi interrogativi che ancora ci sollecitano, e perché il suo scenario si allarga a Comiso, a Roma, a Genova, alla Francia, al Kurdistan, dal Sessantotto alla lotta contro i missili nucleari, dal movimento no-global coi “fatti di Genova 2001” alla costruzione del sindacalismo di base non concertativo, dai centri sociali ai circoli Arci. […] C’è una questione che attraversa la sua come le nostre vite, quella della nonviolenza. Nel resoconto degli scontri con le forze armate e con i gruppi neofascisti, così frequenti purtroppo soprattutto negli anni Settanta, trapela una certa soddisfazione quando l’autore ci confessa “gliele abbiamo date di santa ragione”. Eravamo ragazzi allora e sempre molto agguerriti; cantavamo “Contessa”, anche se poi non “impugnavamo mai (o quasi mai…) il martello né picchiavamo con quello”. Eppure il rovello dell’uso della violenza esisteva: perché il sangue versato nella “sporca guerra” del Vietnam era deplorevole, mentre quello sparso nelle rivoluzioni, come nei “Cento Fiori” cinesi, era giusto e necessario? È il fine che giustifica i mezzi? Ma come può un fine nonviolento consacrare la violenza? Doveva passare ancora qualche anno perché leggessimo Gandhi e Lanza Del Vasto, scoperti insieme alle filosofie orientali sulla scorta di Kerouac e Ginsberg, Dylan e Joan Baez. E fu una chiarificazione e una illuminazione indispensabile. Ma venne il Settantasette: il movimento studentesco, esacerbato dalla crisi economica e dal clima arroventato e repressivo scatenato dalle istituzioni con “la strategia degli opposti estremismi” si spaccò tra l’altro sulla questione della violenza, indiani metropolitani (che scelsero l’arma dell’ironia: “una risata vi seppellirà”) e autonomia operaia (che nei cortei a dita nude faceva il gesto della P38). Complesso investigare (andrebbe fatto, ma non si può certo pretendere di farlo qui) sulla deriva della lotta armata. In troppi amici e fratelli finirono in clandestinità, mentre altri, delusi, li inghiottì l’eroina. Il racconto di Renato – e il suo impegno – però proseguono: a Comiso con Pio La Torre, contro la mafia e contro i missili nucleari, nella creazione dei Cobas della scuola a livello nazionale, contro la globalizzazione e il neoliberismo a Genova nel 2001, nel centro culturale Malausséne e infine al Laboratorio. Sono tutte strade che denunciano e rifiutano la violenza, il militarismo, lo Stato di polizia. E poi c’è il Kurdistan, che raggiunge in frequenti viaggi, dai quali riporta la fertilissima esperienza del confederalismo democratico del Rojava e del villaggio delle donne del movimento “Donna Vita Libertà”. Di tutto questo, inoltre, egli dà conto nei suoi articoli, che sono raccolti nella seconda parte del libro, scritti per Umanità Nova, lo storico giornale degli anarchici fondato da Errico Malatesta, per la rivista dei Cobas e per Pressenza.com. […] Ciò che li contraddistingue – specie quelli che ricostruiscono pagine della storia del fascismo e dell’antifascismo e quelli sull’industria delle armi – è una rigorosa documentazione, frutto di paziente ricerca esitata in un rendiconto puntuale e scientificamente corroborato di dati e notizie, un vero serbatoio per la controinformazione, da cui emerge ancora un altro aspetto della personalità di Renato Franzitta, l’abito dello studioso e del docente di matematica e scienze, quale è stato per un quarantennio. Daniela Musumeci       Redazione Palermo
Dalla Piazza Carlo Giuliani di Genova un forte invito a non mollare
Una Piazza Alimonda affollata ieri come non mai si è ritrovata per ricordare come ogni anno quelle tragiche giornate di 24 anni fa. E quest’anno, più che mai, la tre giorni di Genova non è stata solo un modo Per Non DimentiCarlo, ma l’occasione per riflettere sullo stato di erosione, sul vero e proprio attacco sferrato nel corso degli anni alla nostra già fragile democrazia: “dallo stato sociale minimo allo stato penale massimo” come in estrema sintesi aveva detto Italo Di Sabato (Osservatorio Repressione) in occasione della presentazione del suo ultimo libro, solo due giorni prima. Come per le scorse edizioni infatti, il programma della tre giorni concepito dal Comitato Piazza Carlo Giulini si è inaugurato già da venerdì pomeriggio, con un dibattito in forma di presentazione di ben quattro libri, alla  Sala Vik di Music For Peace e i quattro titoli erano tutti molto “in tema”:  Carcere ai Ribell3. Storie di attivist3 (Ed. Multimage APS, a cura di Nicoletta Ouazzene), Police Abolition. Corso di base sull’abolizione della Polizia (Momo Edizioni, di Italo Di Sabato e Turi Pulidda), oltre ai due romanzi di Francesco “Baro” Barilli E non fummo più ragazzi (Red Star Press) e Il silenzio di Sabina (Momo Edizioni). E inevitabilmente l’incontro con e tra gli autori, ottimamente orchestrato dal conduttore Luca Greco, e’ stato un modo per fare il punto sulla realtà delle nostre piazze, centri sociali o anche solo canali social, luoghi di riunione, manifestazioni di dissenso, dopo il G8 di Genova: con la “panpenalizzazione” del conflitto imposta dai sempre più draconiani decreti-sicurezza, e la globalizzazione della guerra che solo apparentemente sigla il tramonto della globalizzazione dei mercati, che mentre si aggrava la deriva bellicista su tutti i possibili fronti. Al bel dibattito con apericena di venerdì 18 luglio a Music For Peace e’ seguita il giorno dopo l’apericena con film al Centro Sociale Pinelli, oasi di verde ad alta concentrazione di cicale nel quartiere San Gottardo: e il film in programma era Portuali, che la giovane regista Perla Sardella si è trovata a presentare purtroppo senza gli attivisti del C.A.L.P. (Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova) che in questi giorni sono impegnati in riunioni no stop. Gli scioperi contro le “navi delle armi” tra il 2019 e il 2023, e la ricerca di un sindacato più sensibile alle istanze del presente. La sicurezza sempre più incerta e precaria sul posto di lavoro. Il corale e individuale impegno di antimilitarismo, il dialogo con gli altri portuali del Mediterraneo, l’aspirazione di contribuire a un mondo diverso, il prezzo che tutto questo comporta: un pezzo di resistenza attiva contro un mondo sempre più in armi, che Perla Sardella è riuscita a registrare, condividendo per mesi le lotte dei protagonisti. Ed eccoci arrivati alla giornata di ieri, domenica 20 luglio, dalle ore 14,30 fino a sera a Piazza Alimonda. Come ogni anno il lungo pomeriggio si è inaugurato con la rassegna delle tesi vincitrici del Bando per Borse di Studio indetto dal Comitato Piazza Carlo Giuliani: quest’anno i premi del Comitato Piazza Carlo Giuliani sono andati a Giulia Carati (con una tesi magistrale in focus sulle analogie delle uccisioni di Francesco Lorusso a Bologna e Carlo Giuliani a Genova), Mattia D’Incecco e Andrea Campodonico (entrambi in corsi di laurea triennali) e Michelangelo Pistilli (V superiore). Tutti loro all’epoca dei fatti di Genova. Non erano ancora nati o erano proprio piccolissimi. A seguire gli interventi di Rete Kurdistan, Mamme in piazza per la libertà di dissenso di Torino, Mamme per Roma Città Aperta, Associazione Culturale Liguria Palestina, Osservatorio Repressione, Amnesty Liguria e particolarmente applaudito l’appassionato contributo di Nicoletta Dosio circondata dai compagni e dalle bandiere del Movimento NoTav. “La nostra partecipazione a quei giorni del G8, insieme al variegato mondo del Movimento NoGlobal, segnava non certo la nascita del nostro movimento, perché già da anni eravamo consapevoli delle conseguenze devastanti della “grande opera”, e quindi in lotta; ma in un certo senso quella era la prima volta che ci presentavamo con le nostre bandiere, con il nostro logo che era nato da poco… (…) E oggi a distanza di anni siamo qui per dirvi che non possiamo arrenderci, che tutte e tutti dobbiamo ritrovare fiducia nelle ragioni della nostra lotta.” Molto belli, a tratti commoventi, gli interventi sonori di Alessio Lega, Luca Lanzi, Contratto Sociale di Gnu-Folk, Pietro Amico, I Professori, Marco Rovelli, Renato Franchi e l’Orchestrina del Suonatore Jones, oltre che dei musicisti di Viva Viva Palestina che hanno accompagnato l’emozionante intervento poetico di Biancamaria Furci. Infine la mostra “Genova 2001, una ferita aperta”, esposta sulla cancellata di Piazza Alimonda risultato dei Laboratori di fotografia sociale condotti da Giulio Di Meo, che riportano lo sguardo sui luoghi simbolo delle proteste del G8: da via Tolemaide alla scuola Diaz, passando per i muri segnati da scritte, targhe, murales e volti che continuano a parlare di Carlo Giuliani. La fotografia diventa così uno strumento di memoria attiva, capace di cogliere le tracce ancora vive di quei giorni nelle pieghe della città e nell’umanità di chi la abita. Ancora una volta, dopo 24 anni: Per Non Dimenticarlo. Daniela Bezzi