Per 2,5 milioni di evasori le tasse sono un optionalIn Italia i contribuenti onesti versano molte tasse anche perché ci sono tante
persone che non le pagano o lo fanno solo parzialmente. Secondo le ultime stime
dell’ISTAT riferite al 2022, infatti, sono quasi 2,5 milioni le persone fisiche
presenti in Italia che sono occupate irregolarmente. Sono uomini e donne che
lavorano completamente in nero o quasi; quando operano in qualità di subordinati
non sono sottoposti ad alcun contratto nazionale di lavoro. Se, invece, lavorano
in proprio, ovviamente non possiedono la partita Iva.
In valore assoluto il numero più elevato è concentrato in Lombardia con 379.800
unità. Seguono i 319.400 residenti nel Lazio e i 270.200 abitanti della
Campania. Se, invece, calcoliamo il tasso di irregolarità, dato dal rapporto tra
il numero di occupati irregolari e il totale degli occupati di ciascuna regione,
in Calabria registriamo il tasso più elevato pari al 17,1 per cento. Seguono la
Campania con il 14,2, la Sicilia con il 13,6 e la Puglia con il 12,6. La media
italiana è del 9,7 per cento.
Sono alcuni dei dati pubblicati di recente dall’Ufficio studi della CGIA di
Mestre. Eppure, questi 2,5 milioni di persone fisiche quando è necessario
vengono curate da una struttura ospedaliera pubblica, fanno frequentare ai loro
figli la scuola o l’università, dispongono dei trasporti, hanno la sicurezza
assicurata dalla presenza delle forze dell’ordine e così via. Servizi che
gravano esclusivamente sulle spalle di chi onestamente paga le tasse. Inoltre,
il nostro Paese tra i big dell’UE è quello che tassa di più, rispetto ai nostri
principali partner economici, abbiamo una pressione fiscale superiore a quella
tedesca di 1,8 punti e a quella spagnola addirittura di 5,4. Solo la Francia sta
peggio di noi: la pressione fiscale a Parigi è superiore alla nostra di 2,6
punti. La media UE, infine, è inferiore a quella italiana di 2,2 punti.
Ma, a chi vanno le nostre tasse e tra le entrate tributarie qual è quella più
onerosa? Anche se quasi la metà della spesa pubblica è in capo alle Regioni e
agli Enti locali, l’86% delle tasse va allo stato centrale. Nel 2023 il gettito
tributario complessivo è stato pari a 613,1 miliardi di euro. Di questi, 529,4
miliardi (pari all’86 per cento del totale) sono stati incassati dallo Stato
centrale; gli altri 83,7 (pari al 14 per cento del totale), sono finiti nelle
casse delle Regioni e degli Enti locali. Per contro, la spesa pubblica, al netto
delle uscite previdenziali e degli interessi sul debito pubblico, ha sfiorato i
644 miliardi. Di questo importo, 362 miliardi (pari al 56 per cento del totale)
sono stati spesi dallo Stato centrale, i rimanenti 281 (pari al 44 per cento del
totale) sono usciti dalle casse delle Regioni e degli Enti locali.
Scrive l’Ufficio studi della CGIA di Mestre: “In altre parole, se la quasi
totalità delle tasse pagate dagli italiani finisce nelle casse dello Stato
centrale, solo poco più della metà della spesa pubblica è in capo sempre a
quest’ultimo soggetto”. Tra le entrate tributarie in capo allo Stato e alle
Amministrazioni centrali la più onerosa per le tasche dei contribuenti è l’Irpef
che, al lordo delle detrazioni e degli oneri deducibili, è costata agli italiani
208,4 miliardi. Segue l’Iva con 140 miliardi e l’Ires con 49,7 miliardi. Per le
Regioni le voci in entrata più importanti sono l’Irap con 28,9 miliardi,
l’addizionale regionale Irpef con 13,5 e il bollo auto con quasi 6,6 miliardi.
Le Province, invece, possono beneficiare del gettito dell’imposta sulla Rc auto
che ammonta a 2,1 miliardi e il Pra con 1,7. I Comuni, infine, possono contare
sulle entrate dall’Imu con 18,6 miliardi, sull’addizionale comunale Irpef con
5,7 e sui contributi riscossi dalle concessioni edilizie con 1,7 miliardi.
Nella Testimonianza del Capo del Servizio Assistenza e consulenza fiscale della
Banca d’Italia, Giacomo Ricotti, in Audizione alla Camera dei deputati si legge:
“L’evasione, oltre a ridurre le entrate pubbliche, aumenta il peso della
tassazione sui contribuenti che rispettano le regole. Essa inoltre determina
condizioni di concorrenza sleale tra le imprese, avvantaggiando quelle che
sottraggono base imponibile o che operano in settori dove è più semplice eludere
i controlli. Può distorcere scelte occupazionali, investimenti in capitale umano
e offerta di lavoro, oltre ad influenzare la crescita dimensionale delle aziende
e limitarne la capacità di innovazione, con ripercussioni negative sullo
sviluppo dell’economia”.
E nella sua testimonianza Ricotti conferma che nelle stime più recenti, relative
al 2021, l’evasione (tax gap) fiscale e contributiva sarebbe pari a oltre 82
miliardi; la sola componente fiscale si attesterebbe attorno ai 72 miliardi, con
una propensione all’evasione di circa il 15 per cento del gettito teorico. “A
livello di singole imposte, certifica il Capo del Servizio Assistenza e
consulenza fiscale della Banca d’Italia, i tax gap più elevati si registrano per
l’Irpef sui redditi da lavoro autonomo e da impresa (29,6 mld; 66,8%
rispettivamente per ammontare e propensione al gap), l’IVA (17,8 mld; 13,6%),
l’Ires (circa 8 mld; 18,8%), l’IMU-TASI (circa 5,1 mld, 21,4%), l’IRAP (4,7 mld,
15,9%) e l’Irpef sui redditi da lavoro dipendente irregolare (quasi 4 mld,
2,3%)”.
Qui la Testimonianza del Capo del Servizio Assistenza e consulenza fiscale della
Banca d’Italia.
Giovanni Caprio