Il fisco spione
L’Italia ha un debito pubblico di oltre 3.000 miliardi di euro. Però nella casse
del fisco italiano c’è un “buco” di 1.272 miliardi di euro: sono tasse non
riscosse negli ultimi 25 anni. Per verificare le possibilità di recuperarle – e
di conseguenza ridurre il debito – è stata istituita la “Commissione tecnica sul
magazzino della riscossione”, che ha elaborato una relazione che contiene alcune
proposte.
Anzitutto sarebbe utile “pulire il magazzino”, stralciando 408 miliardi di euro
di crediti non più esigibili per varie ragioni: persone decedute, società
cessate, crediti prescritti, ecc. Sugli importi rimanenti la Commissione
sostiene che il fisco debba sapere quanti soldi ci sono nei conti correnti dei
contribuenti che non hanno versato il dovuto all’erario. In questo modo si
potrebbe individuare chi non ha pagato perché non ha effettivamente i soldi per
saldare il debito e invece chi sta facendo il “furbo”, non versando le imposte
dovute pur avendo la disponibilità finanziaria per assolvere il dovere
tributario.
Infatti, nella relazione della Commissione, si legge che l’agente nazionale
della riscossione dovrebbe poter disporre di tutti i dati di interesse «per la
riscossione coattiva contenuti nell’anagrafe tributaria». Attualmente al fisco
non è concesso l’accesso completo ai conti correnti, ma soltanto ad alcune
informazioni parziali. Pertanto, per la Commissione «sarebbe opportuno
prevedere, con le necessarie cautele e a tutela della privacy», che si possa
sapere non solo il numero dei conti correnti del contribuente in debito, ma
anche i suoi estratti conto. Inoltre, si suggerisce di utilizzare i dati della
fatturazione elettronica per avviare procedure mirate di pignoramento dei
crediti tra l’impresa debitrice e altri soggetti commerciali.
Si tratta evidentemente di indicazioni sensate, per contrastare l’evasione
fiscale, ripristinare un senso di equità nei confronti dei contribuenti onesti e
migliorare i conti pubblici. Tutto bene dunque?
Apriti cielo! Il ministro leghista dell’economia e delle finanze Giancarlo
Giorgetti è intervenuto immediatamente in modo drastico: «È una vecchia proposta
che rimarrà una proposta». Matteo Renzi, leader di Italia Viva, ha rincarato la
dose, accusando il governo di provare a «infilare il fisco dentro i conti
correnti. Ci avevano provato due anni fa e li avevamo fermati. Ora ritentano».
È insolito che le voci dentro e fuori la maggioranza siano così in sintonia per
tutelare la riservatezza dei contribuenti di dubbia fedeltà alla Repubblica.
Peccato che nella Costituzione stia scritto che “tutti sono tenuti a concorrere
alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” (art. 53). Se
si impedisce al fisco di accertare la reale capacità contributiva dei
contribuenti debitori, si impedisce l’attuazione del principio costituzionale di
uguaglianza davanti alla legge e del dovere inderogabile di solidarietà.
Ogni volta che si tratta di soldi, spunta sempre la questione della privacy come
una muraglia cinese. Il fisco non deve fare lo spione, si dice, anche se i dati
non fossero resi pubblici. Guardare nell’intimità dei conti correnti è
considerato un comportamento pornografico.
Evidentemente, non versare le imposte e di conseguenza rubare alla cassa comune
è invece un esempio morale da tutelare.
Rocco Artifoni