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“Anatomia di un fascismo” in scena a Roma dal 25 al 30 novembre, e poi in tour
“Che cos’è il fascismo? È un camuffamento, si nutre di paura, risponde alla paura con la violenza”: la voce e l’intensa interpretazione di Ottavia Piccolo ripercorre la vicenda esistenziale e politica di Giacomo Matteotti e l’ascesa di un fenomeno che non cessa di essere attuale. Quello di Ottavia Piccolo non è un monologo, ma un dialogo costante con I Solisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo, che intorno all’attrice si muovono, l’accompagnano, l’abbracciano. E ancora i video realizzati da Raffaella Rivi, che danno luce e consistenza alle frasi più significative. Un abile intreccio di musica (firmata da Enrico Fink) e parole, costruito e guidato dalla regia di Sandra Mangini, scritto da Stefano Massini, Matteotti – Anatomia di un fascismo è uno spettacolo che guarda al passato per meglio comprendere il presente, non solo attraverso le lenti della storia, ma con un appassionato ritratto di un uomo dal sangue caldo che qualcuno aveva soprannominato ‘Tempesta’. Ripercorre l’ascesa e l’affermazione di quel fenomeno eversivo che Matteotti seppe comprendere, fin dall’inizio, in tutta la sua estrema gravità, a differenza di molti che non videro o non vollero vedere. Il pericolo più grande, la malattia che fa morire un uomo è quella che non senti crescere. Matteotti li riconobbe: quelli che al caffè dietro il Duomo, a Ferrara, ordinavano il “celibano” perché non lo sapevano che “cherry-brandy” è inglese; quelli che dicevano di riportare ordine nel disordine, perché il fascismo ha assoluto bisogno di sentirsi in pericolo, di attaccare per non essere attaccato; quelli che, d’un tratto, sfilarono in migliaia dietro al Contessino Italo Balbo e si presero l’Italia intera. Giacomo Matteotti – l’oppositore, il pacifista, lo studioso, l’amministratore, il riformista, il visionario – prese la parola, pubblicamente e instancabilmente, nei suoi molti scritti e nei suoi moltissimi discorsi: una parola chiara, veritiera, fondata sui fatti, indiscutibile. Una parola che smaschera. Per questo fu ucciso all’età di 39 anni. La persistenza di questo stesso fenomeno, nel tempo e nello spazio, in forme vecchie e nuove, ci porta a considerare quanto sia indispensabile, oggi più che mai, occuparsi della cosa pubblica, del bene pubblico, guidati da un pensiero costruttivo, legalitario, partecipativo, paritario, realistico, competente, attraverso atti e parole chiare, come quelle di Giacomo Matteotti e di sua moglie Velia: sono le parole della regista Sandra Mangini. Lo spettacolo è prodotto da Argot Produzioni e Officine della Cultura in coproduzione con Fondazione Sipario Toscana Onlus – La città del Teatro, Teatro delle Briciole – Solares Fondazione delle Arti e Teatro Stabile dell’Umbria con il contributo del Ministero della Cultura e della Regione Toscana. Nasce da un testo di Stefano Massini, per la regia di Sandra Mangini, con i video di Raffaella Rivi e le musiche di Enrico Fink. I Solisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo sul palco sono: Massimiliano Dragoni (hammer dulcimer, percussioni), Luca Roccia Baldini (basso), Massimo Ferri (chitarra), Gianni Micheli (clarinetto e basso), Mariel Tahiraj (violino), Enrico Fink flauto (ewi). La scena è di Federico Pian, le luci di Paolo Pollo Rodighiero, i costumi sono a cura di Lauretta Salvagnin. Il vestito di Ottavia Piccolo è realizzato da La sartoria – Castelmonte onlus, il tecnico delle luci è Emilio Bucci. Il coordinamento tecnico è di Paolo Bracciali, l’organizzazione di Stefania Sandroni e in amministrazione c’è Rossana Zurli. Il fonico è Vanni Bartolini e il macchinista Lucia Baricci. Lo spettacolo debutta a Roma nel Teatro Vittoria, dove è in scena da martedì 25 a domenica 30 novembre (ogni sera alle ore 21 tranne mercoledì 26 novembre alle ore 17 e domenica 30 novembre alle ore 17,30 – biglietti). Un lungo tour attraversa le principali città italiane – tra cui Parma, Ivrea, Udine, Firenze – e prosegue fino ad aprile. La durata dello spettacolo è di 70 minuti.   MATTEOTTI – ANATOMIA DI UN FASCISMO A Roma – Teatro Vittoria: * Martedì 25 novembre: ore 21 * Mercoledì 26 novembre: ore 17 * Giovedì 27 novembre: ore 21 * Venerdì 28 novembre: ore 21 * Sabato 29 novembre: ore 21 * Domenica 30 novembre: ore 17,30 prossime date del TOUR 2025-2026 * 3 dicembre : Gallarate – Centro Culturale del Teatro delle Arti * 4 dicembre : Varzo – Teatro Alveare * 5 dicembre : Concordia – Teatro del Popolo * 6 dicembre : Modigliana – Teatro dei Sozofili * 8 dicembre : Parma – Teatro del Cerchio * 9 dicembre : Mondovì – Teatro Baretti * 10 dicembre : Ciriè – Teatro Magnetti * 13 gennaio  : Tortona – Teatro Civico * 14 gennaio : Omegna – Teatro Sociale * 15 gennaio : Ivrea – Teatro G. Giacosa * 16 gennaio : Savigliano – Teatro Milanollo * 27 gennaio : Ferrara – Teatro Comunale * 28 gennaio : Stradella – Teatro Sociale * 29 gennaio : Pinerolo – Teatro Sociale * 4 febbraio : Alghero – Teatro Civico * 5 febbraio : Tempio Pausania – Teatro del Carmine * 4 marzo Udine : Teatro Nuovo Giovanni da Udine * 5 marzo : Camponogara (Venezia) – Teatro Comunale Dario Fo * 6 marzo : Mercato Saraceno – Teatro Dolcini * 21 marzo : Polistena – Auditorium Comunale * 22 marzo : Filadelfia – Auditorium Comunale Filadelfia * 25 marzo : Livorno – Teatro Goldoni * dal 26 al 29 marzo : Ravenna – Teatro di Tradizione Dante Alighieri * 15 aprile : Rosignano – Teatro Solvay * dal 16 al 18 aprile : Firenze – Teatro della Pergola * 19 aprile : Narni – Teatro Comunale Giuseppe Manini * 23 aprile : San Stino di Livenza – Teatro R. Pascutto     Redazione Italia
Scegliere la pace. A 80 anni da Hiroshima e Nagasaki
Come 80 anni fa quando Hiroshima e Nagasaki cambiarono (avrebbero dovuto cambiare) il corso della storia la scelta a cui ci troviamo di fronte è quella tra pace e guerra. Il contrasto tra pace e guerra è antico e senza rimedio e la lotta alla guerra oltre che politica è di natura morale, ha un valore religioso, è un problema di stile. Quella tra la pace e la guerra è una scelta antropologica, esistenziale, assoluta, insanabile. La scelta tra pace e guerra non è più rinviabile nel nuovo mondo in cui siamo (stati) precipitati. Un mondo insanguinato in cui i potenti e gli inermi (almeno una parte se non la maggior parte), rovesciando il senso dell’articolo 11 della Costituzione, non “ripudiano” la guerra, anzi la considerano un “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, uno strumento di difesa e di affermazione della libertà. Contrariamente allo spirito dei tempi, le ragioni per cui scegliamo la pace sono e rimangono esattamente le stesse per le quali dopo la svolta atomica ripudiamo la guerra. Con la svolta atomica, che è stata tale nella storia delle idee ma stenta a divenire tale nella realtà, muta radicalmente sia la natura della guerra sia il significato della storia. Dopo la svolta, la guerra è diventata (avrebbe dovuto diventare) un mezzo inadeguato a raggiungere ogni fine. Se ci domandiamo: «Qual è il fine ultimo della storia?», ebbene la guerra nucleare — ecco il punto decisivo — priva di senso sia la vita dell’umanità intera sia la vita dei singoli. Se la storia è destinata a culminare nell’autodistruzione dell’uomo, se la meta non è un fine ma la fine ha ancora un senso la storia? Se finora il compito della cultura è stato quello di giustificare la guerra, il nostro compito oggi è quello di giustificare la pace “ingiustificando” la guerra. Se lo scopo della cultura anche nelle sue espressioni più alte finora è stato la razionalizzazione del corso storico dell’umanità, il nostro compito oggi è la dimostrazione del’assurdità della guerra. Le ragioni per scegliere la pace sono simmetricamente opposte a quelle per “ripudiare” la guerra 1. la guerra non serve al progresso morale; 2. la guerra non serve al progresso civile; 3. la guerra non serve al progresso tecnico. Intendendo la guerra sia nel senso di «guerra atomica» sia nel senso generico di «guerra convenzionale». Alla luce delle guerre fin qui combattute, le giustificazioni della guerra non si rivelano assurde quando la guerra viene combattuta sia con le armi atomiche sia con le armi tradizionali? Scegliamo la pace e ripudiamo la guerra perché sia la guerra atomica sia la guerra convenzionale non servono al progresso morale. Che la guerra tradizionale sia mai servita al progresso morale dell’umanità è sempre stato quanto meno dubbio. Quanto alla guerra atomica, particolarmente emblematica è la parabola del maggiore Claude Eatherly, il pilota di Hiroshima. A poco a poco Eatherly si rende conto di non essere un eroe ma qualcosa tra un campione sportivo e un automa e scopre di essere un semplice ingranaggio di un’immane macchina di morte. L’immagine della guerra “fecondatrice di virtù sublimi” viene completamente rovesciata. La guerra atomica è scandalosa, subdola, è il più grave delitto contro l’umanità. Come osserva Norberto Bobbio, “al posto dell’immagine hegeliana del vento sulla palude subentra quella, più appropriata, della tempesta sul fragile raccolto”[1]. Scegliamo la pace e ripudiamo la guerra perché sia la guerra atomica sia la guerra convenzionale non servono al progresso civile. A ben guardare l’idea che la guerra potesse servire al progresso civile era già andata in crisi con l’affermarsi della teoria che non è la guerra ma lo scambio e la comunicazione pacifica tra i popoli il più potente mezzo di unificazione del genere umano. Ora una simile teoria è diventata improponibile con la prospettiva della guerra atomica. Quale mondo seguirà alla catastrofe atomica? Dopo la catastrofe avremmo un mondo più unificato o più frantumato, disarticolato, scisso? La novità della nuova guerra rende impossibile ogni previsione di quel che sarà dopo, mette in discussione l’idea che la storia abbia una direzione e un fine razionale, “smentisce la stessa teoria del progresso in tutte le sue forme”: “da quando la guerra atomica è entrata nella storia dell’umanità come evento possibile, il progresso non è più garantito”[2]. Scegliamo la pace e ripudiamo la guerra perché sia la guerra atomica sia la guerra convenzionale non servono al progresso tecnico. A questa tesi si potrebbe obiettare che dalla guerra a lungo preparata, e per fortuna non combattuta militarmente dalle due grandi potenze, poi conclusasi con la sconfitta e il tracollo di uno dei due contendenti e l’implosione dell’ordine internazionale, sia venuto un contributo innegabile allo sviluppo tecnico. Si pensi solo alle nuove scoperte scientifiche e all’aumento della potenza distruttiva degli armamenti. Ma, e questa è una contro obiezione di fondo, nella valutazione del rapporto tra la guerra e il progresso tecnico non si può disgiungere il problema dei mezzi da quello dei fini. Si profila così una alternativa drammatica: da un lato lo sviluppo tecnico, dall’altro lo sviluppo morale che sarebbe compromesso inevitabilmente attraverso “il progressivo aumento di probabilità di una guerra sterminatrice come conseguenza del progressivo sviluppo tecnico guidato da scopi di guerra”[3]. Come di fronte a ogni alternativa a un certo momento bisogna scegliere. Le amiche e gli amici della nonviolenza si mettono “dalla parte di chi lavora per la formazione di una coscienza atomica” e credono che “questo momento sia già arrivato”[4]. Le ragioni dell’obiezione di coscienza alla guerra mantengono intatte la loro vitalità e attualità: dal punto di vista di un nuovo illuminismo, consapevole dei limiti e anche dei soprusi della ragione, l’obiezione di coscienza è un rinnovato appello alla ragione e un’affermazione del valore perenne della dignità della coscienza individuale; dal punto di vista di un’idea della democrazia intesa come un processo di ridefinizione permanente l’obiezione di coscienza è contrasto alla dittatura e apertura all’omnicrazia (potere di tutti); dal punto di vista del pacifismo, s’intende un pacifismo critico, né moralistico né ideologico, l’obiezione di coscienza è rifiuto della rassegnazione e non accettazione dell’ineluttabilità della guerra. Il nostro pacifismo non è l’adesione a un’ideologia ma è “una questione d’istinto”, “qualcosa di più ampio, così connaturale con noi che potremmo definirlo fisiologicamente innato” (estendo qui la contrapposizione che Gobetti stabilisce tra fascismo e antifascismo a quella tra bellicismo e pacifismo)[5]. Con Giacomo Matteotti, sentiamo che così come per il fascismo per “combattere utilmente” la guerra bisogna “opporgli esempi di dignità con resistenza tenace. Farne una questione di carattere, di intransigenza, di rigorismo”[6]. La nostra opposizione alla guerra è così radicale che ci rifiutiamo di prendere in considerazione i programmi e le vie militari che vengono presentati come mezzi per la pace. Concepiamo il nostro impegno nonviolento come una azione morale che ha la sua ragione in sé prima ancora che nel suo affermarsi. Se non è già troppo tardi.   [1]N. Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna 1979, p.76. [2] Ivi, p.77. [3] Ibidem. [4] Ibidem. [5]  P. Gobetti, Elogio della ghigliottina, RL, a. I, n. 34, 23 novembre 1922, p. 130; SP, p. 432. Ripreso in in Id., La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, Cappelli, Bologna, 1924. Cito dall’edizione a cura di Ersilia Alessandrone Perona, con un Profilo di Piero Gobetti di Paolo Spriano, Einaudi, Torino, 1983 è stata poi ripresa con un saggio di Paolo Flores d’Arcais, Einaudi, Torino,1995, p. 165. [6] P. Gobetti, Matteotti, RL , a. III, n. 27, 1 luglio 1924, p. 103; poi in volume Piero Gobetti Editore, Torino 1924, pp. 28 e 32, ora, con la postfazione di M. Scavino, Edizioni Storia e Letteratura, Roma 2014. Mi permetto di rinviare al lavoro che mi è stato affidato da Goffredo Fofi: G. Matteotti, Questo è il fascismo, con uno scritto di Piero Gobetti, a cura di Pietro Polito, e/o, Roma 2022 Vedi le raccolte di scritti di Matteotti: . Contro ogni forma di violenza, a cura di Davide Grippa, Einaudi, Torino 2024 e Contro la guerra, contro la violenza, prefazione di Tomaso Montanari, eDimedia, Firenze 2025. Per una critica contemporanea del fascismo: Michel Foucault, Introduzione alla vita non fascista, Feltrinelli, Milano 2025.   Pietro Polito
Roma: profanata la lapide di Giacomo Matteotti
Riceviamo e pubblichiamo dall’ANPI di Roma Appresa da fonti di stampa la notizia, il comitato provinciale dell’ANPI di Roma condanna con forza l’accaduto in attesa che le indagini delle forze dell’ordine chiariscano la dinamica e individuino gli autori del gesto che, come al solito, agiscono nel buio. Non è la prima volta che viene profanata la memoria di Giacomo Matteotti. Evidentemente il suo fiero coraggio, la sua granitica fede democratica e antifascista, la sua immensa statura politica e la specchiata integrità morale gettano nel panico e nel discredito ancor oggi il fascistume abietto. E non è un caso che abbiano preso di mira la lapide che riporta la sua frase: ”Uccidete pure me, ma l’idea che è in me non l’ucciderete mai”, che Matteotti pronunciò nel discorso del 30 maggio 1924 – pochi giorni prima di essere rapito – alla Camera dei Deputati, per denunciare brogli e violenze fasciste. Siamo per il resto fiduciosi nel rapido ripristino della lapide. Redazione Italia