Trump e Meloni sullo scudo modello NATO in Ucraina imbrogliano il mondo
A Giorgia Meloni non è bastato evidentemente il fallimento del “modello Albania”
e la sostanziale sconfitta riportata sul Piano Mattei per l’Africa, un
continente sempre più destabilizzato, nel quale, a partire dalla Libia, il ruolo
dell’Italia si avvia a diventare marginale, e subordinato a quello di potenze
emergenti come la Turchia e l’Egitto, per non parlare degli Emirati arabi e
della Cina. Con una sudditanza sempre più evidente della Presidente del
consiglio nei confronti degli Stati Uniti.
No, non ci sentiamo affatto rassicurati. La sceneggiata ad uso elettorale
mandata in onda su scala globale per celebrare gli accordi tra Putin e Trump
sulla pelle degli ucraini, con il contorno di leader europei ormai alla
disperazione, alla vigilia di sconfitte elettorali che andranno a tutto
vantaggio dei partiti nazionalisti, ha attribuito alla presidente del Consiglio
“tanto longeva nel suo incarico”, secondo Trump a differenza dei predecessori,
un ruolo di grande mistificazione. Lo stesso Trump la ha infatti riconosciuta
come ideatrice dell’idea di ricorrere ad un meccanismo simile all’art.5 del
Trattato della Nato, per garantire una cornice di sicurezza agli accordi
capestro che si vorrebbero imporre a Zelensky, anche se rimane fuori discussione
l’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Nè a garantire l’operatività delle misure di
solidarietà militare previste dall’art.5, di cui nessuno ricorda l’esatta
portata, basterebbe un eventuale ingresso di questo paese nell’Unione europea,
che non avrebbe mai le risorse militari per garantire la copertura invocata
dagli ucraini rispetto al potenziale offensivo degli arsenali russi, ormai in
crescita inarrestabile, come dimostrano i successi sul campo di battaglia. In
ogni caso l’Europa dei “volenterosi” disposti a garantire una copertura militare
per la sicurezza dell’Ucraina non corrisponderà mai a tutti i paesi membri, ed i
tempi, oltre che i termini, di un eventuale ingresso di Kiev nell’Unione europea
rimangono assolutamente incerti. Non si sa neppure che fine abbia fatto in
questo frangente l’OSCE, che pure dovrebbe favorire la “composizione politica,
globale e durevole dei conflitti”. Altra vittima dell’abbattimento del diritto
internazionale per effetto delle politiche basate sulla deterrenza militare e
sul ricorso alla forza degli eserciti.
L’art. 5 del Trattato Nato prevede che i Paesi membri della Nato “concordano che
un attacco armato contro uno o più di essi in Europa o nel Nord America sarà
considerato un attacco contro tutti”. Si tratta evidentemente di una norma la
cui portata vincolante si esaurisce all’interno del Trattato, ed una sua
eventuale estensione a paesi che non ne siano membri, non è fonte di un obbligo
rilevante sul piano del diritto internazionale. Nel caso dell’Ucraina, ci si
limiterebbe ad una mera dichiarazione di intenti, che resterebbe soggetta ad una
continua rinegoziazione qualora si dovesse passare alla fase attuativa
dell’impegno di solidarietà, inviando uomini e mezzi sui territori che diventino
oggetto di un conflitto armato. Si dimentica poi che in base allo stesso
articolo 5 ogni intervento armato adottato per effetto di questa norma “e tutte
le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente portate a
conoscenza del Consiglio di Sicurezza”.
Si prevede inoltre che “Queste misure termineranno allorché il Consiglio di
Sicurezza avrà preso le misure necessarie per ristabilire e mantenere la pace e
la sicurezza internazionali”. Un meccanismo di copertura militare reciproca come
l’art.5 del Trattato non appare dunque ipotizzabile al di fuori di un
convolgimento dell’ONU, senza diventare un mero strumento di ritorsione
militare, quindi un atto di guerra. Qualunque intervento armato al di fuori dei
confini nazionali, in uno Stato di diritto, come l’Italia, inoltre, dovrebbe
essere approvato dal Parlamento, e dal Presidente della Repubblica, non solo dal
governo, approvazione che non appare affatto scontata, in Italia, come in altri
paesi appartenenti alla Nato.
La deterrenza di un simile meccanismo, che sarebbe la grande idea suggerita
dalla Meloni a Trump, è assolutamente nulla, come è risultata nulla la
deterrenza degli accordi con i paesi terzi, e la esternalizzazione delle
frontiere italiane in Albania, rispetto al blocco delle partenze di migranti e
rifugiati che si agita come un mantra davanti all’elettorato.
Il precedente caso di applicazione dell’art.5, con l’invio di truppe NATO in
Afghanistan, dopo l’attacco alle Torri gemelle nel 2001, dovrebbe fare
riflettere sulle conseguenze devastanti che il ricorso a simili strumenti
militari, basati su imbrogli internazionali, operazioni di polizia
internazionale e subitanee ritirate, può produrre. Con la politica restrittiva
di Trump nei confronti della NATO si possono prevedere oneri crescenti per il
sostegno di questa organizzazione, che andranno a gravare sui paesi europei. Ma
anche al di fuori della NATO i Paesi europei del gruppo dei “volenterosi”
dovranno pagare miliardi di dollari per acquistare armi dalle aziende
statunitensi per sostenere l’Ucraina, compresi i sistemi Patriot. L’incremento
esponenziale della spesa militare porterà non solo alla moltiplicazione dei
conflitti su scala globale, ma ridurrà in tutti i paesi gli spazi di copertura
della spesa sociale ed i margini già ristretti di un confronto democratico, a
partire dall’asservimento dell’informazione.
Nel caso del conflitto in corso in Ucraina, al di là del rischio immanente di
una guerra nucleare, la questione della sicurezza, e dunque sul modello
dell’ombrello NATO derivante dall’art.5 del Trattato è strettamente connessa
alla definizione dei confini territoriali tra i contendenti, paese occupante e
paese invaso, e non può essere trattata separatamente. Tanto più si insisterà su
questa proposta, tanto più, in assenza di un “cessate il fuoco” immediato,
Putin, incontro dopo incontro, sarà indotto a conquistare la maggior parte
possibile di territorio ucraino, continuando a prendere tempo su una falsa
trattativa, che nei risvolti economici ha già concluso con Trump su uno
scacchiere ancora più ampio dell’Europa, mentre le sue truppe avanzano giorno
dopo giorno sempre più in profondità verso Kiev. Colpendo a morte quello che
rimane dell’Ucraina come sistema paese, continuando ad uccidere civili, ed a
imporre deportazioni di massa. Esattamente quei crimini di guerra riconosciuti
dalla Corte Penale internazionale, che adesso si vorrebbero cancellare, dopo la
legittimazione che gli ha riconosciuto Trump nell’incontro di Anchorage in
Alaska. Legittimazione che, al di là dei prossimi incontri bilaterali,
trilaterali o quadrilaterali, potrebbe cancellare il ruolo della giustizia
internazionale, da tempo nel mirino dei leader sovranisti, e portare ad una
serie di prevaricazioni sempre più gravi da parte del capo del Cremlino non solo
sull’Ucraina, ma sull’intera Unione europea. Unione europea che i partiti
nazionalisti indeboliscono dall’interno, alla rincorsa di canali preferenziali
con gli Stati Uniti, come nel caso della Meloni, o con la Russia, come nel caso
di Orban.
Non è vero, dunque, che il richiamo all’art.5 del Trattato della Nato sarebbe
una “garanzia di sicurezza stabile, duratura, effettiva”, come sostiene da mesi
Giorgia Meloni, senza insistere, a differenza di altri leader europei, come
Macron e Merz, sulla assoluta urgenza di una immediata cessazione delle
ostilità. E non risulta neppure vero, alla prova dei fatti, che Putin abbia
accettato “robuste garanzie di sicurezza” per l’Ucraina “sul modello
dell’articolo 5 della Nato.” Un modello che non appare replicabile al di fuori
dell’Alleanza atlantica, in regioni dai confini incerti, nelle quali i
combattimenti, con bombardamenti sempre più estesi e feroci, continuano sotto la
spinta dell’esercito russo, anche mentre sono in corso i colloqui di pace. Se si
escludono la Nato e l’Unione europea, al di là dell’ONU, non si vede da dove
potrebbero arrivare queste garanzie, mentre appare chiaro il costo che
potrebbero comportare per i paesi membri dell’UE, che si ritroverebbero
costretti ad acquistare a caro prezzo gli armamenti ed i sistemi di guerra
elettronica prodotti negli Stati uniti.
Lo stesso articolo 5 del Trattato non esaurisce peraltro gli strumenti di difesa
collettiva che più Stati possono adottare nel caso di aggressione contro uno
solo di essi. Strumenti che vanno ricercati al di fuori del Trattato istitutivo
dell’Alleanza atlantica. I Russi, con le più recenti dichiarazioni subito dopo
il termine della kermesse ad uso elettorale di Washington, hanno dichiarato che
non accetteranno mai truppe di paesi aderenti alla Nato in territorio ucraino,
svelando l’imbroglio imbastito da Trump con la complicità di Giorgia Meloni.
Sarebbe invece tempo di tornare ad una negoziazione multilaterale nella sede
naturale di risoluzione dei conflitti internazionali che dovrebbe essere
costituita dalle Nazioni Unite. Istituzione da riformare, l’ONU, ma che nel
frattempo non può essere cancellata, come sta avvenendo in questi giorni. Al di
fuori di questa prospettiva di confronto tra gli Stati, imposta dai Trattati
internazionali seguiti alla catastrofe del secondo conflitto mondiale, non ci
sono prospettive di pace duratura in Ucraina, e negli altri territori nei quali
sono in corso conflitti armati che ormai si giocano prevalentemente sulla pelle
della popolazione civile, come a Gaza e nell’intera Palestina. Tutto il resto è
imbroglio, mistificazione dei fatti e delle norme internazionali, frutto di una
informazione monopolizzata dai governi ed imposta ad elettorati sempre più
arroccati nell’individualismo, nel rancore sociale o nell’astensione. Parlano di
pace giusta, alimentano la guerra permanente. Gli ossimori della democrazia
“autoritaria”, basata sul personalismo del leader, e della guerra
“pacificatrice”, come sistema di composizione dei conflitti internazionali, sono
ormai più che compiuti. Se questo è il nuovo ordine mondiale, a pagare il conto
più atroce saranno le generazioni future.
Fulvio Vassallo Paleologo