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La vittoria di Zohran Mamdani segna l’avvento di una nuova generazione politica a New York City
La vittoria di Zohran Mamdani rappresenta una tappa importante nella vita politica di New York City, ma questa volta il significato va ben oltre una singola campagna elettorale. Ciò che è emerso in queste elezioni è la forza visibile di una nuova generazione di attivisti: giovani organizzatori, inquilini, lavoratori e artisti che stanno trovando la loro voce collettiva e rimodellando la politica locale dal basso. Questo movimento di base, ispirato dai precedenti modelli organizzativi di figure come il senatore Bernie Sanders, sta iniziando a raggiungere il suo compimento. Esso riflette un rinnovamento del lavoro sul campo che privilegia la comunità rispetto ai consulenti e la visione condivisa rispetto ai messaggi aziendali. I Socialisti Democratici hanno continuato a spingere il panorama politico della città verso sinistra, riconnettendosi con coloro che sono stati a lungo ignorati dal Partito Democratico: immigrati, affittuari e comunità della classe operaia escluse dal boom economico della città. Queste elezioni hanno anche messo in luce un cambiamento nell’equilibrio di potere. Le macchine di marketing delle grandi imprese che un tempo dominavano le campagne elettorali di New York non sono riuscite a catturare l’attenzione del pubblico. Il loro messaggio, raffinato ma vuoto, sembra aver raggiunto il suo limite. Lo stesso vale per l’influenza dei media tradizionali e l’ombra persistente del fenomeno Trump: entrambi sono sempre meno in grado di mobilitare o manipolare l’opinione pubblica come in passato. Anche il tentativo di rilanciare il profilo di politici della vecchia guardia come Andrew Cuomo è fallito. Gli elettori della città, in particolare le generazioni più giovani, sembrano pronti ad andare oltre la politica della personalità e orientarsi verso una politica degli obiettivi. La vittoria di Mamdani, quindi, è più di un semplice risultato elettorale: segna l’ascesa di una nuova coscienza politica a New York City, fondata sulla solidarietà, l’immaginazione e la speranza.   Pressenza New York
Zohran la tigre
Che cos’è un “watch party”? Così mi chiedono su WhatsApp le amiche dall’Italia. Che gli dico? Che sono in una mega discoteca di Brooklyn e che mentre ballo, facendo finta di avere anch’io venticinque anni, su uno schermo gigante due conduttori parlano, fanno smorfie e mostrano sketch comici che hanno animato l’ultima campagna elettorale per il sindaco di New York City. È la diretta di Hell Gate, un network locale indipendente, di proprietà dei lavoratori che prende il nome dal primo ponte ferroviario tra Queens e il Bronx. Che a sua volta deriva dal titolo affibbiato dai primi esploratori olandesi al tratto dell’East River che ci passa sotto, per via delle infide correnti che lo attraversano, dei pericolosi mulinelli e delle rocce aguzze. Un luoco iconico della città che deve aver ispirato la giovane redazione nel definirsi così: “Tagliente, giocosa, indignata, irriverente e utile ai nostri lettori; profondamente scettica nei confronti del potere ma ostinatamente idealista e mai pesante da leggere”. Assolutamente perfetti per essere gli ambasciatori di Zohran Mamdani, il nuovo sindaco della città. Alle 23.30 circa Zohran appare in diretta dal teatro Paramount di Downtown Brooklyn. La musica si ferma e dopo scroscianti applausi cala il silenzio. Nella mia vita non ricordo di aver assistito in tempo reale a un discorso di tale potenza. Dallo scorso settembre seguo Zohran Mamdani attraverso la stampa e sui social; per capire meglio ho partecipato a tre gruppi di canvassing (la campagna porta porta) e mi sono mezza congelata sugli spalti del Forest Hills Stadium per ascoltare dal vivo un suo discorso. Zohran è diventato una figura cara. Di lui pensavo: un uomo buono, rassicurante e progressista, ma anche con i piedi per terra. Zohran da stanotte è tutto questo e molto di più. Come ha detto Bernie Sanders al rally New York is not for sale: “Quest’uomo farà la storia”. In cielo brilla la luna piena, mentre sulla terra, tra gli audaci grattacieli di Manhattan e le compassate case di arenaria di Brooklyn, un gatto si è trasformato in tigre. E’ così che mi è apparso stanotte Zohran, come la mamma tigre vittoriosa e ancora furente perché ha appena sbaragliato un bracconiere che voleva rubarle i cuccioli. Stanotte Zohran non è più il politico accorto e coscienzioso che incassa sorridendo stolte minacce e sceglie di rispondere con benevolenza a volgari offese personali; stanotte è forte e deciso. È autorevole quando cita Eugene Debs, un socialista nato il 5 novembre del 1855, che denunciò la decisione del Paese di partecipare alla Prima Guerra Mondiale e che per questo fu incarcerato. Detto per inciso New York City ha un’importante e radicata tradizione di politica socialista, che a metà dello scorso secolo ne aveva fatto una tra le città più avanzate e progressiste del pianeta. Cito una delle tante buone cose dell’epoca: l’università era gratuita. Quarant’anni di neo-liberismo sfrenato non sono riusciti a distruggerne l’anima. Come dirà Zohran nel suo discorso, questa città è stata fatta dal lavoro degli immigrati e oggi ha un sindaco immigrato. Diventa affabile nel riconoscere la vittoria del popolo, dei cittadini che, stanchi di soffrire, con il potere del voto hanno rovesciato una dinastia politica avvezza alle menzogne. Non è vero che chi ha le mani rovinate dai calli e screpolate dal duro lavoro non può in quelle stesse mani tenere il potere politico. Certo che può, se tra le parti si è instaurata una relazione egualitaria e di fiducia. È ciò che Zohran dice ai suoi elettori: ai giovani che saggiamente hanno rifiutato di mettere il loro futuro nelle mani di un relitto della vecchia politica come Andrew Cuomo, ai lavoratori, in particolare immigrati, che invece di cedere alle minacce di chi è abituato a governare con arroganza hanno risposto con coraggio scegliendo lui come paladino contro l’ingiustizia e il pregiudizio. Si mostra riconoscente anche verso coloro che non lo hanno votato e che ancora lo temono e il suo discorso si fa amichevole. A tutti dice: “Ogni giorno il mio impegno sarà far sì che questa città sia migliore del precedente e che lo sia per tutti”. Nella nuova NYC non ci sarà spazio per manifestazioni d’odio e di esclusione. Ciò deve valere per ebrei, mussulmani, cristiani ecc, ma anche per gay, lesbiche e transgender, madri single e zie. Sì, anche le zie. E qui mi sento toccata personalmente essendo zia di quattro bellissime nipoti. Il riferimento in verità è alla zia del novello sindaco, che è diventata un simpatico aneddoto della campagna elettorale. Zohran la tirò fuori per spiegare quanto può ferire l’islamofobia. Da adolescente era molto affezionato a questa zia, una donna piuttosto indipendente, ma un giorno la vide tornare a casa turbata. Era stata insultata sulla metropolitana semplicemente perché indossava l’hijab. Da quel giorno si rifiutò categoricamente di prendere la metropolitana. Ma Zohran sa anche essere ferino e sa quando è il momento di esserlo: questa vittoria rappresenta il primo giorno di una nuova era. E allora si ferma, guarda calmo il pubblico, gli occhi si spalancano e avvampano: “Presidente Trump, lo so che mi stai guardando. Dunque, alza il volume. Queste prossime parole sono dirette a te e ai tuoi amici milionari. Non vi permetteremo più di giocare alla politica con le vostre regole truccate; dovrete giocare con le regole di tutti. Qui a NYC è finito il tempo in cui potevate evadere le tasse sfruttando le falle del sistema”. E dopo poco aggiunge: “Per arrivare a uno qualsiasi di noi, dovrai passare su tutti noi”. L’ironia è forse la sua arma preferita. Se la ride sotto i baffi ammettendo: “Sono giovane, nonostante i miei sforzi per invecchiare. Sono musulmano. Sono un democratico socialista. E, cosa più grave di tutte, mi rifiuto di scusarmi per tutto questo.” La lezione è importante: mai vergognarci di chi siamo. Voglio chiudere questo pezzo con una nota leggera. Non un pettegolezzo, ma qualcosa che da sotto tiene su tutto. Da stasera sulla scena politica non ci sarà solo un giovane uomo appassionato e vincente; al suo fianco c’è Rama, non il dio indiano, ma una bellissima giovane siriana, sua moglie.       Marina Serina
Zohran Mamdani è il nuovo sindaco di New York. Il discorso della vittoria
Riportiamo il discorso pronunciato da Zohran Mamdani nel quartier generale della sua campagna elettorale a Brooklyn, dopo aver ottenuto il 50,4% dei voti contro il 41,6% dell’ex governatore Andrew Cuomo, che sconfitto alle primarie democratiche si era presentato come indipendente e il 7,1% del repubblicano Curtis Sliwa. Hanno votato oltre due milioni di persone, un record che non si vedeva dal 1969. “Grazie, amici miei. Il sole potrebbe essere tramontato sulla nostra città questa sera, ma come disse una volta Eugene Debs, “Posso vedere l’alba di un giorno migliore per l’umanità.” Fin da quando abbiamo memoria, i ricchi e i benestanti hanno sempre detto ai lavoratori e alle lavoratrici di New York che il potere non appartiene a loro. Dita livide dal sollevare scatole sul pavimento di un magazzino, palmi callosi dai manubri delle bici da consegna, nocche segnate da ustioni di cucina: queste non sono mani a cui è stato permesso di detenere il potere. Eppure, negli ultimi 12 mesi, avete osato raggiungere qualcosa di più grande. Stasera, contro ogni previsione, l’abbiamo afferrato. Il futuro è nelle nostre mani. Amici miei, abbiamo rovesciato una dinastia politica. Auguro ad Andrew Cuomo solo il meglio nella vita privata. Ma che stasera sia l’ultima volta che pronuncio il suo nome, mentre voltiamo pagina su una politica che abbandona i molti e risponde solo a pochi. New York, stasera mi hai affidato un mandato per il cambiamento. Un mandato per un nuovo tipo di politica. Un mandato per una città che possiamo permetterci. E un mandato per un governo che realizzi esattamente questo. Il 1° gennaio presterò giuramento come sindaco di New York City. E questo grazie a voi. Quindi prima di dire qualsiasi altra cosa, devo dire questo: Grazie. Grazie alla prossima generazione di newyorkesi che si rifiutano di accettare che la promessa di un futuro migliore sia una reliquia del passato. Avete dimostrato che quando la politica vi parla senza condiscendenza, possiamo inaugurare una nuova era di leadership. Combatteremo per voi, perché siamo voi. O, come diciamo su Steinway, ana minkum wa alaikum. Grazie a coloro che così spesso sono dimenticati dalla politica della nostra città, che hanno fatto proprio questo movimento. Parlo di proprietari di bodega yemeniti e abuelas messicane. Di tassisti senegalesi e di infermiere uzbeke. Di cuochi di Trinidad e Tobago e di ie etiopi. Sì, zie. A ogni newyorkese di Kensington e Midwood e Hunts Point, sappiate questo: questa città è la vostra città, e questa democrazia è anche vostra. Questa campagna riguarda persone come Wesley, un organizzatore della sezione sindacale Seiu 1199 che ho incontrato fuori dall’Elmhurst Hospital giovedì sera. Un newyorkese che vive altrove, che fa il pendolare per due ore avanti e indietro dalla Pennsylvania perché l’affitto è troppo caro in questa città. Riguarda persone come la donna che ho incontrato sul Bx33 anni fa, che mi disse: “Una volta amavo New York, ma ora è solo il posto dove vivo.” E riguarda persone come Richard, il tassista con cui ho fatto uno sciopero della fame di 15 giorni fuori dal municipio, che deve ancora guidare il suo taxi sette giorni alla settimana. Fratello mio, ora siamo nel municipio. Questa vittoria è per tutti loro. Ed è per tutti voi, gli oltre 100.000 volontari che hanno reso questa campagna una forza inarrestabile. Grazie a voi, renderemo questa città un luogo in cui i lavoratori possono amare e vivere di nuovo. Con ogni porta bussata, ogni firma di petizione ottenuta, e ogni conversazione faticosamente conquistata, avete eroso il cinismo che è arrivato a definire la nostra politica. Ora, so di avervi chiesto molto nell’ultimo anno. Ancora e ancora, avete risposto alle mie chiamate — ma ho un’ultima richiesta. New York City, respira questo momento. Abbiamo trattenuto il respiro più a lungo di quanto immaginiamo. L’abbiamo trattenuto in attesa della sconfitta, l’abbiamo trattenuto perché ci hanno tolto il fiato troppe volte per contarle, l’abbiamo trattenuto perché non possiamo permetterci di espirare. Grazie a tutti coloro che hanno sacrificato così tanto. Stiamo respirando l’aria di una città che è rinata. Al team della mia campagna elettorale, che ha creduto quando nessun altro lo faceva e che ha preso un progetto elettorale e lo ha trasformato in molto di più: non sarò mai in grado di esprimere la profondità della mia gratitudine. Ora potete dormire. Ai miei genitori, mamma e papà: avete fatto di me l’uomo che sono oggi. Sono così orgoglioso di essere vostro figlio. E alla mia incredibile moglie, Rama, hayati: non c’è nessuno che vorrei avere al mio fianco in questo momento, e in ogni momento. A ogni newyorkese — che abbiate votato per me, per uno dei miei avversari, o vi siate sentiti troppo delusi dalla politica per votare — grazie per l’opportunità di dimostrarmi degno della vostra fiducia. Mi sveglierò ogni mattina con un unico scopo: rendere questa città migliore per voi rispetto al giorno prima. Molti pensavano che questo giorno non sarebbe mai arrivato, temevano che saremmo stati condannati solo a un futuro di mancanze, in cui ogni elezione ci avrebbe consegnato semplicemente un po’ di più della stessa cosa. E ci sono altri che considerano la politica oggi troppo crudele perché la fiamma della speranza possa ancora ardere. New York, abbiamo risposto a quelle paure. Stasera abbiamo parlato con voce chiara. La speranza è viva. La speranza è una decisione che decine di migliaia di newyorkesi hanno preso giorno dopo giorno, turno di volontariato dopo turno di volontariato, nonostante gli spot pubblicitari negativi. Più di un milione di noi si è presentato nelle nostre chiese, nelle palestre, nei centri comunitari, mentre compilavamo il libro mastro della democrazia. E mentre andavamo a votare da soli, abbiamo scelto la speranza insieme. Speranza contro la tirannia. Speranza contro i grandi soldi e le piccole idee. Speranza contro la disperazione. Abbiamo vinto perché i newyorkesi si sono permessi di sperare che l’impossibile potesse diventare possibile. E abbiamo vinto perché abbiamo insistito che la politica non sarebbe più stata qualcosa che ci veniva fatto. Ora, è qualcosa che facciamo noi. Stando davanti a voi, penso alle parole di Jawaharlal Nehru: “Arriva un momento, ma raramente nella storia, in cui passiamo dal vecchio al nuovo, quando un’epoca finisce e quando l’anima di una nazione, a lungo soppressa, trova espressione.” Stasera siamo passati dal vecchio al nuovo. Quindi parliamo ora, con chiarezza e convinzione che non può essere fraintesa, di ciò che questa nuova era porterà, e per chi. Questa sarà un’era in cui i newyorkesi si aspettano dai loro leader una visione audace di ciò che realizzeremo, piuttosto che una lista di scuse per ciò che siamo troppo timidi per tentare. Al centro di questa visione ci sarà il programma più ambizioso che questa città abbia mai visto dai tempi di Fiorello La Guardia per affrontare il costo della vita: un programma che congelerà gli affitti per oltre due milioni di inquilini con affitti calmierati, renderà gli autobus veloci e gratuiti e fornirà un’assistenza all’infanzia universale in tutta la nostra città. Tra qualche anno, il nostro unico rammarico sarà che questo giorno ci ha messo troppo tempo ad arrivare. Questa nuova era sarà di implacabile miglioramento. Assumeremo migliaia di nuovi insegnanti. Taglieremo gli sprechi da una burocrazia gonfiata. Lavoreremo instancabilmente per far brillare di nuovo le luci nei corridoi dei complessi residenziali della Nycha [l’Authority sulle abitazioni di Nyc] dove a lungo sono rimaste spente. Sicurezza e giustizia andranno di pari passo mentre lavoreremo con gli agenti di polizia per ridurre la criminalità e creare un Dipartimento di Sicurezza Comunitaria che affronti la crisi della salute mentale e le crisi dei senzatetto. L’eccellenza diventerà l’aspettativa in tutto il governo, non l’eccezione. In questa nuova era che creiamo per noi stessi, ci rifiuteremo di permettere a coloro che trafficano in divisione e odio di metterci l’uno contro l’altro. In questo momento di oscurità politica, New York sarà la luce. Qui crediamo nel difendere coloro che amiamo, che tu sia un immigrato, un membro della comunità trans, una delle tante donne nere che Donald Trump ha licenziato da un lavoro federale, una mamma single che ancora aspetta che il costo della spesa scenda, o chiunque altro con le spalle al muro. La tua lotta è anche la nostra. E costruiremo un municipio che stia saldamente al fianco dei newyorkesi ebrei e non vacilli nella lotta contro il flagello dell’antisemitismo. Dove il milione e più di musulmani sappia che appartiene non solo ai cinque distretti di questa città, ma anche alle stanze del potere. New York non sarà mai più una città dove si può trafficare con l’islamofobia e vincere le elezioni. Questa nuova era sarà caratterizzata da una competenza e una compassione che per troppo tempo sono state in conflitto tra loro. Dimostreremo che non esiste problema troppo grande per essere risolto dal governo, né preoccupazione troppo piccola per non meritare la sua attenzione. Per anni i consiglieri comunali hanno aiutato solo chi poteva aiutarli, ma il 1° gennaio inaugureremo un’amministrazione cittadina che aiuterà tutti e tutte. Ora, so che molti hanno sentito il nostro messaggio solo attraverso il prisma della disinformazione. Decine di milioni di dollari sono stati spesi per ridefinire la realtà e per convincere i nostri vicini che questa nuova era dovrebbe spaventarli. Come è accaduto così spesso, la classe dei miliardari ha cercato di convincere coloro che guadagnano 30 dollari all’ora che i loro nemici sono quelli che guadagnano 20 dollari all’ora. Vogliono che la gente si scontri al proprio interno, in modo da distrarci dal lavoro di ricostruzione di un sistema ormai in rovina. Ci rifiutiamo di lasciare che siano loro a dettare le regole del gioco.  Possono giocare secondo le stesse regole di tutti noi. Insieme, inaugureremo una generazione di cambiamento. E se abbracciamo questo coraggioso nuovo corso, piuttosto che rifuggirlo, possiamo rispondere all’oligarchia e all’autoritarismo con la forza che teme, non con l’acquiescenza che brama. Dopotutto, se qualcuno può mostrare a una nazione tradita da Donald Trump come sconfiggerlo, è la città che gli ha dato i natali. E se c’è un modo per terrorizzare un despota, è smantellando le condizioni che gli hanno permesso di accumulare potere. In questo modo non fermeremo solo Trump, ma anche il prossimo. Quindi, Donald Trump, dato che so che stai guardando, ho quattro parole per te: Turn up the volume (Alza il volume). Chiameremo a rispondere i cattivi proprietari di case perché i Donald Trump della nostra città si sono abituati fin troppo bene ad approfittare dei loro inquilini. Metteremo fine alla cultura della corruzione che ha permesso ai miliardari come Trump di evadere le tasse e sfruttare le agevolazioni fiscali. Staremo al fianco dei sindacati e amplieremo le tutele del lavoro perché sappiamo, proprio come Donald Trump, che quando i lavoratori hanno diritti ferrei, i datori di lavoro che cercano di estorcerli diventano davvero molto piccoli. New York rimarrà una città di immigrati: una città costruita da immigrati e da stasera guidata da un immigrato. Quindi ascoltami, Presidente Trump, quando dico questo: Per arrivare a uno qualsiasi di noi, dovrai passare su tutti noi. Quando entreremo nel municipio, tra 58 giorni, le aspettative saranno alte. Le soddisferemo. Un grande newyorkese disse una volta che mentre fai campagna elettorale in poesia, governi in prosa. Se questo deve essere vero, che la prosa che scriviamo faccia ancora rima, e costruiamo una città splendente per tutti. Dobbiamo tracciare un nuovo cammino, audace come quello che abbiamo già percorso. Dopotutto, la saggezza popolare vi direbbe che sono ben lungi dall’essere il candidato perfetto. Sono giovane, nonostante i miei sforzi per invecchiare. Sono musulmano. Sono un democratico socialista. E, cosa più grave di tutte, mi rifiuto di scusarmi per tutto questo. Eppure, se stasera ci insegna qualcosa, è che le convenzioni ci hanno frenato. Ci siamo inchinati all’altare della cautela e abbiamo pagato un prezzo altissimo. Troppi lavoratori non possono riconoscersi nel nostro partito e troppi tra noi si sono rivolti alla destra per avere risposte sul perché sono stati lasciati indietro. Lasceremo la mediocrità nel nostro passato. Non dovremo più aprire un libro di storia per avere la prova che i Democratici possono osare essere grandi. La nostra grandezza sarà tutt’altro che astratta. Sarà sentita da ogni inquilino con affitto calmierato che si sveglierà il primo di ogni mese sapendo che l’importo che pagherà non è salito alle stelle rispetto al mese precedente. Sarà sentita da ogni nonno che potrà permettersi di rimanere nella casa per cui ha lavorato, e i cui nipoti vivono nelle vicinanze perché il costo dell’asilo nido non li ha mandati a Long Island. La percepirà la madre single che si sentirà al sicuro durante il tragitto casa-lavoro e il cui autobus è abbastanza veloce da non dover correre a prendere i bambini a scuola per arrivare in orario al lavoro. E la percepiranno i newyorkesi quando apriranno i giornali al mattino e leggeranno titoli di successo, non di scandali. Ciò che più conta sarà la sensazione che proverà ogni newyorkese quando la città che ama finalmente ricambierà il suo amore. Insieme, New York, congeleremo… [ la folla urla: «gli affitti!» ] Insieme, New York, renderemo gli autobus veloci e… [ la folla urla: «gratuiti!» ] Insieme, New York, garantiremo universalmente… [ la folla urla: «l’assistenza all’infanzia!»] Lasciamo che le parole che abbiamo pronunciato insieme, i sogni che abbiamo sognato insieme, diventino il programma che realizzeremo insieme. New York, questo potere è tuo. Questa città ti appartiene. Grazie.       Redazione Italia
New York, l’entusiasmo dei giovani sostenitori di Zohran Mamdani
In cima alla collinetta dell’Arthur S. Somers Park, all’ombra di alberi secolari, si sono dati appuntamento gli attivisti pro Zohran Mamdani della zona. Siamo in un quartiere a un quarto d’ora di macchina da Bed-Stuy dove vivo, al di là di Pacific Avenue, l’arteria che fa da spina dorsale a Brooklyn. C’è meno gente deI primo gruppo a cui ho partecipato a fine settembre, ma questo non è un segno negativo, anzi: non appena diventano numerosi i gruppi si dividono per “colonizzare” nuove aree. Sulla mappa interattiva per le prenotazioni online ormai appare una ragnatela di intersezioni; sono i punti da cui il canvas (l’attività di porta a porta con il potenziale elettore) ogni giorno prende il via. La figura frattalica che si riproduce ripetendosi all’infinito è ciò che più ricorda la campagna elettorale Zohran For New York City. E non è finita: ogni gruppo si apre in gruppi e sotto-gruppi WhatsApp per coordinarsi più velocemente e distribuire meglio le risorse durante la settimana. Come di rito salutiamo con un applauso i nuovi attivisti e ognuno si presenta brevemente. Una ragazza e un ragazzo sono i responsabili della giornata, dunque iniziano a illustrare il lavoro che dovremo svolgere. Noto confidenza, oserei dire sicurezza, ma non baldanza. La campagna infatti, pur tra mille strali, sgambetti e provocazioni, tira dritto a gonfie vele e Zohran continua a salire nei sondaggi; tutto ciò fa da sprone ai ragazzi che oggi parlano apertamente di “conquista piena del mandato” (vittoria ottenuta con più del 50% dei voti) come di un obiettivo a portata di mano. Qualche sera fa si è tenuto l’atteso confronto tra i tre candidati (l’indipendente Cuomo, il repubblicano Sliwa e il democratico Mamdani) in lizza per il prestigioso incarico di sindaco di una tra le metropoli più grandi e potenti del pianeta. L’ho seguito quasi tutto e posso dire che, al di là delle personali simpatie politiche per le idee di Zohran, davvero non mi sento di parte ad affermare che sembra non avere concorrenti. La sua forza sta non nell’essere un fine politico, ma nella semplicità con cui parla di cose che da anni ci siamo abituati a credere impossibili, come sogni di cui si poteva scherzare con le amiche a cena (Supermercati popolari perché tutti hanno diritto di mangiare! Autobus gratis! Tassare i multimilionari! Uno stop all’arroganza degli immobiliaristi!), che oggi, grazie a Zohran, sembrano più vicini. E non ne parla solo in teoria: svariati team di economisti, ingegneri, avvocati, educatori sono all’opera per fornire piani strutturali creativi e praticabili. La grande promessa di Zohran è che il sistema di privilegi che ci hanno fatto ritenere intoccabile pena il fallimento e la povertà (quest’ultima intanto la vediamo per davvero avanzare strisciante), verrà toccato. Probabilmente la compagine economica del neoliberismo che domina la città non sarà alterata in maniera radicale, ma solo la possibilità che si apra una prospettiva diversa, portatrice di altri valori, esalta i giovani e tutti coloro che hanno mantenuto un cuore abbastanza puro, mentre getta nel panico chi all’interesse personale ha sacrificato ogni altro ideale. In particolare i ragazzi che si sono buttati a capofitto nella campagna sembrano avere stretto un legame speciale con l’aspirante sindaco, una sorta di sodalizio che vedo brillare nei loro occhi ogni volta che ne parlano; con lui gioiscono e soffrono, si sentono amici. Raccontano che Zohran amava passeggiare nei parchi, ma ora, poverino, per godere di un momento di solitudine deve andare nei cimiteri. Affermano convinti che Zohran non ha bisogno di mentire per farsi amare, che Zohran, diversamente da Cuomo, non ha mai avuto a che fare con Trump e può dirlo a testa alta. Zohran ha conquistato la loro fiducia. In questi giorni in India, il Paese della madre di Zhoran, la famosa regista Mira Nair, si celebra Diwali, la festa delle lanterne; fuori da ogni casa ne viene accesa una, a simboleggiare il ritorno della luce dopo gli anni di buio e grande caos. Si festeggia il ritorno di Rama e Sita ad Ayodhya, la grande capitale dell’India antica. Rama rappresenta il bene massimo per gli uomini, il dharma nella sua forma più alta e perfetta, l’ordine del cosmo; “He Ram (Oh Rama)” furono le ultime parole di Gandhi in punto di morte. Onestamente non credo che Zohran incarnerà tutto ciò e spero che almeno non ci deluderà, ma intanto negli occhi dei ragazzi che incontro ai canvas, così accesi di vita e passione politica, vedo tante piccole lanterne e ogni fuoco sembra bramoso di accenderne altri. Devo lasciare le mie divagazioni; è tempo di mettersi in posa per la foto di gruppo, a cui aggiungiamo un video per inviare gli auguri di buon compleanno a Zohran (ne compie trentaquattro). Lavorerò in coppia con Amanda, cresciuta in una piccola comunità dell’Ohio e arrivata a Brooklyn dopo un’esperienza di lavoro in Africa. Busseremo alle imponenti porte delle brownstones, le case di arenaria ed entreremo in condomini d’epoca piuttosto fatiscenti; nel nostro peregrinare incontreremo altri giovani entusiasti di Zohran, anziane sospettose con cagnolini-tigre, una signora messicana che solo dopo aver udito il nome di Zohran deciderà di aprire la porta (come a una parola d’ordine), una signora ebrea che ci vorrà mettere a parte delle sue paure per esserne rincuorata. Amanda sarà bravissima nel metterla a suo agio, tanto che non vorrà quasi più lasciarci andare via. Ho scritto i verbi al futuro perché tra i miei pensieri ce n’è ancora uno che voglio raccontare, ma vorrei farlo sottovoce, per scaramanzia, perché per ora è solo una speranza: si chiama Graham Platner, è un veterano e un coltivatore di ostriche e nel 2026 concorrerà per la carica di governatore del Maine. Come Zohran, Graham è sostenuto dal senatore Bernie Sanders e la sua campagna condivide l’apparato politico-pubblicitario con quella newyorkese. Le idee di Graham sono su per giù le stesse del nostro beniamino, di tipo socialista (propone persino la sanità pubblica per tutti) e antioligarchiche e la sua improvvisa discesa in campo ha provocato parecchi mal di pancia. Devo muovermi, Amanda mi sta chiamando per cominciare il porta a porta.       Marina Serina
Zohran Mamdani e la rivolta contro l’impero dell’arroganza
L’ascesa di Zohran Mamdani nella politica newyorkese non è un caso: è un atto di fede collettiva da parte di una generazione che rifiuta di arrendersi. Contro una marea di miliardari, cinici opinionisti e media mainstream dai toni degradatori, la sua campagna è diventata una rivoluzione silenziosa. Sulla metropolitana e nelle case popolari, nelle sedi sindacali e nei parchi comunitari, il sussurro si è trasformato in un coro: “Questa città appartiene di nuovo a noi”.  L’Impero colpisce ancora Quel sussurro ha terrorizzato il vecchio ordine. L’establishment politico, la stessa macchina ben oliata che per decenni ha scambiato favori e giuramenti di fedeltà tra i partiti, ora vede Mamdani non solo come un rivale politico, ma anche come una minaccia esistenziale. Sono i guardiani del grande mito americano, secondo cui la crescita infinita è una virtù, il denaro equivale al merito e il socialismo è una malattia. Per loro, figure come Andrew Cuomo e Eric Adams non sono individui, ma incarnazioni di una struttura di potere in decadenza, un meccanismo costruito per preservare il controllo, sterilizzare il dissenso e punire la speranza. Queste forze scateneranno tutte le armi a loro disposizione: titoli distorti, indignazione selettiva, sussurri di “eleggibilità” e telefonate da parte di donatori che “vogliono solo mantenere la stabilità della città”. L’ironia, ovviamente, è che la loro definizione di stabilità significa mantenere un sistema che rende instabili milioni di persone oberate di lavoro, sottopagate e inascoltate. L’autostrada pericolosa Stamattina, mentre tornavo da Long Island a Brooklyn lungo la Jackie Robinson Parkway, ho visto tre o quattro auto sfrecciare tra le corsie a velocità folle, uno spettacolo comune a New York. Il limite di velocità era di quarantacinque miglia all’ora, ma questi conducenti andavano tranquillamente a settanta, forse anche di più. Su un’autostrada con il limite di 65 miglia, sarebbero arrivate fino a 100 se non ci fossero state pattuglie della polizia in vista. Alcuni si vantano addirittura di sfidare la legge: per loro è un motivo di orgoglio. Cosa succede a causa di questa arroganza? Noi altri ci irrigidiamo, stringiamo più forte il volante e preghiamo che il caos passi senza tragedie. La paura ci paralizza. Obbediamo alla legge, restiamo nella nostra corsia e speriamo che quella potenza spericolata non invada il nostro spazio. Eppure, quando arriva l’inevitabile incidente, raramente sono i pirati della strada a soffrirne, ma le famiglie, i conducenti prudenti, i bambini seduti dietro con la cintura di sicurezza. Il sistema politico ed economico americano funziona più o meno allo stesso modo. L’1%, quelli che guidano i motori dell’avidità, della manipolazione dei media e del consumo senza fine, sfrecciano sull’autostrada della vita senza curarsi delle conseguenze. Giocano d’azzardo con il sostentamento delle persone, le nostre scuole, la nostra aria, la nostra stessa democrazia. E quando arriva l’incidente, quando l’economia crolla o il pianeta brucia, non sono mai le élite spericolate a pagare il prezzo. Sono i lavoratori, gli affittuari, le persone comuni che cercano semplicemente di rimanere nella loro corsia. La politica di Zohran Mamdani sfida alla radice questa cultura del potere sfrenato. La sua campagna è una richiesta di frenare, di ritrovare la sanità mentale, l’equità e la decenza. Egli rappresenta i milioni di persone che non ne possono più di guidare nella paura. Che cosa rappresenta Mamdani La candidatura di Mamdani non riguarda solo la riduzione degli affitti o la riforma del trasporto pubblico. Riguarda la dignità umana in una città che ha dimenticato cosa significhi. Il suo calore, la sua concretezza e la sua insistenza sul fatto che nessun newyorkese sia sacrificabile lo rendono pericoloso per un establishment che prospera sulla divisione. I giovani di ogni provenienza – immigrati, attivisti queer, sindacalisti, informatici, venditori ambulanti – vedono in lui non un salvatore, ma uno specchio del loro io migliore. La sua campagna incarna la chiarezza morale che un tempo definiva le migliori tradizioni americane: equità, coraggio e integrità al posto della paura, dell’avidità e dell’ipocrisia. L’appello New York si trova ora a un bivio. La scelta non è tra destra e sinistra, ma tra coscienza e corruzione, tra verità e menzogne televisive. L’alleanza Cuomo-Adams-Wall Street non si fermerà davanti a nulla per far deragliare questo movimento, ma la storia dimostra che quando la gente comune si unisce, anche gli imperi più scintillanti crollano. Per ogni elettore convinto che l’onestà conti ancora, per ogni giovane lavoratore che sogna una città costruita sulla cura invece che sul timore, è venuto il momento di agire. L’establishment lo definirà ingenuo, avventato, persino antiamericano. Lasciamoli fare. Il vero patriottismo non è obbedienza, è coraggio. Una New York rinata La campagna di Mamdani ha già cambiato il clima politico di New York. Che l’élite al potere lo accetti o meno, una turbinio di coscienza ha cominciato a formarsi. È il vento che si alza dopo troppi anni di silenzio, lo stesso vento che un tempo ha soffiato con Frederick Douglass, Emma Goldman, Eleanor Roosevelt, Bayard Rustin, Bella Abzug e Bernie Sanders. Se quel vento si intensificherà, se troverà il suo ritmo attraverso i quartieri e le generazioni, spazzerà via l’arroganza di coloro che hanno dimenticato che la democrazia non è mai stata concepita come un club privato. Ricorderà all’America che il potere, come la guida, richiede responsabilità e che la giustizia non è un lusso, ma la strada stessa.  Fonti: * New York Times, “Progressives Eye City Hall as Zohran Mamdani’s Movement Grows,” Sept 2025. * The Indypendent, “How Zohran Mamdani Reframed NYC Politics Around Care.” * The Wire, Partha Banerjee, “Patriot or Traitor? Gandhi, Dissent, and the Meaning of Democracy,” Oct 2025. * Jacobín, “Socialism Is Not a Crime: The Rise of a New Generation of American Left.” * Brooklyn For Peace, “Pathmakers of Conscience: From King to Mamdani.” Traduzione dall’inglese di Anna Polo   Partha Banerjee
New York, l’ascesa di Zohran Mamdani tra paura, esclusione e alleanze
La campagna ribelle di Zohran Mamdani mette alla prova la capacità del movimento popolare di resistere ai media mainstream, alla politica delle élite e a un clima di paura artificiale, con i principali sindacati e i rappresentanti progressisti che fungono da contrappeso. In una città da tempo prigioniera dei meccanismi dell’establishment, la storica vittoria di Zohran Mamdani alle primarie per il sindaco di New York, ottenuta nonostante una spesa elettorale nettamente inferiore a quella degli avversari, è un segnale forte: l’insurrezione progressista è arrivata. Ora che le elezioni generali si avvicinano, la domanda è: la coalizione  di Mamdani riuscirà a respingere le forze dell’esclusione mediatica, dell’allarmismo delle élite e del consolidamento centrista? I sindacati si schierano con il Secondo Cerchio Dipinti dalla narrativa abituale come conservatori con una grande influenza, questa volta i sindacati si sono schierati con l’insurrezione. Il più grande sindacato sanitario del Paese, l’1199SEIU United Healthcare Workers East, che a New York ha 200.000 membri, ha formalmente appoggiato Mamdani, citando il suo impegno per l’accessibilità economica, l’edilizia popolare e i servizi pubblici. Nel frattempo, il New York City Central Labor Council (AFL-CIO), che riunisce 300 sindacati locali, lo ha appoggiato alla fine di giugno, elogiando la capacità della sua campagna di mobilitare volontari e di parlare direttamente ai lavoratori . Ampliando ulteriormente la sua base sindacale, il 32BJ SEIU, che inizialmente aveva sostenuto Andrew Cuomo, dopo le primarie è passato pubblicamente a Mamdani. Anche il DC37, il più grande sindacato dei lavoratori della città, si è schierato a suo favore. Questi appoggi non servono solo come capitale politico, ma confermano che la coalizione di Mamdani  comprende tutte le classi e tutti i settori, incarnando il Secondo Cerchio.  Il giornalismo dell’esclusione all’attacco Anche se il potere dei lavoratori sta cambiando, i cani da guardia dei media – il New York Times, la CNN e la Fox – continuano a svolgere il loro ruolo abituale: descrivere Mamdani come un pericoloso radicale non eleggibile. Il Times, ad esempio, lo ha definito “troppo inesperto” e una “versione turbo della sconcertante amministrazione di De Blasio”. Questo è il classico giornalismo dell’esclusione: eliminare le voci dei newyorkesi a favore dei salvatori dell’élite. È un déjà vu: le campagne di Bernie Sanders sono state sistematicamente emarginate – copertura mediatica distorta, tempo di trasmissione negato – anche se la sua base ha dato energia a intere regioni.  Mamdani ora affronta lo stesso atteggiamento dei media mainstream.  L’allarmismo sulla fuga dei ricchi – e la sua smentita Entra in gioco la prossima arma: la paura. I titoli dei giornali metteranno in guardia dalla fuga dei newyorkesi ricchi, dal crollo delle imprese e dall’evaporazione delle basi imponibili sotto un sindaco progressista. Questa narrativa è in sintonia con l’ansia dell’élite, ma ignora due realtà: 1.⁠ ⁠Le città governate da una leadership progressista, come Berlino o Amsterdam, spesso mantengono o aumentano gli investimenti attraverso politiche e pianificazioni infrastrutturali eque. 2.⁠ ⁠La vera resilienza economica deriva dall’inclusione, non dall’esclusione. Le proposte di Mamdani (autobus pubblici, congelamento degli affitti, cooperative alimentari) non sono generatrici di caos, ma ammortizzatori per le famiglie lavoratrici e gli ecosistemi locali. Possiamo introdurre questo concetto come segue: Sì, il piano di Mamdani comporta meno agevolazioni fiscali e più regolamentazione, ma la storia dimostra che le politiche basate sull’equità e la pianificazione non allontanano la ricchezza, ma rafforzano sia le comunità che le imprese. Non si tratta di un esodo, ma di un cambiamento verso una prosperità condivisa. Cronologia delle proiezioni settimana per settimana Ecco uno schema per una cronologia settimana per settimana che si può tradurre in grafici o infografiche: Settimane e sviluppi chiave Da ora a metà settembre (settimane 1-3): Circolano voci sull’incarico di ambasciatore in Arabia Saudita che Trump potrebbe offrire all’attuale sindaco di New York Eric Adams. Il sostegno dei sindacati a Mamdani guadagna terreno. Cuomo si appoggia a figure dell’establishment come Bill Clinton. Metà settembre (settimana 4): I media intensificano le narrazioni allarmistiche: fuga dei ricchi, allarmismo fiscale, panico sulla governance. Fine settembre – inizio ottobre (settimane 5-6): La campagna di Mamdani punta i riflettori sulla coalizione sindacale, rivela la parzialità dei media, confuta i timori economici con fatti e storie. Metà ottobre (settimana 7): Attenzione a potenziali cambiamenti di sostegno, in particolare da parte del senatore democratico Chuck Schumer. Un sostegno che darebbe credibilità a Mamdani in tutti gli schieramenti dell’establishment. Fine ottobre (settimana 8): Ultima ondata di tattiche allarmistiche: storie spaventose su legge e ordine, panico finanziario. Mamdani deve sostenere il messaggio della base. Inizio novembre (settimana delle elezioni): Se il pubblico capisce che si tratta di una messinscena, il Secondo Cerchio potrebbe resistere. Schumer: silenzioso o strategico? Nel nostro ultimo articolo abbiamo sottolineato la posizione cauta di Chuck Schumer. Finora il suo silenzio continua, descritto dalle fonti della campagna come “nessun sostegno immediato”, mentre sono in corso discussioni. Questo vuoto è importante: la voce di Schumer potrebbe influenzare i moderati che cercano legittimità. Senza di essa, quella fascia rimane politicamente orfana. Conclusione: il lungo arco dell’inclusione Questa competizione per la carica di sindaco di New York è ben lungi dall’essere un duello politico a breve termine. È una prova per verificare se la democrazia americana è ancora in grado di intrattenere un’unità e una speranza radicali, o se i nostri poteri istituzionali chiuderanno ancora una volta le porte. Una vittoria di Mamdani convaliderebbe simbolicamente e materialmente il Secondo Cerchio, dimostrando che i lavoratori, i giovani, gli immigrati e i newyorkesi comuni possono strappare il potere alle élite centriste. Anche se fosse sconfitta, la coalizione ribelle ha già smascherato il giornalismo dell’esclusione e gettato le basi per future conquiste. Traduzione dall’inglese di Anna Polo       Partha Banerjee
Mamdani, il volto di una nuova sinistra statunitense?
La vittoria di Zohran Mamdani, originario dell’Uganda, alle primarie per il candidato sindaco di New York sembra aver confermato l’avanzamento nella sinistra statunitense di politici con background migratorio. Il risultato sembra inoltre riflettere l’emergere di una nuova visione politica rivolta alle persone migranti della classe operaia e radicata in una dura critica alle disuguaglianze sociali e influenzata da esperienze personali di instabilità, austerità e repressione nel Sud del mondo. Il vincitore delle primarie democratiche per l’elezione del sindaco di New York è il socialista Zohran Mamdani, di origini indiane-ugandesi trasferitosi a New York all’età di sette anni. Il candidato democratico ha condotto una campagna elettorale incentrata sulle questioni relative all’accessibilità economica con un’attenzione incessante al costo della vita, una presenza online affidabile e un esercito di volontari forte di decine di migliaia di persone. In campagna elettorale, Mamdani ha dato spazio ai newyorkesi della classe operaia, spesso costretti a lasciare la città a causa dell’inaccessibilità economica e dell’aumento dei costi, specie delle abitazioni: dalle zone più dense di Manhattan ai quartieri sul lungomare di Brooklyn e Queens, i prezzi sono infatti cresciuti esponenzialmente negli ultimi anni. Nella sua difesa della giustizia abitativa, dei diritti delle persone con background migratorio e delle persone migranti, oltre alle richieste di parità di trattamento, Mamdani veicola non solo l’urgenza dei movimenti sociali, ma anche la chiarezza della critica postcoloniale. Quella del candidato democratico è una politica informata non solo dalla protesta, ma da una vita immersa nella teoria, nella storia e nello studio dei sistemi che emarginano ed escludono: su questo versante appare preponderante l’influenza intellettuale che Zohran ha ricevuto dal padre Mahmood, il cui pensiero e ricerca rimangono fondamentale nello studio del colonialismo, dell’autoritarismo e della politica della conoscenza: gli scritti di Mamdani senior continuano infatti a influenzare il modo in cui accademici e politici interpretano le eredità durature del governo coloniale e della violenza di stato. Sul piano politico, la vittoria di Mamdani ha confermato una tendenza che era in atto da tempo all’interno del Partito Democratico: quella di una nuova politica per le persone migranti o con background migratorio della classe operaia, radicata nell’organizzazione, nella solidarietà e in una dura critica alle disuguaglianze. Questomovimento travalica la città di New York. Ilhan Omar, rifugiata, ex guardia giurata, prima donna di origini somale e una delle prime due donne musulmane ad essere elette al Congresso, ha contribuito a definire questa nuova sinistra. Insieme a lei c’è Rashida Tlaib, la prima e unica donna palestinese americana a far parte del Congresso, che ha voluto autodefinirsi “una madre che lavora per la giustizia per tutti”. Tlaib, Omar e Mamdani rappresentano una politica plasmata non solo dalla disuguaglianza negli Stati Uniti, ma anche da esperienze personali di instabilità, austerità e repressione nel Sud del mondo. Sono emersi come volti pubblici di una tendenza più ampia: politici provenienti da contesti di immigrazione che costituiscono la spina dorsale di una sinistra democratica in ascesa. D’altra parte non mancano le sfide che dovrà affrontare l’aspirante sindaco democratico. Oltre a consolidare il successo ottenuto in alcuni quartieri, come Kensington a Brooklyn, Mamdani dovrà cercare di mobilitare un elettorato più ampio. La sua attenzione all’accessibilità economica ha permesso di conquistarsi il sostegno dei bianchi progressisti e liberali ma non è stato sufficiente per ottenere quello degli afroamericani, che hanno scelto di votare per lo sfidante Andrew Cuomo. Mamdani dovrà cercare di invertire questa tendenza visto che ripone anche sulla conquista di questa fetta di elettori le sue possibilità di vittoria. Il programma di spesa pubblica proposto da Mamdani, che si basa sull’aumento delle tasse per i ricchi e le aziende, sembra infatti non aver ancora convinto gli elettori neri più anziani e più abbienti, tra i quali quelli proprietari di casa, che temono che un candidato come Mamdani possa non condividere le loro priorità; sempre questi risultano essere scettici nei confronti delle proposte populiste di Mamdani visto che le misure, che includenderebbero piani per offrire un servizio di autobus e asilo nido gratuito, supermercati di proprietà comunale e il congelamento degli affitti degli appartamenti a canone regolamentato, sarebbero finanziate con tasse più alte per l’1% dei redditi più alti. Per cercare di conquistare l’elettorato nero (ma anche quello latino) è possibile che Mamdani ripeta già quanto fatto durante la campagna delle primarie, quando è apparso regolarmente su media incentrati sulla comunità black, tra i quali programmi radiofonici con un vasto pubblico di colore come “The Breakfast Club” e “Ebro in the Morning“. In questa ottica si inquadra la scelta del democratico che dopo la vittoria alle primarie ha parlato all’Harlem del National Action Network del reverendo Al Sharpton del suo disegno per New York come un luogo in cui i lavoratori possano vivere con dignità. Visitare Harlem potrebbe aver giovato a Mamdani per iniziare a superare la diffidenza nei suoi confronti dell’elettorato nero. Al tempo stesso, Mamdani proverà a intercettare il voto degli elettori neri, ispanici e giovani newyorchesi che avevano votato per Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali. Il democratico proverà a portare dalla sua parte “nuovi” Malik Zindani, trentenne, residente a Morris Park nel Bronx e arrivato negli Stati Uniti dallo Yemen a 15 anni, che ha dichiarato di aver votato per Trump a novembre e per Mamdani alle primarie. Africa Rivista