Verso la fase 2, in qualche modo
Un retroscena di Ultra Palestine riporta che i mediatori dell’accordo per la
tregua a Gaza stanno facendo pressione perché venga lanciata la fase 2 degli
accordi di Sharm. Hamas ha confermato a Qatar, Egitto, Turchia e Stati Uniti la
propria disponibilità, nonostante la fase 1 dell’accordo sia stata segnata da
costanti infrazioni da parte delle autorità israeliane, che non solo lanciano
attacchi militari regolarmente sulla Striscia di Gaza, ma continuano a
ostacolare l’ingresso di aiuti umanitari. Durante una sessione con il capo
dell’intelligence egiziana Hassan Rashad, i rappresentanti di Hamas hanno
chiesto che siano prodotti chiarimenti sull’organizzazione della fase 2 — in
particolare, ovviamente, sugli effetti poteri delle forze internazionali che
dovrebbero essere stanziate nella Striscia. Le varie fazioni palestinesi in
questo momento si stanno rimbalzando proposte per arrivare a una posizione
nazionale unitaria su una soluzione per il governo di Gaza. L’obiettivo è
limitare i danni dell’accordo chiuso con la risoluzione approvata in Consiglio
di sicurezza delle Nazioni Unite – la fonte di Ultra Palestine riporta che le
fazioni sanno che “i palestinesi non sono in grado di affrontare il mondo intero
e non possono opporsi a una risoluzione internazionale che gode del consenso
globale.” Di fronte al rischio reale che la popolazione palestinese smetta di
essere in grado di decidere del destino della Striscia di Gaza, le fazioni
palestinesi sono pronte a organizzarsi in una coalizione ombrello che si estenda
fino a Fatah. Un ulteriore round di dibattito tra le fazioni palestinesi
dovrebbe avvenire a giro strettissimo, in modo da essere pronti per confrontarsi
di nuovo con i garanti della tregua. (Ultra Palestine)
Nel frattempo, i combattenti di Hamas intrappolati nei tunnel sotto Rafah sono
ancora intrappolati nei tunnel sotto Rafah. Mercoledì Hamas ha diffuso una
dichiarazione in cui per la prima volta chiede ai paesi mediatori di fare
pressione su Israele perché ne permetta il rientro. L’appello arriva dopo
l’annuncio da parte delle IDF di aver ucciso altri 20 combattenti, e di averne
arrestati 8, tra quelli che stavano cercando di sfuggire dalla rete sotterranea
della zona, dove sarebbero ancora costrette un numero tra le 100 e le 200
persone. Si tratta, ovviamente, di una tematica particolarmente delicata:
l’esercito israeliano ha più volte espresso l’intento di voler uccidere tutti i
miliziani intrappolati a Rafah, ma tutti i mediatori della tregua, compresi gli
Stati Uniti, riconoscono che si tratterebbe di una infrazione troppo grande da
parte di Tel Aviv — e che metterebbe duramente alla prova la tenuta del cessate
il fuoco. (the New Arab)
Anche negli Stati Uniti cresce la pressione sul supporto politico al genocidio a
Gaza: un gruppo di senatori democratici ha chiesto al segretario di Stato Rubio
perché avvii rapidamente un’indagine sulle “centinaia” di violazioni di diritti
umani compiute dalle IDF di cui il dipartimento di Stato avrebbe raccolto prove
in un rapporto ancora classificato. Gli 11 senatori chiedono di agire con
rapidità perché l’inazione svuoterebbe le leggi che vietano agli Stati Uniti di
sostenere militarmente eserciti accusati di violare i diritti umani. Tra i casi
in esame ci sono l’uccisione dei lavoratori della World Central Kitchen, e il
più grande massacro degli affamati documentato nei mesi scorsi, quando le IDF
hanno ucciso più di 100 civili in un attacco contro un convoglio di aiuti
umanitari. Il rapporto evidenzia come il lunghi processi di revisione
avvantaggino Israele in modo unico tra gli alleati statunitensi, perché i casi
si trascinano funzionalmente all’infinito, senza esito. (the Washington Post)