Yona Roseman, obiettrice di coscienza israeliana: «Non mi arruolo in un esercito che sta commettendo un genocidio»
In Israele la leva militare è obbligatoria. Yona Roseman ha 19 anni e ad agosto
andrà in un carcere militare perché ha rifiutato di arruolarmi. Ha scelto di
rendere pubblica la sua decisione ed è entrata a far parte delle rete di
attivisti Mesarvot, un’associazione che offre supporto e sostegno legale ai
giovani che scelgono di non combattere. «La mia famiglia non l’ha presa bene,
alcuni amici di scuola hanno tagliato i ponti con me. Spero in uno Stato
democratico in cui tutti abbiano uguali diritti e i rifugiati palestinesi
possano tornare. Penso che prima o poi succederà»
A Yona Roseman, 19 anni, è stato chiesto di indossare la mimetica, armarsi, e
andare a combattere. L’arruolamento è previsto per agosto ma «io non
combatterò», dice. E sa già che questo rifiuto le costerà il carcere militare.
Non sa per quanto tempo dovrà restarci, ma per chi come lei si è rifiutata più
di una volta la permanenza può variare dai 30 ai 200 giorni consecutivi.
In Israele il servizio militare è obbligatorio sia per gli uomini che per le
donne, al compimento dei 18 anni. L’obbligo di leva si estende anche ai
cittadini israeliani che vivono all’estero e a quelli con doppio passaporto.
Dopo l’inizio della guerra tra Israele e Hamas il governo israeliano ha
approvato un’estensione della leva a 3 anni per uomini e donne per i prossimi 5
anni. Mentre il governo di Netanyahu continua a bombardare senza sosta
la Striscia di Gaza e porta avanti l’occupazione illegale della Cisgiordania,
cresce il numero di soldati che rifiutano di servire e aumentano i casi di
suicidio tra i militari.
Yona Roseman fa parte della rete Mesarvot, un gruppo di attivisti che rifiuta di
prestare il servizio militare obbligatorio. Una realtà che offre agli
adolescenti che devono arruolarsi aiuto per evitare che accada e supporto
legale. Non esiste un dato preciso di obiettori nel Paese. Mesarvot entra
principalmente in contatto con quelli che rendono pubblica la loro decisione.
Dall’inizio della guerra ne hanno sostenuti già quindici. «Vengo dal Nord di
Israele, ora vivo ad Haifa». Per presentarsi Roseman di se stessa dice: «Sono
una giornalista e un’attivista contro il genocidio, l’apartheid e gli
sfollamenti forzati. Quasi due anni fa ho maturato la scelta di rifiutarmi di
combattere, mi ero resa conto di non poter servire in un esercito che sta
sostenendo un regime illegale e antidemocratico a discapito di milioni di
persone. Ma col passare del tempo la scelta di non combattere è diventata molto
più semplice: non ci si arruola in un esercito che sta commettendo un
genocidio».
Per Yona rifiutarsi di combattere e basta non bastava: «Dopo aver già deciso di
non arruolarmi, mi sono resa conto che avrei dovuto rendere pubblico quel
rifiuto. La sensazione di potere che deriva dal rifiutare a gran voce quella che
si presume essere la norma mi ha convinto che fosse la cosa giusta per me. La
mia famiglia non l’ha presa bene, non ha appoggiato questa scelta, ma col tempo
ha imparato a capirmi. Alcuni amici di scuola hanno tagliato i ponti con me per
questa decisione, a parte questo non ha avuto grandi conseguenze finora. Ma il
mese prossimo andrò in un carcere militare perché ho rifiutato il servizio».
Roseman ha incontrato la rete Mesarvot nel 2023, durante una protesta contro
l’occupazione israeliana. «Mi aiuta con il supporto legale e mediatico, nella
relazione con i miei genitori e, soprattutto, mi fa sentire parte di una
comunità che sostiene e celebra la mia decisione».
Si può sostenere Mesarvot con delle donazioni, ma anche con atti simbolici come
«inviare lettere a chi si è rifiutato di combattere e ora si trova in carcere».
Yona ha una speranza chiara sul futuro: «Desidero uno Stato democratico in cui
tutti abbiano uguali diritti e i rifugiati palestinesi possano tornare. Credo
che prima o poi succederà. Spero di poter continuare a lottare per ciò che è
giusto qui, non mi vedo vivere da nessun’altra parte».
Redazione Italia