SmartuorcTERMINOLOGIA
Prima di tutto notiamo la curiosità del fatto che l’espressione smart working
benché suoni inglese sia tutta italiana – non la troverete infatti negli annunci
di lavoro anglofoni! Dove invece si parla generalmente di remote working o work
from home (WFH). Qui continueremo a parlare di smart working per semplicità;
mentre in assoluto, ed anche per interpretare meglio altre fonti come per
esempio certi riferimenti normativi, sarebbe più appropriato parlare invece di
lavoro agile. Il lavoro agile è inteso quando si vuol indicare quelle modalità
in cui il lavoro non viene svolto per forza in ufficio e non viene svolto con
un’organizzazione rigida, dettagliata, e sorvegliata, di compiti da eseguire e
tempistiche (quando invece è il contrario si potrebbe parlare invece più
propriamente di telelavoro, che lasceremo fuori dalle successive
argomentazioni).
Stiamo perciò trattando un tema che riguarda sia il dove si lavora, sia il come
si lavora (cioè con quale livello di autonomia e di gestione del tempo).
LAVORARE AD OBIETTIVI
Spesso nelle discussioni sul lavoro agile / smart working il tema della modalità
organizzativa passa in secondo piano rispetto a quello del lavorare a distanza
dall’ufficio, ma è altrettanto importante cogliere anche questa occasione per
migliorare i climi organizzativi. La definizione lavoro agile / smart working
dovrebbe essere infatti intesa sia come la possibilità di determinare il luogo
fisico di lavoro, sia come la possibilità di organizzare l’attività per
obiettivi anziché per compiti sorvegliati.
Il lavoro ad obiettivi è il modello secondo il quale si richiede a chi lavora di
dimostrare in determinate tappe il raggiungimento di obiettivi produttivi, ma
nel quale l’organizzazione temporale della propria giornata e la successione
delle operazioni per raggiungere questi obiettivi sono generalmente libere. Gli
obiettivi da raggiungere, secondo questo schema dovrebbero essere negoziati con
una certa frequenza tra lavoratrici e lavoratori da una parte e l’azienda
dall’altra, all’interno della pianificazione di ciascun gruppo di lavoro.
Si tratta di una visione che considera chi lavora una persona matura e
responsabile dell’allocazione del proprio tempo e delle scelte operative; questa
modalità di lavoro è stata collaudata con risultati positivi sia sotto il
profilo del benessere psicologico individuale che sotto quello della
produttività e del benessere complessivo delle organizzazioni.
In alcuni casi però la possibilità effettiva da parte di chi lavora di negoziare
gli obiettivi, e soprattutto il tempo per il loro raggiungimento, è debole o
viene del tutto a mancare. Per questa ragione può capitare purtroppo che lo
smart working, distorcendo la filosofia dell’organizzazione per obiettivi, venga
usato opportunisticamente dalle aziende come strumento per estrarre più lavoro a
parità di retribuzione; facendo quindi tendere lo smart working ad un lavoro a
cottimo, a causa di un sovraccarico di obiettivi che comporta a propria
volta maggior fatica e allungamento dei tempi di lavoro.
Un altro problema si può riscontrare quando, per ciò che riguarda il
monitoraggio delle prestazioni e l’influenza sulle scelte operative, un quadro
di lavoro nominalmente ad obiettivi viene distorto in telelavoro; questo accade
a causa di una cultura dirigenziale non adeguata al cambiamento e troppo
orientata a sorvegliare e indirizzare anche i piccoli passi (per questi ultimi
due aspetti dello stile di gestione si parla di tendenza al micromanagement).
Bisogna perciò comunicare in modo chiaro che questi due esempi di distorsione
non sono le fatali conseguenze dell’organizzazione ad obiettivi (o dello smart
working in generale dato che sono distorsioni che possono occorrere anche nel
lavoro in presenza). Mentre si tratta di effetti portati dagli squilibri
generali nel rapporto di forza tra chi lavora e i datori di lavoro, e delle
carenze di cultura organizzativa aziendale; squilibri su cui occorre lavorare
infatti anche a prescindere dalle discussioni sullo smart working.
IMPATTI DEL LAVORO AGILE
RIDUZIONE DEGLI SPOSTAMENTI
Scegliere liberamente il luogo in cui si lavora (e possibilmente farlo anche con
flessibilità di orari e di organizzazione) fornisce molti vantaggi a lavoratrici
e lavoratori.
Anzitutto è possibile evitare o ridurre il pendolarismo (o le trasferte), e di
conseguenza tutti i disagi associati; tra i quali anzitutto lo spreco di tempo
di vita (tempo che nessuno vi restituirà!), la spesa per trasporti e magari la
spesa alloggi più costosi (perché relativamente vicini al luogo di lavoro), ed
altri disagi ancora. Nel contesto in cui ci troviamo segnato dal dissesto
ambientale, economico, e geopolitico, ridurre questi movimenti è importante
perché significa ridurre l’inquinamento e il consumo di fonti energetiche
impattanti e costose. Optare quando possibile per lo smart working, sotto questa
luce è perciò anche una scelta di tutela collettiva oltre che individuale.
CURA DELLE PERSONE
Poter decidere dove e come prestare la propria opera lavorativa contribuisce non
solo al benessere psicologico individuale, ma per diretto riflesso a quello
collettivo, oggi grandemente compromesso.
Lavoratrici e lavoratori hanno in molti casi anche il compito di caregiver,
dovendosi cioè occupare anche di altre persone oltre a sé: per esempio figlie e
figli di varie età, genitori anziani non autosufficienti, altre persone con
problemi di salute fisica o psichica. Lo smart working – soprattutto nel
contesto italiano dove c’è insufficienza cronica di aiuti strutturati da parte
dei servizi pubblici – può consentire di supportare le persone di cui ci si deve
occupare, maggiormente dove e quando serve a loro, fornendo perciò loro una
migliore qualità di vita e magari semplificando anche la propria.
Nondimeno, ci sono lavoratrici e lavoratori che patiscono direttamente sulla
propria persona problemi di salute di un certo rilievo, e che possono essere
molto alleviatə se non hanno l’obbligo di spostarsi quotidianamente.
Anche sotto questi aspetti perciò vediamo di nuovo una scelta di tutela
collettiva oltre che individuale.
TERRITORI
Poter lavorare stando in un luogo di propria scelta, se questo è situato in un
territorio non metropolitano, contribuisce anche alla vitalità socioeconomica
delle zone decentrate. Questo perché poter risiedere in uno di questi territori
(o potervisi trasferire), ha l’effetto di vivificarli sia grazie alle proprie
relazioni umane che grazie all’alimentazione dell’economia locale con le proprie
spese.
La tendenza generale degli scorsi anni ha invece impoverito di forze umane e di
flussi economici positivi le aree non metropolitane di tutte le regioni, a causa
di migrazioni più o meno stabili di lavoratrici e lavoratori della conoscenza
principalmente dirette verso i poli di Milano e di Roma (ed in minor parte verso
le altre città maggiori).
CLIMA RELAZIONALE
Lo smart working, nel caso sfortunato in cui l’ambiente di lavoro sia inficiato
da climi relazionali tossici, può essere anche uno strumento per ridurre un po’
il contatto e recuperare un po’ di serenità. Riteniamo però senz’altro che
questa sia una pezza, perché il problema dovrebbe essere affrontato per quanto
possibile a monte cercando di costruire degli ambienti con maggiore qualità
delle relazioni (oltre che tra colleghə, anche insieme a datori di lavoro e
sindacati).
Per alcunə lo smart working può risultare però un fattore impoverente le
relazioni nella quotidianità lavorativa; questa difficoltà si è posta di più per
le persone che avevano già consolidato delle relazioni positive in un precedente
periodo in presenza, ma non è da trascurare per tutte le altre. A questo si può
porre rimedio con una presenza ibrida sede/remoto. Ed anche/oppure sforzandosi
di potenziare le reti di relazioni informali che ci sostengono durante la
giornata; sia ponendo nuovi stimoli nell’ambiente lavorativo sfruttando canali
di comunicazione privati, sia estendendo al di fuori del lavoro le proprie reti
di relazioni.
OPT-IN, OPT-OUT, MODULABILITÀ DELLA PRESENZA
Nonostante i molti vantaggi, è importante però che la scelta dello smart working
rimanga il più possibile libera: tanto in termini di poter optare, quanto in
termini di poter modulare una presenza parziale, oppure di non optare. Non è
detto infatti che il lavoro integralmente svolto a distanza sia una soluzione
adatta ai bisogni di chiunque.
Per quel che riguarda l’aspetto sociale, abbiamo detto infatti che ci sono
persone che possono sentire maggiormente di altre la necessità di poter lavorare
nello stesso spazio fisico delle colleghe e dei colleghi.
Altre persone invece, magari per questioni abitative, potrebbero non disporre
facilmente di spazi e condizioni adeguati al di fuori dell’ufficio dove lavorare
in tranquillità ed ergonomia, e potrebbero perciò sentire il bisogno di uscire e
recarsi in uno spazio dedicato.
COSTI E RIMBORSI
Si parlava di costi: lavorare da un luogo esterno alla sede aziendale, come può
essere la propria abitazione, fa risparmiare in trasporti (e magari anche in
affitti/mutui se consideriamo l’ipotesi di dover trovare casa nella stessa città
dell’ufficio); ma comporta dall’altra parte altre spese, come quelle per la
connessione internet, per le attrezzature, e per le utenze domestiche (energia
elettrica, riscaldamento). Sovente viene fornito un computer in comodato d’uso,
e spesso le spese di connettività (che in alcuni casi sono rimborsate) e le
utenze incidono meno dei risparmi ottenuti. Ciò nonostante, non possiamo
considerare questo esempio combinazione favorevole come universalmente valido: i
bilanci di ciascuna situazione personale possono variare, e sarebbe bene in
generale che le spese relative di fornitura e di esercizio degli strumenti di
lavoro (connessioni comprese) fossero sempre in carico al datore di lavoro; e
che venga riconosciuta anche una quota parte relativa alle utenze. Da
considerare anche la questione dei buoni pasto (ricordiamolo: un sostitutivo
parziale del servizio mensa non tassato fino ad una certa somma) che certe
aziende vorrebbero non erogare alle persone che lavorano da remoto.
CONFINI
Se si lavora con un calendario ed un orario di disponibilità prestabilito, di
norma non dovrebbero esserci interferenze non pianificate con il tempo privato.
Con l’introduzione dello smart working purtroppo è anche accaduto che questo
confine tra tempo lavorativo e tempo privato divenisse più labile e meno
facilmente difendibile; possiamo riassumere il concetto nella frase di un
ipotetico capo: “in fin dei conti sei a casa vicino al PC, puoi pure fare questa
cosa che ti chiedo anche se è tardi/anche se è un giorno non nel calendario
lavorativo”. Nel caso dello smart working il problema non è solo la richiesta
estemporanea di una prestazione aggiuntiva, non programmata (come dovrebbe
essere invece ogni forma di lavoro straordinario), ma anche il fatto che si
venga disturbati nei momenti meno opportuni da chiamate e notifiche sui vari
strumenti di comunicazione, che si pretende abbiano una risposta.
Siccome la difesa di questo confine non dovrebbe essere lasciata soltanto alla
capacità di bilanciare fermezza/flessibilità degli individui, un importante tema
di discussione è il diritto alla disconnessione: ovvero sia che non si possa
pretendere un output da persone coinvolte attraverso qualsiasi canale nei
momenti al di fuori delle fasce prestabilite.
RISERVATEZZA
Lo smart working per definizione necessita di strumenti digitali di
collaborazione.
Questi strumenti possono porre criticità di vario tipo per quanto riguarda la
riservatezza.
Ci sono criticità legate alla sorveglianza invasiva dell’operato di chi
lavora. Alcune aziende usano strumenti per monitorare cosa e quanto si fa con
gli strumenti digitali impiegati per lavorare; anche se questo aspetto in teoria
dovrebbe essere normato negli accordi con la tutela di fondo della legge di
statuto dei lavoratori, anche per la natura degli strumenti di monitoraggio non
sempre chi lavora riesce ad avere contezza pratica dell’impatto dei controlli
e/o a capire agevolmente se il controllo avvenga nel rispetto delle
disposizioni. Per fare un altro esempio, nelle piattaforme di messaggistica
aziendali spesso i superiori possono accedere rapidamente agli scambi dei
dipendenti (per questo specifico problema è fondamentale dotarsi di canali
alternativi per tutte quelle comunicazioni – come quelle di organizzazione tra
lavoratori – che è bene restino riservate!).
E poi ci sono criticità legate alla tutela del dato trattato, di particolare
importanza per le pubbliche amministrazioni (scuole comprese) che trattano dati
di cittadinə. Nella fretta e per la carenza, presso i decisori, di capacità
organizzative e consapevolezze, si è spesso affidato il trattamento di
informazioni a piattaforme e servizi gestiti da multinazionali extraeuropee (che
operano quindi con minori tutele del dato rispetto a quelle ordinariamente
stabilite). Con l’aggravante – oltre a quella di non aver voluto e saputo
mettere a fattor comune risorse e know-how disponibili nel circuito delle
amministrazioni stesse – di non avere allocato a propria volta
all’amministrazione pratica di questi servizi del personale in possesso delle
adeguate consapevolezze tecniche e giuridiche. Queste modalità, caratterizzate
oltre tutto da misure di protezione dei dati non soddisfacenti o non agevolmente
verificabili, hanno fatto sì che questi dati siano a repentaglio e che
contemporaneamente siano utilizzati per scopi di profilazione che sono del tutto
estranei alle finalità per cui i dati vengono impiegati, ma che sono imposti
dalle meccaniche di funzionamento delle piattaforme commerciali di cui
parlavamo.
LE REGOLE E L’EVOLUZIONE
Il lavoro remoto / agile per le professioni della conoscenza era preconizzato
già dagli anni ‘70 del ‘900 e forse da prima. Negli scorsi 15-20 anni, più che
l’indisponibilità di piattaforme collaborative e di infrastrutture di
telecomunicazione adeguate, a frenarne l’adozione diffusa sono stati altri
fattori. Ha pesato, e talvolta pesa ancora, una certa mentalità dirigenziale
secondo cui una persona non fisicamente presente e visibile risulta meno
produttiva di coloro che stanno in ufficio perché non la si può tenere d’occhio
(e sappiamo benissimo quanto questo si smentisca con i fatti!). Hanno pesato, e
talvolta pesano ancora, gli investimenti immobiliari che le aziende hanno fatto
per i complessi di uffici, e gli interessi che intorno a questi investimenti
gravitano. Ha pesato l’assenza di una regolamentazione a cui le aziende
potessero fare riferimento e che tutelasse allo stesso tempo i diritti di chi
lavora.
Prima del 2017 la possibilità di lavoro agile è stata nella pratica una
sperimentazione applicata soltanto ad una quota molto ridotta di lavoratrici e
lavoratori della conoscenza, frutto unicamente della contrattazione individuale.
Nel 2017 arriva la prima legge che regolamenta il lavoro agile (legge
81/2017); questa legge (ne vediamo qualche dettaglio perché verrà richiamata in
seguito) fissa alcuni punti:
* la prestazione di lavoro agile si deve svolgere entro i limiti di durata
massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale
* il datore di lavoro deve garantire la sicurezza e il buon funzionamento degli
strumenti tecnologici assegnati
* le disposizioni sul lavoro agile di questa legge si possono applicare tanto
al settore pubblico che quello privato
* deve essere stipulato un accordo individuale che indichi:
* il termine di scadenza dell’accordo stesso o la sua validità a tempo
indeterminato
* la misura di alternanza tra la presenza nella sede aziendale e quella
all’esterno
* le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro
* gli strumenti utilizzati
* i tempi di riposo
* le misure tecniche ed organizzative per garantire il diritto alla
disconnessione
* non possono essere applicate riduzioni di retribuzione rispetto a chi lavora
in sede
* il controllo della prestazione da parte del datore di lavoro non può eccedere
o violare quanto stabilito dalla legge 300/1970 (“statuto dei lavoratori”)
* il datore di lavoro deve garantire la salute e della sicurezza del lavoratore
che operi all’esterno della sede aziendale e tra gli altri compiti deve
perciò cooperare alle misure di prevenzione dei rischi
Nel 2018 è subentrata una norma che dava priorità alle richieste di Smart
Working formulate dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del
periodo di congedo obbligatorio di maternità e a quelle dei lavoratori con figli
in condizioni di disabilità.
Da quel momento e fino al 2020, lo smart working è stato nei fatti una
possibilità concessa come benefit per lo più a dipendenti direttə di aziende
tecnologiche private. Anche nella maggior parte delle pubbliche amministrazioni,
il concetto di lavoro a distanza generalmente non veniva preso in considerazione
e offerto come possibilità.
Dal canto proprio, molte più persone di quante fossero abilitate sentivano da
anni la necessità di poter lavorare del tutto o in parte fuori dall’ufficio, ma
fino a tempi piuttosto recenti è stato difficile ragionare collettivamente su
come ottenere questo risultato facendo leva sulle aziende e sulle
istituzioni. Le poche eccezioni sono emerse per lo più dalla contrattazione
individuale o a livello di singola azienda, e quindi determinate
anche dall’abilità e dalle possibilità delle singole persone.
Nel 2020 è arrivata la pandemia COVID-19 che, ha messo i datori di lavoro di
fronte all’obbligo di riorganizzarsi in funzione del lavoro remoto per
consentire la sopravvivenza stessa delle attività; questo trovandosi nella
situazione, tanto imprevista quanto urgente, dell’inopportunità sanitaria di far
spostare quotidianamente le persone presso gli uffici.
Da febbraio a maggio 2020 si sono susseguiti i decreti che per motivi di urgenza
sanitaria hanno prima imposto e poi raccomandato il massimo utilizzo del lavoro
agile, anche senza un accordo preventivo con i dipendenti (e quindi però di
riflesso anche senza alcune tutele), derogando in parte alla legge 81/2017 (che
abbiamo visto sopra) ed entrando nel cosiddetto regime semplificato. Anche nella
pubblica amministrazione, il lavoro agile era diventato la regola per tutta la
durata di questa prima fase di emergenza (persino con strumenti a carico del
dipendente, nelle non poche amministrazioni che non erano attrezzate).
A maggio 2020 è stato sancito dalla normativa che lo smart working fosse un
diritto per chi (nelle aziende private) avesse figli sotto i 14 anni, ed una
facoltà raccomandabile per tutti gli altri soggetti del settore privato. La
stessa norma confermava che l’attività da remoto potesse essere svolta anche
attraverso strumenti informatici del dipendente qualora non fossero forniti dal
datore di lavoro. Da questo momento, le aziende hanno iniziato a spingere sul
ritorno in ufficio.
Nell’ottobre 2021 si definisce come orientamento per le pubbliche
amministrazioni che la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione è
quella in presenza.
A dicembre 2021 per il lavoro agile è stato sottoscritto un protocollo di intesa
(che in quanto tale, è sempre bene ricordarlo, vale solo come dichiarazione di
intenti e insieme di linee-guida, ma non ha forza di legge in sé) tra il
ministero del lavoro e delle politiche sociali, e le parti sociali (costituite
da diversi sindacati, tra cui CGIL, CISL, UIL, USB e da diverse associazioni
d’impresa, tra cui Confindustria, Confcommercio e Confapi). L’intento era quello
di tracciare un quadro di riferimento per le future regolamentazioni dello smart
working, cercando un fondamento nella legge del 2017 di cui abbiamo parlato
prima. Questo protocollo in pratica riprende i temi trattati dalla legge 81/2017
che abbiamo visto sopra, li dettaglia ulteriormente, ne aggiunge altri;
incentivando la contrattazione collettiva delle disposizioni di dettaglio per
ciascun contesto produttivo.
Ecco alcuni spunti che il protocollo (di cui trovate il testo completo
qui https://www.lavoro.gov.it/notizie/Documents/PROTOCOLLO-NAZIONALE-LAVORO-AGILE-07122021-RV.pdf )
aggiunge o approfondisce rispetto alla legge 81/2017:
* adesione volontaria allo smart working, sempre sulla base di accordo
individuale; (non può essere imposta, ma rimane soggetta ad una concessione)
* possibilità di recesso dall’accordo da parte del lavoratore o da parte del
datore di lavoro
* assenza di un preciso orario di lavoro e diritto alle fasce di disconnessione
* lo straordinario non è consentito a meno che non sia contemplato
specificamente dai contratti collettivi nelle parti che si riferiscono allo
smart working
* autonomia nel raggiungimento degli obiettivi prefissati
* il luogo di lavoro scelto dal lavoratore: deve rispettare oltre ai requisiti
di salute e sicurezza anche quelli di riservatezza
* strumenti di lavoro: eccetto accordi differenti, il datore di lavoro è tenuto
a fornirli e a coprirne la manutenzione
* copertura assicurativa INAIL per infortuni anche nel tragitto da e verso la
sede di lavoro
* tutela dei diritti sindacali che devono poter essere esercitati tanto da
remoto che in presenza secondo le modalità di dettaglio che dovranno essere
individuate dalle parti sociali
* parità di trattamento rispetto ai lavoratori impiegati esclusivamente in sede
aziendale, pari opportunità
* priorità ai lavoratori fragili e disabili
* definizione delle politiche di sicurezza dei dati trattati
* formazione (se ne parla però in modo per lo più mirato alla fruizione delle
tecnologie di supporto al lavoro agile stesso)
Successivamente varie norme di urgenza hanno prorogato quanto stabilito dalle
precedenti, compreso per la pubblica amministrazione, indicando la nuova
scadenza per il 31 agosto 2022 e il riferimento al protocollo di intesa come
linea-guida per la formulazione degli accordi tra datori di lavoro e dipendenti.
Nell’ultima occasione si è anche stabilito per quanto riguarda le pubbliche
amministrazioni che entro il 31 gennaio di ogni anno ciascuna PA dovrà redigere
un “Piano organizzativo del lavoro agile” (POLA) prevedendo che almeno il 15%
dei dipendenti possa avvalersi dello smart working. Per chi usufruirà di questa
modalità di lavoro, va garantito che non subiscano penalizzazioni ai fini del
riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera. Di fatto è
prevedibile che questi piani prenderanno forma nel 2023, e che – salvo prossimi
cambiamenti normativi – saranno comunque frustrati dagli
orientamenti restrittivi per le PA del 2021 che abbiamo indicato sopra.
Alla scadenza del 31 agosto 2022 i precedenti termini non sono stati rinnovati,
e perciò si è tornati in una situazione in cui la facoltà dello smart working è
generalmente soggetta alla stipula di accordi individuali tra datori di lavoro e
dipendenti, salvo che vi siano accordi specifici tra organizzazioni sindacali e
aziende. La stessa disciplina si applica sia alle aziende private che agli enti
pubblici. Sono indicate come prioritarie le richieste formulate dalle
lavoratrici e dai lavoratori con figli fino a 12 anni di età (o senza alcun
limite di età nel caso di figli in condizioni di disabilità grave). La stessa
priorità deve essere riconosciuta da parte del datore di lavoro alle richieste
dei lavoratori con disabilità in situazione di gravità o che siano caregivers.
Dal 13 settembre 2022 (conversione in legge del DL “aiuti bis”) si è infine
stabilito di validare fino alla fine dell’anno il cosiddetto “regime agevolato”
che concede il diritto al lavoro agile per fragili e genitori di figli sotto i
14 anni. Per le persone restanti la concessione dello smart working può ora
prescindere nuovamente dalla stipula degli accordi individuali. La tendenza che
si registra presso le imprese è spesso quella di far rientrare in presenza,
revocando o non rinnovando gli accordi individuali.
Per la pubblica amministrazione purtroppo è stata ancora recentemente ribadita
l’applicazione dei principi sanciti nell’autunno 2021, secondo i quali come
dicevamo la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione è quella in
presenza. Secondo alcune fonti, ci sono ministeri in cui sono stati firmati
accordi individuali che prevedono una media di due giorni a settimana di lavoro
agile.
CONSIDERAZIONI
Come abbiamo visto, l’evento pandemia ha prodotto a livello governativo una
serie di norme transitorie con lo scopo di allargare l’accesso allo smart
working; ad oggi ci troviamo ancora in una fase in cui queste norme non sono
consolidate o adeguate rispetto ad aspetti importanti tra cui gli orizzonti
temporali e il diritto per chiunque di accedere allo smart working senza la
necessità di qualche tipo di trattativa. Inoltre, in quanto emergenziali, si
tratta di norme la cui formulazione, fino al protocollo di intesa di cui
parlavamo, è arrivata dall’alto delle istituzioni (e che quindi generalmente non
sono state oggetto di discussione allargata) e che inoltre lasciano tuttora il
potere decisorio fortemente in mano ai datori di lavoro.
Di base abbiamo ancora un sistema, per quanto riguarda la maggior parte di
dipendenti, in cui il datore di lavoro decide “se” e “quanto” smart working
concedere. Noi pensiamo invece che non ci siano reali motivi per giustificare
l’obbligo della presenza, seppure parziale, di lavoratrici e lavoratori della
conoscenza in una sede di ufficio.
Nonostante i limiti e le carenze di norme, contratti, e accordi, l’introduzione
massiva (forzata dagli eventi) dello smart working ha fornito delle evidenze
positive di cui dopo oltre due anni di esperienza diffusa possiamo tirare le
somme: è stato possibile dimostrare ai datori di lavoro che le attività possono
essere svolte anche in modalità remota senza esserne ostacolate, mentre in molti
casi poter erogare la propria prestazione in modo svincolato ha anche favorito
la qualità dei risultati grazie ad un maggiore benessere.
Questo con uno sguardo però concentrato sul settore privato; nelle pubbliche
amministrazioni invece, i risultati sono stati meno buoni a causa delle carenze
organizzative e strutturali; lì anziché lavorare sugli spunti di rimedio, i
decisori hanno preferito fare marcia indietro limitando le modalità di lavoro
agile inizialmente messe in atto nel periodo emergenziale.
Nel settore pubblico come in quello privato, vediamo perciò che la gestione del
tema del lavoro agile è unilaterale; e che si tratta di decisioni determinate
più da una tradizione culturale che non da esigenze realmente incidenti sulla
profittabilità/funzionalità delle organizzazioni.
In certi contesti occorre ancora che maturi la capacità delle aziende di
organizzarsi davvero per obiettivi, evitando le distorsioni di cui abbiamo
discusso prima in questo senso. La sfida in questo senso è ancora una volta
culturale prima ancora che normativa.
OBIETTIVI CHE VORREMMO RAGGIUNGERE
Vorremmo che il lavoro agile diventi un diritto per coloro che operano nel
settore della conoscenza e la cui presenza non sia fisicamente indispensabile,
diritto che ciascunə possa esercitare secondo i propri bisogni, uscendo
finalmente da una dinamica di concessione condizionata dallo stile di gestione
aziendale e/o dall’appartenenza a determinate fasce di situazioni personali o di
professionalità. In questo aiutando anche i datori di lavoro ad uscire dalla
visione secondo cui si tratti di un beneficio da graduare a seconda
dell’opportunità, per entrare nella visione secondo cui si tratta di un elemento
di salute per tutte le organizzazioni. Cercando per quanto possibile di tenere
accoppiata la discussione sul lavoro remoto con quella sul modello ad obiettivi,
per evitarne le distorsioni e cercando perciò di garantirne la sostenibilità.
Vorremmo spingere per spostare nei contratti collettivi la regolamentazione (ma
sempre facendo in modo da mantenere la più ampia possibilità di scelta a
lavoratrici e lavoratori), anziché delegarla agli accordi individuali e ai
processi governativi. Questo per mettere le persone in parità di condizioni
favorevoli, grazie ad una maggior forza di negoziazione, e per dare persistenza
temporale al diritto al lavoro agile che non può più essere considerato una
misura emergenziale né tanto meno una merce di scambio nel contesto delle
abilità di contrattazione individuale.
Vorremmo che per quanto riguarda il lavoro agile, lavoratori e lavoratrici delle
pubbliche amministrazioni siano postə anche nei fatti nelle stesse condizioni di
coloro che operano nel settore privato. In altre parole, vorremmo contribuire ad
eliminare la disposizione che sancisce come prevalente la modalità in presenza;
e spingere le amministrazioni a colmare le lacune in termini di metodi e
strumenti adeguati per garantire nella pratica (e non solo sulla carta) il
lavoro agile a tuttə coloro che lo necessitino.
Vorremmo che i costi da sostenere per lavorare da remoto non gravino sulle
spalle di chi lavora. Soprattutto considerando l’aumento imponente delle spese
per le utenze domestiche.
Vorremmo creare maggiore sensibilità, sia presso i datori di lavoro che presso
lavoratrici e lavoratori, intorno ai temi della sorveglianza del lavoro remoto e
a quello della tutela dei dati personali trattati con gli strumenti
collaborativi (tema molto importante nelle pubbliche amministrazioni).
AGISCI OGGI!
È importante che chi lavora possa decidere in merito a dove e come prestare la
propria opera, invece di lasciare questo potere tutto in mano ai datori di
lavoro. La possibilità di decidere la si conquista anche attraverso i risultati
di piccole e grandi azioni che ciascunə può mettere in campo.
Tutti i traguardi che abbiamo elencato sopra potrebbero infatti essere raggiunti
e consolidati a medio-lungo termine per via normativa; ma è già possibile
influire senza aspettare, partendo dalla propria realtà quotidiana e facendolo
in diversi modi:
* organizzandosi tra colleghə per far sentire all’azienda una voce comune e se
possibile propositiva; al limite anche indicando le carenze di offerta e
gestione dello smart working come fattore che può influenzare il turnover
(leggi: far pesare il proprio valore sul mercato in termini di opportunità di
andarsene altrove)
* collaborando con le organizzazioni sindacali per contribuire al
consolidamento e all’ampliamento delle tutele attraverso i vari livelli della
contrattazione collettiva, dal livello integrativo aziendale fino al livello
di contrattazione collettiva nazionale
* ovviamente, rifiutando se possibile le offerte di lavoro che pongano
limitazioni allo smart working
* diffondendo l’informazione su quali siano le aziende che applicano condizioni
di smart working favorevoli e quali siano quelle che non le applicano