Source - Tech Workers Coalition Italia

CCNL Metalmeccanici – Giugno – Guida all’aumento dei minimi tabellari
INTRODUZIONE Il CCNL Metalmeccanici 2021 prevede (Titolo IV, Art. 5) che, a giugno di ogni anno di validità del contratto, le Organizzazioni contraenti si riuniscano per verificare l’andamento dell’inflazione nell’anno precedente. Tale valutazione è finalizzata a determinare un aumento dell’importo minimo che le aziende devono versare in busta paga dei dipendenti. La valutazione viene fatta su un indice detto IPCA, al netto dei beni energetici importati – non ci soffermiamo su questa scelta, ne abbiamo discusso in questo articolo. Di seguito la tabella con i minimi contrattuali, divisi per anno e per livello, presa direttamente dal CCNL: AUMENTO Quest’anno, tale aumento è risultato pari al 6.6% del minimo tabellare. Tale valutazione è stata messa per iscritto nell’incontro che menzionavamo all’inizio: L’APPRENDISTATO Se si è in apprendistato, questi importi possono essere inferiori, in funzione di quando si è iniziato l’apprendistato: infatti, l’accordo del 05/02/2021, contestuale al CCNL 2021, ha cambiato le regole sul trattamento economico. Di seguito le indicazioni in funzione che si sia stati assunti in apprendistato con l’accordo del 05/02/2021 o con il precedente. Se si è stati assunti dopo il 01/06/2021 in apprendistato professionalizzante, allora le proporzioni da applicare sono queste: Ad esempio, se si è stati assunti a Gennaio 2023 con un apprendistato di 36 mesi al livello C2, oggi (Luglio 2023) si è a una percentuale dell’85%, quindi l’aumento sarà l’85% di 115.22 euro (i.e. circa 98 euro). Se si è stati assunti prima del 01/06/2021, vale il vecchio accordo, per cui l’incremento è il 100% del proprio livello attuale. ASSORBIMENTO Ora, diverse aziende hanno assorbito, o pianificano di assorbire, gli aumenti nel “superminimo” (la voce della busta paga che indica quanti soldi in più dà l’azienda rispetto al minimo di cui sopra). Cioè, in questi casi, in busta paga si troverà che: * l’importo indicato come minimo è quello definito dalla tabella al paragrafo Aumento. * l’importo indicato come “superminimo” è diminuito, rispetto alla busta paga di maggio, di un importo pari a quello che sarebbe dovuto essere l’aumento. Il totale (minimo+superminimo), quindi, è rimasto invariato. Lo potevano fare? Dipende. Il CCNL prevede due casi in cui si può fare – al netto del fatto che, è bene ricordarlo, le aziende possono stipulare contratti migliorativi rispetto al CCNL. * Caso 1: il superminimo, in busta paga, è indicato come “assorbibile” ed è stato concordato dopo il 01/01/2017. * Caso 2: il dipendente ha ricevuto degli aumenti degli elementi fissi della retribuzione, concordati in sede aziendale, non correlati alle modalità di effettuazione della prestazione lavorativa (i.e. non dovuti a straordinari, notturni, etc). Esempio 1: se hai un superminimo assorbibile di 200 euro, concordato dopo il 01/01/2017, e l’azienda non fa nulla di più rispetto a quanto previsto nel CCNL, allora non riceverai alcun aumento. Esempio 2: se hai ricevuto un aumento di 100 euro qualche mese fa, per aver raggiunto degli obiettivi di produzione, allora gli aumenti dei minimi tabellari indicati al paragrafo Aumento saranno diminuiti di 100 euro. Ovviamente, se erano già inferiori a 100 euro, non riceverai alcun aumento. CONCLUSIONE Parlate con i colleghi di questi argomenti e chiedetene conto ai vostri dirigenti in azienda! L’aumento era stato pensato per far fronte all’inflazione, dobbiamo creare pressione affinché, nella prossima tornata contrattuale, si riesca a strappare condizioni ancora migliori e si sensibilizzi l’opinione pubblica su queste misure.
#NoTechForApartheid
La crisi del 7 Ottobre ha fatto precipitare una situazione già precaria in una delle più grandi migrazioni nell’area, con oltre 11 mila morti e 1.7 milioni di sfollati sui 2.3 milioni di abitanti della striscia di Gaza. Nel 2021 Amazon Web Services e Google Cloud hanno firmato un contratto da 1.2 milardi di dollari per fornire tecnologia cloud al governo Israeliano, Project Nimbus. Facendo affari con l’apartheid imposta da Israele, Amazon e Google hanno facilitato la sorveglianza dei Palestinesi da parte di Israele e semplificato il processo di esodo forzato dalle loro terre. La tecnologia che creiamo con l’obiettivo di servire e facilitare la vita delle persone sta invece contribuendo ad amplificare l’asimmetria sistemica di potere in mano ad Israele, contribuendo a rendere le vite dei palestinesi ancora più richiose e crudeli. Senza di noi non esiste industria tecnologica: se non vogliamo che gli algoritmi di riconoscimento facciale che produciamo siano usati per bombardare ospedali a Gaza, è nostra responsabilità dire di no. I tech worker di tutto il mondo si stanno organizzando in prima persona per pretendere che il proprio datore di lavoro interrompa tutte le relazioni commerciali con Israele, proprio a partire da Amazon e Alphabet. In quanto tech worker l’invito è di organizzarci con colleghi e amici tech worker per pretendere che i contratti e le relazioni commerciali del nostro datore di lavoro con Israele vengano interrotte, con un occhio di riguardo alla privacy per tutelarci da un’eventuale rappresaglia da parte del datore.
POSTEL – Un data breach che danneggia i tech workers
Lo scorso 15 Agosto Postel S.p.a., società del gruppo Poste Italiane, è stata vittima di un attacco ransomware. Gli hacker del gruppo Medusa, come segnalato dal DPO Christian Bernieri, hanno pubblicato dei samples e il treeview completo dei file estromessi. L’elenco, pur ristretto a informazioni inerenti i dipendenti dell’azienda, contiene di tutto: documenti di identità, attestati di idoneità fisica, adesioni sindacali, i dati per l’accesso a SPID, le informazioni di sicurezza su come interagire con i servizi software di altri gruppi/agenzie italiane. Varie testate, come RedHotCyber, Wired e ilPost hanno pubblicato un resoconto della vicenda. Postel ha provato a rassicurare gli stakeholder, sostenendo che il breach riguarda solo dati interni, e che in ogni caso hanno dei backup degli stessi. Si tratta di una risposta del tutto insufficiente da più punti di vista. In primo luogo è tutto da dimostrare che i dati prelevati siano esclusivamente interni: il treeview riporta esplicitamente nomi di cartelle e di file che fanno riferimento a informazioni critiche per l’interazione con i software di altri stakeholders. Inoltre il comunicato non basta a rassicurare le principali vittime del data breach, cioè i lavoratori e le lavoratrici Postel. Al netto del fatto che le misure di prevenzione e protezione dagli attacchi ransomware sono molto più articolate del semplice back-up, la diffusione delle informazioni estromesse avrebbe un impatto ben maggiore sul gruppo e sui suoi dipendenti. Per esser chiari: è davvero rassicurante dire “non vi preoccupate, abbiamo un backup”, quando si parla di abilitazioni a SPID, documenti di identità, password di account, aderenza sindacale e altro? Può bastare una nota di poche righe a rassicurare chi potrebbe a breve vedere pubblicati su internet i propri dati sensibili? Noi siamo convinti di no: è già emerso che questa comunicazione non rispetta i principi base della gestione dei data breach e non promette nulla di buono riguardo il pagamento del riscatto. Come tech workers, riteniamo inaccettabile che un’azienda, peraltro già colpita 10 anni fa da un provvedimento del Garante della Privacy per violazione delle norme di protezione dei dati, non garantisca la sicurezza delle informazioni riservate dei propri dipendenti. La sicurezza sul luogo di lavoro è un concetto che è più ampio della salute dei dipendenti e anche la tutela dei dati che le aziende custodiscono deve farne parte, dato che la loro diffusione può compromettere l’equilibrio psicofisico della persona. Il caso di Postel dimostra che risparmiare sulla sicurezza informatica equivale a risparmiare sui dispositivi di protezione individuale o sull’ergonomia delle attrezzature; noi tech worker dobbiamo pretendere chiarezza sulle modalità di trattamento dei dati nei nostri luoghi di lavoro e segnalare alle aziende i rischi a cui siamo sottoposti.
Giugno 2023 – Aumento busta paga CCNL Metalmeccanici: una prospettiva critica
L’aumento previsto per il CCNL metalmeccanico per fine giugno ha creato una serie di dubbi fra i lavoratori, in particolare su chi ne gioverà a tutti gli effetti. Data la diffusione di questo tipo di contratto tra i tech worker italiani, anche per TWC è importante aiutare a chiarire la situazione. Di che aumento si tratta? La decisione risale al 5 febbraio 2021: con l’ultimo rinnovo contrattuale del contratto metalmeccanico si è introdotta una clausola di garanzia che prevede l’adeguamento delle retribuzioni minime all’aumentare del costo della vita. Questo adeguamento è previsto per giugno, momento in cui si va a verificare l’andamento inflattivo dell’anno precedente tramite l’indice dei prezzi al consumo (IPCA), con due vincoli che espliciteremo poi. L’aumento quest’anno è del 6.6% rispetto ai minimi tabellari, per definizione non assorbibili e dipendenti dal livello di inquadramento: a titolo di esempio, quest’anno è pari a 123,40 euro per i livelli C3. Che differenza c’è tra il minimo e il superminimo? Che significa “assorbibile”? I soldi che un’azienda dà in più rispetto ai minimi tabellari del CCNL sono detti “superminimo” e sono riportati con una voce specifica in busta paga. Un superminimo è “assorbibile” se, nel caso in cui l’azienda si trova a dover dare altri aumenti, può “scalarli” rispetto a questo. Facciamo qualche esempio: * se hai un superminimo assorbibile di 200 euro, allora non riceverai effettivamente dei soldi in più; * se hai un superminimo assorbibile di 100 euro, allora l’aumento che riceverai è di 123,40 – 100 = 23,40 euro. * se in busta paga hai un superminimo non assorbibile di 100 euro, allora l’aumento che riceverai è di 123,40 euro. La discussione nelle ultime settimane si è orientata su due aspetti in particolare. Il primo è sull’assorbibilità degli aumenti ricevuti tramite contrattazione individuale/aziendale – seppur solo quelli concordati dal 1° gennaio 2017 . La decisione sull’assorbibilità spetta all’azienda ed è il risultato della contrattazione tra lavoratori e datori. Di conseguenza, i sindacati confederali non hanno potuto far altro che chiedere alle aziende di non assorbire i superminimi, senza però poter dare alcuna garanzia che questo non accada. I tech workers dovrebbero far attenzione a questo tipo di aumenti, spingendo per superminimi non assorbibili, e cioè che non svaniscano nel giro di pochi anni. L’altro aspetto molto discusso è stata la scelta, nello stipulare il CCNL, di considerare l’indice IPCA al netto dei prodotti energetici importati. Evidentemente quest’ultima parte è problematica, perché l’aumento dei costi dell’energia è stata la componente che più ha gravato sui lavoratori negli ultimi due anni. Al di là delle argomentazioni di Confindustria è evidente che un adeguamento degli stipendi ai costi energetici sarebbe una prima mossa dovuta di una serie di azioni volte a far recuperare un dignitoso potere d’acquisto ai lavoratori, per di più in un momento in cui le aziende tech sono in crescita. Ci appelliamo quindi: * alle Organizzazioni stipulanti il CCNL, affinché: * considerino nel calcolo dell’aumento anche i prodotti energetici; * istituiscano delle Commissioni per valutare tecniche e strumenti di divulgazione delle specifiche parti del CCNL che prevedono adempimenti periodici; * al Governo, affinché estenda per legge a tutti i lavoratori tale meccanismo di aumento. Tech Workers Coalition rivolge il suo appello anche ai sindacati: è importante comunicare meglio gli aspetti tecnici di questi aumenti, perché nonostante l’ultima parola sulla natura dei superminimi spetti alle aziende, un coinvolgimento dei tanti tech worker interessati dall’assorbimento può creare una pressione dal basso collettiva che giochi a favore di tutti.
Smartuorc
TERMINOLOGIA Prima di tutto notiamo la curiosità del fatto che l’espressione smart working benché suoni inglese sia tutta italiana – non la troverete infatti negli annunci di lavoro anglofoni! Dove invece si parla generalmente di remote working o work from home (WFH). Qui continueremo a parlare di smart working per semplicità; mentre in assoluto, ed anche per interpretare meglio altre fonti come per esempio certi riferimenti normativi, sarebbe più appropriato parlare invece di lavoro agile. Il lavoro agile è inteso quando si vuol indicare quelle modalità in cui il lavoro non viene svolto per forza in ufficio e non viene svolto con un’organizzazione rigida, dettagliata, e sorvegliata, di compiti da eseguire e tempistiche (quando invece è il contrario si potrebbe parlare invece più propriamente di telelavoro, che lasceremo fuori dalle successive argomentazioni). Stiamo perciò trattando un tema che riguarda sia il dove si lavora, sia il come si lavora (cioè con quale livello di autonomia e di gestione del tempo). LAVORARE AD OBIETTIVI Spesso nelle discussioni sul lavoro agile / smart working il tema della modalità organizzativa passa in secondo piano rispetto a quello del lavorare a distanza dall’ufficio, ma è altrettanto importante cogliere anche questa occasione per migliorare i climi organizzativi. La definizione lavoro agile / smart working dovrebbe essere infatti intesa sia come la possibilità di determinare il luogo fisico di lavoro, sia come la possibilità di organizzare l’attività per obiettivi anziché per compiti sorvegliati. Il lavoro ad obiettivi è il modello secondo il quale si richiede a chi lavora di dimostrare in determinate tappe il raggiungimento di obiettivi produttivi, ma nel quale l’organizzazione temporale della propria giornata e la successione delle operazioni per raggiungere questi obiettivi sono generalmente libere. Gli obiettivi da raggiungere, secondo questo schema dovrebbero essere negoziati con una certa frequenza tra lavoratrici e lavoratori da una parte e l’azienda dall’altra, all’interno della pianificazione di ciascun gruppo di lavoro. Si tratta di una visione che considera chi lavora una persona matura e responsabile dell’allocazione del proprio tempo e delle scelte operative; questa modalità di lavoro è stata collaudata con risultati positivi sia sotto il profilo del benessere psicologico individuale che sotto quello della produttività e del benessere complessivo delle organizzazioni. In alcuni casi però la possibilità effettiva da parte di chi lavora di negoziare gli obiettivi, e soprattutto il tempo per il loro raggiungimento, è debole o viene del tutto a mancare. Per questa ragione può capitare purtroppo che lo smart working, distorcendo la filosofia dell’organizzazione per obiettivi, venga usato opportunisticamente dalle aziende come strumento per estrarre più lavoro a parità di retribuzione; facendo quindi tendere lo smart working ad un lavoro a cottimo, a causa di un sovraccarico di obiettivi che comporta a propria volta maggior fatica e allungamento dei tempi di lavoro. Un altro problema si può riscontrare quando, per ciò che riguarda il monitoraggio delle prestazioni e l’influenza sulle scelte operative, un quadro di lavoro nominalmente ad obiettivi viene distorto in telelavoro; questo accade a causa di una cultura dirigenziale non adeguata al cambiamento e troppo orientata a sorvegliare e indirizzare anche i piccoli passi (per questi ultimi due aspetti dello stile di gestione si parla di tendenza al micromanagement). Bisogna perciò comunicare in modo chiaro che questi due esempi di distorsione non sono le fatali conseguenze dell’organizzazione ad obiettivi (o dello smart working in generale dato che sono distorsioni che possono occorrere anche nel lavoro in presenza). Mentre si tratta di effetti portati dagli squilibri generali nel rapporto di forza tra chi lavora e i datori di lavoro, e delle carenze di cultura organizzativa aziendale; squilibri su cui occorre lavorare infatti anche a prescindere dalle discussioni sullo smart working. IMPATTI DEL LAVORO AGILE RIDUZIONE DEGLI SPOSTAMENTI Scegliere liberamente il luogo in cui si lavora (e possibilmente farlo anche con flessibilità di orari e di organizzazione) fornisce molti vantaggi a lavoratrici e lavoratori. Anzitutto è possibile evitare o ridurre il pendolarismo (o le trasferte), e di conseguenza tutti i disagi associati; tra i quali anzitutto lo spreco di tempo di vita (tempo che nessuno vi restituirà!), la spesa per trasporti e magari la spesa alloggi più costosi (perché relativamente vicini al luogo di lavoro), ed altri disagi ancora. Nel contesto in cui ci troviamo segnato dal dissesto ambientale, economico, e geopolitico, ridurre questi movimenti è importante perché significa ridurre l’inquinamento e il consumo di fonti energetiche impattanti e costose. Optare quando possibile per lo smart working, sotto questa luce è perciò anche una scelta di tutela collettiva oltre che individuale. CURA DELLE PERSONE Poter decidere dove e come prestare la propria opera lavorativa contribuisce non solo al benessere psicologico individuale, ma per diretto riflesso a quello collettivo, oggi grandemente compromesso. Lavoratrici e lavoratori hanno in molti casi anche il compito di caregiver, dovendosi cioè occupare anche di altre persone oltre a sé: per esempio figlie e figli di varie età, genitori anziani non autosufficienti, altre persone con problemi di salute fisica o psichica. Lo smart working – soprattutto nel contesto italiano dove c’è insufficienza cronica di aiuti strutturati da parte dei servizi pubblici – può consentire di supportare le persone di cui ci si deve occupare, maggiormente dove e quando serve a loro, fornendo perciò loro una migliore qualità di vita e magari semplificando anche la propria. Nondimeno, ci sono lavoratrici e lavoratori che patiscono direttamente sulla propria persona problemi di salute di un certo rilievo, e che possono essere molto alleviatə se non hanno l’obbligo di spostarsi quotidianamente. Anche sotto questi aspetti perciò vediamo di nuovo una scelta di tutela collettiva oltre che individuale. TERRITORI Poter lavorare stando in un luogo di propria scelta, se questo è situato in un territorio non metropolitano, contribuisce anche alla vitalità socioeconomica delle zone decentrate. Questo perché poter risiedere in uno di questi territori (o potervisi trasferire), ha l’effetto di vivificarli sia grazie alle proprie relazioni umane che grazie all’alimentazione dell’economia locale con le proprie spese. La tendenza generale degli scorsi anni ha invece impoverito di forze umane e di flussi economici positivi le aree non metropolitane di tutte le regioni, a causa di migrazioni più o meno stabili di lavoratrici e lavoratori della conoscenza principalmente dirette verso i poli di Milano e di Roma (ed in minor parte verso le altre città maggiori). CLIMA RELAZIONALE Lo smart working, nel caso sfortunato in cui l’ambiente di lavoro sia inficiato da climi relazionali tossici, può essere anche uno strumento per ridurre un po’ il contatto e recuperare un po’ di serenità. Riteniamo però senz’altro che questa sia una pezza, perché il problema dovrebbe essere affrontato per quanto possibile a monte cercando di costruire degli ambienti con maggiore qualità delle relazioni (oltre che tra colleghə, anche insieme a datori di lavoro e sindacati). Per alcunə lo smart working può risultare però un fattore impoverente le relazioni nella quotidianità lavorativa; questa difficoltà si è posta di più per le persone che avevano già consolidato delle relazioni positive in un precedente periodo in presenza, ma non è da trascurare per tutte le altre. A questo si può porre rimedio con una presenza ibrida sede/remoto. Ed anche/oppure sforzandosi di potenziare le reti di relazioni informali che ci sostengono durante la giornata; sia ponendo nuovi stimoli nell’ambiente lavorativo sfruttando canali di comunicazione privati, sia estendendo al di fuori del lavoro le proprie reti di relazioni. OPT-IN, OPT-OUT, MODULABILITÀ DELLA PRESENZA Nonostante i molti vantaggi, è importante però che la scelta dello smart working rimanga il più possibile libera: tanto in termini di poter optare, quanto in termini di poter modulare una presenza parziale, oppure di non optare. Non è detto infatti che il lavoro integralmente svolto a distanza sia una soluzione adatta ai bisogni di chiunque. Per quel che riguarda l’aspetto sociale, abbiamo detto infatti che ci sono persone che possono sentire maggiormente di altre la necessità di poter lavorare nello stesso spazio fisico delle colleghe e dei colleghi. Altre persone invece, magari per questioni abitative, potrebbero non disporre facilmente di spazi e condizioni adeguati al di fuori dell’ufficio dove lavorare in tranquillità ed ergonomia, e potrebbero perciò sentire il bisogno di uscire e recarsi in uno spazio dedicato. COSTI E RIMBORSI Si parlava di costi: lavorare da un luogo esterno alla sede aziendale, come può essere la propria abitazione, fa risparmiare in trasporti (e magari anche in affitti/mutui se consideriamo l’ipotesi di dover trovare casa nella stessa città dell’ufficio); ma comporta dall’altra parte altre spese, come quelle per la connessione internet, per le attrezzature, e per le utenze domestiche (energia elettrica, riscaldamento). Sovente viene fornito un computer in comodato d’uso, e spesso le spese di connettività (che in alcuni casi sono rimborsate) e le utenze incidono meno dei risparmi ottenuti. Ciò nonostante, non possiamo considerare questo esempio combinazione favorevole come universalmente valido: i bilanci di ciascuna situazione personale possono variare, e sarebbe bene in generale che le spese relative di fornitura e di esercizio degli strumenti di lavoro (connessioni comprese) fossero sempre in carico al datore di lavoro; e che venga riconosciuta anche una quota parte relativa alle utenze. Da considerare anche la questione dei buoni pasto (ricordiamolo: un sostitutivo parziale del servizio mensa non tassato fino ad una certa somma) che certe aziende vorrebbero non erogare alle persone che lavorano da remoto. CONFINI Se si lavora con un calendario ed un orario di disponibilità prestabilito, di norma non dovrebbero esserci interferenze non pianificate con il tempo privato. Con l’introduzione dello smart working purtroppo è anche accaduto che questo confine tra tempo lavorativo e tempo privato divenisse più labile e meno facilmente difendibile; possiamo riassumere il concetto nella frase di un ipotetico capo: “in fin dei conti sei a casa vicino al PC, puoi pure fare questa cosa che ti chiedo anche se è tardi/anche se è un giorno non nel calendario lavorativo”. Nel caso dello smart working il problema non è solo la richiesta estemporanea di una prestazione aggiuntiva, non programmata (come dovrebbe essere invece ogni forma di lavoro straordinario), ma anche il fatto che si venga disturbati nei momenti meno opportuni da chiamate e notifiche sui vari strumenti di comunicazione, che si pretende abbiano una risposta. Siccome la difesa di questo confine non dovrebbe essere lasciata soltanto alla capacità di bilanciare fermezza/flessibilità degli individui, un importante tema di discussione è il diritto alla disconnessione: ovvero sia che non si possa pretendere un output da persone coinvolte attraverso qualsiasi canale nei momenti al di fuori delle fasce prestabilite. RISERVATEZZA Lo smart working per definizione necessita di strumenti digitali di collaborazione. Questi strumenti possono porre criticità di vario tipo per quanto riguarda la riservatezza. Ci sono criticità legate alla sorveglianza invasiva dell’operato di chi lavora. Alcune aziende usano strumenti per monitorare cosa e quanto si fa con gli strumenti digitali impiegati per lavorare; anche se questo aspetto in teoria dovrebbe essere normato negli accordi con la tutela di fondo della legge di statuto dei lavoratori, anche per la natura degli strumenti di monitoraggio non sempre chi lavora riesce ad avere contezza pratica dell’impatto dei controlli e/o a capire agevolmente se il controllo avvenga nel rispetto delle disposizioni. Per fare un altro esempio, nelle piattaforme di messaggistica aziendali spesso i superiori possono accedere rapidamente agli scambi dei dipendenti (per questo specifico problema è fondamentale dotarsi di canali alternativi per tutte quelle comunicazioni – come quelle di organizzazione tra lavoratori – che è bene restino riservate!). E poi ci sono criticità legate alla tutela del dato trattato, di particolare importanza per le pubbliche amministrazioni (scuole comprese) che trattano dati di cittadinə. Nella fretta e per la carenza, presso i decisori, di capacità organizzative e consapevolezze, si è spesso affidato il trattamento di informazioni a piattaforme e servizi gestiti da multinazionali extraeuropee (che operano quindi con minori tutele del dato rispetto a quelle ordinariamente stabilite). Con l’aggravante – oltre a quella di non aver voluto e saputo mettere a fattor comune risorse e know-how disponibili nel circuito delle amministrazioni stesse – di non avere allocato a propria volta all’amministrazione pratica di questi servizi del personale in possesso delle adeguate consapevolezze tecniche e giuridiche. Queste modalità, caratterizzate oltre tutto da misure di protezione dei dati non soddisfacenti o non agevolmente verificabili, hanno fatto sì che questi dati siano a repentaglio e che contemporaneamente siano utilizzati per scopi di profilazione che sono del tutto estranei alle finalità per cui i dati vengono impiegati, ma che sono imposti dalle meccaniche di funzionamento delle piattaforme commerciali di cui parlavamo. LE REGOLE E L’EVOLUZIONE Il lavoro remoto / agile per le professioni della conoscenza era preconizzato già dagli anni ‘70 del ‘900 e forse da prima. Negli scorsi 15-20 anni, più che l’indisponibilità di piattaforme collaborative e di infrastrutture di telecomunicazione adeguate, a frenarne l’adozione diffusa sono stati altri fattori. Ha pesato, e talvolta pesa ancora, una certa mentalità dirigenziale secondo cui una persona non fisicamente presente e visibile risulta meno produttiva di coloro che stanno in ufficio perché non la si può tenere d’occhio (e sappiamo benissimo quanto questo si smentisca con i fatti!). Hanno pesato, e talvolta pesano ancora, gli investimenti immobiliari che le aziende hanno fatto per i complessi di uffici, e gli interessi che intorno a questi investimenti gravitano. Ha pesato l’assenza di una regolamentazione a cui le aziende potessero fare riferimento e che tutelasse allo stesso tempo i diritti di chi lavora. Prima del 2017 la possibilità di lavoro agile è stata nella pratica una sperimentazione applicata soltanto ad una quota molto ridotta di lavoratrici e lavoratori della conoscenza, frutto unicamente della contrattazione individuale. Nel 2017 arriva la prima legge che regolamenta il lavoro agile (legge 81/2017); questa legge (ne vediamo qualche dettaglio perché verrà richiamata in seguito) fissa alcuni punti: * la prestazione di lavoro agile si deve svolgere entro i limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale * il datore di lavoro deve garantire la sicurezza e il buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati * le disposizioni sul lavoro agile di questa legge si possono applicare tanto al settore pubblico che quello privato * deve essere stipulato un accordo individuale che indichi: * il termine di scadenza dell’accordo stesso o la sua validità a tempo indeterminato * la misura di alternanza tra la presenza nella sede aziendale e quella all’esterno * le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro * gli strumenti utilizzati * i tempi di riposo * le misure tecniche ed organizzative per garantire il diritto alla disconnessione * non possono essere applicate riduzioni di retribuzione rispetto a chi lavora in sede * il controllo della prestazione da parte del datore di lavoro non può eccedere o violare quanto stabilito dalla legge 300/1970 (“statuto dei lavoratori”) * il datore di lavoro deve garantire la salute e della sicurezza del lavoratore che operi all’esterno della sede aziendale e tra gli altri compiti deve perciò cooperare alle misure di prevenzione dei rischi Nel 2018 è subentrata una norma che dava priorità alle richieste di Smart Working formulate dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo obbligatorio di maternità e a quelle dei lavoratori con figli in condizioni di disabilità. Da quel momento e fino al 2020, lo smart working è stato nei fatti una possibilità concessa come benefit per lo più a dipendenti direttə di aziende tecnologiche private. Anche nella maggior parte delle pubbliche amministrazioni, il concetto di lavoro a distanza generalmente non veniva preso in considerazione e offerto come possibilità. Dal canto proprio, molte più persone di quante fossero abilitate sentivano da anni la necessità di poter lavorare del tutto o in parte fuori dall’ufficio, ma fino a tempi piuttosto recenti è stato difficile ragionare collettivamente su come ottenere questo risultato facendo leva sulle aziende e sulle istituzioni. Le poche eccezioni sono emerse per lo più dalla contrattazione individuale o a livello di singola azienda, e quindi determinate anche dall’abilità e dalle possibilità delle singole persone. Nel 2020 è arrivata la pandemia COVID-19 che, ha messo i datori di lavoro di fronte all’obbligo di riorganizzarsi in funzione del lavoro remoto per consentire la sopravvivenza stessa delle attività; questo trovandosi nella situazione, tanto imprevista quanto urgente, dell’inopportunità sanitaria di far spostare quotidianamente le persone presso gli uffici. Da febbraio a maggio 2020 si sono susseguiti i decreti che per motivi di urgenza sanitaria hanno prima imposto e poi raccomandato il massimo utilizzo del lavoro agile, anche senza un accordo preventivo con i dipendenti (e quindi però di riflesso anche senza alcune tutele), derogando in parte alla legge 81/2017 (che abbiamo visto sopra) ed entrando nel cosiddetto regime semplificato. Anche nella pubblica amministrazione, il lavoro agile era diventato la regola per tutta la durata di questa prima fase di emergenza (persino con strumenti a carico del dipendente, nelle non poche amministrazioni che non erano attrezzate). A maggio 2020 è stato sancito dalla normativa che lo smart working fosse un diritto per chi (nelle aziende private) avesse figli sotto i 14 anni, ed una facoltà raccomandabile per tutti gli altri soggetti del settore privato. La stessa norma confermava che l’attività da remoto potesse essere svolta anche attraverso strumenti informatici del dipendente qualora non fossero forniti dal datore di lavoro. Da questo momento, le aziende hanno iniziato a spingere sul ritorno in ufficio. Nell’ottobre 2021 si definisce come orientamento per le pubbliche amministrazioni che la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione è quella in presenza. A dicembre 2021 per il lavoro agile è stato sottoscritto un protocollo di intesa (che in quanto tale, è sempre bene ricordarlo, vale solo come dichiarazione di intenti e insieme di linee-guida, ma non ha forza di legge in sé) tra il ministero del lavoro e delle politiche sociali, e le parti sociali (costituite da diversi sindacati, tra cui CGIL, CISL, UIL, USB e da diverse associazioni d’impresa, tra cui Confindustria, Confcommercio e Confapi). L’intento era quello di tracciare un quadro di riferimento per le future regolamentazioni dello smart working, cercando un fondamento nella legge del 2017 di cui abbiamo parlato prima. Questo protocollo in pratica riprende i temi trattati dalla legge 81/2017 che abbiamo visto sopra, li dettaglia ulteriormente, ne aggiunge altri; incentivando la contrattazione collettiva delle disposizioni di dettaglio per ciascun contesto produttivo. Ecco alcuni spunti che il protocollo (di cui trovate il testo completo qui https://www.lavoro.gov.it/notizie/Documents/PROTOCOLLO-NAZIONALE-LAVORO-AGILE-07122021-RV.pdf ) aggiunge o approfondisce rispetto alla legge 81/2017: * adesione volontaria allo smart working, sempre sulla base di accordo individuale; (non può essere imposta, ma rimane soggetta ad una concessione) * possibilità di recesso dall’accordo da parte del lavoratore o da parte del datore di lavoro * assenza di un preciso orario di lavoro e diritto alle fasce di disconnessione * lo straordinario non è consentito a meno che non sia contemplato specificamente dai contratti collettivi nelle parti che si riferiscono allo smart working * autonomia nel raggiungimento degli obiettivi prefissati * il luogo di lavoro scelto dal lavoratore: deve rispettare oltre ai requisiti di salute e sicurezza anche quelli di riservatezza * strumenti di lavoro: eccetto accordi differenti, il datore di lavoro è tenuto a fornirli e a coprirne la manutenzione * copertura assicurativa INAIL per infortuni anche nel tragitto da e verso la sede di lavoro * tutela dei diritti sindacali che devono poter essere esercitati tanto da remoto che in presenza secondo le modalità di dettaglio che dovranno essere individuate dalle parti sociali * parità di trattamento rispetto ai lavoratori impiegati esclusivamente in sede aziendale, pari opportunità * priorità ai lavoratori fragili e disabili * definizione delle politiche di sicurezza dei dati trattati * formazione (se ne parla però in modo per lo più mirato alla fruizione delle tecnologie di supporto al lavoro agile stesso) Successivamente varie norme di urgenza hanno prorogato quanto stabilito dalle precedenti, compreso per la pubblica amministrazione, indicando la nuova scadenza per il 31 agosto 2022 e il riferimento al protocollo di intesa come linea-guida per la formulazione degli accordi tra datori di lavoro e dipendenti. Nell’ultima occasione si è anche stabilito per quanto riguarda le pubbliche amministrazioni che entro il 31 gennaio di ogni anno ciascuna PA dovrà redigere un “Piano organizzativo del lavoro agile” (POLA) prevedendo che almeno il 15% dei dipendenti possa avvalersi dello smart working. Per chi usufruirà di questa modalità di lavoro, va garantito che non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera. Di fatto è prevedibile che questi piani prenderanno forma nel 2023, e che – salvo prossimi cambiamenti normativi – saranno comunque frustrati dagli orientamenti restrittivi per le PA del 2021 che abbiamo indicato sopra. Alla scadenza del 31 agosto 2022 i precedenti termini non sono stati rinnovati, e perciò si è tornati in una situazione in cui la facoltà dello smart working è generalmente soggetta alla stipula di accordi individuali tra datori di lavoro e dipendenti, salvo che vi siano accordi specifici tra organizzazioni sindacali e aziende. La stessa disciplina si applica sia alle aziende private che agli enti pubblici. Sono indicate come prioritarie le richieste formulate dalle lavoratrici e dai lavoratori con figli fino a 12 anni di età (o senza alcun limite di età nel caso di figli in condizioni di disabilità grave). La stessa priorità deve essere riconosciuta da parte del datore di lavoro alle richieste dei lavoratori con disabilità in situazione di gravità o che siano caregivers. Dal 13 settembre 2022 (conversione in legge del DL “aiuti bis”) si è infine stabilito di validare fino alla fine dell’anno il cosiddetto “regime agevolato” che concede il diritto al lavoro agile per fragili e genitori di figli sotto i 14 anni. Per le persone restanti la concessione dello smart working può ora prescindere nuovamente dalla stipula degli accordi individuali. La tendenza che si registra presso le imprese è spesso quella di far rientrare in presenza, revocando o non rinnovando gli accordi individuali. Per la pubblica amministrazione purtroppo è stata ancora recentemente ribadita l’applicazione dei principi sanciti nell’autunno 2021, secondo i quali come dicevamo la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione è quella in presenza. Secondo alcune fonti, ci sono ministeri in cui sono stati firmati accordi individuali che prevedono una media di due giorni a settimana di lavoro agile. CONSIDERAZIONI Come abbiamo visto, l’evento pandemia ha prodotto a livello governativo una serie di norme transitorie con lo scopo di allargare l’accesso allo smart working; ad oggi ci troviamo ancora in una fase in cui queste norme non sono consolidate o adeguate rispetto ad aspetti importanti tra cui gli orizzonti temporali e il diritto per chiunque di accedere allo smart working senza la necessità di qualche tipo di trattativa. Inoltre, in quanto emergenziali, si tratta di norme la cui formulazione, fino al protocollo di intesa di cui parlavamo, è arrivata dall’alto delle istituzioni (e che quindi generalmente non sono state oggetto di discussione allargata) e che inoltre lasciano tuttora il potere decisorio fortemente in mano ai datori di lavoro. Di base abbiamo ancora un sistema, per quanto riguarda la maggior parte di dipendenti, in cui il datore di lavoro decide “se” e “quanto” smart working concedere. Noi pensiamo invece che non ci siano reali motivi per giustificare l’obbligo della presenza, seppure parziale, di lavoratrici e lavoratori della conoscenza in una sede di ufficio. Nonostante i limiti e le carenze di norme, contratti, e accordi, l’introduzione massiva (forzata dagli eventi) dello smart working ha fornito delle evidenze positive di cui dopo oltre due anni di esperienza diffusa possiamo tirare le somme: è stato possibile dimostrare ai datori di lavoro che le attività possono essere svolte anche in modalità remota senza esserne ostacolate, mentre in molti casi poter erogare la propria prestazione in modo svincolato ha anche favorito la qualità dei risultati grazie ad un maggiore benessere. Questo con uno sguardo però concentrato sul settore privato; nelle pubbliche amministrazioni invece, i risultati sono stati meno buoni a causa delle carenze organizzative e strutturali; lì anziché lavorare sugli spunti di rimedio, i decisori hanno preferito fare marcia indietro limitando le modalità di lavoro agile inizialmente messe in atto nel periodo emergenziale. Nel settore pubblico come in quello privato, vediamo perciò che la gestione del tema del lavoro agile è unilaterale; e che si tratta di decisioni determinate più da una tradizione culturale che non da esigenze realmente incidenti sulla profittabilità/funzionalità delle organizzazioni. In certi contesti occorre ancora che maturi la capacità delle aziende di organizzarsi davvero per obiettivi, evitando le distorsioni di cui abbiamo discusso prima in questo senso. La sfida in questo senso è ancora una volta culturale prima ancora che normativa. OBIETTIVI CHE VORREMMO RAGGIUNGERE Vorremmo che il lavoro agile diventi un diritto per coloro che operano nel settore della conoscenza e la cui presenza non sia fisicamente indispensabile, diritto che ciascunə possa esercitare secondo i propri bisogni, uscendo finalmente da una dinamica di concessione condizionata dallo stile di gestione aziendale e/o dall’appartenenza a determinate fasce di situazioni personali o di professionalità. In questo aiutando anche i datori di lavoro ad uscire dalla visione secondo cui si tratti di un beneficio da graduare a seconda dell’opportunità, per entrare nella visione secondo cui si tratta di un elemento di salute per tutte le organizzazioni. Cercando per quanto possibile di tenere accoppiata la discussione sul lavoro remoto con quella sul modello ad obiettivi, per evitarne le distorsioni e cercando perciò di garantirne la sostenibilità. Vorremmo spingere per spostare nei contratti collettivi la regolamentazione (ma sempre facendo in modo da mantenere la più ampia possibilità di scelta a lavoratrici e lavoratori), anziché delegarla agli accordi individuali e ai processi governativi.  Questo per mettere le persone in parità di condizioni favorevoli, grazie ad una maggior forza di negoziazione, e per dare persistenza temporale al diritto al lavoro agile che non può più essere considerato una misura emergenziale né tanto meno una merce di scambio nel contesto delle abilità di contrattazione individuale. Vorremmo che per quanto riguarda il lavoro agile, lavoratori e lavoratrici delle pubbliche amministrazioni siano postə anche nei fatti nelle stesse condizioni di coloro che operano nel settore privato. In altre parole, vorremmo contribuire ad eliminare la disposizione che sancisce come prevalente la modalità in presenza; e spingere le amministrazioni a colmare le lacune in termini di metodi e strumenti adeguati per garantire nella pratica (e non solo sulla carta) il lavoro agile a tuttə coloro che lo necessitino. Vorremmo che i costi da sostenere per lavorare da remoto non gravino sulle spalle di chi lavora. Soprattutto considerando l’aumento imponente delle spese per le utenze domestiche. Vorremmo creare maggiore sensibilità, sia presso i datori di lavoro che presso lavoratrici e lavoratori, intorno ai temi della sorveglianza del lavoro remoto e a quello della tutela dei dati personali trattati con gli strumenti collaborativi (tema molto importante nelle pubbliche amministrazioni). AGISCI OGGI! È importante che chi lavora possa decidere in merito a dove e come prestare la propria opera, invece di lasciare questo potere tutto in mano ai datori di lavoro. La possibilità di decidere la si conquista anche attraverso i risultati di piccole e grandi azioni che ciascunə può mettere in campo. Tutti i traguardi che abbiamo elencato sopra potrebbero infatti essere raggiunti e consolidati a medio-lungo termine per via normativa; ma è già possibile influire senza aspettare, partendo dalla propria realtà quotidiana e facendolo in diversi modi: * organizzandosi tra colleghə per far sentire all’azienda una voce comune e se possibile propositiva; al limite anche indicando le carenze di offerta e gestione dello smart working come fattore che può influenzare il turnover (leggi: far pesare il proprio valore sul mercato in termini di opportunità di andarsene altrove) * collaborando con le organizzazioni sindacali per contribuire al consolidamento e all’ampliamento delle tutele attraverso i vari livelli della contrattazione collettiva, dal livello integrativo aziendale fino al livello di contrattazione collettiva nazionale * ovviamente, rifiutando se possibile le offerte di lavoro che pongano limitazioni allo smart working * diffondendo l’informazione su quali siano le aziende che applicano condizioni di smart working favorevoli e quali siano quelle che non le applicano
Fare gruppo tra tech worker – guida introduttiva
Spesso sentiamo parlare di grandi gruppi di tech worker che protestano, di rappresentanze sindacali e di organizzazione sul posto di lavoro. Questi processi, soprattutto se mai vissuti in prima persona, possono sembrare complicati o perfino impossibili da attuare nella propria azienda. Certamente richiedono impegno e dedizione ma sono il risultato di un processo che inizia sempre con piccoli passi. -------------------------------------------------------------------------------- UNITÀ TRA TECH WORKER L’inizio di qualsiasi cambiamento sul posto di lavoro nasce dall’unità tra tech worker, come conseguenza di una forte rete di relazioni umane tra colleghe e colleghi. Tessere questa rete è il prerequisito per tutto ciò che potrà venire dopo: nel momento in cui si dovrà andare tutti insieme dal capo per negoziare o far fronte comune, sarà importantissimo sapere che al tuo fianco avrai altre/i tech worker che credono fermamente in quello che state facendo. Altrimenti la paura sfalderà il gruppo quando il manager di turno deciderà di mettersi in mezzo o di seminare zizzania per evitare di concedervi ciò che state chiedendo. SPAZI DI SOCIALITÀ Il primo passo necessario è creare spazi nei quali la socialità, l’amicizia e il supporto reciproco possano fiorire. Spazi fisici o digitali, momentanei o permanenti. Cosa fare nel concreto? * Rallenta il ritmo. Spesso il ritmo frenetico imposto dai manager viene aggravato dalla complicità di chi lo subisce. Prendere l’iniziativa di rallentare il passo può creare l’opportunità anche per altri di avere momenti di tranquillità in cui riappropriarsi del proprio tempo. Ovviamente dev’esser fatto in sicurezza, poiché una ritorsione da parte del capo potrebbe avere il risultato opposto a quello desiderato. * Utilizza le pause e il tempo libero per parlare coi colleghi e le colleghe. È fondamentale trovare argomenti in comune e pianificare attività per la serata. Aperitivi, cene in posti particolari o videogiochi online, possono essere spunti. La macchinetta del caffè deve diventare il tuo punto di appostamento preferito. * Supporta i colleghi. Per far capire a qualcuno che non è solo, a volte basta chiedergli come si sente. Può essere utile dopo un rimprovero o mobbing da parte del manager. In una fase più matura, quando ci sarà un gruppo coeso, potrebbe valere la pena sfruttare questi eventi per pretendere le scuse da parte del manager in questione, così da verificare il comportamento del gruppo. * Sii accogliente coi nuovi arrivati. Non conoscendo l’ambiente, si adatteranno più facilmente a un clima di amicizia e cooperazione. Impiega del tempo personale per parlare con loro e presentarli a colleghi e colleghe che condividono i tuoi stessi obiettivi. * Corri il rischio di risolvere internamente i problemi del team. Quando c’è un problema nel team, tra due colleghi, una lite, un comportamento inopportuno, prendetevi il rischio di risolverlo internamente al gruppo invece che delegare a persone esterne come l’HR o i manager. Trovare una soluzione insieme renderà i vostri legami più forti e rafforzerà il senso di comunità. Qualcuno si starà chiedendo: “ora lavoro da remoto, come faccio queste cose?”; indubbiamente il Covid e la frammentazione degli spazi del lavoro a distanza creano alcune complicazioni. Gli strumenti utilizzati per il remote working come chat, videochiamate e affini sono spesso monitorati dal datore di lavoro, legalmente o non, e possono comportare un rischio che , in presenza, davanti alla macchinettà del caffè, si risolverebbe abbassando il tono della voce. Evita di trattare argomenti sensibili sui canali sorvegliati. Per iniziare, può bastare una chat su Telegram, Whatsapp o Signal, nella quale discutere al riparo da occhi indiscreti. Più avanti, potrebbero rendersi necessarie ulteriori cautele ma questa guida si concentra sulle fasi iniziali. SCOPRIRE IL MALESSERE Dopo alcune settimane o mesi di chiacchiere e dopo aver conosciuto un po’ più a fondo chi lavora con te, potresti iniziare a sondare il terreno per cercare possibili problematiche e lamentele condivise. Scoprire il malessere presente in azienda può essere un buon passo per organizzare qualcosa, anche se piccolo, e fare esperienza di cosa vuol dire agire in gruppo per cambiare le cose. Cosa fare nel concreto? * In privato, quando sai che nessuno ti sta ascoltando, lamentati del comportamento di qualche manager o di qualche regola che trovi irragionevole e osserva le reazioni. Non serve convincere l’altro della vostra opinione ma stimolare una reazione per vedere se il sentimento è condiviso o se ci sono altri problemi. Ascolta ogni parola con attenzione e cerca di capire cosa smuove chi avete di fronte. * Se identifichi un problema condiviso, fai riferimento all’esistenza di altri lavoratori scontenti. “Non sei la prima che mi dice questa cosa” oppure “Ti ricordi quando mi hai detto di quel problema? A quanto pare siamo in tanti a pensarla così. Continua a venire fuori questa cosa”. Anche in questo caso, osserva le reazioni. Vedi se qualcuno inizia a parlare di affrontare la cosa e chi invece è più arrendevole. * A questo punto dovresti avere un’idea più o meno chiara sulla fattibilità di formare un piccolo gruppo di tech worker fidati con cui giocare a carte scoperte. Presenta la tua idea di portare a bordo più colleghi per andare a parlare tutti insieme con i manager oppure per cambiare l’atmosfera in azienda. Discuti le vostre opzioni e la strategia. Non serve far crescere questo gruppo più del dovuto: più si è, più è probabile che qualcuno poco convinto cambi idea e vada a raccontare tutto al management, esponendovi al rischio di ritorsioni. VOGLIAMO DI MEGLIO Quali possono essere alcuni problemi da poter affrontare seguendo questa guida? Il modo in cui si assegna e pianifica il lavoro, gli strumenti da utilizzare, un eccesso di burocrazia, il comportamento di un manager particolarmente tossico, le regole per lo smartworking, l’introduzione di alcune ore dedicate alla formazione e molto altro. Devono essere problemi con una soluzione chiara, implementabile e facilmente comunicabile a colleghi e management, oltre che realizzabile nel breve periodo. Cosa fare nel concreto? * Per fare una richiesta precisa ai vostri superiori, trovate un modo per comunicarla in modo collettivo, senza portavoce. Esporre una sola persona o un gruppo ristretto vuol dire creare un bersaglio e volete evitarlo. Inoltre rafforzerà il senso di gruppo ed eviterà protagonismi problematici. Se mandate una lettera di lamentela, firmatela tutti in ordine sparso o in ordine alfabetico e consegnatela insieme. * Per pensare a una strategia più di lungo periodo, considerate di diffondere i punti descritti all’inizio di questa guida in maniera più attiva, coinvolgendo più persone nel rallentare i ritmi e nel costruire relazioni. Potete organizzare piccoli eventi sociali, spingere per adottare in azienda pratiche che facilitino la creazione di spazi privati in cui connettere con nuovi e vecchi colleghi, oppure semplicemente potete operare per far passare l’idea di estromettere lentamente i manager dalle questioni che volete tenere tra lavoratori: queste possono essere legate alla produzione, all’organizzazione, alle azioni di disciplina o a ciò che nel vostro caso specifico pensiate possa lasciare spazio al controllo da parte di lavoratrici e lavoratori. Abbiamo visto alcune idee che puoi utilizzare per iniziare a creare una rete sul posto di lavoro e magari avanzare qualche richiesta al management. Tuttavia questo è solo l’inizio: questo approccio permette cambiamenti molto più profondi se sviluppato per bene con le dovute accortezze. Non resta che mettersi all’opera! -------------------------------------------------------------------------------- SE HAI DUBBI, NECESSITÀ DI SUPPORTO O FEEDBACK DA DARCI, TI INVITIAMO A METTERTI IN CONTATTO CON NOI E CONDIVIDERE LE TUE ESPERIENZE. PER FARLO, TI RIMANDIAMO ALLA PAGINA DEI CONTATTI.
Apriamo gli Occhi
AL VIA LA CAMPAGNA CONTRO IL RECLUTAMENTO PREDATORIO Inizia oggi la seconda campagna di TWC Italia. Questa volta miriamo a sensibilizzare il mondo universitario e il grande pubblico sul tema del recruitment predatorio nelle università italiane, condotto sistematicamente dalle aziende della grande consulenza. Non solo i dipartimenti di informatica e ingegneria informatica ma oggi anche molti altri sono oggetto di ingerenze tossiche da parte di aziende che entrano negli spazi universitari per ingabbiare neolaurati/e nei consulentifici. Queste aziende promettono uno stipendio regolare, l’assunzione dopo il tirocinio, progetti interessanti e tecnologie innovative se lo studente è disposto ad entrare immediatamente in azienda. Nella maggior parte dei casi queste promesse non si materializzano. Compaiono invece stress, orari impossibili, PowerPoint da consegnare alle 10 di sera, e-mail e meeting a pioggia per far contento il cliente. Alcuni scappano ma la maggior parte accetta e sopporta, perdendo anni preziosi per la propria carriera a servire un meccanismo perverso. Lo stress impedisce un equilibrio vita/lavoro sano e lo studio autonomo non è possibile lavorando 10-12 ore al giorno. Ci si ritrova dopo 10 anni di lavoro con un CV interessante solo per altre aziende di consulenza. Si cambia lavoro a fatica per alzare un po’ lo stipendio e il ciclo ricomincia. Le grandi aziende di consulenza sfruttano la loro posizione di forza investendo in recruiter e tecnici che svolgono seminari in Università con la scusa del presentare il mondo del lavoro. Trovano il supporto di università e professori conniventi, magari in buona fede o magari semplicemente interessati ad uno scambio di favori. Questo meccanismo non danneggia solo lavoratori e lavoratrici; danneggia anche le aziende sane che si vedono rubare sotto il naso persone che sarebbero potute diventare ottime programmatrici, ottimi sistemisti, ottimi analisti e che invece sono rinchiusi a fare PowerPoint da mattina a sera. A rimetterci è tutto il Paese: si fa un gran parlare della mancanza di competenze informatiche critiche per la digitalizzazione, incolpando l’Università di essere antiquata. Le competenze non mancano, ma finché verranno gettate in un tritacarne incapace di produrre buon software e di tutelare le persone, non ci sarà speranza. Noi Tech Worker oggi vogliamo attivarci per il nostro futuro e per il futuro di chi verrà dopo di noi. Il circolo vizioso va spezzato nel punto in cui si alimenta maggiormente ed è per questo che la nostra campagna mira al mondo dello studio: cercheremo di raggiungere gli spazi in cui gli studenti si ritrovano per metterli in guardia e convincerli ad ignorare e contestare le invasioni da parte della grande consulenza, educandoli a distinguere le aziende sane, facendoli entrare nel mondo del lavoro dalla porta giusta.
2021: Odissea negli annunci di lavoro
GUIDA ALLA SCELTA DELL’ANNUNCIO DI LAVORO PERFETTO TechnoBean 5 Febbraio 2021 Troppo spesso i non addetti al settore credono che i lavori tech rappresentino un faro di speranza nel panorama lavorativo, con salari più alti e molti benefit. Alcuni ci vedono un’affrancamento dell’uomo dalla fatica fisica, altri quasi un gioco. Purtroppo la realtà, soprattutto in Italia, è ben diversa: come molti altri è un settore frammentato, sfruttato e indifeso di fronte alle dinamiche lavorative troppo spesso oppressive e degradanti. Citiamo ad esempio turni massacranti, straordinari imposti e quasi mai pagati, body rental mascherati da consulenza, progetti vetusti che farebbero passare la voglia di vivere a chiunque sano di mente, sedie rotte, scrivanie sovraffollate e chi più ne ha più ne metta. Lo stesso autore di questo articolo ha passato 2 anni come consulente in Poste Italiane e può asserire che se Dante avesse visto, con i suoi occhi guelfi, le espressioni a volte vuote a volte piene di rancore della maggior parte dei consulenti IT, non avrebbe potuto fare a meno di aggiungere un girone al suo inferno: un girone per noi, gli ultimi dell’informatica. Ma colpevoli di cosa? Di aver consentito ai nostri aguzzini di arricchirsi sulla nostra pelle, sulle nostre passioni, sulle nostre speranze, sulla nostra salute. Tuttavia a differenza dell’inferno dantesco, qui nulla è per sempre. Soprattutto un posto di lavoro che ti spinge alla depressione o al burn out. Questo vuol dire che TWC consiglia la fuga individuale e il cambio d’azienda invece che cercare di risolvere i problemi sul proprio posto di lavoro? Ovviamente no, anzi vede nella ricerca di un nuovo lavoro innanzitutto una necessità individuale nel breve periodo, molto spesso imposta dall’indisponibilità delle aziende ad assicurare un piano di crescita decente, e in secondo luogo un’occasione di cambiamento verso realtà lavorative già sane. Negli ultimi anni la corsa alla digitalizzazione dei servizi ha creato un’anomalia nel mercato del lavoro che sta assumendo sempre più le sembianze di una voragine: la richiesta di professionisti IT cresce a un ritmo insostenibile per la società umana attuale. Analizzando le previsioni degli anni avvenire, i posti vacanti non faranno che aumentare, invertendo, per la prima volta dopo decenni, i rapporti di forza tra imprenditori e lavoratori in un settore di massa: la storiella del “se non ti sta bene quella è la porta, tanto qui fuori c’è la fila per lavorare” non funziona più. La fila di persone disposte a sacrificarsi fino a farsi calpestare per assicurare un tetto e un pasto caldo alla propria famiglia non c’è più. Ed è proprio in questo scenario che si inserisce l’iniziativa oggetto di questo articolo: usare la ricerca di lavoro stessa come grimaldello per scassinare una porta ormai sbilenca e cigolante. L’ANNUNCIO DI LAVORO Se il curriculum è il biglietto da visita del candidato, l’annuncio di lavoro è come uno squarcio temporale aperto sul nostro futuro nell’azienda che lo ha pubblicato. Imparare ad analizzarlo può fornirci indicazioni preziose che potrebbero risparmiarci (ulteriori) anni di disagio lavorativo. Ecco quindi un elenco di bandierine rosse che dovrebbero metterci in guardia quando stiamo valutando una possibile candidatura. INQUADRAMENTO CONTRATTUALE In un sano rapporto di lavoro la trasparenza sull’inquadramento contrattuale proposto è sicuramente un punto fondamentale nella valutazione di un’azienda. Assicuriamoci quindi che le seguenti informazioni siano presenti nell’annuncio di lavoro: * RAL (retribuzione annua lorda) * tipologia di contratto (indeterminato, apprendistato, full-time, etc.) * CCNL (metalmeccanico, telecomunicazioni, commercio, etc.) TIPOLOGIA DI LAVORO Sapere se una volta assunti vi ritroverete in uno stimolante ambiente di ricerca, nello sviluppo di un interessante prodotto o se vi paracaduterete ogni mattina in un inferno di consulenza e soprusi… beh, potrebbe fare la differenza. ATTIVITÀ LAVORATIVA Una descrizione precisa e puntuale del lavoro che sarete chiamati a fare potrebbe rivelare informazioni interessanti: annunci in cui non è chiaro il ruolo che viene ricercato potrebbero nascondere posizioni da one man team o carichi di lavoro eccessivi. SETTORE DI BUSINESS Spesso le aziende sono restie a pubblicare informazioni riguardo i propri piani di business, ma con un po’ di esperienza potrebbe essere utile conoscerne quantomeno il settore. Ad esempio, gioco d’azzardo (ripulito nell’ambiente col nome di gaming), giochi con microtransazioni (gambling occulto), armi e sistemi di difesa sono ambienti molto spesso tossici. Non è raro inoltre che anche l’ambiente dello sviluppo videogame nasconda amarissime soprese. ITER SELETTIVO La descrizione dell’iter selettivo è importante per capire quanto l’azienda sia esigente in termini di competenze quanto di dedizione al lavoro. La totale mancanza della descrizione dell’iter selettivo potrebbe evidenziare un disinteresse dell’azienda verso il tempo dei suoi dipendenti e, nel vostro caso, perfino di un non dipendente. Generalmente un colloquio tecnico e uno attitudinale sono ritenuti sufficienti, ma alcune aziende potrebbero richiedere anche 3 o 4 interviste nonché prove tecniche da svolgere in presenza o in separata sede. Portare a termine un iter selettivo di questo tipo potrebbe impegnare molto del vostro tempo extra-lavoro e dare la possibilità ai candidati di scegliere se investirlo o meno è sicuramente un segno evidente del modus operandi di un’azienda. Nel caso, rarissimo, in cui l’iter selettivo sia descritto, è importante soppesare bene le richieste che vengono avanzate da un’azienda per cui ancora non lavoriamo. Un iter molto lungo potrebbe nascondere un’azienda che da per scontati straordinari coatti e probabilmente anche non pagati. Si deve anche tenere conto che una selezione svolta con casi di studio che ricalcano problemi reali è da considerarsi, per lunghezza e complessità, come un vero e proprio momento di lavoro oltre che di valutazione: più di una volta chi scrive ha avuto il dubbio che quello che era presentato come un test potesse poi essere usato per altri scopi. Se osservata con lungimiranza, anche la tipologia delle prove richieste avrà qualcosa da raccontarci. Prove asimmetriche, come esercizi da svolgere a casa, potrebbero in alcuni casi rivelarsi un’inutile perdita di tempo. Ancora una volta il tempo sprecato sarà unicamente il vostro, poiché non è raro che la correzione degli esercizi, così come la scrematura dei CV, sia affidata a degli algoritmi (CV Screening). Colloqui troppo improntati sulla valutazione attitudinale del candidato nasconderanno quasi sicuramente qualche magagna: se un lavoratore si trova in un ambiente sano e sicuro basterà una valutazione prevalentemente tecnica delle sue capacità, al contrario se la posizione vacante rappresenta una fonte di stress inesauribile, l’attitudine del candidato (alla sofferenza?) rivestirà un ruolo maggiore. Un lungo o complicato iter selettivo (riportato nell’annuncio o meno) dovrebbe quantomeno essere giustificato da un’offerta molto interessante, economica o meno. INSERZIONISTA Un’azienda veramente interessata a ciò che produce si occupa molto spesso in prima persona del processo di recruiting, curando ogni particolare e vagliando attentamente i candidati disponibili. Queste aziende, che investono sul lavoro e sul lavoratore, a volte tendono a fornire condizioni di lavoro migliori poiché capiscono che il prodotto dipende dal produttore: noi. Al contrario un’azienda che si affida a recruiter esterni, che a volte non sanno nemmeno di cosa stanno parlando, probabilmente nasconderà un lavoro in body rental, focalizzando la sua attenzione al reperimento di mere “risorse umane” da spedire qua e là, come dei pacchi o dei robot. Sempre pronti per il prossimo commitment, il prossimo progetto rimaneggiato da decine se non centinaia di persone, i prossimi colleghi, le prossime 10 ore più pausa pranzo e spostamenti, ogni giorno della nostra vita. COMPETENZE RICHIESTE Il mondo dell’informatica è sempre più vasto e le specializzazioni sempre più numerose. La ricerca di una figura professionale che accorpi troppe competenze si tramuterà probabilmente in una pletora di richieste tra le più disparate, nella gestione di tantissimi progetti con aumento esponenziale dello stress, nel famigerato e temuto one man team che accorperà su di voi una quantità di responsabilità oltre il tollerabile. Ma una richiesta di competenze apparentemente senza senso potrebbe altresì rispecchiare un management scollato dalla catena produttiva, incapace di comprendere il (nostro) lavoro e i prodotti venduti. Tutto ciò si risolve fin troppo spesso in accordi scriteriati stretti con i clienti, basati su stime fantasiose (nel migliore dei casi) e in una ricaduta certa sui lavoratori: ancora una volta, noi. DESCRIZIONE DELL’AZIENDA L’analisi e la scelta dell’azienda sono sicuramente un punto fondamentale nella decisione di intraprendere una candidatura. Inutile dire che alcune realtà lavorative sono famose nel settore per essere dei veri e propri inferni. Stiamo parlando di colossi come Reply o Accenture, per la quale è facile farsi un’idea leggendo questo post su Reddit. Seconda cosa da valutare è se si sta parlando di un’azienda di prodotto o di consulenza. Generalmente nelle prime si vive decisamente meglio, soprattutto se l’alternativa è la consulenza intesa come body rental in cui generalmente si è sottoposti a ritmi frenetici e lo scollamento tra il management e i lavoratori è più marcato. Ma il prodotto non implica necessariamente essere allocati nella propria sede aziendale: potrebbero esserci clienti che necessitano di assistenza diretta su quanto fornito. Nel caso in cui, come l’autore dell’articolo, preferiate lavorare su un prodotto e siate riusciti a trovare un annuncio di questo tipo, potrebbe essere interessante andare a scoprire cosa producono: sviluppare qualcosa che contribuisca al benessere della collettività potrebbe regalarci a fine giornata un senso di soddisfazione finora mai provato. Probabilmente per affrontare il concetto di benessere collettivo in ambito tech non basterebbe un articolo intero, ma il dibattito intorno a questo tema è attualmente aperto e molto interessante. Ma anche riflettere sulle tecnologie è importante e rappresenta un vero e proprio investimento quotidiano sul futuro: perfezionarvi in tecnologie obsolete e non aggiornare le vostre competenze potrebbe tagliarvi fuori dal mercato, impedendovi, in caso di necessità, di trovare un nuovo posto di lavoro, se non a costo di enormi sforzi per colmare il gap accumulato. E’ quindi molto importante trovare un equilibrio che riesca a soddisfare le necessità lavorative quotidiane senza però lasciarci indietro rispetto all’evoluzione tecnologica. Anche il sito internet della compagnia potrebbe rivelare informazioni utili, ad esempio il parco clienti. Una lista di centinaia di sigle, spesso fin troppo note, probabilmente nasconderà il detestabilissimo body rental. Inoltre una ricerca mirata su Google potrebbe portare alla luce trascorsi particolari. Ad esempio “nome-azienda recensioni lavoratori”, “nome-azienda sindacati”, “nome-azienda vertenze” sono solo un esempio di quello a cui potreste mirare. Ulteriori punti di interesse possono essere individuati sulla base delle proprie necessità. Ad esempio in città molto grandi, o con mezzi di trasporto inefficienti, la lontananza da casa potrebbe giocare un ruolo fondamentale nella scelta di un posto di lavoro. BONUS Non volendoci limitare a sopravvivere, abbiamo individuato 3 punti che, a nostro modo di vedere il lavoro, andrebbero aggiunti alla lista dei requisiti minimi per considerare seriamente un annuncio. PIANO DI FORMAZIONE Il mondo in cui viviamo è sempre più soggetto a veloci cambiamenti, a rapidissime evoluzioni: di nuovo come in passato le macchine spingono l’uomo a una velocità sconosciuta, creando nuove possibilità e problemi d’adattamento. Il settore tech, in quanto motore portante di questo cambiamento, ha il dovere di affrontare il problema in modo collettivo, iniziando di fatto a non lasciare indietro i meno preparati, i più deboli, o semplicemente i più sacrificabili sull’altare del denaro. La formazione nel settore tech (più che in qualsiasi altro ma non solo) deve essere assicurata, pianificata, concordata e svolta interamente nelle ore lavorative. AVANZAMENTO PROFESSIONALE Iniziando una collaborazione di lavoro, entrambi i partecipanti investono, in modo più o meno convinto, sul rapporto di lavoro stesso. Mentre l’azienda ha potenzialmente un periodo di vita senza fine, il lavoratore spende il proprio preziosissimo e limitato tempo per tenere viva e solida l’azienda. Tolte le ore di sonno, la maggior parte del suo tempo giornaliero. Un chiaro piano di avanzamento professionale aiuterebbe il lavoratore nella valutazione dell’investimento di vita da scegliere e denoterebbe un’attenzione dell’azienda al benessere dei suoi dipendenti. ATTREZZATURE E STRUMENTI DI LAVORO Argomento mai passato di moda, ma ancor più attuale in questi tempi di lavoro remoto. Sebbene una trattazione approfondita delle differenze che intercorrono tra telelavoro e smart working esuli dal presente articolo, è bene ricordare che il telelavoro si esplica legalmente come una collaborazione fisicamente remota ma soggetta a tutte le norme esistenti in materia lavorativa (orari, sicurezza, strumentazioni, etc.), mentre lo smart working originariamente basa le sue fondamenta su nuove modalità e strumenti per portare a termine le attività. Inutile dire che attualmente lo smart working viene spesso sfruttato dalle aziende come scusa per scavalcare le leggi e i diritti dei propri dipendenti. Quindi se per il telelavoro la legge impone tutta una serie di forniture obbligatorie da parte dell’azienda (strumenti di lavoro come pc, sedie ergonomiche, etc) lo smart working è ancora visto come una situazione emergenziale, per cui i lavoratori non hanno diritto a nessuna di queste cose. Se siete interessati a lavorare da casa vi consigliamo di approfondire l’argomento da un punto di vista sia tecnico che psicologico, analizzando bene le differenze tra le varie forme di lavoro da remoto e cercando di capire se l’azienda che lo offre abbia una cultura lavorativa compatibile con questo approccio o meno. Chi invece non usufruisce dello smart o del remote working, si trova spesso in situazioni ancora peggiori: mobilio rotto o non ergonomico, hardware non performante, laptop con schermi microscopici senza monitor esterno, mense la cui qualità è scesa sotto il livello minimo accettabile sono solo alcuni dei fattori che a lungo andare possono provocare disagi fisici e psicologici. La presenza, rarissima, di informazioni su attrezzature e strumenti di lavoro è un ottimo indicatore dell’attenzione che un’azienda dedica alla salute dei propri dipendenti. SPORT E ATTIVITÀ FISICHE Il lavoro al videoterminale è notoriamente dannoso per il corpo umano e comporta una serie di disturbi molto spesso sottovalutati. La prospettiva di passare la maggior parte del tempo per i prossimi 40 anni immobili in una posizione innaturale per il corpo non solo è avvilente, ma è soprattutto pericolosa. Si tende a sottovalutare questi problemi liquidando i lavoratori cognitivi e i videoterminalisti a classe di privilegiati che possono permettersi il lusso di passare la vita belli comodi su una poltrona calda, ma la realtà è ben diversa: anche questi mestieri, come tutti del resto, portano con sé i loro disagi e i loro problemi. Pretendere il rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro non solo è giusto ma anche importante ai fini della produttività aziendale: un lavoratore stanco, scomodo o dolorante renderà meno di un lavoratore prestante fisicamente e psicologicamente. Anche se improbabile, spulciando la miriade di annunci presenti sul web, è possibile scovarne alcuni che riportano convenzioni con palestre o abbonamenti gratuiti a centri benessere tra i benefit offerti ai propri dipendenti. Per chi volesse approfondire la problematica segnaliamo il documento POSSIBILI DISTURBI DA LAVORO AL VDT dell’INAIL, Sicurezza sul lavoro. CHE FARE Nella condizione di elevata richiesta di lavoratori tech descritta precedentemente, le aziende sono sempre a caccia di nuove reclute e molte, anzi sempre di più stando alle previsioni, rimarranno a bocca asciutta. Questo sarà un vero e proprio disastro per il loro business. Noi lavoratori abbiamo l’opportunità di scegliere quali aziende si troveranno in difficoltà e quali invece avranno la possibilità di svilupparsi. Noi lavoratori possiamo finalmente scegliere tra vari ambienti, tra vari progetti, tra varie aree di business che alimenteranno alcuni cambiamenti sociali al posto di altri, tra varie condizioni di lavoro che si tramuteranno poi in condizioni di vita. INIZIA A DIFFONDERE CONSAPEVOLEZZA * analizza e scegli attentamente gli annunci di lavoro a cui candidarti * interagisci con il portale di lavoro web che ospita l’annuncio, se possibile, lasciando un feedback negativo o inviando una segnalazione al portale * condividi questo articolo in modo che le aziende tech capiscano cosa sta succedendo * partecipa a Tech Worker Coalition per essere parte del cambiamento NOTE FINALI Lo stesso autore dell’articolo ha vissuto, per anni e sulla propria pelle, la maggior parte dei problemi e dei soprusi qui descritti, ma dopo una (seppur) lunga ricerca ha finalmente trovato un posto di lavoro piacevole e stimolante. Questo a voler rimarcare come la rassegnazione non sia mai la soluzione ai nostri problemi e che nel cambiamento e nel movimento, soprattutto nei momenti più difficili, si nasconda spesso la possibilità di una nuova vita, magari più bella e dignitosa. RIFERIMENTI Come (non) scegliere la vostra prossima azienda What are subtle red flags at a job interview that say “working here would suck”? Il “body rental”: dal caporalato delle professioni tecniche al crollo della qualità e redditività della ICT in Italia pubblicato su Linkedin da Francesco Pugliese nel 2018
Tech Workers, Alziamo La Testa
Inizia oggi la prima campagna di Tech Workers Coalition Italia. Il problema è chiaro: l’IT italiano è stato costruito sullo sfruttamento, sull’illegalità, sulla violazione dei diritti e questa situazione non è più sostenibile. Il cambiamento non può che venire dalle lavoratrici e dai lavoratori del settore tecnologico: non dalla politica che ci ignora, non da una classe imprenditoriale nazionale incapace di superare le sue logiche feudali e sicuramente non dalle grandi aziende straniere che vedono l’Italia come una miniera da cui estrarre manodopera usa e getta a basso costo. Noi Tech Worker oggi alziamo la testa e ci riappropriamo della responsabilità di costruire il nostro futuro. Pretendiamo ambienti di lavoro sicuri e salubri, rispetto dei contratti, lotta alla precarietà, tutela degli studenti dalle attività di recruitment predatorio svolte nelle università, autonomia decisionale dei tecnici e lotta al managerialismo. Pretendiamo salari al pari degli altri paesi europei, così che trasferirsi all’estero diventi una scelta e non una costrizione. Alzare la testa non è soltanto combattere ciò che non ci piace del presente, ma immaginare un settore IT diverso, migliore, al servizio delle persone e delle comunità, in cui la produzione tecnologica genera valore per la società, invece di sottrarlo e tradurlo in profitto. Vogliamo mostrare alle Tech Worker e ai Tech Worker che c’è vita oltre la consulenza in banca, oltre la data entry con contratti precari, oltre la gig economy dei pochi euro a consegna. Un IT fatto di società organizzate orizzontalmente e democraticamente, legate al territorio e alle comunità, dove il software è prodotto in dialogo con le necessità delle persone di cui si vogliono risolvere i problemi, in maniera etica, ecologica e sostenibile tanto per i lavoratori quanto per la società. La campagna si compone di un sito dedicato e di un volantino da far circolare sia in formato digitale sui social sia in formato stampabile negli uffici, nelle strade, nelle scuole e nelle università. L’obiettivo di questi strumenti è far sapere a Tech Worker e studenti che i loro problemi, le loro paure, i loro desideri non sono solo loro ma sono condivisi da tante e tanti come loro che sono già in azione per portare un cambiamento concreto, sia dentro Tech Workers Coalition Italia sia dentro altre organizzazioni attive in Italia o su scala globale. Lavori con la tecnologia digitale? Oppure la tecnologia decide come e quando lavori? Sei una programmatrice, un rider, un magazziniere, un corriere, un sistemista o un’altra delle tante altre professioni legate al settore IT e alla produzione o consumo di tecnologia? Unisciti a Tech Workers Coalition Italia
Awesome Cooperative Tecnologiche
Le cooperative, la produzione peer to peer, le strutture orizzontali sono per i Tech Worker uno strumento importante tanto quanto le lotte nelle aziende e nelle corporation. Una via di uscita da un sistema in cui la massima ambizione, già di per sé quasi utopica, è una sopravvivenza dignitosa. Un nuovo modo di produrre tecnologia è necessario per produrre una tecnologia migliore, posti di lavoro migliori e sperabilmente una società migliore. Lungi dall’essere un’utopia, queste nuove forme stanno prendendo piede a ritmo incessante, tanto nell’IT quanto in altri settori produttivi. Abbiamo quindi deciso di comporre una lista di risorse, link, letture e soprattutto aziende italiane per chi fosse interessato a sapere di più, ricercasse ispirazione e idee, volesse esempi di successo di modelli alternativi a quelli della cultura startup o della piccola-media impresa padronale italiana. Il documento è open-source e può essere forkato e ampliato liberamente. Se avete spunti e suggerimenti, vi invitiamo ad aprire una issue o una PR direttamente su GitHub. Il formato è stato scelto deliberatamente (seguendo quello delle Awesome List) per rendere le contribuzioni, la lettura e la copia, accessibili a chiunque. Abbiamo inoltre in preparazione altre liste simili su altri temi di interesse per i lavoratori tecnologici. Link alla lista