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La finta imparzialità della valutazione: le reti che governano la ricerca italiana
Dietro la facciata neutrale delle regole formali, i panel VQR in area economica mostrano legami fitti e opachi, dominati da gruppi accademici vicini all’università Bocconi. L’analisi di rete svela che le nomine operate direttamente dai consigli direttivi di ANVUR nelle prime due VQR dettero luogo a strutture chiuse e autoreferenziali, a differenza della terza VQR quando il panel venne sorteggiato. Con la VQR in corso si è tornati indietro: ANVUR ha ripreso il controllo diretto dei panel, nominando un quarto dei membri, e riaprendo la porta a bias e conformismo. La valutazione della ricerca soffoca il pluralismo e rafforza le gerarchie accademiche consolidate. Da anni una questione agita il mondo accademico senza trovare la dovuta attenzione politica: la composizione dei panel di valutazione della ricerca. C’è una grande attenzione formale al rispetto di regole di composizione dei panel in termine di genere, provenienza geografica o appartenenza a settori scientifico disciplinari. Il rispetto di questi attributi ‘formali’ fa apparire bilanciate, composizioni dei panel che nascondono profonde asimmetrie intellettuali e scientifiche. Attraverso un’analisi empirica basata su tecniche di network analysis, abbiamo documentato e rese visibili alcune di queste asimmetrie. Il paper completo, uscito su Scientometrics è accessibile a questo link. Il caso di studio che consideriamo è quello della composizione dei panel di valutazione (GEV) dell’area di economia, statistica e scienze aziendali nei tre esercizi della Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR): 2004–2010, 2011–2014 e 2015–2019. I primi due panel furono nominati direttamente dall’ANVUR, mentre per il terzo si ricorse al sorteggio tra i candidati. Questa discontinuità procedurale ci ha permesso di trattare il terzo panel come termine di confronto, evidenziando quanto forti e pervasive fossero le connessioni nei panel nominati da ANVUR rispetto a quello estratto a sorte. Le tecniche di network analysis adottate ci hanno consentito di osservare la struttura invisibile dei legami tra i commissari. In particolare, abbiamo ricostruito le reti di co-autorialità tra i membri del panel, la comunanza di strategie di pubblicazione sulle stesse riviste, la rete che individua provenienza ed affiliazioni comuni in università e centri di ricerca, e infine la rete di blog e riviste di divulgazione che hanno ospitato contributi dei membri dei panel.  Nei due panel nominati da ANVUR si osservano reti fitte, chiuse e dominate da pochi nodi centrali e gruppi. Nel panel sorteggiato, invece, la frammentazione delle reti è decisamente maggiore, segno di un’effettiva pluralità di percorsi accademici e orientamenti teorici. Il risultato è inequivocabile: le nomine dirette hanno prodotto gruppi omogenei e non rappresentativi della pluralità accademica. In aggiunta, abbiamo osservato che una parte rilevante dei legami emersi riguarda un preciso gruppo di potere accademico, riconducibile all’ambiente dell’Università Bocconi: non solo docenti, ma anche ex allievi che orbitano intorno agli stessi centri di ricerca, agli stessi network professionali, agli stessi giornali e think tank. Il nostro lavoro fornisce una mappa sistematica di queste connessioni: quali sono gli istituti e i centri più fortemente legati a questo network, e chi sono gli esponenti che ne rappresentano il fulcro. Che sia l’università Bocconi il centro del sistema, non dovrebbe certo meravigliare, almeno i lettori di Roars. Già in passato le scelte operate dall’ANVUR erano state duramente criticate, in particolare per quanto riguarda proprio la scelta dei membri del GEV di economia. Nella terza VQR, il ministro Fioramonti introdusse il sorteggio dei membri, probabilmente anche in relazione alle polemiche che avevano accompagnato le prime due VQR.  Con l’ultimo esercizio VQR si è tornati indietro, seppure parzialmente: ANVUR ha infatti scelto direttamente il 25% dei membri dei GEV, garantendosi così un controllo commissariale sui lavori dei panel: non è inverosimile pensare che un membro GEV nominato da ANVUR abbia uno status diverso dai membri estratti. E forse non è un caso che, per restare in Area economica, sia stato nominato nel panel di economia il presidente del GEV della prima VQR, che nei nostri network rappresenta lo snodo centrale dei legami nei primi due panel. Quello che succede nell’area dell’economia è particolarmente delicato. La disciplina è da sempre caratterizzata da profonde differenze teoriche, metodologiche e ideologiche. Anche se le cose sono in realtà più complicate, ci si riferisce a questa situazione dicendo che c’è una economia mainstream e una eterodossa. A nostro parere, il pluralismo di visioni è essenziale alla vitalità della ricerca. I processi valutativi, in Italia e non solo, hanno favorito la marginalizzazione sistematica delle scuole di pensiero non mainstream, contribuendo a rafforzare meccanismi autoreferenziali e a consolidare il predominio di approcci omogenei mainstream. In questo gioca un ruolo fondamentale la composizione dei panel: un panel composto da valutatori mainstream strettamente collegati non solo mina la credibilità del processo valutativo, ma espone l’intero sistema a rischi di bias strutturale. Se la valutazione scientifica finisce per premiare solo ciò che è conforme ai paradigmi dominanti, la qualità stessa della ricerca ne risulta gravemente compromessa, riducendo la capacità di innovazione del sistema e lo spazio per il dissenso costruttivo e i percorsi di ricerca non convenzionali. Non è inutile sottolineare che non è certo sufficiente a garantire una composizione fair dei panel la presenza di un paio di figure “eterodosse”, come avvenuto nei panel delle due prime VQR. Quelle presenze appaiono piuttosto come sforzo superficiale e simbolico per apparire inclusivi nei confronti di gruppi minoritari (tokenism), in modo da ridurne le manifestazioni di dissenso. Tutto ciò richiama la necessità di una riflessione più ampia sul ruolo e sugli obiettivi della valutazione della ricerca in Italia. Fin dalla sua istituzione, l’ANVUR ha imitato un mix di modelli sviluppati altrove e ispirati a logiche di efficienza, competizione e misurazione standardizzata, trascurando la complessità e la specificità dei processi di produzione della conoscenza. L’obiettivo implicito non è stato quello di promuovere il pluralismo, l’innovazione o la capacità critica, ma piuttosto di allineare la ricerca alle esigenze di un sistema economico fondato su metriche di performance e riconoscimenti formali. Gli effetti della valutazione della ricerca sono oggi visibili: una ricerca più omologata, meno incline al rischio teorico e alla sperimentazione radicale, più orientata a soddisfare indicatori quantitativi che a rispondere a interrogativi scientifici profondi, con preoccupanti segnali di corruzione endemica. Una ricerca che, in definitiva, rischia di perdere la propria funzione pubblica, trasformandosi in un’attività funzionale alla “ricchezza della nazione” e al rafforzamento delle gerarchie accademiche consolidate. Crediamo sia necessario riportare al centro del confronto pubblico il senso stesso della ricerca come bene comune, emancipandola dalle logiche burocratiche, competitive e oligarchiche che oggi ne soffocano lo sviluppo.