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La zohranomics a New York
Immaginate la mappa della metropolitana: linee che si incrociano, nodi di scambio, percorsi chiari verso destinazioni molto concrete. Il programma economico di Zohran Mamdani somiglia a una nuova linea – la linea dell’affordability (sostenibilità economica, accessibilità, convenienza economica o capacità di permettersi qualcosa, ndr) – che vuole collegare tre stazioni rimaste troppo spesso su […] L'articolo La zohranomics a New York su Contropiano.
Una manovra da poco
Non si possono servire due padroni, dicono i cristiani, perché l’amore per l’uno ci porterebbe a odiare l’altro. Perché i due padroni vogliono cose inconciliabili tra loro. Il Governo Meloni ha trovato un modo davvero singolare di rispettare il precetto evangelico: non si possono servire due padroni, quindi ne serve […] L'articolo Una manovra da poco su Contropiano.
Robin Hood e l’aumento dell’evasione fiscale
Mentre il Governo stava predisponendo una manovra finanziaria da 18 miliardi di euro per il 2026, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha rivelato che l’evasione fiscale nel 2022 (anno di insediamento del Governo) è aumentata di 19 miliardi di euro rispetto all’anno precedente, passando da 82,4 a 101,5 miliardi di euro. Questi numeri da soli danno una rappresentazione plastica della situazione finanziaria dell’Italia. Da un lato la legge di bilancio con le risorse più scarse degli ultimi decenni: lo scorso anno si era trattato di 30 miliardi di euro. Dall’altro un aumento del 23% dell’evasione fiscale in un solo anno. Evidentemente lo stato interviene e investe di meno, perché la cassa comune ha incamerato meno fondi del necessario. In un Paese normale ci dovrebbe essere una reazione forte e determinata. Ci si dovrebbe attendere una manovra che preveda interventi drastici contro l’evasione fiscale e contributiva. Ci si aspetterebbe anche una presa di posizione di tutte le istituzioni, che dovrebbero indignarsi nei confronti di chi – evitando di pagare il dovuto – di fatto mette le mani nelle tasche degli onesti. Invece, nella legge di bilancio per il 2026 è prevista la quinta edizione della cosiddetta “pace fiscale”, una maxi sanatoria decennale: fino a 120 rate in dieci anni, per chiudere definitivamente i conti in sospeso con il fisco. Non solo: 3 dei 18 miliardi di euro della manovra finanziaria sono utilizzati soprattutto per ridurre le imposte (440 euro per ciascuno) al 7% dei contribuenti più ricchi con redditi tra 50 mila e 200 mila euro. Per chi guadagna da 50 mila e 28 mila euro (il 21% dei contribuenti) c’è una riduzione decrescente (da 440 a 0 euro). Nessuno sconto fiscale è previsto per chi ha entrate inferiori a 28 mila euro (il 72% di chi presenta una dichiarazione dei redditi). Insomma, più guadagni più sconto avrai sulle tasse. In questo scenario, che sembra di fantapolitica e di fantaeconomia, mancherebbe soltanto un premio a chi è riuscito ad aumentare l’evasione fiscale e contributiva. Possiamo immaginare la motivazione: “Un riconoscimento per non aver sprecato le proprie risorse, dilapidandole a favore di un apparato burocratico statale sprecone, potendole così utilizzare personalmente per rilanciare i consumi e come investimento nell’economia reale”. Marco Biagi, in una intervista rilasciata poco prima di essere ucciso dalle Brigate Rosse, aveva detto: “Io sono della scuola di Robin Hood: ogni tanto ai ricchi bisogna prendere le cose con la forza”. Il Governo in carica invece ha scelto di interpretare la frase al contrario: “ogni tanto ai ricchi bisogna regalare qualcosa con generosità”. Resta soltanto una domanda: quando tornerà Robin Hood? Rocco Artifoni
Per 2,5 milioni di evasori le tasse sono un optional
In Italia i contribuenti onesti versano molte tasse anche perché ci sono tante persone che non le pagano o lo fanno solo parzialmente. Secondo le ultime stime dell’ISTAT riferite al 2022, infatti, sono quasi 2,5 milioni le persone fisiche presenti in Italia che sono occupate irregolarmente. Sono uomini e donne che lavorano completamente in nero o quasi; quando operano in qualità di subordinati non sono sottoposti ad alcun contratto nazionale di lavoro. Se, invece, lavorano in proprio, ovviamente non possiedono la partita Iva. In valore assoluto il numero più elevato è concentrato in Lombardia con 379.800 unità. Seguono i 319.400 residenti nel Lazio e i 270.200 abitanti della Campania. Se, invece, calcoliamo il tasso di irregolarità, dato dal rapporto tra il numero di occupati irregolari e il totale degli occupati di ciascuna regione, in Calabria registriamo il tasso più elevato pari al 17,1 per cento. Seguono la Campania con il 14,2, la Sicilia con il 13,6 e la Puglia con il 12,6. La media italiana è del 9,7 per cento. Sono alcuni dei dati pubblicati di recente dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre. Eppure, questi 2,5 milioni di persone fisiche quando è necessario vengono curate da una struttura ospedaliera pubblica, fanno frequentare ai loro figli la scuola o l’università, dispongono dei trasporti, hanno la sicurezza assicurata dalla presenza delle forze dell’ordine e così via. Servizi che gravano esclusivamente sulle spalle di chi onestamente paga le tasse. Inoltre, il nostro Paese tra i big dell’UE è quello che tassa di più, rispetto ai nostri principali partner economici, abbiamo una pressione fiscale superiore a quella tedesca di 1,8 punti e a quella spagnola addirittura di 5,4. Solo la Francia sta peggio di noi: la pressione fiscale a Parigi è superiore alla nostra di 2,6 punti. La media UE, infine, è inferiore a quella italiana di 2,2 punti. Ma, a chi vanno le nostre tasse e tra le entrate tributarie qual è quella più onerosa? Anche se quasi la metà della spesa pubblica è in capo alle Regioni e agli Enti locali, l’86% delle tasse va allo stato centrale. Nel 2023 il gettito tributario complessivo è stato pari a 613,1 miliardi di euro. Di questi, 529,4 miliardi (pari all’86 per cento del totale) sono stati incassati dallo Stato centrale; gli altri 83,7 (pari al 14 per cento del totale), sono finiti nelle casse delle Regioni e degli Enti locali. Per contro, la spesa pubblica, al netto delle uscite previdenziali e degli interessi sul debito pubblico, ha sfiorato i 644 miliardi. Di questo importo, 362 miliardi (pari al 56 per cento del totale) sono stati spesi dallo Stato centrale, i rimanenti 281 (pari al 44 per cento del totale) sono usciti dalle casse delle Regioni e degli Enti locali. Scrive l’Ufficio studi della CGIA di Mestre: “In altre parole, se la quasi totalità delle tasse pagate dagli italiani finisce nelle casse dello Stato centrale, solo poco più della metà della spesa pubblica è in capo sempre a quest’ultimo soggetto”. Tra le entrate tributarie in capo allo Stato e alle Amministrazioni centrali la più onerosa per le tasche dei contribuenti è l’Irpef che, al lordo delle detrazioni e degli oneri deducibili, è costata agli italiani 208,4 miliardi. Segue l’Iva con 140 miliardi e l’Ires con 49,7 miliardi. Per le Regioni le voci in entrata più importanti sono l’Irap con 28,9 miliardi, l’addizionale regionale Irpef con 13,5 e il bollo auto con quasi 6,6 miliardi. Le Province, invece, possono beneficiare del gettito dell’imposta sulla Rc auto che ammonta a 2,1 miliardi e il Pra con 1,7. I Comuni, infine, possono contare sulle entrate dall’Imu con 18,6 miliardi, sull’addizionale comunale Irpef con 5,7 e sui contributi riscossi dalle concessioni edilizie con 1,7 miliardi. Nella Testimonianza del Capo del Servizio Assistenza e consulenza fiscale della Banca d’Italia, Giacomo Ricotti, in Audizione alla Camera dei deputati si legge: “L’evasione, oltre a ridurre le entrate pubbliche, aumenta il peso della tassazione sui contribuenti che rispettano le regole. Essa inoltre determina condizioni di concorrenza sleale tra le imprese, avvantaggiando quelle che sottraggono base imponibile o che operano in settori dove è più semplice eludere i controlli. Può distorcere scelte occupazionali, investimenti in capitale umano e offerta di lavoro, oltre ad influenzare la crescita dimensionale delle aziende e limitarne la capacità di innovazione, con ripercussioni negative sullo sviluppo dell’economia”. E nella sua testimonianza Ricotti conferma che nelle stime più recenti, relative al 2021, l’evasione (tax gap) fiscale e contributiva sarebbe pari a oltre 82 miliardi; la sola componente fiscale si attesterebbe attorno ai 72 miliardi, con una propensione all’evasione di circa il 15 per cento del gettito teorico. “A livello di singole imposte, certifica il Capo del Servizio Assistenza e consulenza fiscale della Banca d’Italia, i tax gap più elevati si registrano per l’Irpef sui redditi da lavoro autonomo e da impresa (29,6 mld; 66,8% rispettivamente per ammontare e propensione al gap), l’IVA (17,8 mld; 13,6%), l’Ires (circa 8 mld; 18,8%), l’IMU-TASI (circa 5,1 mld, 21,4%), l’IRAP (4,7 mld, 15,9%) e l’Irpef sui redditi da lavoro dipendente irregolare (quasi 4 mld, 2,3%)”. Qui la Testimonianza del Capo del Servizio Assistenza e consulenza fiscale della Banca d’Italia. Giovanni Caprio
Il fisco spione
L’Italia ha un debito pubblico di oltre 3.000 miliardi di euro. Però nella casse del fisco italiano c’è un “buco” di 1.272 miliardi di euro: sono tasse non riscosse negli ultimi 25 anni. Per verificare le possibilità di recuperarle – e di conseguenza ridurre il debito – è stata istituita la “Commissione tecnica sul magazzino della riscossione”, che ha elaborato una relazione che contiene alcune proposte. Anzitutto sarebbe utile “pulire il magazzino”, stralciando 408 miliardi di euro di crediti non più esigibili per varie ragioni: persone decedute, società cessate, crediti prescritti, ecc. Sugli importi rimanenti la Commissione sostiene che il fisco debba sapere quanti soldi ci sono nei conti correnti dei contribuenti che non hanno versato il dovuto all’erario. In questo modo si potrebbe individuare chi non ha pagato perché non ha effettivamente i soldi per saldare il debito e invece chi sta facendo il “furbo”, non versando le imposte dovute pur avendo la disponibilità finanziaria per assolvere il dovere tributario. Infatti, nella relazione della Commissione, si legge che l’agente nazionale della riscossione dovrebbe poter disporre di tutti i dati di interesse «per la riscossione coattiva contenuti nell’anagrafe tributaria». Attualmente al fisco non è concesso l’accesso completo ai conti correnti, ma soltanto ad alcune informazioni parziali. Pertanto, per la Commissione «sarebbe opportuno prevedere, con le necessarie cautele e a tutela della privacy», che si possa sapere non solo il numero dei conti correnti del contribuente in debito, ma anche i suoi estratti conto. Inoltre, si suggerisce di utilizzare i dati della fatturazione elettronica per avviare procedure mirate di pignoramento dei crediti tra l’impresa debitrice e altri soggetti commerciali. Si tratta evidentemente di indicazioni sensate, per contrastare l’evasione fiscale, ripristinare un senso di equità nei confronti dei contribuenti onesti e migliorare i conti pubblici. Tutto bene dunque? Apriti cielo! Il ministro leghista dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti è intervenuto immediatamente in modo drastico: «È una vecchia proposta che rimarrà una proposta». Matteo Renzi, leader di Italia Viva, ha rincarato la dose, accusando il governo di provare a «infilare il fisco dentro i conti correnti. Ci avevano provato due anni fa e li avevamo fermati. Ora ritentano». È insolito che le voci dentro e fuori la maggioranza siano così in sintonia per tutelare la riservatezza dei contribuenti di dubbia fedeltà alla Repubblica. Peccato che nella Costituzione stia scritto che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” (art. 53). Se si impedisce al fisco di accertare la reale capacità contributiva dei contribuenti debitori, si impedisce l’attuazione del principio costituzionale di uguaglianza davanti alla legge e del dovere inderogabile di solidarietà. Ogni volta che si tratta di soldi, spunta sempre la questione della privacy come una muraglia cinese. Il fisco non deve fare lo spione, si dice, anche se i dati non fossero resi pubblici. Guardare nell’intimità dei conti correnti è considerato un comportamento pornografico. Evidentemente, non versare le imposte e di conseguenza rubare alla cassa comune è invece un esempio morale da tutelare. Rocco Artifoni
Meno tasse ai ricchi stranieri, meno soldi ai lavoratori italiani
“L’Italia attrae ricchi stranieri grazie al suo regime fiscale estremamente vantaggioso. Due banchieri svizzeri hanno recentemente approfittato di questo sistema, che consente loro di dedurre milioni di euro di tasse”. La frase a prima vista sembra una fake news. Se non fosse che è stata pubblicata sul sito in lingua francese della Radio Televisione Svizzera. In effetti dal 2017 l’Italia offre un sistema fiscale vantaggioso per i ricchi stranieri che stabiliscono la propria residenza fiscale in Italia, pagando un’imposta forfettaria. Fino all’agosto del 2024 si trattava di 100.000 euro, poi raddoppiati, in cambio di un’esenzione totale sui patrimoni e sui redditi esteri: dividendi, affitti, plusvalenze o eredità. Questo regime fiscale è valido per 15 anni. Secondo la Radio TV Svizzera diverse centinaia di persone hanno già beneficiato di questo schema. Tra questi, dirigenti senior, pensionati svizzeri e persino celebrità. Il caso più emblematico rimane quello di Cristiano Ronaldo, che si è trasferito a Torino al momento del suo passaggio alla Juventus, poco dopo l’entrata in vigore del programma. Recentemente due banchieri svizzeri hanno scelto di stabilire la propria base imponibile in Italia A dimostrazione che la penisola italiana continua ad attrarre ricchi individui grazie a questa leva fiscale. Interessante il commento della TV elvetica: “Questo sistema, tuttavia, non è sfuggito alle critiche. In particolare, è stato denunciato un sistema fiscale a due livelli, inaccessibile ai cittadini comuni, che vede le classi medie italiane sottoposte ad alcune delle pressioni fiscali più elevate d’Europa”. In effetti, il Documento di Finanza Pubblica approvato dal Governo italiano ad aprile 2025 certifica che la pressione fiscale in Italia nel 2024 è salita al 42,6% rispetto al 41,4% del 2023. Recentemente l’ISTAT ha segnalato che il potere d’acquisto delle retribuzioni dei lavoratori, soprattutto a causa dell’inflazione, negli ultimi quattro anni è diminuito del 9%. In sintesi: per i lavoratori italiani più tasse e meno soldi effettivi. La conclusione della Radio Televisione Svizzera è chiara: “Nonostante queste tensioni, l’Italia persiste nella sua strategia. Mentre altri Paesi, come il Portogallo, stanno riducendo o abbandonando questo tipo di regime fiscale, Roma sembra determinata a mantenere questo strumento di attrattività”. L’attuale compagine governativa utilizza abbondantemente la retorica della difesa dell’italianità (contro gli immigrati stranieri) e delle tasche degli italiani (contro il fisco esoso). In realtà si privilegiano fiscalmente gli stranieri a scapito degli italiani. Ma in politica è noto che la coerenza non è più una virtù. Rocco Artifoni
Il capitalismo italiano, piccino e sordido
I legali di John Elkann, sottoposto ad un procedimento giudiziario dalla Procura di Torino per truffa ed evasione fiscale, avrebbero fatto richiesta per il loro assistito di assegnazione ai lavori di pubblica utilità per chiudere la sua vicenda penale. Unitamente a questa misura, Elkann avrebbe accettato di pagare 175 milioni […] L'articolo Il capitalismo italiano, piccino e sordido su Contropiano.